Dall’inverno, quando le sorti della Resistenza sembravano appese a un filo, le cose mutarono profondamente, al punto che, il 6 giugno [1944], due giorni dopo la liberazione di Roma, il generale Alexander invita i patrioti dell’Italia occupata a “insorgere compatti contro il comune nemico […] colpendolo con ogni mezzo”. Con questa dichiarazione la Resistenza ebbe il primo esplicito riconoscimento del rilievo militare che aveva faticosamente conquistato. La compattezza e la credibilità della Resistenza furono soprattutto il risultato di un’evoluzione politica che riuscì a modificare sostanzialmente sia i rapporti tra i partiti politici, sia la loro visibilità e rappresentatività, sia la natura stessa del fenomeno della Resistenza.
Il momento decisivo di questa evoluzione è da identificarsi nella cosiddetta “svolta di Salerno”, cioè la decisione dell’allora segretario del Partito comunista, Palmiro Togliatti, rientrato in patria il 27 marzo 1944, di proclamare irrealistica l’istanza antimonarchica che aveva condotto lo scontro la governo del Sud e Cln a un’impasse. Secondo Togliatti, è fondamentale instaurare un governo di unità nazionale, che comprendesse tutti i partiti antifascisti, che si impegnasse nel portare a termine la guerra di liberazione e che poi garantisse al popolo italiano la possibilità di scegliere tra monarchia e repubblica.
Sul piano interno, la svolta di Salerno prende in contropiede non solo i partiti che costituiscono l’ala moderata del Cln, ma anche gran parte degli stessi dirigenti comunisti. Le più risentire resistenze arrivano da PdA, che solamente davanti alla “considerazione delle responsabilità e difficoltà che una soluzione di rottura ci avrebbe creato” <16, accetta di superare la propria opposizione verso qualunque forma di collaborazione con la monarchia.
Sul piano, decisamente più concreto, della lotta armata, le conseguenze della svolta di Salerno sono tutto tranne che immediate. La politicizzazione, non solo della base partigiana, ma anche di molti comandanti, è estremamente scarsa, così come lo è la loro risposta agli stravolgimenti politici. I ricorrenti contrasti tra le bande, originati da questioni di controllo del territorio, da accessi di proselitismo e da eccessivi personalismi, non scompaiono nel giro di qualche giorno. Nella concretezza della vita delle bande, sia Salerno che Roma sono percepite come estremamente lontane. Ciò non toglie che esista un rapporto estremamente stretto tra la svolta di Salerno, la conseguente formazione di un governo di unità nazionale e il nuovo impulso di trovare forme di coordinamento efficaci, sia sul piano politico che su quello militare. Particolare spinta in questa direzione viene dal Partito comunista, sostenendo che la nuova unità politica “non esclude, anzi rende necessaria, un’unità militare che tenga conto dell’esperienza e dei problemi nuovi che si pongono ai patrioti in armi […] per cui ci vuole un comando centrale che stabilisca questo coordinamento; un comando che abbia autorità di chiedere e di distribuire i materiali e le forze necessario al coordinamento dello sforzo” <17.
A questo punto, la situazione generale appare decisamente favorevole. La liberazione di Roma (4 giugno 1944) e il successo dello sbarco alleato in Normandia (6 giugno 1944) e il massiccio afflusso delle giovani leve in montagna preludono magnifiche prospettive per l’estate, come la creazione di un vero esercito partigiano, che sembra ormai a portata di mano.
L’estate è la stagione più favorevole alla guerra di guerriglia, e per i partigiani questo significa una stagione di ottimismo, la stagione della “grande illusione”, cioè il pensiero che, dopo l’estate, non ci sarà un altro inverno di guerra, ipotesi rafforzata da una ordinata ritirata dei tedeschi, che abbandonano la linea Gustav per attestarsi sulla linea Gotica. La prospettiva insurrezionale infiamma i comandi partigiani e i partiti, Pci in testa, intensificano la propaganda per massimizzare il coinvolgimento delle masse; spesso, però, il risultato ottenuto è diametralmente opposto: l’opinione prevalente tra le masse operaie, Milano e Torino comprese, è che “siamo alla fine, a che vale fare delle inutili vittime, tanto i tedeschi se ne vanno lo stesso” <18.
Nell’estate del 1944 la Resistenza armata è in costante espansione. Rispetto ai mesi precedenti l’autorevolezza e la capacità organizzativa del Clnai sono decisamente aumentate <19, grazie anche all’adesione della maggior parte delle forze partigiane del Cvl, ma soprattutto alla creazione del comando militare unitario, che a livello periferico troverà i suoi corrispettivi nei comandi militari regionali e di zona. È questo un momento evolutivo decisivo, caratterizzato dal progetto di creazione di un “esercito partigiano”, con divisioni, brigate, distaccamenti, squadre. Vengono introdotte numerose novità rilevanti: diffusione della stampa partigiana; adozione di distintivi e divise; obbligo per ogni formazione di redigere rapporti regolarmente trasmessi al comando generale del Cvl <20. Cambiano i modi in cui viene somministrata la giustizia <21, così come le modalità per la ripartizione dei fondi <22. Il tentativo di trasformare delle bande multiformi e variamente composite in un vero e proprio esercito, ha come presupposto l’accordo tra i due partiti più profondamente coinvolti nella lotta armata, egemonizzando la maggior parte delle formazioni partigiane. La più consistente novità, in questo campo, è un accordo straordinariamente saldo tra azionisti e comunisti, formalmente sancito dalla partecipazione paritetica di Ferruccio Parri e Luigi Longo al comando generale del Cvl.
L’estate del 1944 è il momento in cui diviene più che mai egemone la volontà politica dei partiti antifascisti di guidare (o controllare) la lotta armata. La figura del commissario politico, che inizialmente caratterizzava le Brigate Garibaldi, acquista ora “un ben definito carattere di ufficialità con la creazione del Cvl”, che ne equipara il grado a quello dei comandanti militari <23. La necessità di amministrare ampie zone e l’obiettivo di sperimentarvi concretamente il rinnovamento politico e sociale rendono urgente l’istanza di adottare un modello di comportamento il più possibile attinente alle direttive del Clnai. Diviene così rapidamente superato il modello di lotta armata centrato sulla frammentazione in bande più o meno autonome dal Cln, comandate da capi privi di investitura dall’alto, che basano il loro potere sul carisma personale. Diminuisce progressivamente la tolleranza nei confronti delle bande che rifiutano l’inquadramento, molte vengono accusate di banditismo, spesso con il pretesto di rimuovere personaggi scomodi o riottosi. La Resistenza è ormai già protesa verso il dopoguerra, alla partecipazione a una lotta di liberazione che tenga conto dello scenario politico successivo.
La continua spinta degli alleati, intanto, costringe le truppe tedesche a concentrare i loro sforzi sulla difesa della linea gotica, occupandosi dei partigiani solo quando le loro azioni giungono a minacciare concretamente zone ritenute vitali per il fronte. Intanto, le forze armate della Rsi si rivelano del tutto inadeguate nel mantenere il controllo dell’intero territorio del Nord Italia. La situazione è molto fluida, ma, in generale, si può dire che il territorio controllato dai partigiani sia, in questo periodo, in continua espansione. Una volta creatasi una “zona libera”, la possibilità di insediamento di nuove forme di potere politico-amministrativo è dipendente, oltre che dagli orientamenti dei generali partigiani, dalla necessità contingente di organizzare al più presto la vita materiale delle popolazioni, e in particolare di assicurarsi rifornimenti alimentari. La posizione geografica di queste zone libere, in alcuni casi, favorisce ritorsioni da parte dei tedeschi, che possono facilmente isolare i distretti partigiani, sospendendo l’arrivo di risorse dalla pianura. Ovunque la speranza è quella di un radicale rinnovamento dei contenuti, delle forme e dei simboli del potere politico, che dipende fortemente sia dall’orientamento dei comandanti partigiani, sia dalla collaborazione delle popolazioni coinvolte.
Dal punto di vista militare, però, nemmeno per la Resistenza della grande espansione estiva è positivo. I più ottimisti si fanno sostenitori della necessità di ampliare il più possibile l’area di reclutamento partigiano, e di più solide e attrezzate basi, da cui poter non solo continuare la guerriglia, ma anche trasformarla in una vera e propri guerra. Questi aspetti si sarebbero rivelati realistici e positivi esclusivamente nel caso in cui l’insurrezione generale fosse stata realmente prossima, ma il dissolversi delle più ottimistiche previsioni finisce per accentuare gli aspetti negativi della situazione, mettendo in luce l’impossibilità di competere militarmente con le forze armate regolari.
Da agosto 1944 la strategia tedesca attraversa una mutazione radicale. È difficile tracciare una linea temporale precisa che separi nitidamente la fase espansiva della resistenza da quella dei grandi rastrellamenti tedeschi. Quello del tardo autunno partigiano è un panorama piuttosto sconfortante: la sconfitta che inizia a delinearsi all’orizzonte riaccende le diatribe interne che la speranza riposta in primavera nell’ipotesi dell’insurrezione generale era riuscita a quietare. Due sono i fattori principali che portano a questo rovesciamento delle posizioni di combattimento tra tedeschi e partigiani: i partigiani sono tendenzialmente male armati, con artiglieria sufficiente a resistere al massimo a poche ore di fuoco, mentre mancano completamente di armi pesanti o di strumenti di comunicazione per coordinare azioni militari complesse; la pletora di disertori e renitenti, che costituiva le nuove leve dell’esercito partigiano, finisce per danneggiare l’efficienza dello stesso, a causa della loro inesperienza e della loro mancanza di disciplina. A tutto questo si aggiunge l’inizio del secondo inverno della Resistenza, anticipato da un clima molto rigido e da abbondanti nevicate, mentre le truppe alleate, dopo una stagione di conquiste, si sono ormai arenate sulle loro posizioni.
A questa gravissima crisi interna si aggiunsero, molto presto, nuove notizie poco rassicuranti, come la grande controffensiva tedesca nelle Ardenne. Per i partigiani, il cui morale era ormai molto basso, questo fu il concretizzarsi del peggiore degli incubi. In questo periodo, notizie di intere bande che si consegnano al nemico, o di abbandoni individuali tali da decimare intere formazioni, sono copiose. Lo sconvolgimento cui è sottoposta la struttura stessa della Resistenza è enorme, ed è aggravata dalle necessità politiche di frenare in tutti i modi di porre freno allo sbandamento. Mai come ora è fondamentale il ruolo dell’organizzazione e della volontà politica. Se non si giunge al dissolvimento è solamente grazie al fatto che un anno di esperienze e di problemi organizzativi hanno prodotto una struttura notevolmente salda al centro, e una selezione di quadri locali in grado di interpretare con realismo e necessità le difficoltà che la Resistenza stava affrontando. Divenne oggettivamente impossibile continuare a mantenere le formazioni in montagna, dov’erano prive di rifornimenti, di basi e dell’appoggio della popolazione, ormai stremata e priva di risorse. La pianurizzazione dell’esercito partigiano divenne, a questo punto, una scelta obbligata. In alcuni, non poi così isolati, casi, il trasferimento in pianura coincise con un aumento dell’attività di guerriglia, ma non fu sufficiente questa a rilanciare l’attività della Resistenza.
[NOTE]
16 Lettera di Ferruccio Parri a Ugo La Malfa, maggio 1994; in F. Parri, Scritti 1915-1975.
17 “La nostra lotta”, maggio 1944, n. 9; in L. Longo, Sulla via dell’insurrezione nazionale.
18 Lettera di Pietro Secchia dell’8 settembre 1944, riportata in Amendola, Lettere a Milano.
19 F. Catalano, Storia del Clnai, Laterza, Bari, 1956.
20 Circolare del 16 agosto 1944, in Rochat (a cura di), Atti.
21 G. Solaro, Note sulla giustizia partigiana, in F. Vendramin (a cura di), Aspetti militari della resistenza bellunese e veneta. Tra ricerca e testimonianza, Isbrec, Quaderno di Protagonisti, n. 5, 1991.
22 A. Pizzoni, Il finanziamento, in Anche l’Italia ha vinto, numero speciale di “Mercurio”, II, dic. 1945, n. 16.
23 F. Catalano, Storia del Clnai, Laterza, Bari, 1956.
Giulia Arnaldi, Partigiane tra guerra e dopoguerra: donne e politica in Veneto, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022
Il momento decisivo di questa evoluzione è da identificarsi nella cosiddetta “svolta di Salerno”, cioè la decisione dell’allora segretario del Partito comunista, Palmiro Togliatti, rientrato in patria il 27 marzo 1944, di proclamare irrealistica l’istanza antimonarchica che aveva condotto lo scontro la governo del Sud e Cln a un’impasse. Secondo Togliatti, è fondamentale instaurare un governo di unità nazionale, che comprendesse tutti i partiti antifascisti, che si impegnasse nel portare a termine la guerra di liberazione e che poi garantisse al popolo italiano la possibilità di scegliere tra monarchia e repubblica.
Sul piano interno, la svolta di Salerno prende in contropiede non solo i partiti che costituiscono l’ala moderata del Cln, ma anche gran parte degli stessi dirigenti comunisti. Le più risentire resistenze arrivano da PdA, che solamente davanti alla “considerazione delle responsabilità e difficoltà che una soluzione di rottura ci avrebbe creato” <16, accetta di superare la propria opposizione verso qualunque forma di collaborazione con la monarchia.
Sul piano, decisamente più concreto, della lotta armata, le conseguenze della svolta di Salerno sono tutto tranne che immediate. La politicizzazione, non solo della base partigiana, ma anche di molti comandanti, è estremamente scarsa, così come lo è la loro risposta agli stravolgimenti politici. I ricorrenti contrasti tra le bande, originati da questioni di controllo del territorio, da accessi di proselitismo e da eccessivi personalismi, non scompaiono nel giro di qualche giorno. Nella concretezza della vita delle bande, sia Salerno che Roma sono percepite come estremamente lontane. Ciò non toglie che esista un rapporto estremamente stretto tra la svolta di Salerno, la conseguente formazione di un governo di unità nazionale e il nuovo impulso di trovare forme di coordinamento efficaci, sia sul piano politico che su quello militare. Particolare spinta in questa direzione viene dal Partito comunista, sostenendo che la nuova unità politica “non esclude, anzi rende necessaria, un’unità militare che tenga conto dell’esperienza e dei problemi nuovi che si pongono ai patrioti in armi […] per cui ci vuole un comando centrale che stabilisca questo coordinamento; un comando che abbia autorità di chiedere e di distribuire i materiali e le forze necessario al coordinamento dello sforzo” <17.
A questo punto, la situazione generale appare decisamente favorevole. La liberazione di Roma (4 giugno 1944) e il successo dello sbarco alleato in Normandia (6 giugno 1944) e il massiccio afflusso delle giovani leve in montagna preludono magnifiche prospettive per l’estate, come la creazione di un vero esercito partigiano, che sembra ormai a portata di mano.
L’estate è la stagione più favorevole alla guerra di guerriglia, e per i partigiani questo significa una stagione di ottimismo, la stagione della “grande illusione”, cioè il pensiero che, dopo l’estate, non ci sarà un altro inverno di guerra, ipotesi rafforzata da una ordinata ritirata dei tedeschi, che abbandonano la linea Gustav per attestarsi sulla linea Gotica. La prospettiva insurrezionale infiamma i comandi partigiani e i partiti, Pci in testa, intensificano la propaganda per massimizzare il coinvolgimento delle masse; spesso, però, il risultato ottenuto è diametralmente opposto: l’opinione prevalente tra le masse operaie, Milano e Torino comprese, è che “siamo alla fine, a che vale fare delle inutili vittime, tanto i tedeschi se ne vanno lo stesso” <18.
Nell’estate del 1944 la Resistenza armata è in costante espansione. Rispetto ai mesi precedenti l’autorevolezza e la capacità organizzativa del Clnai sono decisamente aumentate <19, grazie anche all’adesione della maggior parte delle forze partigiane del Cvl, ma soprattutto alla creazione del comando militare unitario, che a livello periferico troverà i suoi corrispettivi nei comandi militari regionali e di zona. È questo un momento evolutivo decisivo, caratterizzato dal progetto di creazione di un “esercito partigiano”, con divisioni, brigate, distaccamenti, squadre. Vengono introdotte numerose novità rilevanti: diffusione della stampa partigiana; adozione di distintivi e divise; obbligo per ogni formazione di redigere rapporti regolarmente trasmessi al comando generale del Cvl <20. Cambiano i modi in cui viene somministrata la giustizia <21, così come le modalità per la ripartizione dei fondi <22. Il tentativo di trasformare delle bande multiformi e variamente composite in un vero e proprio esercito, ha come presupposto l’accordo tra i due partiti più profondamente coinvolti nella lotta armata, egemonizzando la maggior parte delle formazioni partigiane. La più consistente novità, in questo campo, è un accordo straordinariamente saldo tra azionisti e comunisti, formalmente sancito dalla partecipazione paritetica di Ferruccio Parri e Luigi Longo al comando generale del Cvl.
L’estate del 1944 è il momento in cui diviene più che mai egemone la volontà politica dei partiti antifascisti di guidare (o controllare) la lotta armata. La figura del commissario politico, che inizialmente caratterizzava le Brigate Garibaldi, acquista ora “un ben definito carattere di ufficialità con la creazione del Cvl”, che ne equipara il grado a quello dei comandanti militari <23. La necessità di amministrare ampie zone e l’obiettivo di sperimentarvi concretamente il rinnovamento politico e sociale rendono urgente l’istanza di adottare un modello di comportamento il più possibile attinente alle direttive del Clnai. Diviene così rapidamente superato il modello di lotta armata centrato sulla frammentazione in bande più o meno autonome dal Cln, comandate da capi privi di investitura dall’alto, che basano il loro potere sul carisma personale. Diminuisce progressivamente la tolleranza nei confronti delle bande che rifiutano l’inquadramento, molte vengono accusate di banditismo, spesso con il pretesto di rimuovere personaggi scomodi o riottosi. La Resistenza è ormai già protesa verso il dopoguerra, alla partecipazione a una lotta di liberazione che tenga conto dello scenario politico successivo.
La continua spinta degli alleati, intanto, costringe le truppe tedesche a concentrare i loro sforzi sulla difesa della linea gotica, occupandosi dei partigiani solo quando le loro azioni giungono a minacciare concretamente zone ritenute vitali per il fronte. Intanto, le forze armate della Rsi si rivelano del tutto inadeguate nel mantenere il controllo dell’intero territorio del Nord Italia. La situazione è molto fluida, ma, in generale, si può dire che il territorio controllato dai partigiani sia, in questo periodo, in continua espansione. Una volta creatasi una “zona libera”, la possibilità di insediamento di nuove forme di potere politico-amministrativo è dipendente, oltre che dagli orientamenti dei generali partigiani, dalla necessità contingente di organizzare al più presto la vita materiale delle popolazioni, e in particolare di assicurarsi rifornimenti alimentari. La posizione geografica di queste zone libere, in alcuni casi, favorisce ritorsioni da parte dei tedeschi, che possono facilmente isolare i distretti partigiani, sospendendo l’arrivo di risorse dalla pianura. Ovunque la speranza è quella di un radicale rinnovamento dei contenuti, delle forme e dei simboli del potere politico, che dipende fortemente sia dall’orientamento dei comandanti partigiani, sia dalla collaborazione delle popolazioni coinvolte.
Dal punto di vista militare, però, nemmeno per la Resistenza della grande espansione estiva è positivo. I più ottimisti si fanno sostenitori della necessità di ampliare il più possibile l’area di reclutamento partigiano, e di più solide e attrezzate basi, da cui poter non solo continuare la guerriglia, ma anche trasformarla in una vera e propri guerra. Questi aspetti si sarebbero rivelati realistici e positivi esclusivamente nel caso in cui l’insurrezione generale fosse stata realmente prossima, ma il dissolversi delle più ottimistiche previsioni finisce per accentuare gli aspetti negativi della situazione, mettendo in luce l’impossibilità di competere militarmente con le forze armate regolari.
Da agosto 1944 la strategia tedesca attraversa una mutazione radicale. È difficile tracciare una linea temporale precisa che separi nitidamente la fase espansiva della resistenza da quella dei grandi rastrellamenti tedeschi. Quello del tardo autunno partigiano è un panorama piuttosto sconfortante: la sconfitta che inizia a delinearsi all’orizzonte riaccende le diatribe interne che la speranza riposta in primavera nell’ipotesi dell’insurrezione generale era riuscita a quietare. Due sono i fattori principali che portano a questo rovesciamento delle posizioni di combattimento tra tedeschi e partigiani: i partigiani sono tendenzialmente male armati, con artiglieria sufficiente a resistere al massimo a poche ore di fuoco, mentre mancano completamente di armi pesanti o di strumenti di comunicazione per coordinare azioni militari complesse; la pletora di disertori e renitenti, che costituiva le nuove leve dell’esercito partigiano, finisce per danneggiare l’efficienza dello stesso, a causa della loro inesperienza e della loro mancanza di disciplina. A tutto questo si aggiunge l’inizio del secondo inverno della Resistenza, anticipato da un clima molto rigido e da abbondanti nevicate, mentre le truppe alleate, dopo una stagione di conquiste, si sono ormai arenate sulle loro posizioni.
A questa gravissima crisi interna si aggiunsero, molto presto, nuove notizie poco rassicuranti, come la grande controffensiva tedesca nelle Ardenne. Per i partigiani, il cui morale era ormai molto basso, questo fu il concretizzarsi del peggiore degli incubi. In questo periodo, notizie di intere bande che si consegnano al nemico, o di abbandoni individuali tali da decimare intere formazioni, sono copiose. Lo sconvolgimento cui è sottoposta la struttura stessa della Resistenza è enorme, ed è aggravata dalle necessità politiche di frenare in tutti i modi di porre freno allo sbandamento. Mai come ora è fondamentale il ruolo dell’organizzazione e della volontà politica. Se non si giunge al dissolvimento è solamente grazie al fatto che un anno di esperienze e di problemi organizzativi hanno prodotto una struttura notevolmente salda al centro, e una selezione di quadri locali in grado di interpretare con realismo e necessità le difficoltà che la Resistenza stava affrontando. Divenne oggettivamente impossibile continuare a mantenere le formazioni in montagna, dov’erano prive di rifornimenti, di basi e dell’appoggio della popolazione, ormai stremata e priva di risorse. La pianurizzazione dell’esercito partigiano divenne, a questo punto, una scelta obbligata. In alcuni, non poi così isolati, casi, il trasferimento in pianura coincise con un aumento dell’attività di guerriglia, ma non fu sufficiente questa a rilanciare l’attività della Resistenza.
[NOTE]
16 Lettera di Ferruccio Parri a Ugo La Malfa, maggio 1994; in F. Parri, Scritti 1915-1975.
17 “La nostra lotta”, maggio 1944, n. 9; in L. Longo, Sulla via dell’insurrezione nazionale.
18 Lettera di Pietro Secchia dell’8 settembre 1944, riportata in Amendola, Lettere a Milano.
19 F. Catalano, Storia del Clnai, Laterza, Bari, 1956.
20 Circolare del 16 agosto 1944, in Rochat (a cura di), Atti.
21 G. Solaro, Note sulla giustizia partigiana, in F. Vendramin (a cura di), Aspetti militari della resistenza bellunese e veneta. Tra ricerca e testimonianza, Isbrec, Quaderno di Protagonisti, n. 5, 1991.
22 A. Pizzoni, Il finanziamento, in Anche l’Italia ha vinto, numero speciale di “Mercurio”, II, dic. 1945, n. 16.
23 F. Catalano, Storia del Clnai, Laterza, Bari, 1956.
Giulia Arnaldi, Partigiane tra guerra e dopoguerra: donne e politica in Veneto, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2021-2022