sabato 4 settembre 2021

La carica dirompente e dissacrante di Ossessione emerge fin dalle prime immagini


Un approfondimento sul neorealismo, dal punto di vista storico, deve prendere in considerazione l’opposizione antifascista, la Resistenza, il clima politico dell’Italia dal dopoguerra all’inizio degli anni Cinquanta.
Intorno agli anni Venti in Germania si diffuse una nuova tendenza artistica, definita Neue Sachlichkeit, espressione di cui risulta quasi sicuro calco alla fine degli anni Venti l’italiano neorealismo; <2 e ancora a parlare di “neo-realismo” fu nel 1941 Mario Alicata, nella recensione a Paesi tuoi di Cesare Pavese, ma ad utilizzare il termine in modo nuovo fu per la prima volta il montatore cinematografico Mario Serandrei, parlando del film Ossessione di Luchino Visconti. <4
4 Nel fascicolo n. 17 della rivista “Rinascita” del 24 aprile 1965, Visconti raccontava: “Il termine ‘neorealismo’ nacque con Ossessione. Fu quando da Ferrara mandai a Roma i primi pezzi del film al mio montatore, che è Mario Serandrei. Dopo alcuni giorni egli mi scrisse esprimendo la sua approvazione per quelle scene. E aggiungeva: ‘Non so come potrei definire questo tipo di cinema se non con l’appellativo di neorealistico’.”
Marta Morellato, Il Neorealismo tra Letteratura e Cinema, Academia.edu (Marta Morellato) 

Melanco, a sua volta, nel suo saggio La metamorfosi del paesaggio italiano nel periodo neorealista esamina le trasformazioni del paesaggio cinematografico a partire dagli anni ’40 fino alla fine degli anni ’50. Considerandolo come lo «specchio dell’organizzazione della società che l’ha prodotto» (Melanco, 2005, p. 45), ossia reagente per leggere una cultura, per ricercare in filigrana un’identità italiana o il rapporto tra questa e un’identità europea o semplicemente moderna (Melanco, 2005, p. 48), il saggio si concentra sul ruolo da coprotagonista del paesaggio nella letteratura e particolarmente nel cinema della seconda metà del Novecento. Secondo il critico, la propensione a connettere il personaggio al territorio, a relazionare la sua identità al luogo in cui agisce, e a stabilire un rapporto inscindibile tra il suo comportamento e l’ambiente a cui appartiene viene inaugurata con l’Ossessione di Visconti che fornisce un paesaggio diverso, “antropomorfico”, ossia un ambiente umano che segna la rinascita dell’estetica cinematografica: "Il neorealismo lascia le sue pagine più espressive, di maggior rilievo e ricchezza, quando è proprio la geografia dell’ambiente ad imporsi, quando la macchina da presa si sposta in un panorama che sente già denso di segni e popolato di voci, su cui innesta i propri schemi e le proprie figurazioni, attratta sempre però dalla personalità già formata del mondo esterno, da una natura capace di esprimersi secondo un proprio linguaggio, secondo propri, forti, caratteristici sistemi di articolazione. Ebbene questo paesaggio, questa geografia si trova nelle zone del sottosviluppo, della sopravvivenza, della fame, quanto nella provincia italiana: uno scenario che non è spazio inaridito, prosciugato, che parla solo i segni del vuoto e della desolazione, e invece è tessuto fitto di trame e applicazioni, visibilmente solcato dalle tracce di un lungo e complesso lavoro". (Melanco, 2005, pp. 59-60)
Ana Stefanovska, Lo spazio narrativo del neorealismo italiano, Tesi redatta con il contributo finanziario della Fondazione Cariparo, Università degli Studi di Padova, Ciclo XXXI

La data di nascita del neorealismo cinematografico italiano coincide con la pubblicazione di due famosi articoli di Umberto Barbaro nel 1943, dal titolo Neorealismo e Realismo e moralità, con i quali viene sancita l’importanza determinante e innovativa di Ossessione (1943) di Luchino Visconti.
Il neorealismo italiano. Linguaggi e formati del cinema e dell’audiovisivo

«In attesa che si riscriva la storia della letteratura italiana è certo preferibile che il cinema abbandoni il precedente letterario per rifarsi alla gloria intatta e grandissima delle nostre arti figurative, tra le quali deve trovare il suo posto. Una simile discendenza visiva mi pare di riconoscere nel film di Luchino Visconti Ossessione che si proietta in questi giorni in Italia e che ovunque suscita discussioni animate e talvolta persino violente. Ma un film che scuote e che, appunto fa discutere. E che dunque è impegnato ed obbliga a impegnarsi»
Umberto Barbaro, Film, 31 luglio 1943

«Il peso dell’essere umano, la sua presenza, è la sola “cosa” che veramente colmi il fotogramma»
Luchino Visconti


Un discorso in parte simile va fatto anche col cinema francese di Jean Renoir (1894-1979), che dopo la sua importante trasposizione cinematografica del capolavoro flaubertiano Madame Bovary fu - con aiuto regista Luchino Visconti - alle prese con Toni (1934), un film che anticipava temi e situazioni neorealiste, partendo da spunti letterari <74 (mentre il suo capolavoro rimane La grande illusione del '37); e col cinema di Marcel Carné (ricordiamo Quai des Brumes del 1938 e Alba tragica del '39).
[...] Come si evince è sempre la cultura urbana, delle grandi città settentrionali a raccordare le diverse arti: il cinema poi, appropriandosi di temi simili, li elabora pro domo sua. E infatti a Blasetti interessava sottolineare il contrasto tra la dura e grigia realtà piccolo borghese e le aspirazioni sentimentali mancate; a De Sica mostrare un mondo degli adulti fatto da irresponsabili e conformisti; mentre la complessa realtà messa in scena da Visconti in Ossessione <93 oscilla tra la carnalità dei desideri dei protagonisti e la fragilità del senso comune delle piccole comunità e dei suoi valori “egotici” (famiglia, benessere materiale, sicurezza borghese). Luchino Visconti <94, colto e cosmopolita, così spiegava i rapporti tra la letteratura e i suoi lavori cinematografici: << Ossessione aveva dietro di sé i romanzi americani che durante la guerra si leggevano di straforo. La terra trema era Verga, I Malavoglia … >> <95.
[...] Proprio in Ossessione si manifestano le tendenze più evidenti di quel fecondo contaminarsi tra cinema e letteratura: la trama non è pienamente rispettata, l'innesto con elementi “autoctoni” – derivati dalle concezioni sviluppate dall'entourage del regista - e la ricercatezza formale dell'immagine ne fanno un unicum.
74 La letteratura francese aveva espresso capolavori come “La condizione umana” di André Malraux (1933) e “La Nausea” (1938) di Jean Paul Sartre.
93 Ispirato dal romanzo USA di James Cain “The postman Always Rings Twice” (Il postino suona sempre due volte).
94 Nato a Milano nel 1906, la sua era una famiglia che apparteneva all'èlite ambrosiana. Suo padre era di antico lignaggio aristocratico - il duca Visconti di Modrone - e sua madre era figlia dell'industriale-scienziato Carlo Erba. Collabora con il regista francese Jean Renoir (1936) e visita Hollywood (1938): la sua passione per il cinema risaliva al 1934, quando aveva lavorato ad un cortometraggio amatoriale. L'esordio vero e proprio è stato con Ossessione diretto nel 1943 (prima si era occupato di critica cinematografica).
95 Alessandro Bencivenni, Luchino Visconti, Milano, Il Castoro, 1995. Citazione pag. 6

Redazione, Il neorealismo nella letteratura e nel cinema. Un quadro, Antica Biblioteca Corigliano Rossano

È il giugno del 1943 quando, alla vigilia della caduta del fascismo, nelle sale italiane compare Ossessione di Luchino Visconti; un film che, pur segnando l’esordio del regista, ne rivela già i tratti carismatici del maestro per la sorprendente maturità espressiva.
Ossessione «attraversa come una cometa lo spazio terminale del cinema del fascismo e pare annunciare l’avvento di tempi nuovi» (Brunetta, 2003: 283), anticipando istanze che verranno approfondite nella stagione del neorealismo; si presenta come felice prodotto di una serie di forze convergenti e una volontà diffusa di creare una nuova cinematografia e si impone come realizzazione di una poetica comune e di un progetto cinematografico a lungo termine, che già si sta palesando tra le pagine della rivista romana «Cinema». Visconti è accompagnato in questa avventura da un gruppo coeso e ideologicamente sintonizzato di autori composto da Gianni Puccini, Mario Alicata, Giuseppe De Santis, Massimo Mida e Antonio Pietrangeli <1, guidati dalla volontà di rinnovare il cinema italiano. Il film è espressione di un programma iniziato con un articolo di Visconti dal titolo Cadaveri, pubblicato da «Cinema» nel 1941, che si propone di realizzare «un’arte rivoluzionaria ispirata ad una umanità che soffre e che spera», liberandosi da quei «cadaveri, ostili e diffidenti» che popolano il cinema italiano e che «si ostinano a credersi vivi» (Visconti, 1941: 336).
Le proposte teoriche che il gruppo di «Cinema» avanza in quel periodo riguardano principalmente la ricerca di un primato del realismo inteso in un’accezione molto ampia, i cui riferimenti vengono fatti risalire fino al romanzo realistico francese ottocentesco e al verismo italiano rappresentato in particolare da Giovanni Verga. Esse inoltre sottolineano l’importanza della riscoperta del paesaggio italiano e il contatto con cinematografie e letterature europee e americane (Torri, 2011: 176).
[...] Visconti e il gruppo di «Cinema» sono però ostacolati dalla censura fascista nel tentativo di portare sullo schermo il naturalismo verghiano. Dopo una serie di progetti presentati al Ministero senza ottenere il visto di censura preventiva, mutano proposito e si rivolgono al di fuori dell’Italia. Attraverso la Francia giungono agli Stati Uniti, arrivando all’idea di realizzare un film tratto da The Postman always rings twice di James Cain che Visconti aveva conosciuto grazie ad una traduzione dattiloscritta datagli da Renoir, e da cui Pierre Chenal aveva già realizzato nel 1939 un film dal titolo Le dernier tournant. Il romanzo, politicamente insospettabile, avrebbe permesso a Visconti e ai suoi collaboratori di trattare un argomento scabroso come l’adulterio e di «mostrare il più possibile l’Italia con il suo vero volto» e portare sullo schermo «una storia attraverso la quale potessero venir criticati alcuni aspetti negativi della nostra società » (Chiarini, 1957: 19).
In questo modo Ossessione riesce a rappresentare tematiche abitualmente escluse dal cinema italiano dell’epoca (o espresse in modo molto più cauto) e segna una rottura con la produzione di regime; anticipa tempi nuovi contrapponendosi tanto alla irrealtà patinata dei “telefoni bianchi” quanto alla retorica trionfalistica del film storico attraverso personaggi, ambienti e relazioni sociali e familiari inedite, destinate a fare “scandalo”.
Lo sguardo alla narrativa americana ben s’inserisce in una tendenza diffusa tra i letterati degli anni trenta, e che caratterizza in particolare l’opera di Cesare Pavese e Elio Vittorini, i quali ammirano nel romanzo americano il taglio fortemente realistico, spesso aspro, con cui viene tratteggiato il quadro umano e sociale. Adottando il medesimo registro, il film di Visconti si contrappone ai codici di vita e modelli morali di cui il fascismo si era fatto portatore, sostituendo al mito dell’italiano eroico, statuario e guerriero, un modello di uomo medio, comune, grigio. (Laura, 2010: 10-11).
Visconti guarda inoltre al cinema francese e porge omaggio al suo maestro Jean Renoir, cui rimanda la caratterizzazione del protagonista, che ricorda i personaggi interpretati da Jean Gabin nei film dello stesso Renoir o di Marcel Carnè.
La carica dirompente e dissacrante di Ossessione emerge fin dalle prime immagini poiché l’inquadratura della strada padana «iscrive il film in una tendenza cinematografica riconoscibile e portatrice di quel particolare realismo che non vuole essere solo sguardo di passiva mimesi» (Brunetta, 2003: 283) ma di intervento militante sui codici di rappresentazione. Nello stesso tempo, guardando al di fuori dell’Italia, Ossessione si propone quale «guida ideale verso la nuova via che il cinema italiano deve imboccare» (Aristarco, 1943a: 3) per non continuare sulla strada errata, da alcuni percorsa, del calligrafismo e del formalismo.
1 Si tratta di collaboratori della rivista Cinema.
Cecilia Bressanelli, Il sistema dei personaggi in Ossessione di Luchino Visconti, Revistas. Quaderns de Cine, n° 8 2013, Universidad de Alicante

Luchino Visconti e i giovani sceneggiatori Mario Alicata, Giuseppe De Santis e Gianni Puccini, dopo essere stati scoraggiati dal Ministero della cultura popolare a fare un film dalla novella L’amante di Gramigna di Giovanni Verga per le sue allusioni al brigantaggio (“Basta con questi briganti!”, aveva scritto sul copione il censore), realizzarono per lo schermo il film Ossessione (1943). In pratica un adattamento non autorizzato del romanzo dello scrittore americano James M. Cain Il postino suona sempre due volte, conosciuto da Visconti attraverso una traduzione francese datagli dal regista Jean Renoir, di cui era stato assistente.
Come l’opera dell’amato Verga, la drammaturgia della crisi che si respirava nel testo di Cain rispondeva bene alla poetica del regista milanese, fautore di “un cinema antropomorfico”, in cui “il più umile gesto dell’uomo, il suo passo, le sue esitazioni e i suoi impulsi da soli danno poesia e vibrazioni alle cose che li circondano e nelle quali si inquadrano”.
Allora, nelle librerie italiane, Il postino suona sempre due volte era introvabile. Una copia in lingua originale del romanzo era posseduta dal ferrarese Giorgio Bassani, che si accingeva a tradurlo e che, contattato dalla troupe di Visconti, ebbe modo di assistere ad alcune riprese del film, dando indicazioni e consigli sui luoghi dove ambientare la storia in lavorazione. E questo perché, su suggerimento di Libero Solaroli, prezioso collaboratore del regista milanese, la vicenda erotica al centro di Ossessione era stata trasferita negli ampi spazi della Bassa padana (Codigoro, Comacchio, Ferrara) e, per qualche scena, ad Ancona e dintorni.
Storia di due amanti assassini, Ossessione racconta l’attrazione fatale tra il girovago Gino (Massimo Girotti) e la malmaritata Giovanna (Clara Calamai) che per lui si presta a uccidere il vecchio marito simulando un incidente stradale. Popolato da figure di marginali non presenti nell’opera di Cain e a volte cariche di riferimenti politici (si veda in particolare la figura dello “Spagnolo”, interpretato dall’attore Elio Marcuzzo, allusiva a una libertà di pensiero, a un mondo più grande della provincia italiana, a una clandestinità militante, ma anche a un latente e rimosso dato omosessuale), il film, nonostante rappresentasse una realtà angosciata ed esibisse una spregiudicatezza sessuale inaccettabile sia per la moralità fascista che per quella cattolica, ricevette un finanziamento statale e non incontrò ostacoli eccessivi da parte della censura preventiva. Forse perché i funzionari del Minculpop intuivano che l’opera prima del regista avesse un certo interesse spettacolare e che il regime fosse ormai alla fine. Oppure perché - come ha ricordato Eitel Monaco, allora direttore generale della Cinematografia - Mussolini, che assistette a una proiezione privata di Ossessione a Villa Torlonia, “a denti stretti non protestò, se ne andò senza dire una parola, per cui potemmo dare il nulla osta al film”.
È certo però che, a dispetto degli elementi ben sperimentati e commerciali che caratterizzavano la trama di Ossessione (la storia dell’attrazione sessuale, il delitto, la caccia della polizia) e del suo debito verso i polizieschi hollywoodiani, il film di Visconti demoliva la retorica populista del fascismo e descriveva per la prima volta con crudo realismo il paesaggio della campagna italiana, lontano da quello falsamente idilliaco ricostruito nei teatri di posa di Cinecittà. Raccontava un Paese dove la fame, la fatica del lavoro contadino, i delitti, le ingiustizie e la miseria esistevano anche se non trovavano spazio nei cinegiornali e nel cinema dell’epoca, interessati a comunicare agli spettatori una rappresentazione edulcorata e artificiale dell’esistenza. Ribaltava, facendo leva sulla cultura figurativa, letteraria e teatrale di Visconti e sullo stimolo teorico dei giovani sceneggiatori antifascisti che scrivevano sulla rivista “Cinema”, tutti gli stereotipi esistenti sulla famiglia, sul mondo contadino, sul popolo e sul sesso, offrendo così una visione inedita della società italiana. Perciò, quando nel maggio del 1943 il film arrivò nelle sale cinematografiche, la passione amorosa extraconiugale tra Gino e Giovanna, che spingeva i due amanti a uccidere il marito della donna, venne vista dall’Italia cattolica-fascista come un attacco alle norme della decenza e alla sacralità della famiglia, una squallida imitazione del cinema realista francese, un segno di trasgressione politica.
A tali accuse il giovane Enzo Biagi ribatteva sulle pagine del giornale “L’Assalto” che il film “non è immorale perché la vita è molto più vera di quanto Ossessione ci mostri”. E così, dietro le pressioni delle autorità politiche e religiose, che non riconoscevano nell’opera del regista la vera Italia, Ossessione subiva tagli maldestri per “migliorare”il suo contenuto morale, mentre a Bologna e in altre città veniva ritirato dalle sale di proiezione. Intanto però, nell’anteprima di Ossessione all’Arcobaleno di Roma, gli addetti ai lavori, fra i quali il carismatico regista Alessandro Blasetti, avevano capito che Visconti non era un aristocratico colto e mondano che voleva divertirsi girando film, ma una personalità complessa e dotata di talento che apriva la via al rinnovamento del cinema italiano.
Lorenzo Catania, Ossessione, il film che scardinò la morale fascista, Avanti online, 10 marzo 2016