domenica 9 marzo 2025

Anche la destra “impolitica” aveva creduto di poter godere dell’indiscriminato appoggio degli Usa


Dopo il mancato raggiungimento del premio di maggioranza nel 1953 - che naturalmente avrebbe evitato problemi di allargamento della base democratica - il risentimento degli Stati Uniti nei confronti della Dc aumentò esponenzialmente. Troppo soft nella lotta al comunismo, troppo succube della Chiesa cattolica e poco saldo nel difendere il libero mercato dalle tentazioni stataliste, il partito di De Gasperi e Fanfani era ormai lontano dai successi del ’48. I contatti dell’ambasciata con la destra vanno letti nel quadro della generale delusione provocata dalla Dc.
Al centro dei colloqui con Covelli e Lauro c’era la possibilità di costruire una destra democratica, occidentale ed europeista. Il voto di fiducia e il sostegno a provvedimenti decisivi come la Ced ne avrebbero accelerato l’evoluzione. Come si è visto, l’ambasciatrice Clare Boothe Luce tentò a più riprese di favorire i consensi del Pnm per i traballanti governi centristi o di favorire, con la dovuta cautela, la nascita di un nuovo partito alla destra della Dc. Tuttavia, un’apertura alla destra monarchica così com’era - nostalgica, antimoderna e visceralmente ostile al quadripartito - non interessava <11.
La mancata evoluzione in senso democratico ed europeista del Pnm, timoroso di perdere il proprio elettorato nostalgico, indispettì i funzionari dell’ambasciata. I monarchici, inoltre, erano irritati per la scarsa attenzione ricevuta dagli Usa, sia dal punto di vista finanziario che propagandistico. Secondo Lauro e Covelli, gli Stati Uniti avrebbero dovuto essere entusiasti di sostenere e sponsorizzare un partito connotato da un acceso anticomunismo.
Dopo la scissione del 1954, com’è noto, il potere contrattuale delle due formazioni diminuì. E l’approccio degli Usa si fece più pragmatico. Esaurite le speranze di una destra di ampio respiro - sia territoriale che ideale - monarchici (e missini) tornavano utili solo per intercettare voti estremisti. Dovevano rimanere, quindi, confinati al Sud e rimarcare la propria nostalgia della Corona e del passato regime. Analizzando la copiosa documentazione prodotta dall’ambasciata, si può dire che i contatti coi monarchici fossero volti a cercare una maggiore stabilità e non, semplicemente, a riacutizzare lo scontro <12.
Insomma, né l’idea di destra monarchica che aveva l’ambasciata, né l’idea di America che avevano i monarchici corrispondevano alla realtà. Entrambe le prospettive non avevano tenuto conto di tutti i fattori e impedivano, in fondo, di comprendere chi c’era dall’altra parte.
Tutto ciò non fece che acuire la frustrazione degli Usa e l’attesa di forze nuove in campo. Su questo un possibile terreno d’intesa sembrò concretizzarsi con la destra “carsica”, lontana dalle logiche di Palazzo e dalle lotte tra partiti. La comunanza di vedute tra l’ambasciatrice e Montanelli, per esempio, è impressionante. In particolare, tra il 1953 e il 1954, traspariva l’insofferenza per la Dc e i suoi alleati, così come l’avanzata delle sinistre suscitava viva preoccupazione. Ma era l’intero arco dei partiti erede del Cln a destare perplessità.
Più complesso era trovare una soluzione condivisa che non fosse una generica attesa di “forze sane”. La predisposizione di una destra culturale, di alcuni imprenditori e di settori della burocrazia a sacrificare la democrazia in nome dell’anticomunismo non nascose una fedeltà atlantica ben superiore alla lealtà costituzionale.
Proposte del genere, mai sostenute dal governo italiano, non incontrarono i favori degli Stati Uniti. D’altra parte, lo stesso Montanelli riconosceva che le «pregiudiziali democratiche» americane erano troppo forti <13. In più occasioni, Clare Boothe Luce aveva affermato che si trattava di un problema interno e che gli Usa avevano fatto già molto. Del resto, gli industriali italiani non godevano di buona fama presso l’ambasciata. A parte gli amici personali, Cini su tutti, la classe imprenditoriale venne più volte accusata di riproporre la mentalità del ventennio e di ostacolare il cammino della libera impresa. Emblematico è il fatto che a muoversi fossero solo imprenditori con un background fascista, nonostante l’insistenza americana verso tutta la categoria.
Dunque, anche la destra “impolitica” - in questo simile a monarchici e missini - aveva creduto di poter godere dell’indiscriminato appoggio degli Usa. Da qui una serie di fraintendimenti e delusioni, derivanti dalle proposte irricevibili formulate dagli italiani e dalla convinzione che l’anticomunismo fosse il criterio e non un criterio con cui gli americani si rapportavano al nostro Paese.
Naturalmente, tale convinzione era assai radicata anche a sinistra. L’idea prevalente era che ogni anticomunismo fosse destinato «alla fine a rivelarsi funzionale al fascismo, a diventare fascismo» <14. In quest’ottica, l’operato degli Stati Uniti non poteva che essere interpretato come una dannosa ingerenza. Tanto che nell’Inchiesta sull’anticomunismo del ’54 gli americani venivano perfino incolpati dell’attentato a Togliatti: «neanche l’hitlerismo era arrivato a una forma così diretta e clamorosa di intervento nella vita di altri Stati e di incitamento al delitto». E ancora: "Ciò che gli imperialisti americani soprattutto hanno assimilato e fatto proprio, completamente e senza residui, è il metodo hitleriano di fondare apertamente sull’anticomunismo tutta una politica estera, la quale tende ad assoggettare al loro dominio tutti i popoli e dare agli Stati Uniti la direzione suprema degli affari e delle ricchezze dell’universo intiero" <15.
La realtà era ben diversa. Tenendo conto dei vari limiti interpretativi richiamati, il lascito dell’azione statunitense - in termini di richieste, pressioni e rifiuti - nei confronti della destra è positivo. Se ne può concludere che la presenza degli Stati Uniti ha influito, peraltro molto meno di quanto comunemente creduto, sia sul nostro antifascismo che sul nostro anticomunismo.
I tentativi di stemperare i caratteri più ideologici dell’antifascismo - ossia l’anticapitalismo e la percezione di una perenne minaccia fascista - si sono declinati da un lato nella proposta di una destra europeista e democratica e, dall’altro, nell’accento sulla libera impresa. Piuttosto scarse sono state le risposte dei partiti politici e della società di fronte a queste sollecitazioni <16.
Per quel che riguarda l’anticomunismo del blocco centrista, «non produsse mai l’attenuarsi o il venir meno nel partito cattolico e nei suoi alleati di una larga, effettiva, pregiudiziale antifascista» <17.
Va ricordato che gli Usa non premettero mai per la legittimazione della destra nostalgica. Grazie alla fermezza di Washington, chi aveva cercato di percorrere strade alternative non ha trovato una sponda all’ambasciata. Sicché l’anticomunismo italiano, puntellato ma non estremizzato da quello americano, ha scoraggiato improbabili soluzioni autoritarie che avrebbero minato i fondamenti della nostra giovane democrazia. Anzi, ne ha preservato l’essenza stessa lottando, oltre che col comunismo, con la discutibile equivalenza tra democrazia e antifascismo.
[NOTE]
11 È opinione anche di una personalità certo non vicina alle posizioni dell’ambasciata come Colby, si veda W. Colby, La mia vita nella Cia, Mursia, Milano, 1996, p. 86.
12 Su questo punto adottiamo una chiave interpretativa diversa da quella proposta da Nuti, secondo cui l’approccio dell’ambasciata - e in particolare della Luce - non era volto ad allargare la maggioranza, ma a mantenere l’avversario
sotto pressione, si veda L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 18.
13 Così Montanelli descriveva l’atteggiamento degli Usa il 20 maggio 1954, si vedano S. Gerbi, R. Liucci, Lo stregone. La prima vita di Indro Montanelli, Einaudi, Torino, 2006, p. 300; S. Lupo, Partito e antipartito, cit., p. 110.
14 Il riferimento principale è L. Lombardo Radice, Fascismo e anticomunismo. Appunti e ricordi 1935-1945, Einaudi, Torino, 1947. Si veda E. Galli della Loggia, La perpetuazione del fascismo e della sua minaccia, cit., p. 233.
15 Inchiesta sull’anticomunismo, «Rinascita», a. XI, n. 8-9, agosto-settembre 1954, p. 524. Il paragrafo è significativamente intitolato "L’anticomunismo americano continua e perfeziona Mussolini e Hitler".
16 Sulla diffusione del modello americano in Italia resta insuperata l’analisi di P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico (1945-1996), Il Mulino, Bologna, 1997, pp. 319-322. Per approfondimenti si veda D. Ellwood, A. Lyttelton (a cura di), L’America arriva in Italia, «Quaderni storici», a. XX, n. 58, aprile 1985.
17 E. Galli della Loggia, La perpetuazione del fascismo e della sua minaccia, cit., p. 242.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010