venerdì 24 settembre 2021

Secondo Aristofane i Greci erano ghiottissimi dei giovani fusti di Ortica

Urtica urens - Fonte: Wikipedia

Nessuno si è mai sognato di smentire la frase di Andrea Mattioli, dichiarata prima che il mitico Jean de Cabannes Signore de La Palice inventasse il metodo delle affermazioni tanto ovvie da essere incontrovertibili: “ Le piante dei genere Urtica sono riconoscibili dall'uomo anche di notte perché basta toccarle per sincerarsene”.
Infatti, i loro peli quando vengono osservati al microscopio, si rivelano costruiti come un lungo ago dalla punta ispessita, la cui base appare ingrossata dalla presenza di un cerchio di cellule a tessuto epidermico.
Al più piccolo contatto, la sommità dei peli si spezza obliquamente cosicché la parte rimasta si trova ad avere una punta talmente affilata da essere in grado di perforare la cute, restandovi infissa ed inoculando le sostanze irritanti contenute: una sorta di veleno molto simile a quello dei serpenti.
La sua composizione chimica, infatti, è talmente potente che basta un milionesimo di grammo per procurare un vistoso e doloroso arrossamento sulla pelle.
Conclusa la descrizione dell'unico lato negativo imputabile alle Ortiche, è doveroso segnalarne gli innumerevoli servigi perennemente a disposizione dell'uomo: una serie di rilevanti apporti utilitari oggi ignorati dai più.
Nel passato succedeva invece il contrario, testimoniato dai numerosi testi antichi che documentano i molteplici, collaudati vantaggi ricavabili dalle Ortiche o da molte altre appartenenti alla Famiglia delle Urticacee; tutte piante dall'aspetto in genere dimesso, ma variamente sfruttabili in medicina, nell’alimentazione, nell'agricoltura e nell'allevamento dei bestiame.
Fusti e foglie delle Ortiche sono infatti da sempre al centro dell'attenzione di naturalisti e di medici, sfruttati per la cura delle affezioni allo stomaco, all'intestino, per ripulire i bronchi, i polmoni e guarire le ulcere.
Secondo gli erboristi del passato, l'introduzione di un batuffolo di cotone imbevuto di succo fresco d'Ortica nelle narici, arrestava immediatamente le emorragie nasali; i frequenti gargarismi del suo decotto risanavano velocemente molte affezioni dei cavo orale come afte, angine, tonsilliti; i massaggi praticati con unguenti o lozioni a base di Ortica ripulivano la pelle da eczemi arrestando, inoltre, la caduta dei capelli.
Duemila anni or sono Columella raccomandava agli allevatori romani, non appena si fossero accorti dell'insorgere dei primi sintomi della scabbia (una malattia considerata letale sui cavalli), di pestare in un mortaio alcuni semi di Ortica assieme ad olio e pece di Cedro, quindi di frizionare energicamente con questo medicamento la parte infetta.
Macerando per alcuni giorni foglie di Ortica in un recipiente pieno d'acqua, si preparava un insetticida particolarmente attivo contro i parassiti degli animali e dei vegetali: un prodotto ecologicamente prezioso, innocuo per l'uomo, che meriterebbe di essere riutilizzato, tanto più che era una ricetta abitualmente seguita da generazioni di contadini liguri.
Secondo Aristofane i Greci erano ghiottissimi dei giovani fusti di Ortica; li tagliavano all'inizio della primavera e li cucinavano eliminando con la cottura il forte potere urticante. Questa antica abitudine trova consenso anche presso tutti i moderni dietisti; infatti, degustate come verdura cotta nei contorni, nelle minestre e nelle frittate, esse uniscono infatti alla forte potenzialità nutritiva, la riconosciuta azione stimolatrice dei succhi  gastrici: due importanti ragioni che concorrono ad indicarle tuttora specificatamente adatte alla alimentazione degli anemici, dei debilitati e degli anziani.
Le Ortiche, anche se bollite, conservano uno smagliante colore verde, un fatto che ha indotto a presumere in esse un'overdose di clorofilla.
L'osservazione è confermata da recenti ricerche volte alla produzione industriale di questa preziosa sostanza vegetale, isolata in quantità veramente rilevanti nelle diverse specie del Genere.
Quando il cotone non era ancora conosciuto e coltivato, ci si serviva di una fibra tessile ricavata dalla Urtica dioica per la tessitura di stoffe particolarmente resistenti e preziose e di una mussola soffice e leggera.
Abiti ricavati con questo materiale così economico, sono conservati nel museo di Kew Gardens, il famosissimo giardino botanico londinese, nel quale sono esposte 30.000 specie viventi.
Ancora oggi, gli allevatori biologici di tacchini e di altri animali da cortile ricorrono alle Ortiche per l'ingrasso; tutti i pastori si assicurano della loro presenza nel foraggio perché aumenta la secrezione lattea ed in ogni caso preserva il bestiame da molte infezioni.
La moderna scienza ha confermato tutte le antiche intuizioni empiriche rilevando nelle Ortiche un valore nutritivo valutato in 48 unità contro le 31 di un normale fieno; inoltre posseggono una maggior ricchezza di proteine ed una minor presenza di cellulosa, due fattori utili per aumentare la digeribilità delle nostre tanto disprezzate, o per lo meno misconosciute piante.
Cosicché, la frase “gettare alle Ortiche”, andrebbe giustamente riconsiderata, ma in senso del tutto positivo.
D'altronde la storia dell’uomo e quella delle Ortiche si intersecano sino dai tempi delle primitive forme di vita sociale organizzata perché la risaputa avidità di sostanze azotate da parte delle Ortiche le ha sempre indotte ad insediarsi nei pressi delle abitazioni, fossero esse caverne, palafitte, tende; dovunque, insomma, si accumulassero rifiuti di materiale in decomposizione.   
Le popolazioni della Siberia occidentale, la lasciano ancora oggi crescere liberamente intorno alle loro abitazioni per ricavarne fibre tessili che forniscono una speciale tela verde, praticamente indistruttibile, una volta fabbricata anche in Cina e nell’Europa settentrionale, come testimoniano molte fiabe popolari. L’ultimo sfruttamento massiccio documentato è quello dei tedeschi per tessere le stoffe delle uniformi indossate nelle due recenti guerre mondiali.
Le diverse tradizioni popolari non hanno risparmiato le Ortiche creando proverbi e frasi nelle quali echeggiano in genere giudizi sprezzanti e poco edificanti, anche se ricorrevano alle sue fascine come amuleto e come parafulmine durante i temporali. Ancora oggi si fanno gli scongiuri, quando il tempo minaccia, gettando ortiche nel focolare con lo scopo di allontanare ogni pericolo, ma soprattutto il fulmine perché secondo una perdurante credenza dell’Europa centrale, la folgore non colpisce mai le Ortiche.   
Gli Inglesi da molti secoli, accusano gli invasori romani di aver introdotto nell'isola molte cosiddette erbacce e fra queste l'Ortica.
La notizia è vera, ma la motivazione con la quale gli esperti agronomi al seguito delle legioni compirono l'operazione sembra ampiamente giustificata; infatti, attorno ai campi di grano veniva seminata una barriera di piante d'Ortica allo scopo di preservare il frumento dalle muffe, provocate dall'atmosfera fortemente umida dei luoghi.
La conseguenza fu però l'ampia diffusione, anche per la sua risaputa propensione a nutrirsi dei fosfati che permangono a lungo nel sottosuolo: vicino a Salisbury, nelle zone degli antichi insediamenti romani di Grovely Ridge, sono ancora visibili rigogliosi cespi di Ortiche, considerate i diretti discendenti di quelle arrivate da Roma in Inghilterra, oltre 1600 anni fa.
Inoltre, la coltivazione e le attuali tecniche diserbanti costituiscono due elementi capaci di favorire la sua capacità di resistenza e la sua naturale propensione diffusiva sui suoli arricchiti delle terre coltivate e dei pascoli; dove era consuetudine spargere limo fluviale nel quale pullulavano i suoi semi.
Lo stesso è accaduto ed accade nei luoghi frequentati da uomo ed animali, dove abbondano l'azoto ed il fosforo, diretta conseguenza di immondizie, letamai, cimiteri, resti di fuoco. L'habitat naturale dell'Ortica è caratterizzato da suoli fertili e fangosi, meglio se frequentati da animali, ubicati soprattutto tra le erbe delle valli fluviali; palestra formidabile per la diffusione dei suoi semi e delle vigorose radici, capaci di percorrere sottoterra quasi un metro all'anno.
Anche ridotte in piccoli frammenti, le parti sotterranee non cessano la loro attività colonizzatrice, originando radici verticali tenaci e resistenti che in breve esplodono oltre la superficie con la nascita di vaste colonie.
Nel mondo classico correva voce che l’Ortica servisse per eccitare alla voluttà e facilitare i parti.
In realtà nelle pubblicazioni dell’epoca si trova scritto che il seme bevuto con la sapa apriva l'utero in caso di contrazioni isteriche, mentre le foglie sfregate sui genitali spingevano le femmine dei quadrupedi riluttanti ad accoppiarsi: forse perché li infuocavano.
Chi allora voleva riacquistare la virilità perduta doveva seguire i consigli forniti con una punta di sadismo da un viveur dell’epoca neroniana quale è Petronio:“Fatti frustare con un mazzo d’Ortiche sotto l’ombelico, sulle reni e sotto le natiche”.
Alla sua fama afrodisiaca molti rimasero comunque affezionati anche nelle epoche successive tant’è vero che fino al secolo scorso circolavano parecchie ricette eccitanti basate sull’utilizzo di semi e sommità fiorite. D'altronde, come testimonia alla metà del 1500 Castore Durante, anche nel Rinascimento si proclamava senza esitazione “Le fronde delle Ortiche, cotte in vino e bevute provocano l'orina, purgano i lombi e eccitano Venere”.
A queste piante l'emblematica floreale ha assegnato il valore simbolico della previsione di un successo giustificandola con la sferzata ed il pungolo che esse danno quando vengono sfiorate. Secondo i Maghi le Ortiche rendono coraggiosi, mentre la moderna astrologia le ritiene particolarmente attive nei confronti dei nati sotto il segno dello Scorpione, ai quali si raccomanda di mangiarne i germogli e le foglie a primavera.
Non è facilmente accettabile considerare le Ortiche come piante alimentari, ma le accertate azioni stimolanti nei confronti dello stomaco e dell'intestino, il valore nutritivo riscontrato, e soprattutto la perdita dei noiosi poteri urticanti con la cottura, dovrebbero far riconsiderare l'ostracismo di cui sono oggetto.
Nella minestra di Ortiche è consigliabile aggiungere patate, per dare corpo, ed aromi naturali come Aglio, Coriandolo e perché no, il pesto. E’ bene comunque non eccedere con le Ortiche perché a lungo andare, in soggetti sensibili, potrebbero provocare eccesso di diuresi.
Il decotto preparato con 50 g di foglie secche in un litro d'acqua, lasciato consumare sino alla metà, oppure la macerazione per una notte di 250 g di foglie fresche in un litro e mezzo d'acqua addolcito con miele (alla dose di un bicchiere al giorno), sono due pozioni rinfrescanti e disintossicanti di grande efficacia e di minimo costo.
La medicina omeopatica mette sul mercato una tintura madre da usare nei casi di emergenza per dissolvere i cristalli urinari che può essere anche usata per mantenere nella norma le funzioni a dosi più ridotte; legata con il cibo preserva dai più classici problemi ai denti.
Terminiamo ricordando l'utilizzo dei princìpi contenuti nelle nostre piante (acido formico, leicitina ed altre sostanze alcaloidi) nella disperata lotta intrapresa dall'uomo contro la caduta dei capelli: alle Ortiche viene infatti accreditata una efficace azione antiseborroica sul cuoio capelluto che impedisce il formarsi della forfora.
Le Urtica sono piante dal l'aspetto erbaceo a fusti angolosi e foglie alterne od opposte, intere o dentate, stipulate. I fiori, in genere giallastri, usualmente riuniti a formare infiorescenze a cime hanno da quattro a cinque segmenti liberi o saldati, formanti un perianzio generalmente sepaloide o polisimmetrico. Altrettanti sono gli stami, opposti ai sepali, a filamenti caratteristicamente incurvati prima dello sboccio, ma che bruscamente si raddrizzano, quando il polline ha completato la sua maturazione fisiologica, lanciandolo lontano.  Il calice dei fiori femminili è a tre- cinque sepali liberi o saldati in tubo ed il frutto è un achenio nel quale generalmente il seme contiene un endosperma oleoso. Le Parietaria hanno foglie alterne e fiori in glomeruli.
Urtica dioica L. (V- XI. Nasce sui ruderi, presso le abitazioni seguendo l'uomo nei suoi spostamenti sino ai 1800m). Ha rizoma strisciante di colore giallo, fusti ottusamente quadrangolari, alti sino a 120cm. Le foglie sono ovato lanceolate, seghettate, hanno stipole lanceolate e picciolo lungo sino alla metà dei lembo. I fiori giallo verdastri sono dioici in spighe ramose, coperte sino alla base di glomeruli e più lunghe dei picciolo. La pianta ha colore verde cupo.
Urtica urens (VII- VIII. Annuale o biennale. Nasce sui ruderi, presso le abitazioni sino ai 1800m). Ha fusti alti sino a 50cm.  Le foglie ovali, con picciolo lungo poco meno della lamina, a bordo seghettato e con  4 stipole distinte ad ogni nodo. I fiori sono in spighe bisessuali più corte dei piccioli. La pianta è di colore verde chiaro, mentre le foglie sono glabre, fornite solo di qualche pelo urticante.
Urtica membranacea Poiret (V- IX. Annuale. Nasce sui ruderi, presso le abitazioni sino ai 1000m). Ha fusti scanalati alti sino a 30cm.  Le foglie ovali a base cordiforme, hanno picciolo lungo come la lamina, bordo dentato e con 2 stipole distinte ad ogni nodo. I fiori sono in spighe femminili ascellanti  ed arcuato erette, le maschili ad asse appiattito. Simile è: Urtica pilulifera L. che differisce per le foglie il cui dente estremo è maggiore, per avere 4 stipole, per avere i fiori femminili in glomeruli picciolati.  
Come raccoglierle e coltivarle
La macerazione delle foglie dell'Ortica può inoltre essere sfruttata come antiparassitario contro afidi ed altri dannosi insetti delle piante. Si sparge utilizzando un normale spruzzatore a pompa, anche a più riprese, con il duplice prezioso risultato di liberarsi dai parassiti, senza avvelenare ulteriormente l'ambiente con i pericolosi insetticidi chimici.
Una soluzione ottenuta con il 5-10% di piante di Ortica in acqua, lasciata per qualche giorno al sole, costituisce un ottimo fertilizzante in grado di regolarizzare la crescita dei diversi ortaggi e dei fiori. Per la loro coltivazione è superfluo fornire indicazioni: sanno benissimo fare da sole. Basta assecondarle.   
Alfredo Moreschi