sabato 10 luglio 2021

Carlo Levi e La Nazione del Popolo

L’11 agosto 1944 esce anche il primo numero de «La Nazione del popolo», organo del CTLN, che diventa uno dei simboli di quella giornata. Le forze antifasciste, infatti, sono ben consapevoli di quanto sia importante e necessario stampare e diffondere un giornale che sia la voce della città liberata, l’espressione dei valori democratici su cui fondare il processo di ricostruzione.
Non più organo a servizio di un partito, ma voce comune dei cinque partiti democratici uniti nel Fronte nazionale della Liberazione; non più strumento a difesa degli interessi privati, ma voce effettiva del popolo; esempio di come, nell’Italia di domani, possa esistere una leale collaborazione fra partiti diversi, esempio di maturità politica che fa onore a Firenze e alla sua tradizione di civiltà <1.
[...] Quotidiani e periodici sono un peculiare punto di osservazione per conoscere gli eventi contemporanei, interpreti e guide di realtà complesse in mutamento.
Allo stesso tempo, per i partiti sono uno degli strumenti principali con cui rapportarsi con la popolazione, non solo per cercare di indirizzarla secondo i propri interessi, ma anche per compiere i primi passi di una rieducazione alla democrazia.
Queste due tendenze si intrecciano in un processo dialettico complesso e dagli esiti incerti, tra la volontà di costruire un sistema di regole riconosciute e una strategia funzionale alla promozione del singolo partito. Del resto la stessa pluralità di voci che animano il dibattito politico mostra l’emergere di divisioni crescenti, ma è al tempo stesso una manifestazione del processo democratico in cui tale pluralità è sintomo di ricchezza <4.
La Toscana mostra in quegli anni un tessuto favorevole alla costruzione di una nuova identità che trova espressione nell’opera del CTLN, dei partiti politici, e nella diffusione di una variegata produzione di quotidiani e periodici che rispecchia la peculiarità e la forza che la Resistenza aveva avuto in questa regione. Infatti, dall’agosto del 1944 gli Alleati, che assumono il controllo dei territori liberati, autorizzano la pubblicazione di un solo giornale per provincia, a cura del CLN o apartitico, proprio in virtù del ruolo attivo e significativamente determinante giocato dal CTLN nella guerra e della sua volontà di governo delle amministrazioni locali. Questa decisione permette l’immediata ripresa di una libera stampa espressione delle forze democratiche. Per Ian S. Munro, capo dell’ufficio stampa del Psychological Warfare Branch Italy, organismo addetto alla propaganda e al riordinamento dei giornali nei paesi liberati, uno dei massimi responsabili dell’attuazione del Press Plan for Italy, piano strategico elaborato dagli Alleati per riorganizzare la stampa italiana, si trattava di un […] esperimento unico nella storia del giornalismo e forse unico nella storia della guerra, cioè la fondazione della libera espressione della parola stampata in mezzo a un popolo ex nemico, che non aveva esercitato questo privilegio per due generazioni, e lo sviluppo di una stampa libera in un paese che [era] ancora teatro di operazioni di guerra <5.
All’interno del contesto regionale la stampa fiorentina ha una specifica rilevanza, non solo per l’alto numero di testate che contribuiscono ad animare la vivacità culturale e politica della vita cittadina, ma soprattutto per l’esperienza della «Nazione del popolo», espressione della collaborazione fra i partiti che componevano il CTLN (DC, PCI, PSIUP, Pd’A, PLI), esempio di altissima elaborazione politica, economica, culturale, e per la peculiare vicenda del secondo quotidiano stampato in città subito dopo la liberazione. A cura del PWB esce, fin dall’8 agosto 1944, il «Corriere alleato» che dal 23 dello stesso mese prende il nome di «Il Corriere di Firenze».
[...] Allo stesso tempo, consapevoli dell’importanza del momento, tutti i partiti individuano nei giornali uno strumento essenziale per accrescere consensi e diffondere identità e programmi in vista delle prove elettorali. Per questo le diverse forze politiche, a seguito delle autorizzazioni dell’Autorità militare alleata, accanto ai supplementi della «Nazione del popolo» a cura dei singoli partiti pubblicati a partire dal gennaio del 1945, iniziano a stampare anche dei periodici che, anche se spesso di breve durata, sono «comunque interessanti per ricostruire posizioni e tendenze emergenti nella società toscana, il processo di formazione, cultura e indirizzi della nuova classe dirigente» <8.
[...] Con la primavera del 1946, l’esito delle prime tornate elettorali, l’accentuazione dello scontro politico e la sua polarizzazione tra le forze socialiste-comuniste e la DC si riflettono sul panorama della stampa fiorentina dell’immediato dopoguerra. L’unità d’intenti e le esperienze condivise lasciano il posto alla competizione e alla contrapposizione delle opposte identità. Dopo le elezioni del 2 giugno e lo scioglimento del CTLN il 3 luglio successivo, viene meno anche l’esperienza de «La Nazione del popolo» quale «organo del Comitato Toscano di Liberazione nazionale», così come recitava, fino a quel giorno, il sottotitolo del quotidiano. La proprietà dell’ex giornale del CTLN passa alla DC che dal 5 febbraio del 1947 ne mutuerà la testata in «Il Mattino dell’Italia centrale», mentre PCI, PSIUP e Pd’A prendono quella del «Nuovo corriere», dopo le elezioni comunali del 10 novembre 1946 <9.
[note]
1 La Nazione del Popolo, «La Nazione del popolo», 11 agosto 1944.
4 Tra le varie storie dell’Italia postbellica che affrontano i nodi del passaggio dalla dittatura alla democrazia, cfr. G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, X e XI, Milano, Feltrinelli, 1990; S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 1994; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e politica (1943-1988), Torino, Einaudi, 1989; S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. L’economia, la politica, la cultura, la società dal dopoguerra agli anni ’90, Venezia, Marsilio, 1996; P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia italiana, Bologna, Il Mulino, 1997. In particolare, per un inquadramento sintetico del periodo compreso fra la fine della guerra e l’avvento della repubblica, cfr. R. Chiarini, Le origini dell’Italia repubblicana, in G. Sabbatucci, V. Vidotto (a cura di), Storia d’Italia. La Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 1997; sulla stampa, cfr. P. Murialdi, Dalla Liberazione al centrosinistra, in G. De Luna et al., La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Roma-Bari, Laterza, 1980.
5 P. Murialdi, Dalla Liberazione cit., p. 185.
8 P.L. Ballini, Il ritorno alla stampa libera cit., pp. 19-20.
9 Ivi, pp. 27-32.
Matteo Mazzoni, Raggi di luce di un’alba nuova. La formazione alla democrazia sui giornali fiorentini del biennio 1944-1946, Annali di Storia di Firenze. II, 2007, Firenze University Press

Nella Firenze liberata le tensioni si percepiscono di continuo, e anche il già ricordato commento di Levi al discorso di Churchill può essere letto in quest’ottica. Agli strascichi della guerra e all’occupazione, si aggiungevano anche i timori che la politica inglese potesse sostenere la monarchia italiana. Da questo punto di vista, i rapporti con gli americani erano più facili.
A volte i contrasti tra gli italiani e le forze d’occupazione anglo-americane sono tenuti sotto controllo attraverso rapporti di scherzo. In questo modo Bilenchi gestisce i casi difficili nell’ufficio della censura alleata. Così la popolazione fiorentina fa i conti con un occupante che ora è anche alleato, ma alla fine della guerra deciderà per conto proprio le condizioni della pace. Il 10 ottobre 1944, riapre lo stadio comunale per “un incontro calcistico di rara importanza: l’incontro fra la squadra della «Fiorentina» e la rappresentativa delle forze armate inglesi”. La partita è poco interessante. “I soldati inglesi apparivano lenti e quasi impediti dall’esercizio militare prolungato. I giocatori locali hanno avuto modo di fare dell’accademia, vincendo largamente per sette reti a una”. Biagiotti segna tre gol, Pucci due, Morisco e Valcareggi uno. “Lowe ha marcato il punto per gli alleati verso lo scadere della partita”. Le autorità alleate hanno un informatore che prende nota delle urla degli spettatori. Sul sei a zero, molti hanno gridato: “Lasciategli fare qualche gol, magari se ne ricordano al momento di firmare il trattato di pace” <19.
La redazione della “NdP” si costruisce via via sul campo. Per realizzare il giornale era necessario disporre di uomini e donne esperti: si comincia a cercare tra i redattori della vecchia “Nazione”. Per selezionarli, si prendono informazioni politiche. Levi aveva a disposizione un dossier di stile poliziesco su una trentina di persone <20. Nella riunione dell’Esecutivo del PdA del 24 settembre, “Codignola riferisce alcune proteste elevate da 2 o 3 vecchi giornalisti contro l’Associazione della Stampa, recentemente ricostituitasi in Firenze. Si decide di incaricare Levi di chiarire la cosa” <21.
Non è possibile sapere quanto pesò il giudizio di Levi nel formare il primo gruppo di redattori, ma di certo la sua personalità, i suoi gusti, le sue scelte e le sue conoscenze influirono molto sulla conduzione del giornale nei mesi seguenti. Nel 1949, Carlo Cassola scrive a Levi: «non dimenticherò mai che fosti tu a infilarmi a “La Nazione del Popolo” in un momento per me disperato dal punto di vista finanziario. Tu risolvesti per me il problema del dopoguerra». <22
Levi ha la possibilità di discutere in anteprima i pezzi di importanti collaboratori. In Storia e cronistoria del Canzoniere, Saba ricorda che Teatro degli Artigianelli uscì per la prima volta sulla “NdP”, e «passò per essere una poesia volutamente comunista. Lo è per l’“ambiente” e per il verso iniziale: Falce e martello e la stella d’Italia». Saba ricorda che, quando gli lesse per la prima volta quei versi, Levi lo avvisò di un errore: “La stella a cinque punte dipinta accanto alla falce e al martello non era, allora, la stella d’Italia, ma quella dei Sovieti, che è pure a cinque punte. Saba rimase male”. Il poeta, infatti, era commosso dal fatto che il PCI avesse riconosciuto “il concetto di patria” e la sua “insopprimibile realtà nel cuore dell’uomo”. “Quando poi il P.C.I. inserì nel suo emblema la stella d’Italia, il verso di Saba risultò, a posteriori, esatto; ebbe cioè tutto il significato che gli aveva dato il poeta quando lo scrisse” <23.
Molto lavoro si svolge fuori dalla sede del giornale. Arturo Loria contribuisce con un articolo nel novembre 1944. È molto che non scrive, nel suo diario ricorda le difficoltà e l’ansia che gli provoca il nuovo lavoro. Finalmente arriva a una stesura che lo soddisfa abbastanza. Il 24 novembre: «Cerco C. Levi alla “Nazione”. Non c’è. Mi dicono di cercarlo al Comitato di Liberazione. C’è, ma si trova in seduta. Alla fine l’agguanto e gli leggo l’articolo che trova buono. Non mi chiede né tagli, né sacrifici di altro genere. Meno male». Loria trova il suo articolo In tema di ferocia pubblicato nel numero del giorno dopo: “Bene! La cosa mi fa piacere, ma che birbone Carlo Levi con la sua promessa delle bozze per lunedì prossimo!” <24.
Sin dal novembre 1944, Levi discute l’organizzazione di una corrispondenza da Roma con l’amico Alberto Carocci, che in quel periodo si trovava nella capitale. Nei primi mesi del 1945 l’incarico è affidato a Paolo Vittorelli, che già lavorava per il quotidiano azionista “L’Italia Libera”. Levi e Vittorelli si conoscevano dai tempi di Parigi, quando, alla fine degli anni Trenta, entrambi lavoravano nel gruppo di “Giustizia e Libertà” <25. Nel marzo 1945, Bilenchi si lamenta con Levi: Vittorelli “non funziona”: manda solo notizie vecchie <26. Nemmeno Vittorelli è troppo contento di come procede la collaborazione e se ne lamenta con l’esecutivo del PdA, che a sua volta trasmette a Levi: “Vittorelli è molto inquieto verso la Nazione del Popolo”, primo perché non ha nessuna autonomia, e così deve limitarsi a trasmettere notizie di cronaca, e poi perché non ha ancora visto una lira. “Egli dice di aver già presentato le dimissioni dalla  qualifica di corrispondente e mi ha pregato di parlarti di tutto questo. Vedi tu di prendere accordi diretti con lui” <27.
Il 2 novembre 1944 Enzo Enriques Agnoletti, spesso costretto a casa da seri problemi di salute, scrive a Levi proponendo la pubblicazione di un articolo tratto dal primo numero della “Nouvelle Revue Française”, sui “problemi di convivenza umana” nell’immediato dopoguerra: “ho creduto opportuno che ci si accorgesse come fra gli alleati di oggi e, speriamo, di domani, c’è anche la Francia”. Poi, un commento all’articolo del liberale Vittorio Santoli preannuncia i pessimi sviluppi che avranno i rapporti tra i liberali e gli altri partiti del CTLN. Infine, Agnoletti invita Levi a passare da lui: “parlerei volentieri con te di quello che potrei fare per «La Nazione»” <28.
Nell’ottobre 1944 Bruno Fallaci discute direttamente con Levi quando è bloccato a casa per un incidente: “Mi ha investito un camion inglese che sboccava a velocità pazzesca in Piazza Beccaria”. Fallaci fa “un volo a colombella”: “sono vivo per miracolo. In mia vece è morta la cara bicicletta” <29.
Fallaci è il primo caporedattore de “La Nazione del Popolo”. Lo introducono nelle riunioni della redazione ancora clandestina i giornalisti Romano Bilenchi e Raffaello Palandri, già colleghi alla vecchia “Nazione”. Fallaci aveva lavorato anche al “Corriere della Sera”. Branca lo ricorda “piccolo, biondo, mobilissimo ed elegantissimo”, mentre insegnava il mestiere agli inesperti neodirettori: "sperimentavamo con lui, su foglioni di cartaccia e con virtuosismi di lapis rossi e blu, possibili impostazioni di numeri del nuovo quotidiano; studiavamo da apprendisti, sulla base delle attrezzature della «Nazione», i caratteri disponibili, i rapporti e gli equilibri delle colonne, i tempi delle rotative, i modi di diffusione" <30.
Alla prima apparizione di Fallaci, Bruno Sanguinetti si mostra diffidente, e lo sottopone a un vero e proprio interrogatorio: “tutto perché non era arrivata la conferma definitiva delle sue qualità di clandestino” <31. Equivoci – subito chiariti – a parte, è probabile che i due si fossero presi in antipatia permanente.
Nella riunione dell’11 novembre 1944 la direzione de “La Nazione del Popolo” ratifica l’aumento dell’indennità “caro vita” richiesto dai giornalisti e dal personale amministrativo, quindi la nomina di Romano Bilenchi a caporedattore; la redazione aveva già espresso questa preferenza il 30 ottobre, in una nota firmata da Giuseppe Cartoni, Gastone Panteri, Roberto Gamucci, Carlo Vanni, Marina Cecchi Befani, Ivo Domenichini, Renato Rodelli, Raffaello Palandri, Ferdinando Chirici, Renzo Cantoni <32. La redazione è completata da Francesco Rossi e Manlio Cancogni, assunti con la qualifica di “apprendisti” <33.
Il verbale riporta: “In assenza di Fallaci le funzioni di redattore capo saranno assolte da Romano Bilenchi” <34. In realtà, sin dal 20 ottobre Fallaci aveva comunicato ai membri della Commissione Stampa che non avrebbe continuato il suo lavoro alla “Nazione del Popolo” <35. Due giorni prima aveva anticipato la sua decisione a Levi, scrivendo poco dopo la fine di una riunione burrascosa:
"in questi mesi ho avuto un’unica fortuna: quella di incontrarti. Mentre lascio volontariamente il giornale sento vivo il dispiacere di distaccarmi da te. Non mi rimane che augurarmi di ritrovarti – nell’alta Italia, spero – in un clima di lavoro che possa ancor più far conoscere la tua grande e serena intelligenza" <36.
Fallaci si era scontrato con Sanguinetti sul modo di gestire la vendita di spazi pubblicitari sul giornale. Sanguinetti aveva trovato poco chiara la posizione di Fallaci, tanto da alludere a suoi accordi privati. Sempre secondo Sanguinetti, Fallaci aveva reagito con il suo “metodo polemico”, “che consiste nell’alzare la voce, nell’affermare cose sostanzialmente inesatte”, “metodo polemico che poi ha culminato con violenze verbali ed ingiurie nei miei riguardi, violenze ed ingiurie che naturalmente non sono disposto a tollerare” <37. Sanguinetti lascia definitivamente la commissione stampa e il giornale, malgrado il parere contrario del suo partito <38. Fallaci continua a collaborare in modo indiretto, perché rimane legato ai servizi stampa del PdA. Entrambi mantennero buoni rapporti con Levi.
Dopo aver annunciato che Bilenchi sostituirà Fallaci, Vittore Branca avvisa che è stato “assunto in prova”, come cronista, il dott. Zoli, figlio dell’avvocato Adone Zoli, importante esponente della Democrazia cristiana. Quindi precisa che le riunioni di direzione e redazione “verranno tenute con regolarità una volta per settimana”.
Poi si passa ai temi da sviluppare in prima pagina nei mesi a venire. Branca dovrà occuparsi della campagna per l’autonomia regionale; Santoli del problema dei prigionieri; Cartoni, Bilenchi e Palandri di corrispondenze dalla regione; ancora Bilenchi e Carlo Levi scriveranno sulle prossime elezioni amministrative e sulle commissioni di fabbrica. Il 3 gennaio 1945 esce in prima pagina l’articolo non firmato Le elezioni amministrative. Stile e contenuto lo fanno attribuire senz’altro a Carlo Levi. Il 16 dello stesso mese il pezzo è ripreso dall’“L’Italia Libera” di Roma.
Si discutono le altre pagine e rubriche del giornale. Si rimanda la decisione su quella cinematografica: “L’argomento è sospeso fino al ritorno da Roma di Levi che voleva occuparsene direttamente”. La firma di Levi non comparirà mai in calce alle recensioni e alle segnalazioni di questi mesi, ed è probabile che gli impegni e i continui spostamenti gli abbiano impedito di farsi carico della rubrica. A fine ottobre aveva scritto un lungo pezzo – molto favorevole – sul Grande dittatore di Chaplin <39. La passione di Levi per Chaplin risaliva agli anni Trenta: ne aveva parlato sul primo numero di “Cultura”, la rivista pubblicata da Einaudi <40. Il quotidiano controllato dagli Alleati, che in quei giorni usciva con la testata “Corriere di Firenze”, aveva dedicato un’intera pagina nel numero del 23-24 ottobre 1944: Un film politico lungamente atteso. “IL GRANDE DITTATORE”. La pubblicità sulla “Nazione del Popolo” annunciava la “grande prima” il 27 ottobre 1944, in contemporanea nei cinema Edison e Gambrinus; il primo spettacolo è alle 9, l’ultimo alle 18,40 <41. In città c’è ancora il coprifuoco. Il film rimarrà in cartellone al Gambrinus fino al 17 novembre e all’Edison fino al 29.
Il PWB si compiace della diffusione del Dittatore. Un rapporto dell’ottobre 1944 da Lucca riferisce che le due sale cittadine proiettano film inglesi e americani, sono sempre affollate, e il pubblico assiste con entusiasmo al film di Chaplin <42.
Tra gli spettatori fiorentini c’è Montale. La sua impressione è diversa da quella di Levi, come ricorda in un suo breve commento a qualche anno di distanza:
"Quando quella geniale parodia poté comparire in Italia, alla nostra ammirazione si mescolò un senso di delusione profonda, non senza una certa ingiustizia verso i meriti innegabili del film. Giunta a noi troppo in ritardo, quella farsa sfiorava un po’ grossolanamente fatti e sentimenti che per gli italiani e i tedeschi avevano cessato di essere semplicemente grotteschi […] a commentare l’altezza della tragedia erano ormai inadeguati i lazzi di Charlot […]" <43.
Poche settimane dopo la Liberazione del Nord, Levi riscontra la delusione di cui parla Montale a Milano, e la registra con rammarico: il film, “questa singolare e alta opera d’arte, qui a Milano è stato male accolto, e criticato perché, si dice, dopo Buchenwald e piazzale Loreto esso sembra inopportuno”. Queste ulteriori considerazioni sul Dittatore si intrecciano al commento sull’esecuzione di Mussolini e dei suoi, e sull’esposizione dei cadaveri a piazzale Loreto: “una rivoluzione del costume è avvenuta, un taglio netto separa l’oggi dal passato. Il sangue dei capi fascisti, il distributore di benzina di Piazzale Loreto è stato un simbolo benefico e non dimenticato di questa frattura” <44. Su questo Levi si era già espresso in un articolo pubblicato dalla “NdP” il 30 aprile 1945. L’esecuzione di Mussolini non era né “una vendetta, né l’applicazione farisaica di un diritto”, bensì “la prima prova completa della capacità di autogoverno del popolo italiano” <45.
2. Giovani, uomini e donne: rapporti tra i sessi e le generazioni
Le dimensioni del giornale, i rapporti personali, il particolare clima di quei mesi portano Levi a occuparsi di svariate faccende, dalla stesura dell’articolo di fondo alle proteste dei lettori. Alcune di queste fanno parte dell’ordinaria amministrazione; per esempio, tra novembre e dicembre 1944, Luigi Dallapiccola scrive quattro lettere a Levi chiedendo la rettifica delle dichiarazioni che gli sono state attribuite da un giornalista della “NdP” in una cronaca musicale del 27 novembre 1944 <46. Altre polemiche, invece, svelano le tensioni che percorrono la città mentre riprende la vita normale. Per esempio, il 2 ottobre 1944, un lungo articolo di Romano Bilenchi riconosce il ruolo delle donne fiorentine nella lotta di Resistenza, passando dalla celebrazione – a volte imprecisa – alle questioni di attualità politica, ossia il nuovo ruolo della donna nella vita politica e pubblica dell’Italia democratica.
"Ovunque le donne sono state presenti nella lotta, si sono infiltrate fra le S.S. per spiarne le mosse, hanno aiutato i perseguitati, hanno ristabilito i collegamenti, hanno in più casi anche sparato contro i franchi tiratori e i soldati nazisti, compiuto atti di sabotaggio. Così coi sacrifici più duri e a prezzo della propria vita si sono conquistate posizioni e diritti che nessuno potrà negar loro. […] Intanto le nostre donne […] si apprestano anche a Firenze, come in tutte le città dell’Italia libera, a prendere iniziativa a favore del popolo contribuendo a creare cooperative, asili infantili, enti culturali, trasferendo la loro attività e le loro esperienze dal piano della lotta a quello della ricostruzione democratica della nostra regione" <47.
Ma i toni oscillano, anche tra i democratici del CLN si ritrovano il paternalismo e la volontà di controllo maschile sui costumi femminili. Sulla prima pagina del 3 novembre il corsivo non firmato Della dignità propone il solito repertorio di allusioni: condotta frivola, scarsa moralità, collaborazionismo prima, opportunismo poi.
Gli stessi volti femminili che vedevamo nelle vie della città sorridere ai duri volti di quei soldati che gli ordini imperiosi del governo mussoliniano, diventato il maggiordomo burbanzoso di Hitler, imponevano di considerare alleati (e di quella alleanza, di quella amicizia ancora scotta il ricordo, e forse in eterno scotterà); gli stessi volti, dicevamo, vediamo ammiccare tra il furbesco e il malizioso ai soldati alleati.
L’anonimo autore respinge il sospetto: “non si vuol posare a moralisti”. Intende solo rivolgersi paternamente “a tante ragazze che magari credono «chic» assumere atteggiamenti di una emancipazione che non è nella loro indole, a qualche mamma che chiude un occhio dinanzi a improvvise, e, per un certo verso, fruttuose amicizie”: attenzione alle “delusioni dolorosissime” che sono dietro l’angolo <48.
Un paio di lettere ricevute da Levi aiutano a capire l’intreccio tra le varie questioni. “Si sa bene che il ballo non è un divertimento che possa ricreare lo spirito, né una fonte di educazione come possono essere il teatro, i concerti e qualche volta il cinematografo”: nell’ottobre 1944, una lettrice chiedeva alla “NdP” una campagna, “una specie di crociata”, contro la riapertura delle sale da ballo nelle case del popolo e presso le sezioni di partito. In questa situazione, non è giusto che l’Italia libera danzi mentre al nord continua la guerra. Non si tratta di moralismo: “Chi scrive” – concludeva la lettrice – “non è una vecchia zitella, ma una giovane donna che, se i tempi fossero sereni, amerebbe anch’essa fare qualche giro di valzer” <49. Eppure, l’accenno al valzer proprio nei giorni che tutti ricordano per la scoperta dei ritmi e dei balli americani lascia qualche dubbio sugli intenti della lettrice.
Negli stessi giorni, reazioni scandalizzate per i balli anche sulle pagine del periodo anarchico “Umanità nova”:
"È una indecenza. Un’offesa atroce: Firenze è tutto un festival. I muri e le vetrine dei negozi sono pieni di manifesti che invitano a danze, a canti, a trattenimenti. Quello che più di addolora è questo: che nella gara volgare e sporca tagliano i traguardi le zone popolari. Ci sono degli invertebratismi che fanno dubitare veramente del nostro senno, della nostra dignità, del nostro sentire rivoluzionario. Si riscontra persino questa colossale improntitudine: che i nomi di eroiche vittime sono presi a prestito per simili odiose troiesche manifestazioni. Esempio: «Circolo Fanciullacci – stasera danze e canzoni»; o luride, pidocchiose scimmie della più decadente borghesia, la volete finire, sì o no?" <50
Questa sorta di moralismo rivoluzionario anarchico si esercita anche contro la gestione della sala dei Poligrafici che a prima vista sembrava improntata a maggior rigore: concerti prima di tutto, e poi, “per divertire un po’ la gioventù che ne ha diritto”, come sosteneva il direttivo dei Poligrafici, anche un “un corso di trattenimenti danzanti familiari” a cui si invitavano “le mamme a portare con tranquillità le loro figlie che si sarebbero trovate come in casa loro”.
"E fin qui niente da dire. Ci siamo tornati una quindici di giorni dopo e siamo rimasti nauseati e lo schifo ci è salito alla gola. Perché non dirlo? La sala e il corridoio erano un carnaio. Donne di dubbia fama a sazietà, mescolate con soldati alleati di tutte le razze, con contegni tutt’altro che familiari. L’errore è quello di adottare simili mezzi per far quattrini, e a noi sembra che le sale operaie dovrebbero servire per trattenimenti più decenti e per educare i giovani con conversazioni e conferenze che li illuminino sulla via da percorrere e che dovrà condurli alla propria emancipazione" <51.
Anche in questo caso colpisce l’intreccio di temi e invettive: la purezza è proletaria, la famiglia un valore e una garanzia, l’astio nei confronti degli occupanti che prende toni razzisti, e il quadro è completato dalla scelta di pubblicare questi due pezzi sotto il titolo di Piedigrotta fiorentino.
Qualche settimana dopo, alcune “donne fiorentine” replicavano al corsivo pubblicato dalla “NdP” il 3 novembre, stanche che siano sempre degli uomini a parlare per loro. “Noi apparteniamo a noi stesse ed a tutti una sola risposta: GLI ALLEATI NON CAMBIANO IL MORALE DELLE DONNE”. Tra tutti, solo i partigiani meritano una risposta.
"Se abbiamo accettato feste e balli da parte degli americani è perché siamo stanche di guerra. Ma non vi abbiamo dimenticato.
Non abbiamo forse pregato per Voi quando combattevate lontano?
Non vi abbiamo atteso, fiduciose nelle vostre promesse, troppo spesso da voi dimenticate? Eppure, quale ricompensa ne abbiamo avuta? Molti di voi non sono tornati, fregandosene altamente di chi forse piangeva e che voi avevate sacrificato nella loro giovinezza sciupata".
Invece, stiano zitti gli studenti, prima imboscati, ora di nuovo impomatati e con pose da “gagarelli”: “non credano di saper fare la campagna contro le donne se non l’hanno saputa fare contro i tedeschi” <52.
Nell’autunno 1944, qualcuno lascia Firenze per seguire la guerra che continua pochi chilometri a nord. Chi resta deve inventarsi in fretta nuove forme di convivenza. I partigiani tornati alla vita civile ritrovano i coetanei che non hanno partecipato alla Resistenza. Alcuni di questi sono come quei “grandi villeggianti della guerra civile” che incontra Luigi Meneghello, partigiano azionista in Veneto, dopo la liberazione di Padova e Vicenza: i compagni di scuola che continuavano a preparare esami universitari “per avvantaggiarsi nella vita e nella carriera”; “la borghesia urbana ne ha prodotti parecchi; non pochi di loro sono oggi energicamente schierati dalla parte degli angeli, hanno fatto carriera, e speriamo che siano contenti” <53. Altri sono come il “Bob” descritto da Vasco Pratolini, il rubacuori che per qualche mese non ha rivali a San Frediano. Tutto il quartiere sospetta che usurpi il titolo di partigiano grazie a una casacca e a un fazzoletto rosso infilati all’ultimo momento, e per di più tenuti ben al riparo; lo salva la parola di un amico più giovane che davvero fu in prima linea nei giorni dell’emergenza <54.
Nemmeno nella città liberata i fascisti scompaiono tutti e di colpo: solo i più compromessi sono fuggiti al nord. Bisogna trovare il modo di confrontarsi con le forze di occupazione alleate, con le istituzioni locali da rinnovare e da epurare, con il governo centrale di Roma. Sono complicati anche i rapporti tra i partiti antifascisti, tra le generazioni, tra i sessi.
La protesta di quelle “donne fiorentine” che avevano scritto alla “NdP” – parlano sempre gli uomini, anche per nostro conto – si può applicare a tutto il racconto della Resistenza a Firenze: per molto tempo ci sarà solo una versione maschile dei fatti. Bilenchi, Codignola, Ragghianti, Lombardi, e poi Francovich e Barbieri, solo per ricordare i principali, tutti esaltano il contributo femminile ma rivelano un’idea molto precisa per quanto riguarda l’attribuzione dei ruoli tra uomini e donne <55. Si preferisce definire le donne “staffette” piuttosto che partigiane <56.
19 La cronaca della partita in Il gioco del calcio. Fiorentina-Forze Armate Inglesi 7-1, “NdP”, 12 ottobre 1944; gli scherzi del pubblico sono ricordati alla fine del Political Report di E. T. Lonmon, rappresentante del governo di occupazione alleata in Firenze, 15 ottobre 1944, pubblicato (in inglese) in Gli Alleati e la ricostruzione in Toscana cit., I, p. 408.
20 Il dossier dattiloscritto su fogli che portano stampigliato “Questura di Firenze”, si trova ora in FC, CL.
21 Archivio ISRT, PdA, b. 27, “Verbali di Sedute del Comitato Esecutivo, anni 1944-45-46”, seduta del 24 settembre 1944.
22 [...] NOTA. Elaborazione da uno schema dattiloscritto conservato in Archivio ISRT, PdA, b. 27, fasc. “43”, sottofasc. “Nazione del Popolo”; il documento, che fa parte di una comunicazione interna al PdA, senza data, è accompagnato da un biglietto che fa riferimento al fatto che Pasqua sarebbe caduta il 21 aprile; per questo, oltre che per il contesto, il documento risale senza dubbio all’aprile 1946, a differenza di quanto indicato da Ballini, Il Comitato Toscano di Liberazione cit., p. 81, n. 22, che considera il documento del 1945.
23 Saba, Storia e cronistoria cit., pp. 285-286. Teatro degli Artigianelli uscì sulla “NdP” del 9 ottobre 1944.
24 ACGV, Arturo Loria, Diari, alla data.
25 Cfr. il ricordo di P. Vittorelli, L’età della speranza. Testimonianze e ricordi del Partito d’Azione, La Nuova Italia, Firenze 1998, p. 55.
26 FC, CL, lettere di Alberto Carocci a Carlo Levi, varie date a partire dal novembre 1944, e l’appunto di Romano Bilenchi in calce alla nota di servizio trasmessa da Roma da Vittorelli, 28 marzo 1945.
27 Archivio ISRT, PdA, b. 15, fasc. “Rapporti con la stampa”, biglietto dattiloscritto datato Firenze, 6 giugno 1945, firmato il Comitato Esecutivo.
28 FC, CL, Enzo Enriques Agnoletti a Carlo Levi, 2 novembre 1944; l’articolo – “brutto, falso e astratto” – a cui faceva riferimento era V. Santoli, Per un partito conservatore, “NdP”, 21 ottobre 1944.
29 FC, CL, Bruno Fallaci a Carlo Levi, senza data [1944].
30 Branca, Ponte Santa Trinita cit., pp. 34-35.
31 Cfr. ancora i ricordi di Branca, Nascita di un giornale di popolo cit.
32 FC, CL, due lettere in data 30 ottobre 1944 firmate da tutti i giornalisti della NdP.
33 Ivi, lettera dattiloscritta firmata da Romano Bilenchi, senza data ma ottobre-novembre 1944.
34 FC, CL, verbale della riunione “della direzione e redazione” della NdP, 11 novembre 1944.
35 FC, CL, Bruno Fallaci alla Commissione Stampa del CTLN, 20 ottobre 1944.
36 FC, CL, Bruno Fallaci a Carlo Levi, 18 ottobre 1944
37 FC, CL, Sanguinetti alla Commissione Stampa del CTLN, 20 ottobre 1944.
38 FC, CL, Partito Comunista, sezione di Firenze a Bruno Sanguinetti. Luigi Sacconi è nominato al posto di Sanguinetti il 13 novembre, cfr. Archivio ISRT, CTLN, b. 63, fasc. “Stampa e propaganda”; cfr. anche la testimonianza di Sacconi in I compagni di Firenze cit., pp. 371-394, in part. pp. 393-394.
39 [C. Levi,] Appunti sul dittatore, “NdP”, 28 ottobre 1944; se ne trova ora una ristampa in Levi, Lo specchio cit., pp. 67-70. Levi tornò su questo film, legato ai suoi ricordi fiorentini, parecchi anni dopo, con l’articolo Ottantadue metri, “ABC”, 23 ottobre 1960, ora in Levi, Il bambino del 7 luglio cit., pp. 116-120.
40 C. Levi, Cinematografo, “La Cultura”, marzo 1934, pp. 1-3; le ristampe più recenti sono in Id., Lo specchio cit., pp. 59-65 e Id., Scritti politici cit., pp. 120-129. Nei primi anni Trenta, Levi aveva partecipato alla lavorazione di tre film, a Roma, anche se poco di quei progetti fu realizzato (De Donato, D’Amaro, Un torinese del Sud cit., pp. 79-82); sull’interesse di Levi per il cinema, si veda anche D’Orsi, Carlo Levi cit., p. 297.
41 Cfr. “NdP”, 27 ottobre 1944.
42 Il rapporto è pubblicato in Gli Alleati e la ricostruzione in Toscana (1944-1945). Documenti anglo-americani, II, a cura di R. Absalom, Olschki, Firenze 2001, pp. 698-703, la cit. a p. 703
43 E. Montale, Consigliò agli Stati democratici di attuare la politica dello struzzo, “Il Corriere d’informazione”, 11-12 novembre 1948, ora in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano 1996, pp. 766-772, la cit. a p. 768.
44 FC, CL, manoscritto senza data, su carta intestata della ditta di vini “Ditta Fratelli Nobili…”.
45 C. Levi, Morte dei morti, “NdP”, 30 aprile 1945, ora anche in «La Nazione del popolo» cit., pp. 295-297.
46 ACGV, Carte Luigi Dallapiccola, lettere del 27 novembre, 5, 15 e 17 dicembre 1944; l’articolo in questione è il trafiletto Il concerto al «Cherubini», “NdP”, 27 novembre 1944.
47 r. b. [Romano Bilenchi], Le donne nella lotta per la liberazione, “NdP”, 2 ottobre 1944, ora anche in «La Nazione del Popolo» cit., pp. 191-195.
48 Della dignità, “NdP”, 3 novembre 1944.
49 FC, CL, Liberta Vanni al direttore della “NdP”, 9 ottobre 1944.
50 Piedigrotta Fiorentina, “Umanità nova”, a. IV, n. 348, 22 ottobre 1944.
51 Piedigrotta fiorentino, “Umanità nova”, a. IV, n. 349, 29 ottobre 1944.
52 FC, CL, “Le donne fiorentine” al direttore della “NdP”, 18 novembre 1944.
53 Meneghello, I piccoli maestri cit., p. 37.
54 Pratolini, Le ragazze di S. Frediano cit., p. 27 e il capitolo Una partita, un pugno e una digressione sull’uso e sugli effetti del «frontino».
55 Oltre agli scritti già citati di Bilenchi, Codignola e Ragghianti, si veda la relazione di F. Lombardi, Il C.T.L.N. durante l’emergenza, in Francovich, La Resistenza a Firenze cit., pp. 309-312.
56 Può essere interessante fare il confronto tra la versione di Francovich e quella di Lombardi a proposito della riunione del comando del C.T.L.N. nei giorni dell’emergenza. Nella sua relazione Lombardi scrive: “Sei uomini e una donna si trovarono raccolti nel piccolo atrio scuro [della casa in via Condotta 8, che era stata eletta a quartier generale del CTLN]. Erano Natale Dall’Oppio, Enzo Agnoletti, Foscolo Lombardi, Augusto Mario Martini, Aldobrando Medici Tornaquinci, Giuseppe Rossi, Adina Tenca (Rossi fu poi sostituito per alcuni giorni da Giulio Montelatici)” (cit. in Francovich, La Resistenza a Firenze cit., p. 310); lo stesso episodio è descritto così da Francovich: “[…] nell’ufficio del socialista Natale Dall’Oppio, in via Condotta n. 8, […] si riunirono i seguenti esponenti politici: Enzo Enriques Agnoletti per il P.d’A.; Giuseppe Rossi (che per alcuni giorni fu poi sostituito da Giulio Montelatici) per il P.C.; Mario Augusto Martini per la D.C.; Foscolo Lombardi e Natale Dall’Oppio per il P.S.I.; Aldobrando Medici Tornaquinci per il P.L.I. e la staffetta Adina Tenca” (ivi, p. 273, il corsivo è mio).

Filippo Benfante, Carlo Levi a Firenze e la Firenze di Carlo Levi (1941-1945). Vita quotidiana e militanza politica dalla guerra alla Liberazione, * Tesi di dottorato, European University Institute, Firenze, 2003

* Questa ricerca nasce dal recente ritrovamento, presso gli eredi del pittore fiorentino Giovanni Colacicchi, di lettere e documenti appartenuti a Carlo Levi, risalenti al periodo in cui il pittore e scrittore torinese tenne aperto uno studio a Firenze: dalla fine del 1941 alla fine del 1945. Durante questi anni, accadono molte cose che un biografo definirebbe “fondamentali”. Dalla Questura di Firenze parte l’ordine di arresto che costa a Levi la terza carcerazione della sua vita: dalla fine del giugno 1943 sarà detenuto al carcere delle Murate, da cui uscirà il 26 luglio. Tra il 1943 e il 1944, nascosto in piazza Pitti, scrive Cristo si è fermato ad Eboli, che resterà il suo libro più celebre. A Firenze Levi aderisce al Partito d’Azione, e quindi lo rappresenta, dall’agosto 1944, nella direzione interpartitica della “Nazione del Popolo”, il quotidiano pubblicato a cura del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. Tra i cinque condirettori, Levi si ritaglia un ruolo di assoluto primo piano: ha un peso molto rilevante nella scelta dei collaboratori, a lui si devono la presenza di certi temi e prese di posizione sulle pagine della “Nazione del Popolo”. Levi interviene direttamente - sono almeno trenta i suoi articoli di fondo, concentrati soprattutto nei primi mesi di vita del giornale -, oppure commissiona alcuni pezzi ad hoc ai suoi collaboratori più stretti.
Filippo Benfante