martedì 6 settembre 2022

I GAP dipendono esclusivamente dal PCI


Decisivo per la creazione dei GAP è quel nucleo ristretto di militanti e dirigenti comunisti che, forte dell’esperienza della concreta organizzazione della lotta armata di città, compiuta tra l’autunno del 1942 e i primi mesi del 1943 nella Francia meridionale, soprattutto a Lione e a Marsiglia, importa in Italia la conoscenza acquisita.
Così si esprime Giorgio Amendola: "L’esperienza di lotta armata vissuta a Marsiglia fu molto importante per gli sviluppi futuri della guerra partigiana in Italia. […] quando si trattò di iniziare a Roma la lotta armata, io mi ricordai delle lezioni marsigliesi di Ilio [Barontini <25, N.d.A.] e cercai di metterle a profitto" <26.
Parimenti, Francesco Scotti <27: "A Parigi, Marsiglia, Lione, Tolosa, Nizza, Grenoble, Bordeaux e in tante altre città francesi, gli invasori tedeschi e i loro collaboratori da tempo ormai venivano colpiti con ogni mezzo e in ogni luogo dai Francs tireurs et partisans. Molti antifascisti italiani si onoravano di militare nelle file dei FTP. Fu quella per noi un’esperienza preziosa" <28.
Come detto, i gappisti combattono secondo le modalità classiche del terrorismo, ovvero sia con uccisioni mirate ed esemplari di singoli individui, quali quadri militari, spie e altre figure ritenute pericolose, sia con attentati dinamitardi contro sedi, installazioni e luoghi di svago del nemico nazifascista. Per il contesto in cui è sorto e per gli obiettivi per cui si è battuto, il terrorismo resistenziale esula nettamente dal significato che il termine ha assunto, dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, di «violenze intimidatorie contro alte personalità del mondo economico, politico e statale in generale, e di attentati dinamitardi contro la popolazione civile, circondando così di una valenza criminale e sinistra vocaboli che nella storia dei movimenti di liberazione dei vari paesi hanno avuto e sono stati usati in un’accezione affatto diversa» <29. Il terrorismo urbano, proprio dei GAP, è «la punta estrema della reazione armata al nazifascismo, con motivazioni e implicazioni lontane tanto da quelle degli attentatori ottocenteschi quanto da quelle dei terroristi degli anni settanta e ottanta del Novecento» <30. Esso rappresenta «una tappa obbligata per chiunque intenda creare le condizioni favorevoli alla nascita e allo sviluppo di una lotta armata di massa. Se si sceglie di non delegare la liberazione a forze esterne, l’asimmetria di quelle in campo e il soffocamento delle libertà democratiche non consentono alternative valide» <31.
Nell’importare in Italia la pratica del terrorismo urbano, il PCI opera una scelta ritenuta necessaria, per quanto dolorosa, nella convinzione che: "Il terrore instaurato dal nemico poteva essere spezzato soltanto col terrorismo partigiano, unito a una decisa azione di massa. Se il terrorismo individuale e isolato poteva come tale essere facilmente battuto, di fatto neppure l’azione di massa da sola poteva bastare: per battere il terrore nemico occorreva sostenere e rafforzare l’azione delle masse con la lotta armata. Quella dei G.A.P. era la forma più valida di lotta armata che si potesse portare nel cuore delle città occupate" <32.
1.4 Il retroterra della guerra civile spagnola
Oltre alla militanza nei FTP, un altro rilevante background di cui possono giovarsi uomini quali, ad esempio, Ilio Barontini, Ateo Garemi <33, Francesco Scotti ed Egisto Rubini <34, che giocano un ruolo di primo piano nell’organizzazione iniziale e nello sviluppo dei nuclei gappisti nell’Italia settentrionale, è la guerra combattuta in Spagna tra 1936 e 1939. La ribellione dei reparti dell’esercito di stanza in Marocco nei confronti del governo repubblicano di Spagna, iniziata il 17 luglio 1936, alla cui guida si erge ben presto il generale Francisco Franco <35, rappresenta il casus belli. All’immediata internazionalizzazione del conflitto contribuisce il sostegno militare di Germania ed Italia ai militari golpisti, cui l’Unione Sovietica risponde con l’invio di materiale bellico e consiglieri militari. Il 29 settembre il Comintern <36 autorizza la formazione delle Brigate internazionali, unità militari composte da battaglioni di gruppi di volontari di diverse nazionalità, ed il 22 ottobre Francisco Largo Caballero, primo ministro del governo repubblicano spagnolo, a sua volta ne approva la costituzione.
Di lì a pochi giorni, in seguito all’accordo politico tra PCd’I, PSI e PRI, nasce il battaglione italiano, intitolato a Garibaldi, decisione «funzionale alla volontà di trovare un consenso diffuso e trasversale tra le diverse correnti politiche che convivevano al suo interno. Fu nel nome di Garibaldi e della tradizione risorgimentale italiana che i partiti antifascisti invocarono la loro unità e impostarono la campagna di reclutamento» <37.
Il momento topico per i volontari antifascisti italiani è rappresentato dalla battaglia di Guadalajara, che ha luogo tra 8 e 23 marzo 1937. In questo scontro, in cui i sostenitori della repubblica riescono a contrastare vittoriosamente l’offensiva franchista verso Madrid, si combattono, per la prima volta, italiani fascisti e antifascisti, i primi facenti parte del Corpo Truppe Volontarie <38, i secondi del battaglione Garibaldi, inserito all’interno della XII Brigata. L’importanza che tale battaglia assume, più per i suoi risvolti politici che militari, è ben evidenziata dall’enfasi retorica di Luigi Longo: "La vittoria dei garibaldini rappresentò un prezioso investimento sul piano dell’esperienza politica e della capacità di combattimento degli antifascisti. […] Comprendemmo allora che i fascisti potevano essere battuti in ogni campo e su tutti i piani; comprendemmo che lo slancio combattivo, la certezza degli ideali e la fantasia politica organizzativa, potevano ben compensare la disparità dei mezzi di lotta a disposizione. Traemmo da quell’evento nuova fiducia nelle nostre possibilità, nuovo stimolo a non cessare mai la lotta, a prepararci anche per la prospettiva della riscossa definitiva contro il fascismo" <39.
Malgrado gli esiti del conflitto, conclusosi con la sconfitta delle forze repubblicane e l’instaurazione di un regime dittatoriale da parte di Franco, esso va a costituire un significativo bagaglio esperienziale per i suoi partecipanti:
"Se è vero che in terra spagnola il fascismo fece la prova generale della successiva aggressione all’Europa è altrettanto vero che in Spagna si formarono, si temprarono i valorosi combattenti della Resistenza italiana ed europea. […] Ed è proprio in virtù degli antifascisti italiani delle Brigate Internazionali che la Resistenza italiana potè contare, fin dall’inizio, su molti uomini politicamente e militarmente preparati, pronti cioè ad affrontare con mezzi di
fortuna un nemico bene organizzato" <40.
1.5 Le caratteristiche dei GAP
Come affermato da Francesco Scotti, i GAP sono un’organizzazione strutturata su nuclei base composti da tre a cinque elementi: "Tre-quattro uomini e un capo squadra costituivano un GAP; tre o più gruppi un distaccamento GAP, con un comandante e un commissario politico. Solo i componenti della stessa squadra erano in contatto tra di loro, quasi sempre senza conoscere il nome vero dei compagni di gruppo, ma soltanto quello di battaglia. Il capo squadra era collegato con il comandante e il commissario di distaccamento" <41.
I GAP dipendono esclusivamente dal PCI. Mentre le brigate Garibaldi sono aperte a combattenti di ogni opinione e credo politico, nei Gruppi di azione patriottica vengono reclutati esclusivamente i comunisti. I candidati ad entrare nei GAP vanno trovati, contattati con cautela e vagliati per quel che riguarda motivazioni ed affidabilità. Combattere in pieno giorno in città, laddove il controllo nazifascista è più capillare ed asfissiante, richiede coraggio, prontezza di riflessi, freddezza, capacità di dominare la paura e stretta disciplina, ma soprattutto una tenuta nervosa tanto forte da sopportare il logoramento che la condizione di clandestinità e di isolamento comporta:
"[…] non a caso vedremo quanto spesso il gappista che ha compiuto un’azione non resista a tornare sul luogo a tendere l’orecchio, al bar, in tram, per strada, per sentire i commenti che la sua azione ha suscitato; e quante volte, e quanti rischi o drammi abbia comportato l’incoercibile bisogno di narrare le proprie imprese: è la mancata socializzazione della propria vita a costituire uno dei massimi problemi del gappismo, e una ragione intima della sua scarsa durata" <42.
Sono leggerezze di questo tipo che, spesso, comportano fatali cadute ed arresti a catena tra le file dei gappisti. Ed è contro tali devianze di condotta che si scaglia Giovanni Pesce <43, in quel momento comandante gappista a Milano, nel luglio 1944: "Per la salvaguardia di ogni membro e per la salvaguardia dell’organizzazione, ogni gappista deve evitare di tenere relazioni superflue e di dare luogo a sospetti sulla sua attività. […] Se si pensa di essere seguiti non andare all’appuntamento: è meglio perdere un appuntamento che fare arrestare dei compagni. […] Risulta che dopo aver fatta l’azione i GAP che hanno partecipato, vanno a vedere sul luogo come è riuscita l’azione, si deve categoricamente proibire questo stato di cose. Dopo l’azione i GAP devono tornare nelle proprie case e non uscire per nessun motivo. […] Deve cessare che ogni giorno alcuni GAP vanno al caffè a giocare a carte, o divertirsi al cinema o ritrovi" <44.
Il primo passo per entrare in clandestinità consiste nel lasciare il lavoro e le certezze minime che esso comporta, quali permessi di circolazione e tessere annonarie. Un simile atto, di per sé molto arduo, risulta ancor più difficoltoso per chi abbia una famiglia a carico. Tuttavia, anche tra i giovani privi di moglie e figli, «chi per validi motivi familiari, chi per il timore di non saper resistere alle torture in caso di arresto o per altre buone ragioni, molti preferivano andare a combattere in montagna piuttosto che fare la guerriglia in città» <45. Questo in quanto il centro urbano «non è il microcosmo della banda, dove la condivisione del pericolo lo fa sembrare minore o pare renderlo più affrontabile. […] In città, c’è soltanto la claustrofobica consapevolezza di ritrovarsi da solo in mezzo a una realtà insidiosa e a un nemico che può celarsi ovunque» <46. Per questi motivi, il reclutamento gappista risulta sempre problematico. L’esiguità del bacino da cui attingere «gli arditi della guerra di liberazione, i soldati senza divisa, i più audaci, i più rapidi e pronti» <47, connesso all’urgenza dell’azione immediata a tutti costi, porta, in molti casi, al venir meno di una selezione meditata e rigorosa, con il rischio di prendere in considerazione anche candidature di aspiranti gappisti che, in seguito, si sarebbero rivelati inaffidabili o non all’altezza del compito assegnato loro.
 


[NOTE]
25 Ilio Barontini (1890-1951). Fu consigliere comunale e segretario della sezione comunista di Livorno. Perseguitato dal regime fascista, nel 1931 espatriò in Francia. Fu inviato in Russia e, nel 1936, in Spagna, dove fu commissario politico del battaglione Garibaldi, divenendone comandante nella battaglia di Guadalajara. Fu combattente in Etiopia e organizzatore dei FTP in Francia. Ispettore e istruttore itinerante del PCI nel corso della Resistenza, nel 1944
divenne comandante del CUMER, in AA. VV., Ear, vol. I, La Pietra, Milano 1968, p. 251.
26 Amendola, Lettere a Milano, cit., pp. 61-62.
27 Francesco Scotti (1910-1973). Fu studente di medicina a Milano. Arrestato, restò in carcere dall’ottobre 1931 al settembre 1934. Espatriò in Francia, combatté nella guerra civile spagnola e nelle file dei FTP. Nel corso della Resistenza, diresse le formazioni garibaldine prima in Lombardia e poi in Piemonte, in Giannantoni e Paolucci, Giovanni Pesce “Visone” un comunista che ha fatto l’Italia, cit., p. 65.
28 Scotti, La nascita delle formazioni, in Comitato per le celebrazioni del XX anniversario della Resistenza (a cura di), La resistenza in Lombardia, cit., p. 69.
29 Luigi Borgomaneri, Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi (1943-1945), Unicopli, Milano 2015, p. 58.
30 Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 493.
31 Borgomaneri, Li chiamavano terroristi, cit., p. 57.
32 AA. VV., Ear, vol. II, La Pietra, Milano 1971, p. 475.
33 Ateo Garemi (1921-1943). Emigrato in Francia con la famiglia, combatté in Spagna e nei FTP. Fu organizzatore e primo comandante dei GAP di Torino. Arrestato in seguito a una delazione, venne fucilato insieme a Dario Cagno il 21 dicembre 1943, in Peli, Storie di Gap, cit., p. 32.
34 Egisto Rubini (1906-1944). Muratore, emigrato in Francia per sfuggire alle persecuzioni fasciste, fu volontario in Spagna e comandante dei FTP. Rientrato in Italia, organizzò i GAP milanesi. Fu arrestato il 19 febbraio 1944 e si suicidò in carcere per timore di non resistere ancora alle torture cui era già stato sottoposto, in Ivi.
35 Francisco Franco Bahamonde (1892-1975). Generale che, con la vittoria nella guerra civile del 1936-1939, instaurò in Spagna una dittatura militare, durata fino alla sua morte, in Giannantoni e Paolucci, Giovanni Pesce “Visone” un comunista che ha fatto l’Italia, cit., p. 261.
36 La Terza Internazionale, nota anche con il nome di Comintern (Internazionale Comunista), fu l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti, attiva dal 1919 al 1943.
37 Leonardo Pompeo D’Alessandro, Guadalajara 1937. I volontari italiani fascisti e antifascisti nella guerra di Spagna, Carocci, Roma 2017, p. 95.
38 Nel febbraio 1937, in sostituzione della Missione militare italiana in Spagna che aveva gestito l’intervento fino a quel momento, fu costituito il CTV, un corpo di spedizione composto da 4 divisioni, al comando del generale Mario Roatta.
39 Il saluto di chiusura dell’on. le Luigi Longo, in AA.VV., Guadalajara e Ilio Barontini, Debatte, Livorno 1977, pp. 48.
40 Giovanni Pesce, Senza tregua. La guerra dei GAP, Feltrinelli, Milano 1967, p. 9.
41 Scotti, La nascita delle formazioni, in Comitato per le celebrazioni del XX anniversario della Resistenza (a cura di), La resistenza in Lombardia, cit., p. 71.
42 Peli, Storie di Gap, cit., p. 41.
43 Giovanni Pesce (1918-2007). Ancora bambino, emigrò in Francia con la famiglia. Combatté nella guerra civile spagnola, rientrò in Italia nel 1940, fu arrestato ed inviato al confino a Ventotene. Liberato dopo il 25 luglio 1943, entrò a far parte dei GAP, prima a Torino e poi a Milano, in DBI, ad nomen, consultato il 26-06-2019.
44 Giovanni Pesce (Visone), Il comandante dei GAP di Milano, Visone, ai comandanti e commissari dei distaccamenti GAP del 17-07-1944, in Gabriella Nisticò (a cura di), Le Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, vol. II, Giugno-novembre 1944, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 139-140.
45 Scotti, La nascita delle formazioni, in Comitato per le celebrazioni del XX anniversario della Resistenza (a cura di), La resistenza in Lombardia, cit., p. 69.
46 Borgomaneri, Li chiamavano terroristi, cit., pp. 54-55.
47 Mario De Micheli, 7ª Gap, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 58
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Gabriele Aggradevole, Biografie gappiste. Riflessioni sulla narrazione e sulla legittimazione della violenza resistenziale, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2018-2019