domenica 22 giugno 2025

Nell’estate del 1944 la Resistenza armata è in costante espansione


Dall’inverno, quando le sorti della Resistenza sembravano appese a un filo, le cose mutarono profondamente, al punto che, il 6 giugno [1944], due giorni dopo la liberazione di Roma, il generale Alexander invita i patrioti dell’Italia occupata a “insorgere compatti contro il comune nemico […] colpendolo con ogni mezzo”. Con questa dichiarazione la Resistenza ebbe il primo esplicito riconoscimento del rilievo militare che aveva faticosamente conquistato. La compattezza e la credibilità della Resistenza furono soprattutto il risultato di un’evoluzione politica che riuscì a modificare sostanzialmente sia i rapporti tra i partiti politici, sia la loro visibilità e rappresentatività, sia la natura stessa del fenomeno della Resistenza.
Il momento decisivo di questa evoluzione è da identificarsi nella cosiddetta “svolta di Salerno”, cioè la decisione dell’allora segretario del Partito comunista, Palmiro Togliatti, rientrato in patria il 27 marzo 1944, di proclamare irrealistica l’istanza antimonarchica che aveva condotto lo scontro la governo del Sud e Cln a un’impasse. Secondo Togliatti, è fondamentale instaurare un governo di unità nazionale, che comprendesse tutti i partiti antifascisti, che si impegnasse nel portare a termine la guerra di liberazione e che poi garantisse al popolo italiano la possibilità di scegliere tra monarchia e repubblica.
Sul piano interno, la svolta di Salerno prende in contropiede non solo i partiti che costituiscono l’ala moderata del Cln, ma anche gran parte degli stessi dirigenti comunisti. Le più risentire resistenze arrivano da PdA, che solamente davanti alla “considerazione delle responsabilità e difficoltà che una soluzione di rottura ci avrebbe creato” <16, accetta di superare la propria opposizione verso qualunque forma di collaborazione con la monarchia.
Sul piano, decisamente più concreto, della lotta armata, le conseguenze della svolta di Salerno sono tutto tranne che immediate. La politicizzazione, non solo della base partigiana, ma anche di molti comandanti, è estremamente scarsa, così come lo è la loro risposta agli stravolgimenti politici. I ricorrenti contrasti tra le bande, originati da questioni di controllo del territorio, da accessi di proselitismo e da eccessivi personalismi, non scompaiono nel giro di qualche giorno. Nella concretezza della vita delle bande, sia Salerno che Roma sono percepite come estremamente lontane. Ciò non toglie che esista un rapporto estremamente stretto tra la svolta di Salerno, la conseguente formazione di un governo di unità nazionale e il nuovo impulso di trovare forme di coordinamento efficaci, sia sul piano politico che su quello militare. Particolare spinta in questa direzione viene dal Partito comunista, sostenendo che la nuova unità politica “non esclude, anzi rende necessaria, un’unità militare che tenga conto dell’esperienza e dei problemi nuovi che si pongono ai patrioti in armi […] per cui ci vuole un comando centrale che stabilisca questo coordinamento; un comando che abbia autorità di chiedere e di distribuire i materiali e le forze necessario al coordinamento dello sforzo” <17.
A questo punto, la situazione generale appare decisamente favorevole. La liberazione di Roma (4 giugno 1944) e il successo dello sbarco alleato in Normandia (6 giugno 1944) e il massiccio afflusso delle giovani leve in montagna preludono magnifiche prospettive per l’estate, come la creazione di un vero esercito partigiano, che sembra ormai a portata di mano.
L’estate è la stagione più favorevole alla guerra di guerriglia, e per i partigiani questo significa una stagione di ottimismo, la stagione della “grande illusione”, cioè il pensiero che, dopo l’estate, non ci sarà un altro inverno di guerra, ipotesi rafforzata da una ordinata ritirata dei tedeschi, che abbandonano la linea Gustav per attestarsi sulla linea Gotica. La prospettiva insurrezionale infiamma i comandi partigiani e i partiti, Pci in testa, intensificano la propaganda per massimizzare il coinvolgimento delle masse; spesso, però, il risultato ottenuto è diametralmente opposto: l’opinione prevalente tra le masse operaie, Milano e Torino comprese, è che “siamo alla fine, a che vale fare delle inutili vittime, tanto i tedeschi se ne vanno lo stesso” <18.
Nell’estate del 1944 la Resistenza armata è in costante espansione. Rispetto ai mesi precedenti l’autorevolezza e la capacità organizzativa del Clnai sono decisamente aumentate <19, grazie anche all’adesione della maggior parte delle forze partigiane del Cvl, ma soprattutto alla creazione del comando militare unitario, che a livello periferico troverà i suoi corrispettivi nei comandi militari regionali e di zona. È questo un momento evolutivo decisivo, caratterizzato dal progetto di creazione di un “esercito partigiano”, con divisioni, brigate, distaccamenti, squadre. Vengono introdotte numerose novità rilevanti: diffusione della stampa partigiana; adozione di distintivi e divise; obbligo per ogni formazione di redigere rapporti regolarmente trasmessi al comando generale del Cvl <20. Cambiano i modi in cui viene somministrata la giustizia <21, così come le modalità per la ripartizione dei fondi <22. Il tentativo di trasformare delle bande multiformi e variamente composite in un vero e proprio esercito, ha come presupposto l’accordo tra i due partiti più profondamente coinvolti nella lotta armata, egemonizzando la maggior parte delle formazioni partigiane. La più consistente novità, in questo campo, è un accordo straordinariamente saldo tra azionisti e comunisti, formalmente sancito dalla partecipazione paritetica di Ferruccio Parri e Luigi Longo al comando generale del Cvl.
L’estate del 1944 è il momento in cui diviene più che mai egemone la volontà politica dei partiti antifascisti di guidare (o controllare) la lotta armata. La figura del commissario politico, che inizialmente caratterizzava le Brigate Garibaldi, acquista ora “un ben definito carattere di ufficialità con la creazione del Cvl”, che ne equipara il grado a quello dei comandanti militari <23. La necessità di amministrare ampie zone e l’obiettivo di sperimentarvi concretamente il rinnovamento politico e sociale rendono urgente l’istanza di adottare un modello di comportamento il più possibile attinente alle direttive del Clnai. Diviene così rapidamente superato il modello di lotta armata centrato sulla frammentazione in bande più o meno autonome dal Cln, comandate da capi privi di investitura dall’alto, che basano il loro potere sul carisma personale. Diminuisce progressivamente la tolleranza nei confronti delle bande che rifiutano l’inquadramento, molte vengono accusate di banditismo, spesso con il pretesto di rimuovere personaggi scomodi o riottosi. La Resistenza è ormai già protesa verso il dopoguerra, alla partecipazione a una lotta di liberazione che tenga conto dello scenario politico successivo.
La continua spinta degli alleati, intanto, costringe le truppe tedesche a concentrare i loro sforzi sulla difesa della linea gotica, occupandosi dei partigiani solo quando le loro azioni giungono a minacciare concretamente zone ritenute vitali per il fronte. Intanto, le forze armate della Rsi si rivelano del tutto inadeguate nel mantenere il controllo dell’intero territorio del Nord Italia. La situazione è molto fluida, ma, in generale, si può dire che il territorio controllato dai partigiani sia, in questo periodo, in continua espansione. Una volta creatasi una “zona libera”, la possibilità di insediamento di nuove forme di potere politico-amministrativo è dipendente, oltre che dagli orientamenti dei generali partigiani, dalla necessità contingente di organizzare al più presto la vita materiale delle popolazioni, e in particolare di assicurarsi rifornimenti alimentari. La posizione geografica di queste zone libere, in alcuni casi, favorisce ritorsioni da parte dei tedeschi, che possono facilmente isolare i distretti partigiani, sospendendo l’arrivo di risorse dalla pianura. Ovunque la speranza è quella di un radicale rinnovamento dei contenuti, delle forme e dei simboli del potere politico, che dipende fortemente sia dall’orientamento dei comandanti partigiani, sia dalla collaborazione delle popolazioni coinvolte.
Dal punto di vista militare, però, nemmeno per la Resistenza della grande espansione estiva è positivo. I più ottimisti si fanno sostenitori della necessità di ampliare il più possibile l’area di reclutamento partigiano, e di più solide e attrezzate basi, da cui poter non solo continuare la guerriglia, ma anche trasformarla in una vera e propri guerra. Questi aspetti si sarebbero rivelati realistici e positivi esclusivamente nel caso in cui l’insurrezione generale fosse stata realmente prossima, ma il dissolversi delle più ottimistiche previsioni finisce per accentuare gli aspetti negativi della situazione, mettendo in luce l’impossibilità di competere militarmente con le forze armate regolari.
Da agosto 1944 la strategia tedesca attraversa una mutazione radicale. È difficile tracciare una linea temporale precisa che separi nitidamente la fase espansiva della resistenza da quella dei grandi rastrellamenti tedeschi. Quello del tardo autunno partigiano è un panorama piuttosto sconfortante: la sconfitta che inizia a delinearsi all’orizzonte riaccende le diatribe interne che la speranza riposta in primavera nell’ipotesi dell’insurrezione generale era riuscita a quietare. Due sono i fattori principali che portano a questo rovesciamento delle posizioni di combattimento tra tedeschi e partigiani: i partigiani sono tendenzialmente male armati, con artiglieria sufficiente a resistere al massimo a poche ore di fuoco, mentre mancano completamente di armi pesanti o di strumenti di comunicazione per coordinare azioni militari complesse; la pletora di disertori e renitenti, che costituiva le nuove leve dell’esercito partigiano, finisce per danneggiare l’efficienza dello stesso, a causa della loro inesperienza e della loro mancanza di disciplina. A tutto questo si aggiunge l’inizio del secondo inverno della Resistenza, anticipato da un clima molto rigido e da abbondanti nevicate, mentre le truppe alleate, dopo una stagione di conquiste, si sono ormai arenate sulle loro posizioni.
A questa gravissima crisi interna si aggiunsero, molto presto, nuove notizie poco rassicuranti, come la grande controffensiva tedesca nelle Ardenne. Per i partigiani, il cui morale era ormai molto basso, questo fu il concretizzarsi del peggiore degli incubi. In questo periodo, notizie di intere bande che si consegnano al nemico, o di abbandoni individuali tali da decimare intere formazioni, sono copiose. Lo sconvolgimento cui è sottoposta la struttura stessa della Resistenza è enorme, ed è aggravata dalle necessità politiche di frenare in tutti i modi di porre freno allo sbandamento. Mai come ora è fondamentale il ruolo dell’organizzazione e della volontà politica. Se non si giunge al dissolvimento è solamente grazie al fatto che un anno di esperienze e di problemi organizzativi hanno prodotto una struttura notevolmente salda al centro, e una selezione di quadri locali in grado di interpretare con realismo e necessità le difficoltà che la Resistenza stava affrontando. Divenne oggettivamente impossibile continuare a mantenere le formazioni in montagna, dov’erano prive di rifornimenti, di basi e dell’appoggio della popolazione, ormai stremata e priva di risorse. La pianurizzazione dell’esercito partigiano divenne, a questo punto, una scelta obbligata. In alcuni, non poi così isolati, casi, il trasferimento in pianura coincise con un aumento dell’attività di guerriglia, ma non fu sufficiente questa a rilanciare l’attività della Resistenza.
[NOTE]
16 Lettera di Ferruccio Parri a Ugo La Malfa, maggio 1994; in F. Parri, Scritti 1915-1975.
17 “La nostra lotta”, maggio 1944, n. 9; in L. Longo, Sulla via dell’insurrezione nazionale.
18 Lettera di Pietro Secchia dell’8 settembre 1944, riportata in Amendola, Lettere a Milano.
19 F. Catalano, Storia del Clnai, Laterza, Bari, 1956.
20 Circolare del 16 agosto 1944, in Rochat (a cura di), Atti.
21 G. Solaro, Note sulla giustizia partigiana, in F. Vendramin (a cura di), Aspetti militari della resistenza bellunese e veneta. Tra ricerca e testimonianza, Isbrec, Quaderno di Protagonisti, n. 5, 1991.
22 A. Pizzoni, Il finanziamento, in Anche l’Italia ha vinto, numero speciale di “Mercurio”, II, dic. 1945, n. 16.
23 F. Catalano, Storia del Clnai, Laterza, Bari, 1956.
Giulia Arnaldi, Partigiane tra guerra e dopoguerra: donne e politica in Veneto, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022

sabato 14 giugno 2025

Con l'arrivo degli alleati a Roma Dosi ebbe la possibilità di riabilitare la sua posizione


Il 19 giugno del 1939 [Giuseppe Dosi] fu condotto a Regina Coeli, nel terzo braccio, quello dei politici, fu posto in “stretto isolamento cellulare a disposizione del capo della polizia”. Fu dichiarato soggetto pericoloso. Alla prigione seguì il manicomio. Dopo tre mesi di carcere duro fu visitato da uno psichiatra inviato dal Ministero di Grazia e Giustizia. Dopo quella visita, il 21 settembre, venne prelevato da Regina Coeli e inviato al manicomio provinciale di S. Maria della Pietà. Venne rinchiuso nel padiglione XVIII per diciassette mesi, ne è testimonianza un ricorso straordinario avanzato per ottenere l’annullamento del decreto di dispensa dal servizio, che indirizzò al Ministero dell’Interno -289 per cercare, dopo la morte del capo della Polizia Arturo Bocchini, a suo giudizio detrattore principale, di recuperare la sua posizione. Fu liberato nel gennaio del 1941, quando la guerra era già scoppiata, tornò a vivere a Roma in via Veio, 54 dalla sua famiglia. Non appartenendo più al corpo della polizia, cercò e ottenne un posto di funzionario amministrativo all’Ente italiano per le audizioni radiofoniche -290 (Eiar) -291 nella sede di via Botteghe Oscure 54; lì rimase fino alla fine di gennaio 1944, quando rifiutò di trasferirsi al Nord per lavorare nei servizi radio della Repubblica Sociale Italiana. All’Eiar si occupò di pratiche amministrative, di inchieste disciplinari, di vigilanza e di sicurezza, oltre che di reportage giornalistici.
Il 4 giugno del 1944, l’arrivo degli Alleati a Roma e la fuga degli occupanti nazi-fascisti, offrirono a Dosi la possibilità di riabilitare la sua posizione. Spontaneamente la mattina del 4 giugno Dosi, entrò nei locali del carcere di via Tasso abbandonato dagli occupanti per prelevare i documenti. L’ex carcere in quel momento era in balia della folla che aveva fatto irruzione liberando i prigionieri, saccheggiando e poi bruciando mobili, suppellettili e documenti.
Unica testimonianza di quei momenti concitati sono le fotografie che Dosi scattò. All’indomani si recò al Campidoglio <292 e riferì agli ufficiali alleati che era in possesso di numerosa documentazione tedesca tra cui elenchi di sabotatori e di collaborazionisti. Venne interrogato a lungo da due ufficiali appartenenti al Counter Intelligence Corp (Cic) <293, controspionaggio alleato, i quali vennero a conoscenza del fatto che fosse un ex-commissario capo della polizia italiana, consegnò loro alcuni elenchi di nomi ritrovati a via Tasso. Dopo qualche tempo, per evitare la diffusione di notizie a Dosi venne chiesto di consegnare tutte le carte tedesche in suo possesso. Allo stato attuale degli studi è possibile affermare, dopo l’individuazione ed il recupero delle carte appartenute a Giuseppe Dosi operato da chi scrive, che non tutto fu consegnato e che parte rimase nelle mani di Giuseppe Dosi <294. Una pubblicazione divulgò parzialmente, a distanza di poco tempo, il contenuto di quelle carte. Dosi con l’editore Realino Carboni nel 1946 diede alle stampe solo il primo volume dei tre previsti, il titolo scelto fu "Via Tasso: I. I misteri delle SS". Documenti originali raccolti e commentati da Giuseppe Dosi, gli altri non vennero mai pubblicati.
Verso la fine di giugno del 1944 venne condotto nuovamente nel comando alleato, in quell’occasione gli proposero l’assunzione come addetto alla German section all’interno del controspionaggio. Fu assunto in servizio come “tecnico speciale” in campo investigativo, prima alla German Section poi alla Political Section del Cic <295 - U.S. Army-Via Sicilia 59 - Roma, attuando un servizio di collegamento col Ministero dell’Interno e la Questura di Roma.
Le carte che compongono l’Archivio Dosi restituiscono l’attività svolta dallo stesso a partire dal periodo che coincide con il ritrovamento delle carte, all’impiego presso il Cic e poi presso l’Interpol. Dalle carte emerge che la prima parte della sua attività fu mirata al chiarimento di fatti ed episodi e all’identificazione certa dei personaggi che ruotavano intorno al comando di via Tasso. Dal luglio 1944 a dicembre dello stesso anno si occupò dell’analisi delle carte tedesche <296 che lui stesso recuperò.
Ebbe modo di verificare l’esistenza di una fitta rete di spionaggio che i tedeschi avevano intessuto a Roma attraverso l’analisi di piani e di elenchi di nomi recuperati, rivelò il ruolo di molti agenti occupati nelle retrovie in azioni di sabotaggio nelle zone intorno a Roma <297. Queste indagini lo portarono ad intessere molteplici contatti professionali, molte volte svolse il ruolo di testimone nei processi <298 contro i nazisti Kappler, Maeltzer, Von Mackensen e di altri collaboratori assoldati dal comando di via Tasso nei nove mesi di occupazione. Ebbe modo di collaborare ai lavori della Commissione delle «Cave Ardeatine», offrendo preziose informazioni al prof. Attilio Ascarelli, prima, ed al prof. Ugo Sorrentino poi.
La seconda parte della sua attività condotta nel Cic, a partire dal gennaio del 1945, fu condizionata dal mutamento degli scenari politici internazionali. In seguito all’elezione del nuovo presidente americano Trumann, i cambiamenti
post-bellici che tratteggiarono nuovi equilibri internazionali bipolari innescarono, nell’Italia dell’immediato Dopoguerra, una dinamica di forze messe in atto dai settori militari dei servizi segreti americani, legati alla nascente guerra fredda che portarono forti mutamenti già a partire dalle settimane successive alla fine della guerra.
Il cambiamento del focus del Cic è riscontrabile negli incarichi affidati a Dosi e nella conseguente produzione di carte. Venne incaricato di monitorare le vicende dei partiti politici, della massoneria e la formazione di movimenti neo-fascisti. A fine mandato gli venne consegnata la Medal of Freedom <299, una benemerenza conferita dal presidente degli Stati Uniti. Rimase presso il comando alleato, con il grado di vice-questore, fino al giugno del 1946 <300. La sua totale riabilitazione sul fronte italiano avvenne il 20 maggio del 1946 quando fu riassunto in servizio. Il 10 giugno 1946, fu promosso vice-questore ed incaricato in qualità di corrispondente italiano delle comunicazioni con il Treasure department di Washington-Bureau of narcotic per gli affari riguardanti il narcotraffico. Partecipò alla riorganizzazione di quella che una volta era la Commissione internazionale di polizia di Vienna <301 e che sarebbe diventata l’Interpol. Termine, quest’ultimo, coniato durante una riunione a Parigi, grazie al suggerimento dello stesso Dosi, che di quell’organismo diventò parte integrante.
Dalla seconda metà del 1946 gli fu affidata la direzione dell’ufficio italiano Interpol presso la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, ufficio da lui organizzato ex-novo. Si specializzò in problemi di polizia aerea, di stupefacenti, di falsificazioni, e, per due volte, venne inviato come rappresentante dell’Italia all’Onu302. Partecipò attivamente alle assemblee annuali dell’Interpol, tenendo corsi di aggiornamento, lezioni e conferenze presso le scuola di polizia in Italia e all’estero.
Nel 1955 contribuì al recupero delle carte appartenute al generale Rodolfo Graziani, secondo quanto afferma, affidategli “in via del tutto personale-privata”, “salvandole da sicura dispersione all’estero” <303. Attualmente sono conservate, grazie al suo interessamento presso l’Archivio Centrale dello Stato. Fu posto in congedo nel 1956 con all’attivo nell’Interpol 31000 indagini effettuate e 364 arresti operati. Dopo il congedo venne nominato commendatore al merito della Repubblica e poi grande ufficiale. Ottenne la licenza di esercitare la professione di detective privato direttamente dal capo della Polizia e fondò, così, un'agenzia di investigazioni internazionali che chiamò «DOSI Inchieste Speciali»; ebbe il plauso del prefetto di Roma, Vincenzo Perruso <304.
Dopo il pensionamento si dedicò ad approfondire ulteriormente molte delle indagini a cui partecipò durante la sua carriera, facendo ricerche scrivendo e divulgandole in vari articoli, interviste, reportage, approfondimenti. Morì nel 1981.
[NOTE]
289 Il ricorso puntuale e molto ben documentato è conservato nell’archivio storico dell’ufficio storico della Polizia di Stato. Contiene in allegato una serie di documenti fondamentali per ricostruire la carriera e la vicenda Dosi a ridosso del suo arresto e durante la sua detenzione in carcere. Ufficio storico della Polizia di Stato, archivio storico, Dosi Giuseppe - Fascicolo personale pensionistico, 1903/A.
290 Il periodo trascorso all’Eiar è dettagliatamente descritto in una relazione che Dosi fece al Cic. Msl, Archivio Giuseppe Dosi, b. 2, fasc. 26.
291 D'ora in poi Eiar.
292 È lì che lo si vede immortalato in una famosa foto dove, alla sinistra del generale Clark, visibilmente dimagrito sale le scale verso il Campidoglio il 5 giugno 1944. U. GENTILONI, 4 Giugno… cit., p. 100.
293Il Counter Intelligence Corp fu un'agenzia di contro spionaggio dell'United States Army durante la Seconda guerra mondiale e nel Dopoguerra. La sua funzione era quella di attivare una rete di spionaggio per investigare su possibili sabotaggi, attività sovversive fornendo addestramento alle unità combattenti in materia di sicurezza, censura, sequestro di documenti e sul pericolo delle trappole esplosive.
294 La documentazione a cui ci si riferisce, recuperata nel 2009, attualmente costituisce il fondo Archivio Giuseppe Dosi che è conservato presso il Museo storico della Liberazione.
295 Il comando aveva la sua sede a Roma in via Sicilia 59. L’indirizzo compare su numerosi documenti. In un rapporto del capitano James Jesus Angleton - secondo quanto afferma Nicola Tranfaglia nel suo volume - si legge che “il quartier generale dell’X-2 e delle unità Z dello Sci è situato in via Sicilia, 59, presso il Teatro delle Arti. Nello stesso edificio si trovano anche il Cic, lo Sci (Special counter intelligence) britannico, il National intelligence unit (Niu), l’Fss (Field security service), il G-2, il quartier generale delle forze armate americane e altri per un totale di otto ambienti”. N. TRANFAGLIA, Come nasce una repubblica, Milano, Bompiani, 2004, p. 346-347.
296 Nel 1956 Dosi, ormai in pensione, rilascia una serie di interviste al giornalista Renzo Trionfera in cui parla diffusamente della sua carriere. R. TRIONFERA, Le memorie del capo italiano dell’Interpol in «L’Europeo», a. 12, n° 564 e segg.
297 R. TRIONFERA, Le memorie … cit., n. 573, 7 ottobre 1956, p. 22.
298 Questo è il caso dei procedimenti giudiziari a carico di Mario Frigenti e di Domenico Campana celebrati nel 1948 dalla Corte d’Appello di Roma. All’interno dei fascicoli istruttori si trovano lettere manoscritte di Dosi a cui sono allegate schede matricolari del carcere di Regina Coeli e altra documentazione tedesca utilizzata come prove a carico degli imputati nel procedimento. Asrm, Cap, sezione istruttoria, b. 1140.
299 Nella motivazione si legge “Giuseppe Dosi, commendatore dottore italiano per condotta eccezionalmente meritevole nell’esecuzione di rilevanti servizi sul fronte di operazioni del Mediterraneo dal 6 giugno 1944 al 5 maggio 1946. La lealtà di Dosi, la sua integrità, la sua inesauribile devozione al dovere sono state di inestimabile assistenza al corpo di controspionaggio dell’esercito degli Stati Uniti. La sua vasta esperienza ed i suoi inflessibili sforzi sono stati responsabili per la distruzione di alcune delle più valutate organizzazioni nemiche di spionaggio. L’abilità, la comprensione e gli instancabili sforzi del dott. Dosi hanno contribuito immensamente alla sicurezza dell’organizzazione militare alleata e la sua condotta è stata in accordo con le più alte tradizioni del servizio militare. Rimase, poi, in servizio fino al novembre 1947. La motivazione è stata pubblica sul bollettino “General order” n. 146. Il documento è in possesso della famiglia.
300 Risale al 16 agosto 1944 una richiesta avanzata dal maggiore Floyd Snowden diretta al Ministro dell’Interno per chiedere la riammissione in servizio.
301 Fondata nel 1923 aveva lo scopo di collegare le polizie di più paesi.
302 È lì che lo conobbe Indro Montanelli, che nel volume 'I busti al Pincio' riferisce che Dosi, «sovente andava a riferire all’Onu». In quel caso si trovava all’Onu davanti alla commissione narcotici rappresentando il governo italiano e difendendolo dall’accusa internazionale di favorire o non curarsi a dovere del traffico di stupefacenti. I. MONTANELLI, I busti al Pincio, Milano, Longanesi, 1956, p. 319.
303 La vicenda legata al recupero delle Carte Graziani, attualmente conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato, è molto articolata. Nel febbraio del 1955 Giuseppe Dosi contattò il Soprintendente dell’Archivio Centrale dello Stato, Armando Lodolini, esprimendo la volontà di depositare sei fascicoli di carte appartenute a Rodolfo Graziani. Alla missiva (protocollo generale n. 413/96 del 28 marzo 1955) era allegato un elenco di consistenza di massima. Se ne fornisce qualche elemento. Oltre alle memorie redatte da Graziani da Addis Abeba, nelle carte si trova: numerosa rassegna stampa con commenti autografi di Rodolfo Graziani, Graziani carteggi vari di guerra, lettere autografe e telegrammi, carteggi con Pietro Badoglio, diplomi e riconoscimenti. Gli elementi per ricostruire il ruolo avuto da Giuseppe Dosi nel versamento delle carte Graziani in Archivio Centrale dello Stato sono stati possibili grazie alla disponibilità ed al confronto avuto con Margherita Martelli.
304 G. DOSI, II mostro… cit., p. 9.
Alessia A. Glielmi, Guida all’archivio del Museo storico della Liberazione e inventariazione del materiale documentario delle forze tedesche di occupazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2011-2012

lunedì 2 giugno 2025

Il governo Forlani affonda a causa dello scandalo della loggia massonica P2


I risultati delle politiche del 3 e 4 giugno 1979 lasciano trapelare due dati significativi: a) l’incalzante scontento degli elettori, che si registra con il 10% delle astensioni e le 840.000 schede bianche; b) il primo arretramento del Pci dal 1946, con il 30% dei voti che segna la perdita di quattro punti percentuali. Stabili, invece, Dc (38,3%) e Psi (9,8%) <281. Il risultato elettorale segna in maniera definitiva la fine del “compromesso storico”. Infatti, l’arretramento del partito comunista rende ancora più irreversibile il veto già posto dalla Dc a un ingresso dei comunisti al governo, che, come si è visto poc’anzi, è d’altra parte l’unica condizione a cui il Pci è disposto a mantenere l’alleanza con la democrazia cristiana. Si verifica quindi un ritorno alla conventio ad excludendum, sebbene, a differenza di quanto avvenuto in passato, le ragioni della scelta politica di esclusione dei comunisti non trovano più fondamento in una scelta dell’elettorato, bensì in una strategia politica riconducibile in toto ai partiti politici di maggioranza <282.
Il 27 giugno iniziano quindi le consultazioni del Capo dello Stato (si terranno ben tre cicli), che abbandona il principio della esclusione dai colloqui dei non parlamentari. E’ in questa fase che Pertini “comincia a coltivare dentro di sé un preciso disegno politico […]: la fine del monopolio democristiano alla guida del governo e l’avvento di un socialista a Palazzo Chigi” <283. A tal fine, il Capo dello Stato, dopo un primo tentativo Andreotti - il cui fallimento è principalmente dovuto al veto posto dai socialisti, che l’ex Primo Ministro si era inimicato per non aver consentito lo svolgimento delle elezioni europee nello stesso giorno di quelle politiche - convoca Bettino Craxi, che nel corso della campagna elettorale si era fatto portatore dell’esigenza di governabilità del Paese e aveva paventato l’ipotesi di un’alternanza alla guida governativa di socialisti e democristiani. Tuttavia, il tentativo di porre un socialista alla presidenza dell’Esecutivo si rivela prematuro: questo, infatti, si scontra con l’opposizione della Democrazia Cristiana, niente affatto disposta a cedere la poltrona della presidenza. In realtà, nella Dc c’è una corrente che, in contrasto con le posizioni della segreteria, è propensa a un riavvicinamento ai socialisti: è la corrente guidata da Forlani. Per tale motivo, Pertini chiede a Forlani di accettare l’incarico, che tuttavia rifiuta di formare un governo “conseguente a decisioni che avev[a] criticato nella direzione” del suo partito <284. Viene fatto quindi un tentativo con Filippo Maria Pandolfi, democristiano: egli redige anche una lista di ministri, ma ancora una volta i socialisti si oppongono fermamente e l’incarico non va in porto. E’ quindi il turno di Francesco Cossiga, cui Pertini conferisce l’incarico solo dopo essersi assicurato che non sarebbe arrivato l’ennesimo veto craxiano. Cossiga, costituito nell’agosto del 1979 un governo tripartito (Dc-Psdi-Pli e due ministri tecnici di area socialista voluti dai comunisti), si presenta al Parlamento millantando un “rapporto speciale” con il Capo dello Stato - il quale peraltro non smentisce, dando spago a tutta quella parte della dottrina che, come anticipato, riscontra nell’opera di Pertini un eccessivo allargamento dei poteri presidenziali - e riesce a ottenere la fiducia grazie all’astensione dei comunisti <285.
Alla crisi del I ministero Cossiga, “pseudo-parlamentarizzata” come quella di Andreotti IV mediante un dibattito parlamentare cui non segue alcuna votazione, seguirà un altro esecutivo Cossiga (Dc-Psi-Pri), che vede una maggiore partecipazione dei socialisti (aprile 1980). E’ in questa occasione che Pertini invia al neo-incaricato una lettera circa l’esercizio della facoltà di scelta dei ministri che l’art. 92 Cost. attribuisce al Presidente del Consiglio incaricato: Pertini invita Cossiga a effettuare la scelta “con rigore nell’interesse dell’efficienza del Governo che sta per nascere e in modo che possa essere facilitato al Presidente del Consiglio il compito costituzionale di assicurare l’unità di indirizzo politico e amministrativo del Governo”; “nella scelta dei ministri”, continua la lettera, “sarà necessario aver presente non solo la loro competenza, ma anche la loro moralità” <286.
Intanto, Arnaldo Forlani conquista la presidenza del consiglio nazionale democristiano e i rapporti di forza interni al partito cambiano: prevale infatti la corrente dei cc.dd. “preambolisti” di Forlani, promotori di un nuovo avvicinamento al Psi. Non a caso, quindi - dimessosi Cossiga a causa dei franchi tiratori, che dopo aver espresso voto favorevole alla conversione di un decreto su cui era stata posta la questione di fiducia, nella subito successiva votazione a scrutinio segreto fanno cadere il medesimo disegno di legge <287 - Forlani viene incaricato per la formazione di un governo in grado di continuare l’alleanza di centro-sinistra (Dc-Psi-Psdi-Pri) <288. Il governo è destinato a rimanere in carica sette mesi: sette mesi di fuoco, segnati dal terremoto in Irpinia e dal terrorismo incalzante. Ma il governo Forlani affonda a causa di una vicenda di portata, dal punto di vista politico, ancora maggiore, costretto a dimettersi (maggio 1981) a causa dello scandalo della loggia massonica P2 che coinvolge tre ministri, vari sottosegretari e molti parlamentari di Dc, Psi, Psdi e Pli. I tentativi di Forlani di scongiurare una crisi di governo vengono vanificati dal veto di Craxi, che presumibilmente scorge in questo momento di forte destabilizzazione della classe dirigente il passepartout per la fine del dominio democristiano e la conquista socialista della direzione governativa <289.
Dopo un primo tentativo di re-incarico di Forlani, vanificato principalmente dalle nuove intenzioni socialiste, l’incarico, anche in questo caso accompagnato dalla raccomandazione di tenere presente la “questione morale” <290, viene affidato al segretario repubblicano Spadolini, il primo laico della storia repubblicana a presiedere il Consiglio dei ministri. E’ la sconfitta della Dc, costretta a cedere il proprio ruolo di partito aggregatore in favore dell’avvento del pentapartito: Spadolini forma un governo Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli (28 giugno 1981), che sostanzialmente esclude dalla maggioranza soltanto Msi e Pci. La dichiarazione programmatica di Spadolini si fonda su quattro emergenze che il Paese deve affrontare: morale, economica, terroristica e internazionale <291. Anche in questa occasione, il Presidente della Repubblica spende qualche parola ritenuta “di troppo” da parte della dottrina: “Spadolini lavora con molta attenzione e passione ai problemi del Paese […] Vuol dire che ho scelto bene. Per me quello di Spadolini non è un Governo transitorio: spero anzi che sia un Governo di legislatura. Quando gli ho affidato l’incarico Spadolini ha promesso che se ci sarà crisi dovrà essere manifestata in Parlamento. Bisogna che i partiti escano allo scoperto […] Spadolini sa di essere sostenuto dal Quirinale” <292.
Spadolini il 7 agosto 1982 presenta le dimissioni a seguito del voto contrario della Camera (a scrutinio segreto) su un decreto in materia tributaria, che rappresenta soltanto la punta dell’iceberg di una serie di contrasti sulla politica economica governativa. Nonostante il voto contrario sia causato dai franchi tiratori della democrazia cristiana, è Craxi che, conseguentemente alla mancata approvazione del decreto, dichiara di ritirare la delegazione socialista dal governo. Segue una riedizione del governo precedente, che viene ribattezzato dai quotidiani “governo fotocopia” (23 agosto 1982): del resto, l’episodio si spiega sulla base della circostanza che il governo non aveva di fatto perso la fiducia dei partiti. Infatti, il voto contrario al decreto era stato strumentalizzato da Craxi per la realizzazione delle sue aspirazioni alla presidenza. Ma lo stesso Craxi, resosi conto dell’impatto che la determinazione di una crisi avrebbe avuto sull’opinione pubblica, si presta a conferire nuovamente l’appoggio al Governo. Se il governo Spadolini II si presenta come una mera riedizione del primo, ha però il merito di porre al centro del dibattito politico il tema delle riforme istituzionali, che nell’aprile del 1983 condurranno all’istituzione della prima commissione bicamerale per le riforme costituzionali <293.
[NOTE]
281 Cfr. A. Manzella, op. cit., p. 117; G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 180.
282 Cfr. A. Baldassarre, “Fase di transizione” o mutamento del sistema?, in Quaderni Costituzionali n. 2/1981, Bologna, il Mulino, pp. 330-331.
283 G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 180. Della stessa idea sembra essere Paolo Armaroli, che critica a Pertini il tentativo di riesumare una prassi prefascista in base alla quale l’incarico per la formazione del nuovo governo
spetterebbe a chi ha causato la crisi del precedente (cfr. P. Armaroli, op. cit., pp. 586-587).
284 La dichiarazione di Forlani è riportata in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 40.
285 Cfr. A. Baldassarre - C. Mezzanotte, op. cit., pp. 241-243; G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., pp. 180-182; P. Armaroli, op. cit., pp. 583-584; 587-588. Per la ricostruzione dell’iter di formazione del governo, cfr. ASPR, Ufficio
per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, buste 40-41.
286 Lettera di Pertini a Cossiga del 31 marzo 1980, in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 42.
287 L’allora art. 116 r.C. ammetteva la possibilità per il governo di porre la questione di fiducia su un progetto di legge di un solo articolo, “salva la votazione finale del progetto a scrutinio segreto” (cfr. P. Armaroli, op. cit., p. 589).
288 E’ in occasione dell’insediamento del governo Forlani (ottobre 1980) che viene dato avvio alla prassi della lettura delle dichiarazioni programmatiche del governo a un solo ramo del Parlamento, con la successiva trasmissione del testo all’altro ramo.
289 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 43; F. Savastano, Spadolini e la fine della dinastia Dc a Palazzo Chigi, in Aa. Vv., 2013, pp. 1-3.
290 G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 185. Sul tema cfr. E. Berlinguer, La questione morale, La storica intervista di Eugenio Scalfari, Reggio Emilia, Aliberti Editore, 2012).
291 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, buste 44-45.
292 Intervista a Sandro Pertini, pubblicata su Oggi del 7 ottobre 1981, riportata in parte da P. Armaroli, op. cit., p. 581. Anche la stessa procedura di formazione del governo Spadolini non è rimasta avulsa dai commenti della dottrina sulla centralità del ruolo del Capo dello Stato. In effetti, l’iter di formazione del governo presenta una circostanza inedita: Spadolini accetta immediatamente l’incarico (18 giugno), ma aspetta dieci giorni per presentare la lista dei ministri (28 giugno), probabilmente temendo che, se avesse aspettato, le consultazioni elettorali previste per il 21 e il 22 giugno avrebbero acuito la litigiosità dei partiti e vanificato il tentativo di formazione di un governo. Paolo Armaroli, in particolare, pur escludendo la natura palatina del governo Spadolini, pone l’accento sul ruolo fondamentale del Capo dello Stato, “paladino della stabilità ministeriale”, nella gestione della crisi governativa: in sostanza, come dichiarato dallo stesso Pertini in un’intervista, il governo Spadolini è “sostenuto dal Quirinale”. In questo modo, tuttavia, si snatura l’essenza stessa del regime parlamentare, in quanto la fiducia del parlamento diviene una mera “comparsa” (P. Armaroli, La spada di Damocle del parlamentarismo, in Il Tempo del 22 dicembre 1981, consultabile in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 44).
293 In questo contesto, Spadolini rivendica la titolarità della scelta dei ministri in capo al Presidente del Consiglio incaricato, e non ai partiti della maggioranza, che di fatto sono sempre stati i veri designatari delle personalità che avrebbero ricoperto le poltrone ministeriali. Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 45; F. Savastano, op. cit., pp. 11-14. Sull’andamento delle riforme cfr. E. Cheli, Crisi di governo e problemi istituzionali, in il Messaggero del 24 novembre 1982 (consultabile in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 46).
Elena Pattaro, I "governi del Presidente", Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015