Nella mattinata del 22 aprile 1945 le avanguardie della Brigata «Remo» entrarono in azione contro le retroguardie tedesche in ritirata. Mirandola fu così liberata definitivamente domenica 22 aprile come risulta dalla relazione del Comando Piazza di Mirandola che riproduciamo integralmente, anche se ci pare lecito avanzare in nota alcune riserve: «Il 1° Battaglione patrioti operante nella zona di Mirandola, il 22 aprile 1945, all'approssimarsi delle truppe alleate, sotto la guida della nota missione inglese, serrava le file e prima dello scadere della mezzanotte raggiungeva a piccoli gruppi questa città, deciso di strapparla al nemico per evitarne la distruzione. Durante la marcia di avvicinamento a Mirandola uno di tali gruppi catturava 3 agenti della Questura repubblicana fascista che furono prontamente eliminati. Alla periferia della città le nostre avanguardie si scontravano con reparti fascisti in ritirata che venivano subito agganciati in combattimenti; ma, data la preponderanza numerica del nemico, le nostre pattuglie, dopo breve sparatoria, si sganciavano dall'avversario ripiegando in posizione più favorevole e attendendo il grosso del Battaglione. «Poco dopo l'intero Battaglione entrò in città stessa costituendo posti di blocco nei punti periferici di maggior traffico. Il nemico, impegnato ripetutamente in duri combattimenti, veniva scacciato prima dalla città e poscia ostacolato nella sua ritirata; i nostri reparti, costituendo i posti di blocco, infatti, attaccavano coraggiosamente le colonne in ritirata falciandole e disperdendole. Numerosi attacchi nemici furono respinti e la città venne tenuta fino all'arrivo degli Alleati sebbene bersaglio di un bombardamento durato molte ore» (11). La relazione prosegue elencando le azioni di rastrellamento compiuto nella notte fra il 22 e il 23 e nella giornata del lunedì, nel corso delle quali caddero i partigiani «Hans» (un soldato tedesco passato alla Resistenza) ed Erminio Ori di Mirandola.
Se questa relazione compresa nel "Diario storico della Brigata «Remo»" suscita alcune perplessità, altre e ben più serie ne propone la versione dei fatti (piuttosto discordante dalla prima) quale ci viene fornita da una relazione stesa in data imprecisata da alcuni componenti del nucleo mirandolese del Partito d'Azione: a meno che essa - pagando un debito evidente a quel patriottismo di partito al quale abbiamo accennato - non intenda riferire, amplificandone all'estremo il significato, uno dei tanti episodi attraverso i quali si operò la liberazione di Mirandola (12).
Anche nel Finalese si accese in quei giorni intensa la lotta armata, - e non solo nella zona di Massa, in cui la Resistenza sia pure con alterne vicende era stata tuttavia abbastanza costantemente presente come abbiamo ricordato fin dall'autunno-inverno del '43-44, bensì anche da parte delle forze che anche dopo l'esodo verso la montagna di parecchi giovani militanti (a proposito del quale già s'è detto avanti) continuarono a mantenere una sia pur debole e scarsamente attiva struttura organizzata della Resistenza nel centro urbano di Finale Emilia e che dovettero pagare col sacrificio più duro da esse tributato alla lotta di liberazione - cioè con la morte dei partigiani Edoardo Banzi e Giustino Veronesi - questo estremo e pure anch'esso importante sussulto di ribellione contro fascisti e tedeschi (13). La mobilitazione in massa delle forze partigiane del distaccamento di Finale si realizzò il 20 aprile, allorchè di fronte all'evidente precipitare degli avvenimenti le varie squadre armate furono comandate di prendere posizione nei loro posti di combattimento, già in precedenza indicati tenendo conto di quelle che potevano essere le località da tenere sotto controllo. Comandati da Albino Superbi e da Luigi Battaglioli, una trentina circa di partigiani armati del Battaglione «Omero» si dislocarono pertanto nelle zone che fronteggiavano il Panaro, soprattutto nelle vicinanze immediate del centro urbano, avendo due obiettivi: anzitutto ostacolare per quanto fosse possibile la ritirata dei tedeschi e, seminando fra questi il panico con attacchi improvvisi e imboscate micidiali, trasformare una ritirata più o meno ordinata in una vera e propria fuga; in secondo luogo impedire o almeno ridurre al minimo la devastazione di Finale e la perdita di vite umane fra i civili. A tal fine nella notte sul 22 fu dato fuoco al ponte di legno che i tedeschi avevano gettato sul fiume, impedendo in tal modo che colonne nemiche potessero affluire a rinforzo dei reparti che già stanziavano nella città (14).
Per tutta la giornata del 22 aprile, mentre le armate alleate incalzavano le truppe tedesche dalla pianura bolognese fino verso la sponda meridionale del Panaro, fra l'altro sparando numerosi colpi di artiglieria nella zona a nord del fiume (ciò che rendeva ancor più pericolose le operazioni partigiane, sottoposte ad una duplice insidia) la Resistenza armata continuò nel Finalese la sua azione di disturbo contro le preponderanti forze tedesche, nel corso della quale cadde in località Mulino di Massa il partigiano Giustino Veronesi; infine la mattina del 23, alle ore 11, dopo che il grosso dei tedeschi si era ormai ritirato e mentre le forze partigiane tentavano di stabilire un contatto con gli alleati (15), fu data la disposizione di issare ovunque bandiera bianca onde evitare che il paese fosse fatto segno di ulteriori attacchi da parte delle artiglierie e dell'aviazione americana. Alcuni gruppi isolati di retroguardia della Wehrmacht tentarono di reagire a questo colpo di mano e cercarono di strappare i drappi bianchi issati sulle case, ma in generale il nemico percepì anche da questo gesto di una intera popolazione, un gesto ad un tempo di difesa e di sfida, che la partita anche a Finale era perduta, e si mise in rotta opponendo tuttavia ancora qua e là una sporadica resistenza che costrinse i partigiani ad assaltare un carro armato e a snidare alcune postazioni di mitragliatrici (16).
All'imbrunire del 23 aprile finalmente le truppe americane varcavano il Panaro e anche Finale Emilia poteva cominciare a vivere le sue prime ore di libertà.
[NOTE]
(11) Abbiamo tenuto ovviamente presente - per l'implicita autorevolezza che deriva dalla sua ufficialità - questa relazione del Comando Piazza di Mirandola: essa ci appare tuttavia assai lacunosa, approssimativa e in certi punti addirittura scarsamente attendibile: ad esempio, non si riesce da essa a capire se lo «scadere della mezzanotte» si riferisca alla notte fra il 21 e il 22 aprile, come altre fonti sostengono, oppure alla notte fra il 22 e il 23 aprile come parrebbe di dover dedurre a prima lettura del testo; e ancor più problematica diventa l'attendibilità del documento allorchè si afferma addirittura che il battaglione «Pecorari» procedette all'occupazione di Mirandola «sotto la guida della nota (sic!) missione inglese»: è infatti ben accertato e documentato da centinaia di testimonianze che i rapporti fra le forze partigiane e le missioni alleate furono sì di collaborazione assai stretta, anche se talvolta increspata da reciproche «diffidenze» politiche, ma non certo di subordinazione o di rinuncia alla loro autonomia da parte delle formazioni patriottiche che invece seguirono sempre la corretta linea gerarchica di dipendenza dai comandi militari della Resistenza.
(12) Riproduciamo qui intanto il testo della relazione (conservata con numero di protocollo 369 presso l'Archivio I.S.R.M. deposito Borsari, cart. C/2), al quale ci pare comunque necessario far seguire una nota critica circa la sua attendibilità. «Il 22 aprile 1945 al Comando Piazza alle ore 13,45 Cocchi Giuseppe, capo della squadra del Partito d'Azione si assunse l'incarico di raccogliere quanti più uomini possibili per prendere alle ore 18 possesso della caserma GNR perchè, secondo i patti di resa, a quell'ora i militi avrebbero dovuto consegnare le armi e allontanarsi in borghese. Alle 14 Cocchi e Pozzetti Bruno in perlustrazione davanti alla caserma suddetta, constatando che solo pochi militi erano ancora presenti, decisero di prenderne immediatamente possesso e invitarono la popolazione ad armarsi con le armi ex repubblichine. Venne sull'istante costituito un nucleo di armati che man mano ingrossò le file al numero di una quarantina. La caserma venne tenuta pur sotto le minacce di un cannoncino e di due autoblinde tedesche. Senonchè per ragioni di sicurezza viene dato ordine a Castellini di trasferirsi con parte di armi ed armati in un cortile del centro cittadino. Alle ore 18,30 Mirandola si può dire praticamente nelle mani della popolazione insorta sotto la guida del Partito d'Azione. Alle 22,30 il Comando Piazza prese il comando diretto del gruppo che venne organizzato in tre squadre e una pattuglia di collegamento. Capo pattuglia fu uno del Partito d'Azione, Castellini, che guidò il gruppo fino all'indomani, giorno dell'arrivo delle truppe alleate». Anche per spiegare le ragioni dei nostri interrogativi sull'attendibilità del documento, vogliamo soffermarci solo su due evidentissime inesattezze: in primo luogo si parla di una «squadra del Partito d'Azione» comandata da Giuseppe Cocchi, mentre è del tutto accertato che tranne che nei primissimi tempi della lotta di liberazione nella Bassa modenese non esistevano affatto formazioni «di partito» (nè del P.d'A, nè del P.C.I., nè di alcun altro partito antifascista) ma tutte le forze partigiane erano organizzate in una formazione unitaria: nella fattispecie, le forze militari della Resistenza operanti nella Bassa erano tutte inquadrate nella Brigata «Remo». In secondo luogo, il documento afferma testualmente: «Mirandola si può dire praticamente è nelle mani della popolazione insorta sotto la guida del Partito d'Azione»! A parte il fatto che - per motivi richiamati altrove - il nucleo mirandolese del P.d'A. aveva perduto la più gran parte della sua consistenza già nella primavera-estate del 1944, vien da chiedersi: dove erano allora e cosa facevano in quelle ore cruciali il C.L.N., il Comando di Piazza, il Comando del battaglione «Pecorari», e infine il Comando della Brigata?
(13) Dobbiamo a questo punto «fare i conti» e ancora una volta criticamente con un documento già altrove ricordato, una relazione sull'attività svolta dal distaccamento del battaglione «Omero» dislocato a Finale Emilia, stesa il 21 maggio dal capitano Gaetano Salvi che firma come «comandante del distaccamento». Il documento è nell'Archivio I.S.R.M., deposito Borsari, cartella C/5). Questo scritto rappresenta in qualche modo una testimonianza da cui non si può prescindere, stante la grave povertà di altre fonti dirette, e tuttavia non può essere preso in considerazione se non con grande cautela tenendo conto della qua e là trasparente e al limite persino ingenua finalità di autoincensamento da parte dell'autore, inteso sì a ricostruire i fatti ma soprattutto ad esaltare oltre misura il ruolo ch'egli effettivamente svolse in quelle vicende. Ad assumere questa posizione in parte dubitativa ci induce anche il rapporto fra le cose scritte dal Salvi e le testimonianze orali che si son potute raccogliere nell'autunno del 1973 da uomini - quali Albino Superbi «Allegro» (commissario del distaccamento) e Luigi Battaglioli - che furono indubitabilmente reali protagonisti della Resistenza nel centro di Finale fin dal settembre '43.
(14) «Relazione del movimento partigiano di Finale Emilia». (Archivio I.S.R.M., deposito Borsari, cartella C/5).
(15) Secondo la relazione Salvi citata, fu lo stesso Salvi a stabilire questo collegamento: «Alle ore 14 dello stesso giorno, il Comandante dei Partigiani Cap. Salvi, sotto il fuoco rabbioso degli ultimi centri tedeschi riuscì a mettersi in contatto con gli Americani»; i già ricordati Albino Superbi e Luigi Battaglioli hanno da parte loro dichiarato di essere riusciti essi stessi a raggiungere le truppe alleate avanzate e ad informare queste del fatto che il centro di Finale era ormai stato evacuato dal nemico, ciò che risparmiò una prevedibile azione distruggitrice da parte degli alleati.
(16) Si veda la citata «relazione Salvi». Fu nel corso di queste operazioni che cadde il partigiano Edoardo Banzi e furono feriti i partigiani Ermes Caselli (al quale dovette esser amputata una gamba) e Ferruccio Pignatti.
F. Canova - O. Gelmini - A.Mattioli, Lotta di liberazione nella Bassa Modenese, a cura dell'A.N.P.I di Modena, 1974
Se questa relazione compresa nel "Diario storico della Brigata «Remo»" suscita alcune perplessità, altre e ben più serie ne propone la versione dei fatti (piuttosto discordante dalla prima) quale ci viene fornita da una relazione stesa in data imprecisata da alcuni componenti del nucleo mirandolese del Partito d'Azione: a meno che essa - pagando un debito evidente a quel patriottismo di partito al quale abbiamo accennato - non intenda riferire, amplificandone all'estremo il significato, uno dei tanti episodi attraverso i quali si operò la liberazione di Mirandola (12).
Anche nel Finalese si accese in quei giorni intensa la lotta armata, - e non solo nella zona di Massa, in cui la Resistenza sia pure con alterne vicende era stata tuttavia abbastanza costantemente presente come abbiamo ricordato fin dall'autunno-inverno del '43-44, bensì anche da parte delle forze che anche dopo l'esodo verso la montagna di parecchi giovani militanti (a proposito del quale già s'è detto avanti) continuarono a mantenere una sia pur debole e scarsamente attiva struttura organizzata della Resistenza nel centro urbano di Finale Emilia e che dovettero pagare col sacrificio più duro da esse tributato alla lotta di liberazione - cioè con la morte dei partigiani Edoardo Banzi e Giustino Veronesi - questo estremo e pure anch'esso importante sussulto di ribellione contro fascisti e tedeschi (13). La mobilitazione in massa delle forze partigiane del distaccamento di Finale si realizzò il 20 aprile, allorchè di fronte all'evidente precipitare degli avvenimenti le varie squadre armate furono comandate di prendere posizione nei loro posti di combattimento, già in precedenza indicati tenendo conto di quelle che potevano essere le località da tenere sotto controllo. Comandati da Albino Superbi e da Luigi Battaglioli, una trentina circa di partigiani armati del Battaglione «Omero» si dislocarono pertanto nelle zone che fronteggiavano il Panaro, soprattutto nelle vicinanze immediate del centro urbano, avendo due obiettivi: anzitutto ostacolare per quanto fosse possibile la ritirata dei tedeschi e, seminando fra questi il panico con attacchi improvvisi e imboscate micidiali, trasformare una ritirata più o meno ordinata in una vera e propria fuga; in secondo luogo impedire o almeno ridurre al minimo la devastazione di Finale e la perdita di vite umane fra i civili. A tal fine nella notte sul 22 fu dato fuoco al ponte di legno che i tedeschi avevano gettato sul fiume, impedendo in tal modo che colonne nemiche potessero affluire a rinforzo dei reparti che già stanziavano nella città (14).
Per tutta la giornata del 22 aprile, mentre le armate alleate incalzavano le truppe tedesche dalla pianura bolognese fino verso la sponda meridionale del Panaro, fra l'altro sparando numerosi colpi di artiglieria nella zona a nord del fiume (ciò che rendeva ancor più pericolose le operazioni partigiane, sottoposte ad una duplice insidia) la Resistenza armata continuò nel Finalese la sua azione di disturbo contro le preponderanti forze tedesche, nel corso della quale cadde in località Mulino di Massa il partigiano Giustino Veronesi; infine la mattina del 23, alle ore 11, dopo che il grosso dei tedeschi si era ormai ritirato e mentre le forze partigiane tentavano di stabilire un contatto con gli alleati (15), fu data la disposizione di issare ovunque bandiera bianca onde evitare che il paese fosse fatto segno di ulteriori attacchi da parte delle artiglierie e dell'aviazione americana. Alcuni gruppi isolati di retroguardia della Wehrmacht tentarono di reagire a questo colpo di mano e cercarono di strappare i drappi bianchi issati sulle case, ma in generale il nemico percepì anche da questo gesto di una intera popolazione, un gesto ad un tempo di difesa e di sfida, che la partita anche a Finale era perduta, e si mise in rotta opponendo tuttavia ancora qua e là una sporadica resistenza che costrinse i partigiani ad assaltare un carro armato e a snidare alcune postazioni di mitragliatrici (16).
All'imbrunire del 23 aprile finalmente le truppe americane varcavano il Panaro e anche Finale Emilia poteva cominciare a vivere le sue prime ore di libertà.
[NOTE]
(11) Abbiamo tenuto ovviamente presente - per l'implicita autorevolezza che deriva dalla sua ufficialità - questa relazione del Comando Piazza di Mirandola: essa ci appare tuttavia assai lacunosa, approssimativa e in certi punti addirittura scarsamente attendibile: ad esempio, non si riesce da essa a capire se lo «scadere della mezzanotte» si riferisca alla notte fra il 21 e il 22 aprile, come altre fonti sostengono, oppure alla notte fra il 22 e il 23 aprile come parrebbe di dover dedurre a prima lettura del testo; e ancor più problematica diventa l'attendibilità del documento allorchè si afferma addirittura che il battaglione «Pecorari» procedette all'occupazione di Mirandola «sotto la guida della nota (sic!) missione inglese»: è infatti ben accertato e documentato da centinaia di testimonianze che i rapporti fra le forze partigiane e le missioni alleate furono sì di collaborazione assai stretta, anche se talvolta increspata da reciproche «diffidenze» politiche, ma non certo di subordinazione o di rinuncia alla loro autonomia da parte delle formazioni patriottiche che invece seguirono sempre la corretta linea gerarchica di dipendenza dai comandi militari della Resistenza.
(12) Riproduciamo qui intanto il testo della relazione (conservata con numero di protocollo 369 presso l'Archivio I.S.R.M. deposito Borsari, cart. C/2), al quale ci pare comunque necessario far seguire una nota critica circa la sua attendibilità. «Il 22 aprile 1945 al Comando Piazza alle ore 13,45 Cocchi Giuseppe, capo della squadra del Partito d'Azione si assunse l'incarico di raccogliere quanti più uomini possibili per prendere alle ore 18 possesso della caserma GNR perchè, secondo i patti di resa, a quell'ora i militi avrebbero dovuto consegnare le armi e allontanarsi in borghese. Alle 14 Cocchi e Pozzetti Bruno in perlustrazione davanti alla caserma suddetta, constatando che solo pochi militi erano ancora presenti, decisero di prenderne immediatamente possesso e invitarono la popolazione ad armarsi con le armi ex repubblichine. Venne sull'istante costituito un nucleo di armati che man mano ingrossò le file al numero di una quarantina. La caserma venne tenuta pur sotto le minacce di un cannoncino e di due autoblinde tedesche. Senonchè per ragioni di sicurezza viene dato ordine a Castellini di trasferirsi con parte di armi ed armati in un cortile del centro cittadino. Alle ore 18,30 Mirandola si può dire praticamente nelle mani della popolazione insorta sotto la guida del Partito d'Azione. Alle 22,30 il Comando Piazza prese il comando diretto del gruppo che venne organizzato in tre squadre e una pattuglia di collegamento. Capo pattuglia fu uno del Partito d'Azione, Castellini, che guidò il gruppo fino all'indomani, giorno dell'arrivo delle truppe alleate». Anche per spiegare le ragioni dei nostri interrogativi sull'attendibilità del documento, vogliamo soffermarci solo su due evidentissime inesattezze: in primo luogo si parla di una «squadra del Partito d'Azione» comandata da Giuseppe Cocchi, mentre è del tutto accertato che tranne che nei primissimi tempi della lotta di liberazione nella Bassa modenese non esistevano affatto formazioni «di partito» (nè del P.d'A, nè del P.C.I., nè di alcun altro partito antifascista) ma tutte le forze partigiane erano organizzate in una formazione unitaria: nella fattispecie, le forze militari della Resistenza operanti nella Bassa erano tutte inquadrate nella Brigata «Remo». In secondo luogo, il documento afferma testualmente: «Mirandola si può dire praticamente è nelle mani della popolazione insorta sotto la guida del Partito d'Azione»! A parte il fatto che - per motivi richiamati altrove - il nucleo mirandolese del P.d'A. aveva perduto la più gran parte della sua consistenza già nella primavera-estate del 1944, vien da chiedersi: dove erano allora e cosa facevano in quelle ore cruciali il C.L.N., il Comando di Piazza, il Comando del battaglione «Pecorari», e infine il Comando della Brigata?
(13) Dobbiamo a questo punto «fare i conti» e ancora una volta criticamente con un documento già altrove ricordato, una relazione sull'attività svolta dal distaccamento del battaglione «Omero» dislocato a Finale Emilia, stesa il 21 maggio dal capitano Gaetano Salvi che firma come «comandante del distaccamento». Il documento è nell'Archivio I.S.R.M., deposito Borsari, cartella C/5). Questo scritto rappresenta in qualche modo una testimonianza da cui non si può prescindere, stante la grave povertà di altre fonti dirette, e tuttavia non può essere preso in considerazione se non con grande cautela tenendo conto della qua e là trasparente e al limite persino ingenua finalità di autoincensamento da parte dell'autore, inteso sì a ricostruire i fatti ma soprattutto ad esaltare oltre misura il ruolo ch'egli effettivamente svolse in quelle vicende. Ad assumere questa posizione in parte dubitativa ci induce anche il rapporto fra le cose scritte dal Salvi e le testimonianze orali che si son potute raccogliere nell'autunno del 1973 da uomini - quali Albino Superbi «Allegro» (commissario del distaccamento) e Luigi Battaglioli - che furono indubitabilmente reali protagonisti della Resistenza nel centro di Finale fin dal settembre '43.
(14) «Relazione del movimento partigiano di Finale Emilia». (Archivio I.S.R.M., deposito Borsari, cartella C/5).
(15) Secondo la relazione Salvi citata, fu lo stesso Salvi a stabilire questo collegamento: «Alle ore 14 dello stesso giorno, il Comandante dei Partigiani Cap. Salvi, sotto il fuoco rabbioso degli ultimi centri tedeschi riuscì a mettersi in contatto con gli Americani»; i già ricordati Albino Superbi e Luigi Battaglioli hanno da parte loro dichiarato di essere riusciti essi stessi a raggiungere le truppe alleate avanzate e ad informare queste del fatto che il centro di Finale era ormai stato evacuato dal nemico, ciò che risparmiò una prevedibile azione distruggitrice da parte degli alleati.
(16) Si veda la citata «relazione Salvi». Fu nel corso di queste operazioni che cadde il partigiano Edoardo Banzi e furono feriti i partigiani Ermes Caselli (al quale dovette esser amputata una gamba) e Ferruccio Pignatti.
F. Canova - O. Gelmini - A.Mattioli, Lotta di liberazione nella Bassa Modenese, a cura dell'A.N.P.I di Modena, 1974