Con un incasso di 573 milioni di lire, al primo posto della stagione 1948-1949 troviamo Fabiola (Blasetti, 1949), film il cui regista viene definito come «tra i più dotati e i più popolari» <359 che però, secondo Lorenzo Quaglietti, ha realizzato un misero risultato, un colosso di tipo hollywoodiano che non rispecchia la vita, i problemi e le aspirazioni della società <360. Simile è la recensione su Vie Nuove che per quanto si mostri in accordo con l’interpretazione essenzialmente realistica voluta dal film, non ne accetta la morale che risulta «filtrata attraverso il prisma deformante imposto dai venti secoli dello sviluppo ideologico di santa romana chiesa» <361. Un film «tutto sommato democratico che conserva quel minimo di socialismo in senso lato che pure anima le prime agitazioni cristiane» <362 è invece il giudizio di Palmiro Togliatti, scritto con lo pseudonimo Roderigo di Castiglia, sulle pagine del mensile Rinascita. L’interesse degli spettatori nella stagione 1950-1951 si concentra su Domani è troppo tardi (Moguy, 1950), film che porta in primo piano il mondo dei ragazzi e dei primi scontri con i sentimenti. Il film, coraggioso per il tema trattato secondo i critici Edgardo Macorini <363 e Lorenzo Quaglietti <364 ottiene un “buono” nella rubrica Abbiamo giudicato di Vie Nuove perché «insufficientemente ambientato e troppo genericamente risolto» <365, mentre le restanti recensioni sui periodici comunisti si concentrano sull’analisi della recitazione degli attori che, ad esclusione dell’«espressiva e toccante» <366 Anna Maria Pierangeli, risulta «poco convincente» <367 o addirittura «pessima» <368. Don Camillo (Duvivier, 1952), film tratto dalle pagine dei romanzi di Giovannino Guareschi, con 1 miliardo e 400 milioni di incasso è il primo della stagione 1951-1952. A fronte del grande successo, la critica comunista è unita nel definirlo un film privo di qualsiasi ambizione artistica, sia sulle pagine di Rinascita da Pietro Ingrao <369 che su Vie Nuove. In quest’ultimo caso, l’occasione per approfondire il giudizio è data dal sequel Il ritorno di Don Camillo (Duvivier, 1953), attraverso cui Barbaro descrive il regista Julien Duvivier in questi termini:
"[…] passò, un tempo, per un grande artista del film. Non lo era. Era un regista che esprimeva […] una concezione pessimistica del mondo. Esprimeva un mondo, a cui gli istinti, fondamentalmente e sostanzialmente buoni, dell’umanità che lo popola, non riescono a dare alcun ordine, alcun significato". <370
Con le recensioni relative ai campioni d’incasso delle stagioni 1952-1953 e 1953-1954, rispettivamente Canzoni di mezzo secolo (Paolella, 1952) e Pane amore e fantasia (Comencini, 1953), la critica comunista inizia a fare sempre più riferimento al pubblico cercando di delinearne i motivi del successo. In tal senso, il film di Paolella è «un colorito album di famiglia fra le cui pagine lo spettatore ritrova sentimenti e immagini, che riteneva ormai perduti, della propria esperienza e di quella di tutti gli italiani» <371, mentre Pane, amore e fantasia, oltre a essere «un film piacevolissimo, ricco di trovate brillanti e spiritose, di situazioni divertenti, ben costruito e raccontato, ottimamente interpretato da Vittorio De Sica e da Gina Lollobrigida» <372, piace ed interessa agli spettatori «perché vi si sente la vita vera, la realtà d’ogni giorno, perché i suoi protagonisti non sono fantomatici eroi, ma uomini che, come noi vivono» <373. Del tutto simile è la recensione di Casiraghi nel Calendario del Popolo che, dopo aver anticipato che il tema trattato è modesto, ne evidenzia un pregio: intrattenere il pubblico in cerca di svago con «personaggi sani, senza falsificare la piccola realtà che presentano» <374. Secondo lo stesso schema anche il miglior incasso della stagione 1954-1955, Ulisse (Camerini, 1954), è recensito facendo riferimento sia alla trama sia al giudizio del pubblico che lo aveva già potuto vedere e avvisando dunque chi intenzionato a guardarlo con l’idea di passare due ore di svago, che ne sarebbe uscito deluso e annoiato. Il motivo è chiarito da Barbaro, che identifica tra i peggiori difetti del film la scelta del regista di tenersi «alla nuda esteriorità dei fatti», annoiando, e portando a una «storta e addirittura capovolta interpretazione del senso del poema» <375. Poca rilevanza viene data a La donna più bella del mondo (Leonard, 1955), campione d’incasso della stagione 1955-1956, mentre il film di Dino Risi, Poveri ma belli (1957), primo nella classifica 1956-1957 si guadagna uno spazio più ampio, soprattutto perché il successo non era stato previsto. Lo stupore dei critici comunisti non deriva tanto dall’accoglienza da parte del pubblico della «commediola popolaresca» <376, quanto dalla fortuna che in questo caso non poteva essere riconducibile a un cast formato da attori celebri, né a un regista celeberrimo <377, seppur il precedente film di Risi, Pane, amore e… (1955) si fosse classificato al terzo posto nella classifica di incassi 1955-1956. In generale, la critica comunista si dimostra concorde nei giudizi attribuiti ai singoli film. Esistono tuttavia film che segnano ampi dibattiti, spesso dovuti a opinioni discordi. Un esempio clamoroso è rappresentato da Riso amaro (De Santis, 1949), film che, ricorda Alberto Farassino, coinvolge una lunga e vivace polemica e rappresenta il primo dibattito giornalistico pubblico su un film. <378
Riso amaro viene presentato al Festival di Venezia del 1949 e da subito i giudizi sono favorevoli. Ad esempio, Ugo Casiraghi sulle pagine dell’Unità elogia De Santis per aver costruito un film avvincente, girato in un ambiente sconosciuto alla macchina da presa e per «aver padroneggiato le masse con bella sapienza compositiva, affrontando episodi di lavoro collettivo con slancio lirico ed impetuoso». <379 Una posizione simile a quella di Casiraghi la troviamo anche al di fuori della critica comunista. Infatti, su La Stampa, Leo Pastelli scrive:
"Eccellente in Riso Amaro è la riuscita corale, il senso dell’affresco. E il merito precipuo del film è d’essersi specchiato nella realtà, d’aver resistito a fronzoli, a lusinghe descrittive, ad appartati virtuosismi; d’aver equilibrato romanzo e documento. La delineazione dell’ambiente è spontanea; insorgente sin dall’ampio, felicissimo inizio". <380
Il giudizio al film risulta estremamente positivo anche sulle pagine del settimanale della Federazione comunista di Mantova Il Progresso, che lo definisce un capolavoro, un’opera coraggiosa che «si inserisce nella nuova corrente che ha assicurato al cinema italiano i più lusinghieri riconoscimenti in ogni parte del mondo» <381. Anche Noi Donne presenta il film con commenti lusinghieri, tanto da trasformare il «film italiano che per la sua umanità e il suo valore artistico stupirà tutto il mondo» <382 nel primo fotoromanzo a puntate del settimanale. <383 Ben presto iniziano le polemiche, mosse principalmente da Antonello Trombadori che, in un lungo commento al film sull’Unità, si scaglia contro il personaggio di Silvana Meliga, la mondina interpretata da Silvana Mangano, scrivendo:
"Tutti i suoi dolori, i suoi errori, la sua ingenua incongruenza morale, mai profondamente commuovono, perché in essi non vive, né pure allo stato di lontana eco o di luce riflessa […] il mondo della risaia. Il legame tra questo mondo e i fatti che Riso amaro racconta, è del tutto meccanico. […] Un film sul mondo della risaia non poteva avere - organicamente, strutturalmente - come protagonista il personaggio di Silvana e la sua storia. In simile ruolo, essi hanno perso la commozione poetica e umana che solo viene dalla verità". <384
In altri termini, ciò che muove le critiche di Trombadori sembra essere il sospetto che De Santis voglia unire immagini più moderne a un ritratto della cultura popolare, alle volte tipiche della gioventù americana (si veda l’incipit con il boogie-woogie ballato da Silvana Mangano e Vittorio Gassmann), che prendono vita con Silvana Mangano: «[…] ieratica e maliziosa, statuaria e terragna; […] ultima delle neorealiste e prima delle maggiorate» <385. All’articolo di Trombadori seguono dopo poco anche i commenti dei lettori de l’Unità <386 e, come ricorda ancora Farassino, al centro della polemica vi erano i seni e le gambe della mondina interpretata dalla Mangano:
"I problemi in ballo erano due: le «nostre mondine» sono solite mostrarli con tale sfrontatezza, invece di lavorare duramente e modestamente? Secondo: tali seni e gambe, visto che sono gradevoli agli spettatori, possono contribuire a divulgare contenuti più nobili, per esempio la lotta di classe e il socialismo?" <387
[...] Un altro dei film più discussi e messo al vaglio dei periodici comunisti è Senso (Visconti, 1954), un’opera che sebbene non raggiunga il primo posto tra i film campioni d’incasso rappresenta un momento cruciale della cultura italiana.
Nei periodici comunisti, il film viene annunciato su Pattuglia il 5 aprile 1953 <399 e su Avanguardia il 5 settembre 1954 <400 come una delle ultime fatiche di Luchino Visconti, regista da cui ci si aspetta un risultato all’altezza dei suoi precedenti Ossessione (1943), La terra trema (1948) e Bellissima (1951); aspettative che sono presto confermate dall’inviato al Festival di Venezia per Vie Nuove Emilio Tadini:
"Senso si impone veramente come un capolavoro dello stile, del mondo espressivo di Luchino Visconti. Il colore della Technicolor è usato come forse mai nella storia del cinema: con risultati di tono generale e di effetti particolari veramente eccezionali (e con chiari riferimenti alla pittura italiana dell’800) […]. La ricostruzione degli ambienti è perfetta […]. Alida Valli tormentata e agitata di amore e di paure, ha sostenuto la più bella interpretazione della sua carriera". <401
[...] Senso avvia non solo uno dei più importanti dibattiti sul cinema italiano, ma segna anche un punto di svolta che si mostrerà più evidente tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta. Infatti, come spiega Vittorio Spinazzola, Senso può essere considerato come il primo esempio di «superspettacolo d’autore» <422, ovvero la prima spia di quel cambiamento che riguarderà la nascita di un pubblico che premierà film come La dolce vita (Fellini, 1960) o Rocco e i suoi fratelli (Visconti, 1960).
Le riflessioni aperte dai lettori delle riviste comuniste relativamente a Riso amaro e Senso sembrano inoltre mostrare una tendenza che vede il ruolo del critico ridimensionato. Lo scopo di orientare i lettori al gusto che la critica cinematografica aveva avuto fino a quel momento solo in rari casi era stata messa in discussione, ma con i film di De Santis e Visconti sembra perdere la sua incontrastata funzione di guida.
Tra i risultati delle inchieste condotte dalle riviste comuniste sui gusti dei propri lettori e i film che sono accolti con maggior successo un caso su cui è necessario soffermarsi è Luci della ribalta. Come ho mostrato si tratta di un film che è tra i preferiti dei lettori comunisti, ma soprattutto dei critici. Allargando lo sguardo a una preziosa indagine DOXA commissionata dalla Lux Film che alla domanda “Dei film che ha visto durante gli ultimi dodici mesi (giugno 1952-maggio 1953), quali due Le sono piaciuti di più?” indica al primo posto Luci della ribalta, seguito, come nell’inchiesta di Avanguardia del 1956, da Via col vento.
[...] Il ruolo della critica cinematografica all’interno dei periodici comunisti, come spiegato nell’inchiesta di Gambetti e Sermasi del 1958 da critici come Umberto Barbaro o Paolo Gobetti si muove sulla comune idea di aiutare il pubblico nella comprensione dei film, ma soprattutto intende educare i lettori alla visione dei film. Tra il 1945 e il 1955 il gusto dei critici sembra allineato sia internamente, ovvero tra i critici dei diversi periodici, sia con i gusti del pubblico comunista. Gli esempi più evidenti sono rintracciabili negli esiti delle varie iniziative dei periodici volte a comprendere i gusti dei propri lettori. Nel referendum di Noi Donne del 1949 la maggior parte dei lettori dichiara un evidente interesse verso i film neorealisti, ampiamente elogiati anche dalla critica di sinistra. Comuni sono anche gli elogi a Luci della ribalta, film che accorda i gusti non solo dei lettori comunisti ma, come dimostrato dai dati dell’indagine DOXA del 1953, anche di quelli del pubblico più vasto.
La seconda metà degli anni Cinquanta segna invece l’inizio di una tendenza che mostra i primi segni di frattura tra i gusti del pubblico e quello dei critici. Se nell’inchiesta di Avanguardia Tre domande di avanguardia ai giovani italiani il film preferito è Luci della ribalta, nella lista sono presenti film che preoccupano Umberto Barbaro, film che, a detta del critico, potrebbero nuocere alle coscienze dei giovani. Questi segnali del mutamento non vengono però del tutto colti né da Barbaro né da altri critici che sembrano proseguire in una generale miopia verso tendenze che esploderanno nel decennio successivo. È però importante sottolineare che fratture interne alla critica comunista sono presenti anche all’inizio degli anni Cinquanta, in particolare nei confronti di film che segnano un passaggio, una svolta, come nel caso di Riso amaro e Senso.
Un’ultima riflessione riguarda chi muove le critiche ai film all’interno dei periodici. Se le word clouds evidenziano la presenza di un elevato numero di critici cinematografici e collaboratori è da notare che difficilmente i giudizi negativi o contrastanti con altre riviste comuniste provengono da autori che non hanno un solido rapporto con il periodico che le pubblica. Non è dunque casuale che Antonello Trombadori muova critiche a Riso amaro su Vie Nuove, Luigi Chiarini a Senso su Il Contemporaneo e Vittorio Spinazzola a La grande guerra su Nuova Generazione. Gli autori con una presenza minore sui periodici sono comunque liberi di esprimere la propria opinione <437, ma alcuni di loro preferiscono farlo in ma alcuni di loro preferiscono farlo in altre sedi, come i Circoli di cinema <438, lasciando il ruolo di “guida ai lettori” a una ristretta cerchia di critici spesso senza una precisa linea culturale da parte del Partito su cui rifletterà Paolo Gobetti aprendo il celebre dibattito “Sciolti dal giuramento”.
"La linea culturale veniva praticamente elaborata da un gruppo di attivisti e di dirigenti non sempre a contatto con la base, all’oscuro delle reazioni che certi problemi culturali potevano suscitare tra le masse, e dall’altra parte scarsamente legati alla vita culturale della nazione". <439
359 L. Q. [LORENZO QUAGLIETTI], Fabiola, in «Noi Donne», anno V, n. 12, 20 marzo 1949, p. 16.
360 Ibidem.
361 Attualità di Fabiola, in «Vie Nuove», anno IV, n. 12, 20 marzo 1949, p. 18.
362 R. DI CASTIGLIA [PALMIRO TOGLIATTI], «Fabiola», ovvero tutte le strade conducono al comunismo, in «Rinascita», anno VI, n. 3, marzo 1949, p. 143.
363 E. MACORINI, I pierini incomprensibili, in «Vie Nuove», anno V, n. 34, 27 agosto 1950, p. 16.
364 L. Q. [LORENZO QUAGLIETTI], Domani è troppo tardi, in «Noi Donne», anno VII, n. 5, 29 gennaio 1950, p. 16.
365 Abbiamo giudicato, in «Vie Nuove», anno V, n. 43, 29 ottobre 1950, p. 16.
366 REDAZIONE, I films della settimana, in «Lotta di Popolo», anno III, n. 42, 10 novembre 1950, p. 2.
367 Ibidem.
368 DIOGENE, La lanterna di Diogene, in «Pattuglia», anno IV, n. 44, 5 novembre 1950, p. 12.
369 P. I. [PIETRO INGRAO], Fallimento di Don Camillo, in «Rinascita», anno IX, n. 3, marzo 1952, p. 185.
370 U. BARBARO, Don Camillo peggiorato, in «Vie Nuove», anno IX, n. 40, 11 ottobre 1953, p. 17.
371 Canzoni di mezzo secolo, in «Vie Nuove», anno VIII, n. 49, 14 dicembre 1952, p. 14.
372 L. Q. [LORENZO QUAGLIETTI], Pane, amore e fantasia, in «Noi Donne», anno XI, n. 2, 10 gennaio 1954, p. 23.
373 Ibidem.
374 U. CASIRAGHI, Pane, amore e fantasia, in «Il Calendario del Popolo», anno X, n. 113, febbraio 1954, p. 1649. Cfr. anche Pane, amore e fantasia, in «Vie Nuove», anno IX, n. 1, 3 gennaio 1954, p. 20 e U. BARBARO, Allegria di maresciallo, in «Vie Nuove», anno IX, n. 2, 10 gennaio 1954, p. 20.
375 U. BARBARO, Fumetto omerico, in «Vie Nuove», anno IX, n. 46, 21 novembre 1954, p. 19.
376 Poveri ma belli, in «Noi Donne», anno XII, n. 3, 20 gennaio 1957, p. 30.
377 Ibidem.
378 A. FARASSINO, Giuseppe De Santis, Moizzi Editore, Milano, 1978, p. 24.
379 U. CASIRAGHI, Grande successo di “Riso amaro”, in «l’Unità», 9 settembre 1949, p. 3.
380 L. p. [LEO PESTELLI], L’epopea delle mondine, in «La Stampa», 19 settembre 1949, p. 2.
381 “Riso amaro”, in «Il Progresso», anno V, n. 38, 4 ottobre 1949, p. 3.
382 Riso amaro, in «Noi Donne», anno IV, n. 31, 31 luglio 1949, pp. 10-11.
383 Il fotoromanzo di Riso amaro viene pubblicato in dodici puntante dall’11 settembre all’11 dicembre 1949. Noi Donne mostra particolari attenzioni al film di De Santis anche durante le riprese. A questo proposito si veda L. QUAGLIETTI, Riso amaro, in «Noi Donne», anno IV, n. 25, 1° agosto 1948, p. 10.
384 A. TROMBADORI, “Riso amaro” di De Santis e il problema della realtà nell’arte, in «Vie Nuove», anno IV, n. 38, 25 settembre 1949, pp. 14-15.
385 E. MORREALE, Così piangevano: il cinema melò nell’Italia degli anni Cinquanta, Donzelli, Roma, 2011, p. 268.
386 Parte delle lettere sono raccolte in M. GROSSI e V. PALAZZO (a cura di), “Riso amaro” nel fuoco delle polemiche, Quaderni dell’Associazione Giuseppe De Santis, n. 3, Fondi, 2003.
387 A. FARASSINO, Giuseppe De Santis, cit., p. 24.
399 Senso, in «Pattuglia», anno VII, n. 14, 5 aprile 1953, p. 12.
400 M. SCARPELLI, Senso, in «Avanguardia», anno II, n. 35, 5 settembre 1954, p. 16.
401 E. TADINI, L’Italia è in attesa, «Vie Nuove», anno IX, n. 36, 12 settembre 1954, p. 13.
422 V. SPINAZZOLA, Cinema e pubblico. Lo spettacolo filmico in Italia 1945-1965, Bulzoni, Roma, 1985 [1974], p. 141.
437 Mino Argentieri ricorda: «Non si può dire che, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, ci fosse qualcuno che alzasse il telefono per impartire consigli su come giudicare un film…Però, c’erano film che al partito stavano politicamente più a cuore». Un grande disegno riformatore. Conversazione con Mino Argentieri, in A. MEDICI, M. MORBIDELLI e E. TAVIANI (a cura di), Il PCI e il cinema tra cultura e propaganda, 1959-1979, cit., p. 65.
438 Ad esempio, tra il 1951 e il 1952 Callisto Cosulich e Virgilio Tosi scrivono venticinque schede ognuna delle quali dedicata a un singolo film, poi pubblicate dalla Federazione Italiani Circoli di Cinema (FICC).
439 P. GOBETTI, Ragioni di una confessione, in «Cinema Nuovo», anno VI, n. 100, 15 febbraio 1957, p. 85. Cfr. CENTRO VITA ITALIANA (a cura di), Cinema rosso. Rapporto sui comunisti e il cinema italiano, Roma, s.d., pp. 38-40.