I risultati delle politiche del 3 e 4 giugno 1979 lasciano trapelare due dati significativi: a) l’incalzante scontento degli elettori, che si registra con il 10% delle astensioni e le 840.000 schede bianche; b) il primo arretramento del Pci dal 1946, con il 30% dei voti che segna la perdita di quattro punti percentuali. Stabili, invece, Dc (38,3%) e Psi (9,8%) <281. Il risultato elettorale segna in maniera definitiva la fine del “compromesso storico”. Infatti, l’arretramento del partito comunista rende ancora più irreversibile il veto già posto dalla Dc a un ingresso dei comunisti al governo, che, come si è visto poc’anzi, è d’altra parte l’unica condizione a cui il Pci è disposto a mantenere l’alleanza con la democrazia cristiana. Si verifica quindi un ritorno alla conventio ad excludendum, sebbene, a differenza di quanto avvenuto in passato, le ragioni della scelta politica di esclusione dei comunisti non trovano più fondamento in una scelta dell’elettorato, bensì in una strategia politica riconducibile in toto ai partiti politici di maggioranza <282.
Il 27 giugno iniziano quindi le consultazioni del Capo dello Stato (si terranno ben tre cicli), che abbandona il principio della esclusione dai colloqui dei non parlamentari. E’ in questa fase che Pertini “comincia a coltivare dentro di sé un preciso disegno politico […]: la fine del monopolio democristiano alla guida del governo e l’avvento di un socialista a Palazzo Chigi” <283. A tal fine, il Capo dello Stato, dopo un primo tentativo Andreotti - il cui fallimento è principalmente dovuto al veto posto dai socialisti, che l’ex Primo Ministro si era inimicato per non aver consentito lo svolgimento delle elezioni europee nello stesso giorno di quelle politiche - convoca Bettino Craxi, che nel corso della campagna elettorale si era fatto portatore dell’esigenza di governabilità del Paese e aveva paventato l’ipotesi di un’alternanza alla guida governativa di socialisti e democristiani. Tuttavia, il tentativo di porre un socialista alla presidenza dell’Esecutivo si rivela prematuro: questo, infatti, si scontra con l’opposizione della Democrazia Cristiana, niente affatto disposta a cedere la poltrona della presidenza. In realtà, nella Dc c’è una corrente che, in contrasto con le posizioni della segreteria, è propensa a un riavvicinamento ai socialisti: è la corrente guidata da Forlani. Per tale motivo, Pertini chiede a Forlani di accettare l’incarico, che tuttavia rifiuta di formare un governo “conseguente a decisioni che avev[a] criticato nella direzione” del suo partito <284. Viene fatto quindi un tentativo con Filippo Maria Pandolfi, democristiano: egli redige anche una lista di ministri, ma ancora una volta i socialisti si oppongono fermamente e l’incarico non va in porto. E’ quindi il turno di Francesco Cossiga, cui Pertini conferisce l’incarico solo dopo essersi assicurato che non sarebbe arrivato l’ennesimo veto craxiano. Cossiga, costituito nell’agosto del 1979 un governo tripartito (Dc-Psdi-Pli e due ministri tecnici di area socialista voluti dai comunisti), si presenta al Parlamento millantando un “rapporto speciale” con il Capo dello Stato - il quale peraltro non smentisce, dando spago a tutta quella parte della dottrina che, come anticipato, riscontra nell’opera di Pertini un eccessivo allargamento dei poteri presidenziali - e riesce a ottenere la fiducia grazie all’astensione dei comunisti <285.
Alla crisi del I ministero Cossiga, “pseudo-parlamentarizzata” come quella di Andreotti IV mediante un dibattito parlamentare cui non segue alcuna votazione, seguirà un altro esecutivo Cossiga (Dc-Psi-Pri), che vede una maggiore partecipazione dei socialisti (aprile 1980). E’ in questa occasione che Pertini invia al neo-incaricato una lettera circa l’esercizio della facoltà di scelta dei ministri che l’art. 92 Cost. attribuisce al Presidente del Consiglio incaricato: Pertini invita Cossiga a effettuare la scelta “con rigore nell’interesse dell’efficienza del Governo che sta per nascere e in modo che possa essere facilitato al Presidente del Consiglio il compito costituzionale di assicurare l’unità di indirizzo politico e amministrativo del Governo”; “nella scelta dei ministri”, continua la lettera, “sarà necessario aver presente non solo la loro competenza, ma anche la loro moralità” <286.
Intanto, Arnaldo Forlani conquista la presidenza del consiglio nazionale democristiano e i rapporti di forza interni al partito cambiano: prevale infatti la corrente dei cc.dd. “preambolisti” di Forlani, promotori di un nuovo avvicinamento al Psi. Non a caso, quindi - dimessosi Cossiga a causa dei franchi tiratori, che dopo aver espresso voto favorevole alla conversione di un decreto su cui era stata posta la questione di fiducia, nella subito successiva votazione a scrutinio segreto fanno cadere il medesimo disegno di legge <287 - Forlani viene incaricato per la formazione di un governo in grado di continuare l’alleanza di centro-sinistra (Dc-Psi-Psdi-Pri) <288. Il governo è destinato a rimanere in carica sette mesi: sette mesi di fuoco, segnati dal terremoto in Irpinia e dal terrorismo incalzante. Ma il governo Forlani affonda a causa di una vicenda di portata, dal punto di vista politico, ancora maggiore, costretto a dimettersi (maggio 1981) a causa dello scandalo della loggia massonica P2 che coinvolge tre ministri, vari sottosegretari e molti parlamentari di Dc, Psi, Psdi e Pli. I tentativi di Forlani di scongiurare una crisi di governo vengono vanificati dal veto di Craxi, che presumibilmente scorge in questo momento di forte destabilizzazione della classe dirigente il passepartout per la fine del dominio democristiano e la conquista socialista della direzione governativa <289.
Dopo un primo tentativo di re-incarico di Forlani, vanificato principalmente dalle nuove intenzioni socialiste, l’incarico, anche in questo caso accompagnato dalla raccomandazione di tenere presente la “questione morale” <290, viene affidato al segretario repubblicano Spadolini, il primo laico della storia repubblicana a presiedere il Consiglio dei ministri. E’ la sconfitta della Dc, costretta a cedere il proprio ruolo di partito aggregatore in favore dell’avvento del pentapartito: Spadolini forma un governo Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli (28 giugno 1981), che sostanzialmente esclude dalla maggioranza soltanto Msi e Pci. La dichiarazione programmatica di Spadolini si fonda su quattro emergenze che il Paese deve affrontare: morale, economica, terroristica e internazionale <291. Anche in questa occasione, il Presidente della Repubblica spende qualche parola ritenuta “di troppo” da parte della dottrina: “Spadolini lavora con molta attenzione e passione ai problemi del Paese […] Vuol dire che ho scelto bene. Per me quello di Spadolini non è un Governo transitorio: spero anzi che sia un Governo di legislatura. Quando gli ho affidato l’incarico Spadolini ha promesso che se ci sarà crisi dovrà essere manifestata in Parlamento. Bisogna che i partiti escano allo scoperto […] Spadolini sa di essere sostenuto dal Quirinale” <292.
Spadolini il 7 agosto 1982 presenta le dimissioni a seguito del voto contrario della Camera (a scrutinio segreto) su un decreto in materia tributaria, che rappresenta soltanto la punta dell’iceberg di una serie di contrasti sulla politica economica governativa. Nonostante il voto contrario sia causato dai franchi tiratori della democrazia cristiana, è Craxi che, conseguentemente alla mancata approvazione del decreto, dichiara di ritirare la delegazione socialista dal governo. Segue una riedizione del governo precedente, che viene ribattezzato dai quotidiani “governo fotocopia” (23 agosto 1982): del resto, l’episodio si spiega sulla base della circostanza che il governo non aveva di fatto perso la fiducia dei partiti. Infatti, il voto contrario al decreto era stato strumentalizzato da Craxi per la realizzazione delle sue aspirazioni alla presidenza. Ma lo stesso Craxi, resosi conto dell’impatto che la determinazione di una crisi avrebbe avuto sull’opinione pubblica, si presta a conferire nuovamente l’appoggio al Governo. Se il governo Spadolini II si presenta come una mera riedizione del primo, ha però il merito di porre al centro del dibattito politico il tema delle riforme istituzionali, che nell’aprile del 1983 condurranno all’istituzione della prima commissione bicamerale per le riforme costituzionali <293.
[NOTE]
281 Cfr. A. Manzella, op. cit., p. 117; G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 180.
282 Cfr. A. Baldassarre, “Fase di transizione” o mutamento del sistema?, in Quaderni Costituzionali n. 2/1981, Bologna, il Mulino, pp. 330-331.
283 G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 180. Della stessa idea sembra essere Paolo Armaroli, che critica a Pertini il tentativo di riesumare una prassi prefascista in base alla quale l’incarico per la formazione del nuovo governo
spetterebbe a chi ha causato la crisi del precedente (cfr. P. Armaroli, op. cit., pp. 586-587).
284 La dichiarazione di Forlani è riportata in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 40.
285 Cfr. A. Baldassarre - C. Mezzanotte, op. cit., pp. 241-243; G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., pp. 180-182; P. Armaroli, op. cit., pp. 583-584; 587-588. Per la ricostruzione dell’iter di formazione del governo, cfr. ASPR, Ufficio
per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, buste 40-41.
286 Lettera di Pertini a Cossiga del 31 marzo 1980, in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 42.
287 L’allora art. 116 r.C. ammetteva la possibilità per il governo di porre la questione di fiducia su un progetto di legge di un solo articolo, “salva la votazione finale del progetto a scrutinio segreto” (cfr. P. Armaroli, op. cit., p. 589).
288 E’ in occasione dell’insediamento del governo Forlani (ottobre 1980) che viene dato avvio alla prassi della lettura delle dichiarazioni programmatiche del governo a un solo ramo del Parlamento, con la successiva trasmissione del testo all’altro ramo.
289 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 43; F. Savastano, Spadolini e la fine della dinastia Dc a Palazzo Chigi, in Aa. Vv., 2013, pp. 1-3.
290 G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 185. Sul tema cfr. E. Berlinguer, La questione morale, La storica intervista di Eugenio Scalfari, Reggio Emilia, Aliberti Editore, 2012).
291 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, buste 44-45.
292 Intervista a Sandro Pertini, pubblicata su Oggi del 7 ottobre 1981, riportata in parte da P. Armaroli, op. cit., p. 581. Anche la stessa procedura di formazione del governo Spadolini non è rimasta avulsa dai commenti della dottrina sulla centralità del ruolo del Capo dello Stato. In effetti, l’iter di formazione del governo presenta una circostanza inedita: Spadolini accetta immediatamente l’incarico (18 giugno), ma aspetta dieci giorni per presentare la lista dei ministri (28 giugno), probabilmente temendo che, se avesse aspettato, le consultazioni elettorali previste per il 21 e il 22 giugno avrebbero acuito la litigiosità dei partiti e vanificato il tentativo di formazione di un governo. Paolo Armaroli, in particolare, pur escludendo la natura palatina del governo Spadolini, pone l’accento sul ruolo fondamentale del Capo dello Stato, “paladino della stabilità ministeriale”, nella gestione della crisi governativa: in sostanza, come dichiarato dallo stesso Pertini in un’intervista, il governo Spadolini è “sostenuto dal Quirinale”. In questo modo, tuttavia, si snatura l’essenza stessa del regime parlamentare, in quanto la fiducia del parlamento diviene una mera “comparsa” (P. Armaroli, La spada di Damocle del parlamentarismo, in Il Tempo del 22 dicembre 1981, consultabile in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 44).
293 In questo contesto, Spadolini rivendica la titolarità della scelta dei ministri in capo al Presidente del Consiglio incaricato, e non ai partiti della maggioranza, che di fatto sono sempre stati i veri designatari delle personalità che avrebbero ricoperto le poltrone ministeriali. Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 45; F. Savastano, op. cit., pp. 11-14. Sull’andamento delle riforme cfr. E. Cheli, Crisi di governo e problemi istituzionali, in il Messaggero del 24 novembre 1982 (consultabile in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 46).
Elena Pattaro, I "governi del Presidente", Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015
Il 27 giugno iniziano quindi le consultazioni del Capo dello Stato (si terranno ben tre cicli), che abbandona il principio della esclusione dai colloqui dei non parlamentari. E’ in questa fase che Pertini “comincia a coltivare dentro di sé un preciso disegno politico […]: la fine del monopolio democristiano alla guida del governo e l’avvento di un socialista a Palazzo Chigi” <283. A tal fine, il Capo dello Stato, dopo un primo tentativo Andreotti - il cui fallimento è principalmente dovuto al veto posto dai socialisti, che l’ex Primo Ministro si era inimicato per non aver consentito lo svolgimento delle elezioni europee nello stesso giorno di quelle politiche - convoca Bettino Craxi, che nel corso della campagna elettorale si era fatto portatore dell’esigenza di governabilità del Paese e aveva paventato l’ipotesi di un’alternanza alla guida governativa di socialisti e democristiani. Tuttavia, il tentativo di porre un socialista alla presidenza dell’Esecutivo si rivela prematuro: questo, infatti, si scontra con l’opposizione della Democrazia Cristiana, niente affatto disposta a cedere la poltrona della presidenza. In realtà, nella Dc c’è una corrente che, in contrasto con le posizioni della segreteria, è propensa a un riavvicinamento ai socialisti: è la corrente guidata da Forlani. Per tale motivo, Pertini chiede a Forlani di accettare l’incarico, che tuttavia rifiuta di formare un governo “conseguente a decisioni che avev[a] criticato nella direzione” del suo partito <284. Viene fatto quindi un tentativo con Filippo Maria Pandolfi, democristiano: egli redige anche una lista di ministri, ma ancora una volta i socialisti si oppongono fermamente e l’incarico non va in porto. E’ quindi il turno di Francesco Cossiga, cui Pertini conferisce l’incarico solo dopo essersi assicurato che non sarebbe arrivato l’ennesimo veto craxiano. Cossiga, costituito nell’agosto del 1979 un governo tripartito (Dc-Psdi-Pli e due ministri tecnici di area socialista voluti dai comunisti), si presenta al Parlamento millantando un “rapporto speciale” con il Capo dello Stato - il quale peraltro non smentisce, dando spago a tutta quella parte della dottrina che, come anticipato, riscontra nell’opera di Pertini un eccessivo allargamento dei poteri presidenziali - e riesce a ottenere la fiducia grazie all’astensione dei comunisti <285.
Alla crisi del I ministero Cossiga, “pseudo-parlamentarizzata” come quella di Andreotti IV mediante un dibattito parlamentare cui non segue alcuna votazione, seguirà un altro esecutivo Cossiga (Dc-Psi-Pri), che vede una maggiore partecipazione dei socialisti (aprile 1980). E’ in questa occasione che Pertini invia al neo-incaricato una lettera circa l’esercizio della facoltà di scelta dei ministri che l’art. 92 Cost. attribuisce al Presidente del Consiglio incaricato: Pertini invita Cossiga a effettuare la scelta “con rigore nell’interesse dell’efficienza del Governo che sta per nascere e in modo che possa essere facilitato al Presidente del Consiglio il compito costituzionale di assicurare l’unità di indirizzo politico e amministrativo del Governo”; “nella scelta dei ministri”, continua la lettera, “sarà necessario aver presente non solo la loro competenza, ma anche la loro moralità” <286.
Intanto, Arnaldo Forlani conquista la presidenza del consiglio nazionale democristiano e i rapporti di forza interni al partito cambiano: prevale infatti la corrente dei cc.dd. “preambolisti” di Forlani, promotori di un nuovo avvicinamento al Psi. Non a caso, quindi - dimessosi Cossiga a causa dei franchi tiratori, che dopo aver espresso voto favorevole alla conversione di un decreto su cui era stata posta la questione di fiducia, nella subito successiva votazione a scrutinio segreto fanno cadere il medesimo disegno di legge <287 - Forlani viene incaricato per la formazione di un governo in grado di continuare l’alleanza di centro-sinistra (Dc-Psi-Psdi-Pri) <288. Il governo è destinato a rimanere in carica sette mesi: sette mesi di fuoco, segnati dal terremoto in Irpinia e dal terrorismo incalzante. Ma il governo Forlani affonda a causa di una vicenda di portata, dal punto di vista politico, ancora maggiore, costretto a dimettersi (maggio 1981) a causa dello scandalo della loggia massonica P2 che coinvolge tre ministri, vari sottosegretari e molti parlamentari di Dc, Psi, Psdi e Pli. I tentativi di Forlani di scongiurare una crisi di governo vengono vanificati dal veto di Craxi, che presumibilmente scorge in questo momento di forte destabilizzazione della classe dirigente il passepartout per la fine del dominio democristiano e la conquista socialista della direzione governativa <289.
Dopo un primo tentativo di re-incarico di Forlani, vanificato principalmente dalle nuove intenzioni socialiste, l’incarico, anche in questo caso accompagnato dalla raccomandazione di tenere presente la “questione morale” <290, viene affidato al segretario repubblicano Spadolini, il primo laico della storia repubblicana a presiedere il Consiglio dei ministri. E’ la sconfitta della Dc, costretta a cedere il proprio ruolo di partito aggregatore in favore dell’avvento del pentapartito: Spadolini forma un governo Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli (28 giugno 1981), che sostanzialmente esclude dalla maggioranza soltanto Msi e Pci. La dichiarazione programmatica di Spadolini si fonda su quattro emergenze che il Paese deve affrontare: morale, economica, terroristica e internazionale <291. Anche in questa occasione, il Presidente della Repubblica spende qualche parola ritenuta “di troppo” da parte della dottrina: “Spadolini lavora con molta attenzione e passione ai problemi del Paese […] Vuol dire che ho scelto bene. Per me quello di Spadolini non è un Governo transitorio: spero anzi che sia un Governo di legislatura. Quando gli ho affidato l’incarico Spadolini ha promesso che se ci sarà crisi dovrà essere manifestata in Parlamento. Bisogna che i partiti escano allo scoperto […] Spadolini sa di essere sostenuto dal Quirinale” <292.
Spadolini il 7 agosto 1982 presenta le dimissioni a seguito del voto contrario della Camera (a scrutinio segreto) su un decreto in materia tributaria, che rappresenta soltanto la punta dell’iceberg di una serie di contrasti sulla politica economica governativa. Nonostante il voto contrario sia causato dai franchi tiratori della democrazia cristiana, è Craxi che, conseguentemente alla mancata approvazione del decreto, dichiara di ritirare la delegazione socialista dal governo. Segue una riedizione del governo precedente, che viene ribattezzato dai quotidiani “governo fotocopia” (23 agosto 1982): del resto, l’episodio si spiega sulla base della circostanza che il governo non aveva di fatto perso la fiducia dei partiti. Infatti, il voto contrario al decreto era stato strumentalizzato da Craxi per la realizzazione delle sue aspirazioni alla presidenza. Ma lo stesso Craxi, resosi conto dell’impatto che la determinazione di una crisi avrebbe avuto sull’opinione pubblica, si presta a conferire nuovamente l’appoggio al Governo. Se il governo Spadolini II si presenta come una mera riedizione del primo, ha però il merito di porre al centro del dibattito politico il tema delle riforme istituzionali, che nell’aprile del 1983 condurranno all’istituzione della prima commissione bicamerale per le riforme costituzionali <293.
[NOTE]
281 Cfr. A. Manzella, op. cit., p. 117; G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 180.
282 Cfr. A. Baldassarre, “Fase di transizione” o mutamento del sistema?, in Quaderni Costituzionali n. 2/1981, Bologna, il Mulino, pp. 330-331.
283 G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 180. Della stessa idea sembra essere Paolo Armaroli, che critica a Pertini il tentativo di riesumare una prassi prefascista in base alla quale l’incarico per la formazione del nuovo governo
spetterebbe a chi ha causato la crisi del precedente (cfr. P. Armaroli, op. cit., pp. 586-587).
284 La dichiarazione di Forlani è riportata in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 40.
285 Cfr. A. Baldassarre - C. Mezzanotte, op. cit., pp. 241-243; G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., pp. 180-182; P. Armaroli, op. cit., pp. 583-584; 587-588. Per la ricostruzione dell’iter di formazione del governo, cfr. ASPR, Ufficio
per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, buste 40-41.
286 Lettera di Pertini a Cossiga del 31 marzo 1980, in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 42.
287 L’allora art. 116 r.C. ammetteva la possibilità per il governo di porre la questione di fiducia su un progetto di legge di un solo articolo, “salva la votazione finale del progetto a scrutinio segreto” (cfr. P. Armaroli, op. cit., p. 589).
288 E’ in occasione dell’insediamento del governo Forlani (ottobre 1980) che viene dato avvio alla prassi della lettura delle dichiarazioni programmatiche del governo a un solo ramo del Parlamento, con la successiva trasmissione del testo all’altro ramo.
289 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 43; F. Savastano, Spadolini e la fine della dinastia Dc a Palazzo Chigi, in Aa. Vv., 2013, pp. 1-3.
290 G. Mammarella - P. Cacace, op. cit., p. 185. Sul tema cfr. E. Berlinguer, La questione morale, La storica intervista di Eugenio Scalfari, Reggio Emilia, Aliberti Editore, 2012).
291 Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, buste 44-45.
292 Intervista a Sandro Pertini, pubblicata su Oggi del 7 ottobre 1981, riportata in parte da P. Armaroli, op. cit., p. 581. Anche la stessa procedura di formazione del governo Spadolini non è rimasta avulsa dai commenti della dottrina sulla centralità del ruolo del Capo dello Stato. In effetti, l’iter di formazione del governo presenta una circostanza inedita: Spadolini accetta immediatamente l’incarico (18 giugno), ma aspetta dieci giorni per presentare la lista dei ministri (28 giugno), probabilmente temendo che, se avesse aspettato, le consultazioni elettorali previste per il 21 e il 22 giugno avrebbero acuito la litigiosità dei partiti e vanificato il tentativo di formazione di un governo. Paolo Armaroli, in particolare, pur escludendo la natura palatina del governo Spadolini, pone l’accento sul ruolo fondamentale del Capo dello Stato, “paladino della stabilità ministeriale”, nella gestione della crisi governativa: in sostanza, come dichiarato dallo stesso Pertini in un’intervista, il governo Spadolini è “sostenuto dal Quirinale”. In questo modo, tuttavia, si snatura l’essenza stessa del regime parlamentare, in quanto la fiducia del parlamento diviene una mera “comparsa” (P. Armaroli, La spada di Damocle del parlamentarismo, in Il Tempo del 22 dicembre 1981, consultabile in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 44).
293 In questo contesto, Spadolini rivendica la titolarità della scelta dei ministri in capo al Presidente del Consiglio incaricato, e non ai partiti della maggioranza, che di fatto sono sempre stati i veri designatari delle personalità che avrebbero ricoperto le poltrone ministeriali. Cfr. ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 45; F. Savastano, op. cit., pp. 11-14. Sull’andamento delle riforme cfr. E. Cheli, Crisi di governo e problemi istituzionali, in il Messaggero del 24 novembre 1982 (consultabile in ASPR, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali, Crisi di governo-Diari, busta 46).
Elena Pattaro, I "governi del Presidente", Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015