domenica 14 settembre 2025

Tre missioni OSS in Valtellina: Sewanee, Santee e Spokane

Tirano (SO). Fonte: Wikipedia

Le operazioni O.S.S. [Office of Strategic Service] in Valtellina presero avvio il 3 marzo 1945 tramite tre gruppi di OG [Operational Group] che avevano come obbiettivo ultimo quello di rallentare le linee di rifornimento tedesche e creare confusione dietro le linee nemiche.
Il sito di lancio per i paracadutisti fu identificato nel Passo dello Stelvio, zona estramemente importante per le comunicazioni tra Italia e i territori tedeschi; la zona, tuttavia, era priva di una importante rete di resistenza. Per tale motivo e per comprendere la fattibilità delle missioni, inizialmente furono paracadutati pochi uomini. Tra questi vi furono il Capitano Victor Giannino, a capo della missione Santee, e il Maggiore Arnold Lorbeer, capo della missione Spokane.
Ritenuta l’aerea sicura, il 4 marzo vennero paracadutati gli agenti restanti per dar via alla missione Alleata. Gli stessi, purtroppo, vennero accolti da spari erroneamente attivati da parte dei partigiani locali, i quali ignoravano la presenza di una missione Alleata. In parallelo, l’OSS non era a conoscenza dell’esistenza di un gruppo partigiano in Livigno.
La missione Santee, il 10 marzo, giorno nel quale smise di nevicare, si diresse in zona di Fusino, dove si incontrò con un gruppo di partigiani. Nel dettaglio, si trattò di uno spostamento complicato in quanto avvenne in una zona dominata da numerose truppe nazi-fasciste che pattugliavano il passo del Foscagno, il quale, trovandosi a 2.300 metri sul livello del mare, costituiva l’univa strada percorribile tra Fusino e Livigno. Compito principale degli OG fu quello di istruire i partigiani locali in operazioni di imboscata e di attacco contro le forze nemiche. Il percorso fu supportato con diversi lanci di rifornimenti che si realizzarono il 4 marzo insieme agli OG mancanti, il 21 marzo, il 30 e il 31 marzo, il 4 aprile ed infine il 12 aprile. Tutti questi voli, nonostante le avverse condizioni atmosferiche (nevicate e venti fortissimi), vennero completati con successo.
Il penultimo giorno di marzo, per ottenere il controllo ed evitare la ritirata delle truppe tedesche, venne sviluppata con successo la prima incursione, indirizzata contro le installazioni militari lungo il Passo dello Stelvio.
Secondo la testimonianza del Maggiore Lorbeer al Convegno Internazionale di Studi Storici “Gli Americani e la Guerra di Liberazione in Italia”, il passo dello Stelvio era presieduto da circa 300 uomini nemici, mentre le truppe unite di OG e partigiani si limitavano a solo 50. Il successo fu ottenuto poiché nelle difficili condizioni atmosferiche le truppe tedesche non si aspettavano un attacco alleato. I combattimenti sullo Stelvio si protrassero fino alla fine della guerra, con le truppe naziste determinate a riconquistare, in qualunque modo, il medesimo passo. Tuttavia, il valico venne difeso con successo dagli Operational Group e dalla resistenza italiana, tramite l’utilizzo di fucili di precisione, mitragliatrici calibro 50 e mortai da 81 mm.
La notte del 13 aprile i tre reparti degli OG, in stretta cooperazione, colpirono le truppe nemiche a Venvio, San Martino e Roncale. Le unità erano composte da 12 membri degli OG e da circa 20-30 partigiani, permettendo così di sorprendere le forze dell’Asse. Tali attacchi furono svolti per evitare i rastrellamenti in programma nei giorni successivi, grazie alle informazioni ottenute dalla SI. Colti a sorpresa dall’attacco notturno, peraltro svolto in pessime condizioni metereologiche, le truppe nazi-fasciste subirono un totale di 50 perdite (30 morti e 20 feriti). I restanti riuscirono a ritirarsi, lasciando libere le postazioni in cima alle valli, permettendo così la loro conquista e il controllo da parte dei partigiani.
Nei giorni finali di aprile i gruppi partigiani combatterono anche in altre battaglie, tra le quali quella di Tirano dove riuscirono a far arrendere, il 29 aprile, insieme ad altri reparti Alleati, 1.200 truppe nemiche. In quegli stessi giorni la città di Bormio venne conquistata, dove vennero catturati 300 uomini tra italiani e tedeschi.
Nel corso dei due mesi di battaglie le tre missioni dell’Office of Strategic Service in Valtellina persero solo tre uomini: i Tenenti Anthony Rocco, Anthony Fantuzzo e il Sergente Bennie Ballone, morti il 13 aprile in un incedente aereo. Oltre a queste tre vittime, tutti gli agenti, fecero ritorno nella base di Siena il 22 maggio del 1945.
Matteo Paglia, Ex pluribus unum. Come l'Office of Strategic Service ha rivoluzionato il sistema d'intelligence statunitense, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2024-2025

Si compose [la missione Spokane dell'O.S.S.] di quattro lanci dall'inizio di marzo a metà dell'aprile 1945. Gli agenti paracadutisti, quasi tutti italo-americani, assommano a 14 (2 morirono in un incidente aereo nella fase di atterraggio il 13 aprile). La zona prescelta per le operazioni era a nord di Edolo, tra la Val Camonica e la Valtellina, importante per la vicinanza dei due paesi fortificati dello Stelvio e del Tonale. Le direttive erano di allacciare contatti con le locali formazioni partigiane, istruire e programmare azioni di sabotaggio sulle linee di comunicazione (per Lecco, Colico-Tirano, Lago d'Iseo, Edolo, Bolzano, Gargnano, Riva, Trento). Le altre direttive, del resto comuni ad ogni missione, riguardavano il mantenimento di contatti radio col Quartier Generale per informazioni militari (localizzazione di fortificazioni, ponti, depositi, ecc.), e il rapporto completo su ogni aspetto delle formazioni partigiane (entità, armamento, responsabili, nonché il "morale" e il "Political Views", la tendenza politica). Interessante è inoltre la direttiva di "prevenire attriti tra di esse". Le operazioni della "Spokane" riguardano, oltre alla trasmissione di informazioni militari, anche l'addestramento dei partigiani nell'uso di esplosivo nonché la partecipazione a sabotaggi e scontri a fuoco. Il 30 marzo, 7 uomini della missione alla testa di una cinquantina di partigiani delle "Fiamme Verdi" provocano con un'esplosione una frana che interrompe la strada da Tirano allo Stelvio. Contemporaneamente interrompono le linee telefoniche e telegrafiche e assaltano il piccolo presidio tedesco nei pressi del passo. Liberano i lavoratori coatti della Todt, che si trovano lì per i lavori di fortificazione del passo. Distruggono il materiale tedesco (in particolare 300 fusti di carburante). Il mattino del 31 arrivano truppe di rinforzo tedesche. Viene tentato uno scambio di prigionieri, che però si trasforma in uno scontro a fuoco, con morti e feriti da ambe le parti. I partigiani devono lasciare il passo, ma nel mese di aprile continuano azioni di disturbo, tra cui il minamento delle strade che causa l'esplosione di una decina di veicoli tedeschi. Il 26 aprile si arrende il presidio di Sondalo, il 28 Bormio. Vengono salvate, su precise istruzioni alleate, le centrali idroelettriche di Isolaccia, di Sondrio, Grosio e Cancano (appartenenti alla Falck, Edison, Società di Milano, Società Lombarda). Con orgoglio il Major Lorbeer, capo-missione, può scrivere che "la Valtellina è liberata 3 giorni prima della fine della guerra in Italia".
La missione "Spokane" si costituì come A.M.G. (Governo Militare Alleato) il 2 maggio.
[...] Missione "Horrible": francese. Nell'aprile giunge alla Spokane l'ordine del Quartier Generale di impedire l'entrata in Italia di missioni francesi. "Li abbiamo ricacciati in Svizzera".
Missione "Sewanee" dell'O.S.S., composta da 7 agenti tutti italo-americani, paracadutati presso Livigno il 13 aprile, in appoggio alla "Spokane". La zona di operazioni era pure a nord di Edolo. Collaborarono con la formazione "Tito Speri" delle "Fiamme Verdi", partecipando alla resa di Bormio (27 aprile). Altre missioni collegate con le "Fiamme Verdi" furono l'"Offense" e l'"Elinor", entrambe americane. A Ponte di Legno la Spokane ebbe una volta contatto anche con la "Norma" (cfr seguito). E' da citare infine la "Santee", paracadutata nei pressi di Livigno il 4 marzo, che ebbe un importante ruolo soprattutto nei contatti e nel coordinamento tra le missioni, i partigiani locali (riuniti a scadenze regolari con i comandi), il CLN e i servizi segreti in Svizzera. Ricevette la resa di Tirano.
Carlo Romeo, Missioni O.S.S. nella zona di operazioni della Prealpi: (1944-1945), «Archivio trentino di storia contemporanea» (ISSN: 1120-4184), 42/2 (1993)

Ultimo a destra il partigiano Cesare Marelli. Foto del soldato americano Joseph J. Genco. Fonte: Fondazione AEM cit. infra

La Resistenza in Valtellina ebbe aspetti molti particolari, spesso problematici anche solo per il fatto di attuarsi in zona di frontiera e per la presenza strategica nel territorio dei maggiori impianti idroelettrici del Nord Italia.
Molti dei luoghi di AEM in Alta Valle, rifugi e cantieri, divennero presto area di resistenza partigiana, come il paese provvisorio di Digapoli alla falde delle diga di San Giacomo in costruzione. Il 4 marzo 1945 fu paracadutata a Livigno la missione americana “Spokane”, formata da una cinquantina di ufficiali e militari, in appoggio alle formazioni partigiane “Giustizia e Libertà” che presidiavano parte dell’Alta Valle. Seguirono ad essa altre due missioni: la “Santee” e la “Sewanee” che contribuirono con uomini e mezzi a sostenere la lotta di Liberazione. Le comunicazioni tra Milano e la Valtellina avvenivano tramite le telescriventi AEM con messaggi cifrati trasmessi da e per Cancano, Milano, Grosio e Tirano.
Redazione, 1945. I partigiani Nicola Colturi, Giuseppe Tuana, “Alonzo” Placido Pozzi, Don Angelo Moltrasio e “Tom” Cesare Marelli, Fondazione AEM 

giovedì 4 settembre 2025

Ampio spazio alla presenza di Basile venne dato dalla stampa di sinistra


Il mese di maggio [1960] fu ugualmente caldo, sia dal punto di vista interno che internazionale. Gli sforzi verso la distensione di Eisenhower e Khruscev subirono un brusco arresto a causa della crisi innescata dall’abbattimento dell’aereo-spia americano U-2 nei cieli sovietici. Nonostante ad Ike fosse stato assicurato che, in caso di incidente, del pilota e del mezzo sarebbe rimasto poco o niente, le cose andarono diversamente. Non solo il pilota si salvò, ma venne prontamente catturato dai sovietici. A questo punto, il presidente americano autorizzò una vera e propria «menzogna ufficiale» annunciando che un apparecchio meteorologico era finito fuori rotta. Ma Khruscev non tardò ad esibire le foto dell’aereo e del pilota vivo e in ottima salute <100.
Le conseguenze della crisi furono pesanti. Ne risentì l’importante conferenza di Parigi, dove si discuteva del disarmo e del trattato di pace con la Germania. In tale contesto, il leader sovietico aveva buon gioco nel presentarsi davanti all’opinione pubblica mondiale come «vittima dei tranelli americani». In più, numerose furono le manifestazioni e le mobilitazioni contro “l’imperialismo americano” <101 soprattutto in Giappone, dove il parlamento stava dibattendo il rinnovo del trattato di mutua sicurezza e cooperazione con gli Usa. Circa diecimila giovani assaltarono la Dieta, il parlamento nipponico, e la lotta continuò nelle piazze. La polizia sparò e ci furono cinque morti e centinaia feriti <102. Intanto, Eisenhower dovette rinunciare alla tappa giapponese del suo viaggio asiatico. I fatti di Tokyo furono un chiaro esempio di come la lotta popolare diretta poteva scavalcare la maggioranza parlamentare <103.
In varie città italiane salirono la tensione e il nervosismo <104. I comizi missini nelle città di Reggio Emilia, Parma e Messina furono impediti <105. A Bologna, invece, era stato il discorso di Pajetta, pronunciato in piazza Malpighi il 21 maggio, a provocare l’intervento della polizia <106. Gli scontri durarono quaranta minuti provocando numerosi feriti, tra cui Giovanni Bottonelli, deputato del Pci, che riportò gravi ferite <107. L’episodio, secondo quanto annotava un funzionario del consolato [degli Stati Uniti], rifletteva ancora una volta la «prontezza comunista nello sfruttare gli scontri con le pubbliche autorità» <108. Era questo uno dei tratti maggiormente sottolineati dalle relazioni americane. In più, il giudizio sul partito era a dir poco lapidario. Il Pci non era più in grado di «cavalcare le agitazioni e la propaganda come faceva una volta». La sede dei disordini non poteva che dare credito all’intuizione. Dopotutto, si era trattato di uno scontro in una roccaforte del Pci dove un deputato comunista era stato arrestato e ferito. «Qualche anno fa - ha scritto il segretario d’ambasciata Lister - avremmo assistito a dimostrazioni di massa, scioperi e altre azioni contro il governo in tutta Italia» <109.
Altrettanto attivo era il partito neofascista, galvanizzato dall’appoggio esterno al governo. Il Msi aveva indetto il VI congresso nazionale a Genova, dal 2 al 4 luglio. In quell’occasione, avrebbe dovuto dichiarare fedeltà al metodo democratico e alla Costituzione, anche se la Carta non sarebbe stata accettata come documento intoccabile. Com’è noto, la scelta di Genova, peraltro conosciuta da tempo <110, fu un’opzione poco felice. Molti esponenti missini, negli anni successivi, avrebbero fatto autocritica sia sull’effettiva maturità del partito che sulla scelta della sede <111. A suscitare la protesta del fronte antifascista furono soprattutto due elementi. L’oltraggio di un congresso neofascista in una città medaglia d’oro della Resistenza e la presenza - più vociferata che accertata - dell’ex prefetto della città ai tempi di Salò, Carlo Emanuele Basile. Secondo alcuni avrebbe addirittura dovuto presiedere i lavori. Il nome di Basile bastava ad evocare lo spettro dei non lontani massacri di guerra, rendendo l’affronto missino insostenibile. Sulla scelta di Genova e sulle voci che riguardavano Basile, però, rimangono forti perplessità. Il 15 maggio, quando vennero resi noti i giorni e la sede del congresso le reazioni furono piuttosto blande <112. Genova, inoltre, non era la prima città fortemente legata alla Resistenza in cui il Msi convocava il suo raduno nazionale. Quattro anni prima la sede prescelta era stata Milano. In più, dal 1956, la giunta comunale della città ligure era appoggiata dai voti missini. Certamente Genova era «più contaminata dal Msi con il voto determinante del governo cittadino che con un congresso di tre giorni» <113.
In merito all’invito a Carlo Emanuele Basile, allo stato attuale delle ricerche, non esistono prove. Già iscritto nelle liste dei criminali di guerra, Basile fu protagonista di deportazioni e rastrellamenti, in stretta collaborazione con le autorità naziste. Secondo quanto riporta «L’Espresso», aveva organizzato deportazioni di operai ed era l’uomo più odiato di tutta la Liguria, tanto da essere soprannominato «il boia» <114. Ad ogni modo, gli organi di stampa di destra non avevano accennato alla sua partecipazione. Sul giornale missino, tra maggio e giugno, sono solo due gli articoli da lui firmati <115. Pagine che, per esplicito avvertimento del quotidiano, erano tutt’altro che «ufficiali», ma piuttosto un’iniziativa autonoma del giornale <116.
Nella sua ricostruzione di quegli anni, un esponente missino di primo piano come Gianni Roberti negava nel modo più assoluto sia la partecipazione di Basile che la sua nomina a presiedere il congresso. Oltre al fatto che fosse in quei giorni lontano da Genova - cosa in sé non molto rilevante - Roberti aggiungeva che non era neanche iscritto al Msi, notizia che si trova anche in un rapporto del console generale Joyce <117. Ciò non toglie che i missini non si erano preoccupati di smentire le voci sulla sua partecipazione. Un altro tassello utile a ricostruire la vicenda è l’elenco degli esponenti che effettivamente sarebbero andati a Genova. Dal 25 giugno al 2 luglio il quotidiano neofascista pubblicò nomi, foto e brevissime biografie dei delegati provenienti da tutta Italia. Il 30 compariva Basile. Si trattava però di Michele Basile, avvocato di Vibo Valentia <118. I ricordi di chi scorse l’elenco dei delegati,  probabilmente, si focalizzarono sul ben più famoso e sanguinario Carlo Emanuele. Il coinvolgimento dell’ex gerarca fascista impressionò gli americani per essere stato «un ottimo strumento nelle mani della macchina di propaganda comunista». Ampio spazio alla presenza di Basile venne dato dalla stampa di sinistra e dai frequenti comizi, dove la risposta della folla fu sempre calda. Basti pensare che «L’Unità» del 30 giugno si scagliava contro Basile, che avrebbe intitolato “Torneremo a Genova” un articolo su «Il Secolo d’Italia», alludendo ad una «rivincita sulla città che lo aveva cacciato» <119. Peccato che quell’articolo non sia mai stato scritto, né da Basile né da altri. L’associazione del criminale di guerra al congresso missino divenne prassi consolidata soprattutto dopo l’intervento di Pertini alla Camera, il 1° luglio <120. Questo alimentò le inquietudini degli Usa, che più di tutto temevano un irrigidimento delle posizioni e la polarizzazione del quadro politico.
[NOTE]
100 J. L. Gaddis, La guerra fredda, Mondadori, Milano, 2005, pp. 179-180. Sull’episodio dell’U-2 si veda M.R. Beschloss, Mayday. The U-2 Affair, Harper and Row, New York, 1986.
101 P. Di Loreto, La difficile transizione, cit., pp. 361-362; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 294-295.
102 G. Baget Bozzo, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra, cit., p. 285. Sui manifestanti si veda M. Del Bene, Appunti sulla vicenda del movimento studentesco giapponese, «Passato e Presente», n. 25, a. X, 1991. Per le valutazioni e i timori dei missini si veda I comunisti in Giappone tentano con la forza di rovesciare l’alleanza con il mondo occidentale, «Il Secolo d’Italia», 22 maggio 1960.
103 Da notare che Nenni e Togliatti approvarono le azioni dell’organizzazione Zenga-kuren, si vedano D. Yoshida, 5 milioni di operai giapponesi hanno scioperato contro le basi, «L’Unità», 5 giugno 1960; La nostra solidarietà al popolo giapponese, «L’Unità», 12 giugno 1960; Solidarietà del Pci col popolo giapponese, «L’Unità», 18 giugno 1960.
104 Sul generale inasprimento delle autorità pubbliche nei confronti dell’opposizione di sinistra si veda P. Di Loreto, La difficile transizione, cit., pp. 365-367.
105 G. Roberti, L’opposizione di destra in Italia, cit., p. 138. Per le reazioni sulla stampa missina si veda Preordinate provocazioni dei socialcomunisti a Parma, «Il Secolo d’Italia», 1 maggio 1960.
106 A. Barbato, Da Bologna il primo squillo di tromba, «L’Espresso», 29 maggio 1960, p. 6. Si veda P.G. Murgia, Il luglio 1960, cit., p. 62.
107 Si veda G. Fanti, G.C. Ferri, Cronache dall’Emilia rossa: l’impossibile riformismo del Pci, Pendragon, Bologna, 2001, pp. 67-68.
108 Police breakup of Bologna communist meeting arouses strong reaction, M. Cootes (American Consul General) to the Department of State, May 30, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-3060.
109 Communists provoke incidents in Chamber June 1 over clash with police in Bologna, G. Lister (First Secretary of Embassy) to the Department of State, June 10, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/6-1060. Tuttavia, proprio in relazione ai fatti di Bologna, il parlamentare democristiano Elkan parlò di una grande quantità di armi detenute nelle case di alcuni arrestati o in luoghi vicini. Erano tutti esponenti del Pci e le armi facevano parte, secondo Elkan, di «oscuri e gravi ricordi di guerra civile», si veda AP, CdD, III Legislatura, Discussioni, Seduta del 1° giugno 1960, p. 14423.
110 «L’autorizzazione era stata data da tempo, addirittura da Segni come ministro degli Interni del suo governo», si veda L. Radi, Tambroni trent’anni dopo, cit., p. 105. La notizia del congresso apparve sul quotidiano neofascista a metà maggio, si veda In difesa dello Stato e della nazione insostituibile la funzione del Msi, «Il Secolo d’Italia», 15 maggio 1960. La mozione congressuale fu pubblicata, sempre sul quotidiano neofascista, il 3 giugno.
111 A. Baldoni, La destra in Italia, cit., p. 553; Servello ha scritto di un partito «completamente impreparato», della «sottovalutazione delle capacità di mobilitazione delle sinistre» e della «sopravvalutazione della capacità del governo Tambroni di gestire la situazione». I tempi, comunque, non erano ancora giudicati maturi, F. Servello, 60 anni in fiamma. Dal Movimento Sociale ad Alleanza Nazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, pp. 63-68. Sull’autocritica di Almirante si veda A. Pitamitz (a cura di), Tre protagonisti 25 anni dopo, «Storia Illustrata», n. 337, dicembre 1985, p. 47. Particolarmente netto e amaro fu il giudizio di Anfuso, che nel 1962 arrivò a dire che il Msi avrebbe potuto anche sparire, se la Dc si fosse sforzata di comprendere le intenzioni del partito neofascista, A. Del Boca, M. Giovana, I “figli del sole”. Mezzo secolo di nazifascismo nel mondo, Feltrinelli, Milano, 1965, p. 202. La questione delle intenzioni missine è peraltro molto dibattuta. Ne «Il Secolo d’Italia» del 30 giugno ’60 si legge «il Msi rappresenta dunque, e assume apertamente di voler rappresentare, la continuazione del Fascismo». Tarchi ha ricordato la «classica connotazione bicefala del Msi», alla luce della quale l’obiettivo ultimo restava la costruzione di «un regime destinato a richiamare - sia pure in forme che nessuno avrebbe saputo indicare con precisione - quello mussoliniano», M. Tarchi, Cinquant'anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo, Intervista di A. Carioti, Rizzoli, Milano, 1995, p. 66
112 P. Cooke, Luglio 1960, cit., pp. 39-41; F.M. Solo la Dc a Genova non protesta contro il congresso dei neofascisti, «L’Unità», 11 giugno 1960; Per le reazioni missine si veda La farsa rossa dell’indignazione popolare contro il Congresso nazionale del Msi a Genova, «Il Secolo d’Italia», 11 giugno 1960. Il console Joyce rimase colpito dalla durezza della campagna che poi iniziò. A tal proposito citò un manifesto con la scritta: «Msi uguale fascismo, fascismo uguale nazismo, nazismo uguale camere a gas», Growing opposition to planned Msi convention in Genoa, R. Joyce (American Consul General, Genoa) to the Department of State, June 27, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/6-2760.
113 G. Baget Bozzo, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra, cit., pp. 287-288. Pombeni ha scritto che lo «scandalo» per il congresso a Genova «era credibile fino a un certo punto», P. Pombeni, L’eredità degli anni Sessanta, in F. Lussana, G. Marramao (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta. Culture, nuovi soggetti, identità, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, p. 46. Secondo Cooke le difficoltà sul nascere del governo Tambroni si erano subito riversate a livello locale. Genova fu una delle prime città in cui i missini votarono contro importanti provvedimenti, provocando così la crisi della giunta, si veda P. Cooke, Luglio 1960, cit., pp. 26-27.
114 A. Barbato, “Balilla l’ha impedito”, «L’Espresso», 10 luglio 1960; A. Del Boca, M. Giovana, I “figli del sole”, cit., p. 201; P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo, cit., p. 179.
115 C.E. Basile, Una data ferma scolpita nel tempo, «Il Secolo d’Italia», 24 maggio 1960; C.E. Basile, C’è oggi un’Italia che vuol vivere dal ventre ma c’è anche un’Italia che guarda in alto, «Il Secolo d’Italia», 25 giugno 1960.
116 L’avviso relativo alle pagine non ufficiali dedicate al congresso è presente dal 14 giugno 1960.
117 «[Basile] era in tutt’altra località, nella sua abitazione sui laghi, non era neppure iscritto al Msi, e nessuno aveva pensato - né poteva pensare - di nominarlo Presidente del Congresso», G. Roberti, L’opposizione di destra in Italia, cit., p. 140. Il fatto che Basile non fosse iscritto al Msi spiegherebbe la sua collaborazione così saltuaria al quotidiano. Per il resoconto di Joyce, secondo cui faceva parte di un «gruppo neofascista dissidente», si veda Communist-led rioters succeed in causing cancellation of national convention of neofascist Msi party in Genoa, R. Joyce (American Consul General) to the Department of State, July 11, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/7-1160.
118 Si veda I delegati delle federazioni d’Italia, «Il Secolo d’Italia», 30 giugno 1960. La presenza «innocua» di Michele Basile venne ricordata anche in una lettera del 2003 scritta da Francesco Ryllo (nel ’60 delegato provinciale missino di Catanzaro) al Corriere, si veda Verità storica. Il governo Tambroni, (lettere al direttore Paolo Mieli), «Corriere della Sera», 18 dicembre 2003.
119 Puntano di nuovo sui fascisti, «L’Unità», 30 giugno 1960.
120 AP, CdD, III Legislatura, Discussioni, Seduta del 1 luglio 1960, pp. 15435-15439. Il fratello di Sandro Pertini venne deportato a causa di uno dei bandi emanati da Basile durante la Rsi. Il giorno seguente «Paese Sera» scriveva che il governo era «alleato e difensore del deportatore e fucilatore dei patrioti Carlo Emanuele Basile», si veda N. Antoni, Genova ha detto no al fascismo, «Paese Sera», 2 luglio 1960; si veda anche F. Monicelli, Genova insegna, «Paese Sera», 5 luglio 1960. La presenza di Basile è citata in numerosi siti web e lavori storiografici. Tra i tanti G. Crainz, Storia del miracolo italiano, cit., p. 166; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit., p. 347; P. Di Loreto, La difficile transizione, cit., p. 377; A. Lepre, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 191; L. Radi, Tambroni trent’anni dopo, cit., p. 106. Baldoni ha definito la presenza di Basile «una falsa notizia che esplode come un ordigno ad alto potenziale», A. Baldoni, Due volte Genova, cit., p. 71.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010

sabato 30 agosto 2025

Nell’ambito consumeristico si è avuta la prima introduzione di una azione di classe risarcitoria


2. Il dibattito dottrinale italiano dagli anni Settanta e l’elaborazione scientifica dell’azione collettiva e dell’azione di classe
Proprio durante gli anni 70’, la produzione convegnistica e scientifica ha focalizzato gran parte del suo interesse sulla ricerca di strumenti e rimedi per la tutela di questi “nuovi” interessi che emergevano dalla società. Vi era la consapevolezza, da un lato, di dover ragionare sul bene della vita da tutelare, a fronte di concetti, quali gli interessi collettivi e diffusi, tutt’altro che nitidi e condivisi, dall’altro lato, che il sistema della tutela giurisdizionale civile dell’epoca (e vedremo ancor oggi) non offrisse articolati strumenti di tutela dei fenomeni collettivi (14).
Si coglieva nel sistema della giustizia civile una netta impostazione fondata su rapporti bilaterali (o semmai plurilaterali ma con soggetti identificati o identificabili). Gli istituti processuali a maggior grado di inadeguatezza rispetto ai nuovi bisogni di tutela attenevano in particolare alla legittimazione ad agire (intesa appunto come affermazione di titolarità del rapporto dedotto in giudizio), alla disciplina delle garanzie processuali (sub specie di diritto al contraddittorio e diritto di difesa) ed al regime dei limiti oggettivi e soggettivi del giudicato civile, oltre alla funzione meramente risarcitoria delle misure sanzionatorie dell’illecito.
Proprio il principio-cardine di effettività della tutela giurisdizionale (15) e di accesso alla giustizia sia per il singolo cittadino, sia per la collettività, ma invero anche per colui che ha compiuto la condotta lesiva, hanno sollecitato le indagini scientifiche sui possibili strumenti di tutela collettiva in seno lato, attenzionando due diversi tipi di azione (16): l’azione di classe e l’azione collettiva.
Si noti bene che, seppur in molti casi si senta parlare in maniera indistinta di queste due azioni, queste sono radicalmente e concettualmente diverse, condividendo solo il minimo comune denominatore di essere utili per dare tutela in caso di condotte e violazioni pregiudizievoli per una massa di individui (17).
In sintesi (18), per azioni collettive sovente si intendeva riferirsi ad azioni i cui legittimati a promuoverle fossero associazioni nate e affermatesi come centri di imputazione di interessi collettivi appartenenti non solo agli associati ma ad una collettività più ampia.
L’azione di questi enti esponenziali tenderebbe ad ottenere tutela attraverso un provvedimento che accerta l’illegittimità del comportamento pregiudizievole all’interesse e ne richiederebbe, eventualmente, la cessazione. Con riferimento all’efficacia del giudicato, la dottrina si era orientata verso il riconoscimento dell’efficacia secundum eventum litis, a favore e non contro i singoli che appartengono alla collettività. Il processo sarebbe in ogni caso rimasto disciplinato dalle tradizionali regole del processo di cognizione: l’unica differenza risultava essere il legittimato attivo (l’ente esponenziale ovvero il singolo portatore dell’interesse collettivo) e lo scopo del processo stesso (chieder tutela non per un diritto/interesse proprio, bensì per un interesse collettivo).
Per contro, si era indagata la diversa figura dell’azione di classe, nata dall’esperienza degli Stati Uniti e poi esportata in diversi altri ordinamenti, come accaduto anche in Italia (19). Questa azione risultava proponibile dal singolo individuo (e come si vedrà nel prosieguo anche da enti esponenziali, che comunque agiranno nell’interesse del singolo titolare della posizione giuridica) che agirà nell’interesse suo e anche di una pluralità di soggetti che si trovano in una comune situazione giuridica bisognosa di tutela giurisdizionale. L’azione in tali casi sarebbe stata diretta a dare ristoro alle singole posizioni individuali lese e il provvedimento sarebbe stato solitamente quello di condanna.
Si è così delineata nella dottrina italiana una netta separazione dei due possibili sistemi di tutela collettiva: da un lato, quello che ha ad oggetto la tutela esclusiva dell’interesse sovraindividuale (sia esso collettivo o diffuso), e riconducibile alla figura dell’azione collettiva, dall’altro lato, quello che ha ad oggetto una serie di diritti individuali appartenenti ad una classe di individui e riconducibile alla figura dell’azione di classe (20).
3. L’evoluzione dell’ordinamento italiano sulla scia dell’elaborazione scientifica della distinzione tra azioni collettive e azioni di classe.
Da queste sintetiche ma doverose premesse, ora ci si può muovere per capire come dal dibattito dottrinale si sia arrivati a sviluppare nel nostro ordinamento alcune forme positive di tutela collettiva, sia essa collettiva in senso proprio, sia essa di classe.
Come a più riprese sottolineato, per quanto feconda la dottrina del tempo e per quanto una visione comparatistica evidenziava già (21) come l’esigenza e il sentir comune di nuove forme di tutela non fosse propria solo del nostro ordinamento, il Legislatore ha faticato molto prima di adeguare l’ordinamento a tali sollecitazioni, ed ancora oggi non si coglie un compiuto sistema di queste tutele. Alla spinta intellettuale, invero, è seguita una timida spinta positiva, mai incisiva se non in alcuni specifici settori. Alla stagione convegnistica dei primi anni Settanta dobbiamo ad esempio la spinta per l’introduzione del procedimento di repressione antisindacale previsto dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori (22) e per il procedimento per la tutela della parità di genere introdotto dall’art. 15 della l. n. 903 del 1977. Altro settore dove, seppur con qualche anno in ritardo, si è avuto un primo riconoscimento di tutela sovraindividuale è proprio quello dell’ambiente, in cui per la prima volta con l’art. 18 della l. n. 349/1986 è stato disciplinato il risarcimento del bene collettivo ambiente. Negli anni Novanta poi, sotto la spinta questa volta del legislatore europeo, sono state introdotte nel nostro ordinamento le tutele inibitorie consumeristiche: prima l’azione collettiva dell’art. 1469 sexies c.c., volta appunto ad inibire l’utilizzo di condizioni generali di contratto di cui sia accertata l’abusività e, in seguito, l’azione inibitoria generale a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, introdotta dalla l. n. 281/1998. Entrambe poi confluite nel d.lgs. n. 206 del 2005 (cd. Codice del consumo). Conseguentemente, sempre nell’ambito consumeristico, si è avuta la prima introduzione di una azione di classe risarcitoria, sulla falsa riga della disciplina della ben più nota e funzionale class action americana: con la legge finanziaria per l’anno 2008 (l. 24 dicembre 2007, n. 244), il legislatore ha introdotto l’art. 140 bis c. cons, dedicato appunto alla prima forma di azione di classe risarcitoria (23). Tale norma però non ha mai visto la luce come diritto vigente a causa di continui rinvii (24) alla data di decorrenza della sua applicabilità. Solo con la l. 99/2009 (pubblicata nel supplemento ordinario n. 136 alla G.U del 31 luglio 2009, n. 176) l’art. 140 bis cod. cons, (riscritto proprio dalla su menzionata legge) ha finalmente trovato la luce (25). Con tale ultima introduzione, modificata con alcuni ritocchi dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, si è smesso, almeno a livello legislativo, di pensare all’introduzione di un diverso strumento generale, che potesse dare ristoro ad una classe di soggetti titolari di un diritto leso da una condotta plurisoggettiva, preferendo dunque la via di azioni tipiche e specifiche in singoli settori. 
La scelta di fondo comunque risultava abbastanza chiara: delineare un’azione di classe modellata (con diverse rilevanti differenze) sul modello nordamericano, mettendo quindi da parte, almeno per la tutela risarcitoria, il modello dell’azione collettiva (26).
Seppur la rivoluzione consumeristica fosse in concreto un deciso passo in avanti verso la “rivoluzione” della tutela sovraindividuale nel nostro Paese, non si è mai smesso di sperare nell’introduzione di uno strumento sovraindividuale slegato da uno specifico settore dell’ordinamento. Il sentimento di inadeguatezza del solo art. 140-bis c.p.c. ha spinto il legislatore a ripensare all’azione di classe e, quasi d’improvviso (27), ad approvare la l. n. 31/2019 recante la nuova disciplina dell’azione di classe risarcitoria.
La riforma così approvata ha pertanto dotato il nostro ordinamento di una tutela di classe risarcitoria generale, slegata da un singolo settore e orientata alla tutela di qualsivoglia diritto individuale leso, che appartenga ad una classe di soggetti. L’azione di classe entra così nel codice di procedura civile e il parallelismo con l’azione nordamericana (28), seppur sussistono ancora molte differenze, diventa sempre più marcato. Successivamente, il legislatore italiano, sotto la spinta del legislatore europeo, ha dovuto adeguarsi anche all’implementazione della direttiva 2020/1828/UE avente ad oggetto la disciplina delle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, introducendo dunque, nella Parte V (“Associazioni dei consumatori e accesso alla giustizia”) del codice del consumo, un nuovo Titolo II.1 (“Azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori”: artt. 140-ter c.p.c. 140-quaterdecies), recante le disposizioni volte a dare per l’appunto attuazione alla direttiva europea.
Ad oggi, pertanto, il nostro ordinamento prevede due forme di tutela risarcitoria di classe, una di carattere generale contenuta nel codice di rito, l’altra prevista per il solo settore consumeristico inserita nel codice del consumo.
Ebbene, l’oggetto della ricerca qui condotta si incentra sull’attuale azione di classe introdotta nel nostro ordinamento con la l. n. 31/2019, azione che, come si avrà modo di vedere, ha ad oggetto dei diritti omogenei cd. seriali. Seppur, in concreto, l’azione di classe sia utile e assolva ad un fondamentale bisogno collettivo, è vero anche che formalmente, oggetto dell’azione non è né un interesse collettivo, né un interesse diffuso, bensì solo la posizione soggettiva individuale, omogenea tra la classe.
Di interesse diffuso e collettivo, si avrà in ogni modo, occasione di parlare durante l’analisi dell’evoluzione della disciplina ambientale e climatica. In modo particolare, proprio i primi dibattiti su questi concetti hanno modificato la stessa nozione di “natura” e, ancora ad oggi, orientano le soluzioni che man mano si prospettano sul piano del diritto positivo più funzionali.
[NOTE]
14 G. COSTANTINO, Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi davanti al giudice civile, in Diritto e Giurisprudenza, 1974, p. 817 e ss.
15 F. CARPI, Note sull’accesso alla giustizia, in Riv. trim. proc. civ., 2016, p. 835, il quale esordisce citando il discorso di Joseph Weiler, tenuto al congresso internazionale di Bologna del settembre 1988, in cui lo stesso ha sottolineato come l’affermazione dei Bill of Rights è cosa ben diversa da giurisdizione effettiva. A livello teorico i diritti fondamentali sono ora riconosciuti in tutte le costituzioni moderne e in trattati e principi sovranazionali, ma a livello concreto non è sempre così.
16 In dottrina, sebbene con differenti accentuazioni, cfr. M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, cit., p. 199 ss.; V. DENTI, Relazione introduttiva, cit., p. 15 ss.; G. COSTANTINO, Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi davanti al giudice civile, cit., p. 223; L. ZANUTTIGH, Intervento, cit., p. 310. Cfr. ancora A. CORASANITI, La tutela degli interessi diffusi davanti il giudice ordinario, cit., p. 181; V. VIGORITI, Interessi collettivi e processo, cit., p. 15, ed in particolare, sui limiti delle tradizionali configurazioni della nozione di legittimazione ad agire p. 65 ss.; G. ALPA, Interessi diffusi, cit., p. 611; V. DENTI, La giustizia civile, Bologna, 2004 p. 113, che evidenzia come il nostro ordinamento civile (i codici civile e procedura civile ne sono un esempio) abbia come punto di riferimento i rapporti soggettivi interprivati, bilaterali o plurilaterali, che fanno capo alle situazioni giuridiche tradizionali, quali ad esempio i diritti reali e i diritti di obbligazione. Ciò emerge chiaramente sia dalle norme che disciplinano la instaurazione del contraddittorio (artt. 101 e 102 c.p.c.), sia dalle norme che regolano i limiti soggettivi della cosa giudicata (art. 2909 c.c.). Più di recente, cfr. A. CARRATTA, Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 109; P. RESCIGNO, Sulla compatibilità tra il modello processuale della «class action» ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur. it., 2000, p. 2224 ss.; S. MENCHINI, Azioni seriali e tutela giurisdizionale: aspetti critici e prospettive ricostruttive, in www.judicium.it.
17 S. CHIARLONI, Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori, in Riv. dir. proc., 2007, p. 568.
18 In dottrina per il concetto di azione collettiva si vedano le riflessioni V. DENTI, Interessi diffusi, cit., p. 312, secondo l’Autore l’azione collettiva in senso proprio sarebbe quella idonea a far emergere la dimensione collettiva della controversia, specie al fine di estendere la cognizione del giudice alle reali dimensioni della causa. L’Autore prosegue poi sottolineando che l’uso dell’espressione in esame, invalso nella prassi, si riferisca prevalentemente alle azioni promosse da gruppi o associazioni a tutela degli interessi collettivi in senso proprio, ma il suo utilizzo può essere esteso anche alla tutela degli interessi propriamente diffusi. La scelta lessicale “azione collettiva” dovrebbe, dunque, caratterizzare le azioni promosse da parte degli enti esponenziali relativamente a qualunque tipo di interesse sovraindividuale. Ed in particolare dovrebbe essere preferito a diverse formule viceversa privilegiate all’estero, tra cui, la formula delle “azioni pubbliche” e delle “azioni di classe”, utilizzabili in sistemi, come quello nord-americano. Denti precisa, inoltre, che l’azione a tutela di interessi diffusi è azione collettiva anche quando è fatta valere del singolo portatore dell’interesse, e non soltanto quando è promossa dal gruppo o dall’associazione. Con il termine “azione collettiva” si intende riferirsi non l’aspetto soggettivo, bensì l’aspetto oggettivo della domanda di tutela. Cfr. le osservazioni di M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, cit., p. 202. Diversamente da quanto sostenuto da Denti, la dottrina più recente ha sovente inteso riferirsi all’“azione collettiva” come all’azione assegnata di volta in volta dal legislatore alle associazioni legittimate, dando, dunque, l’apparenza di una concezione fondamentalmente soggettiva della stessa (ovvero intenzionata unicamente a rilevare l’attribuzione del potere di azione ad un soggetto collettivo) ma al contrario, nella sostanza, celando una concezione di detta azione tutta fondata sulla distinzione ontologica dell’interesse collettivo rispetto l’interesse individuale. Cfr., ad esempio, B. CAPPONI, Diritto comunitario e azioni di interesse collettivo dei consumatori, in Foro it., 1994, IV, p. 439 ss., spec. p. 449, il quale sottolinea come l’azione collettiva non può certo essere confusa con la class action del diritto nordamericano: in quest’ultimo sistema, il soggetto che il giudice riconosce legittimato ad agire dà impulso ad un procedimento destinato a produrre effetti per l’intera classe, senza che abbia rilevanza concreta la distinzione tra interesse “individuale” e interesse “collettivo”. Il differente sistema dell’azione collettiva nasce invece proprio dalla distinzione tra interesse individuale del singolo (che può coincidere, ma non necessariamente coincide, con quello della collettività) e interesse collettivo (o diffuso, superindividuale, ecc.) del gruppo organizzato».
19 Si badi bene che anche in questo caso la scelta linguistica è voluta. In molti preferiscono l’uso del termine inglese class action anche per definire lo strumento italiano, ritengo però che l’uso non sia corretto in quanto richiama necessariamente l’esperienza americana della Rule 23 del Federal Rules of Civil Procedure, assai distante dalla disciplina nazionale (precedente e moderna) italiana. Di medesimo avviso G. ALPA, L’art. 140-bis del codice del consumo nella prospettiva del diritto privato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, p. 380, in cui l’A. definisce appunto l’uso del termine class action una “mera convenzione linguistica”.
20 Si esprime in termini parzialmente diversi sulla differenza tra questi rimedi R. DONZELLI, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., p. 422, nt. 26, secondo il quale “l’impostazione ora indicata [l’A. fa qui riferimento alla distinzione individuata da Chiarloni e sintetizzata nel testo], infatti, tende nella sostanza a coincidere con la distinzione-contrapposizione tra damages class action statunitense e azione collettiva inibitoria associativa, ovvero con due tipologie di giudizio puntualmente connotate sul piano positivo in riferimento ad uno specifico regime di legittimazione ad agire e di efficacia della sentenza. A parer nostro, invece, occorre valorizzare gli elementi funzionali e strutturali essenziali, che indicano chiaramente la differenza che intercorre tra giudizio collettivo proprio, nel quale la tutela è volta al soddisfacimento di interessi individuali concorrenti mediante l’accertamento di un unico effetto giuridico, e giudizio collettivo improprio, nel quale la tutela è volta al soddisfacimento di interessi individuali esclusivi mediante l’accertamento di più e diversi effetti giuridici sostanziali”. Non è mancato chi invece ha usato il termine “azione collettiva” intendendola come situazione di vantaggio avente ad oggetto un provvedimento sul merito, da parte del giudice di cognizione, di portata superindividuale, sia che il provvedimento abbia ad oggetto situazioni di vantaggio a loro volta di portata superindividuale (interessi collettivi o diffusi), sia che esso abbia ad oggetto una pluralità di situazioni di vantaggio individuali e necessariamente omogenee. Cfr. A. GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008, p. 16, il quale focalizza l’attenzione del suo lavoro sulla questione fondamentale inerente all’accesso a un’utilità giuridica non escludibile da parte più soggetti.
21 Il fenomeno collettivo nelle altre giurisdizioni ha avuto il suo massimo sviluppo solo dall’inizio degli anni 2000, solo da quegli anni nelle giurisdizioni sia di civil law sia di common law sono proliferate nuovi strumenti processuali che consentono a un gran numero di persone di unirsi per ottenere rimedi ai danni subiti. Solo poche giurisdizioni hanno adottato statuti sull’azione di classe rappresentativa prima degli anni 2000. Ne sono un esempio gli Stati Uniti che hanno adottato la moderna norma sulla class action nel 1966. Anche l’Australia la quale ha introdotto la prima forma di class action a partire dal 1992. E ancora il Québec che ha introdotto la sua forma di azione di classe nel 1978 e l’Ontario e la Colombia britannica che invece si sono dotate di strumenti di tutela collettiva ad inizio anni '90. Per una ricostruzione storica del fenomeno si veda D. R. HENSLER, The Global Expansion of Class Actions: Power, Politics and Procedural Evolution, in The Cambridge Handbook of Class Actions, An International Survey, B. T. Fitzpatrick and R. S. Thomas (edited by), 2021, p. XVIII.
22 L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori prevede infatti una prima forma di strumento collettivo, disciplinando il potere delle associazioni sindacali di agire nei confronti del datore di lavoro reo di aver posto in essere condotte dirette ad impedire o limitare l’esercizio della libera attività sindacale nonché il diritto di sciopero. Si veda sul punto M. TARUFFO, La repressione della condotta antisindacale nel nuovo rito del lavoro, in Giur. it., 1976, p. 9 e ss.; cfr. per ulteriori indicazioni sull’argomento A. PROTO PISANI, Il procedimento di repressione dell’attività antisindacale, in Foro it., 1973, p. 57 e ss.; E. GARBAGNATI, Profili processuali del licenziamento per motivi antisindacali, in Riv. dir. proc., 1973, p. 619 e ss.; T. TREU, Attività antisindacale e interessi collettivi, in Pol. Dir., 1971, p. 565 e ss.; U. ROMAGNOLI, Aspetti processuali dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1971, p. 1309 e ss. L. LANFRANCHI, Prospettive ricostruttive in tema di art. 28 dello statuto dei lavoratori, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1971, p. 393 e ss.
23 Prima dell’entrata in vigore del codice del consumo e della susseguente legge finanziaria del 2008, vi furono alcuni progetti di legge durante la XIV legislatura che iniziavano ad abbozzare una prima forma di tutela collettiva risarcitoria (per la precisione le proposte nn. 3838 e 3839 del 27 marzo 2003, confluite in un testo unificato, approvato dalla Camera il 21 luglio 2004, ma bloccato poi al Senato). A seguito di questi primi tentativi.
24 L’iniziale periodo di vacatio, previsto dal comma 447, venne più volte prolungato: prima l’art. 36 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 stabilì che “al fine di individuare e coordinare specifici strumenti di tutela risarcitoria collettiva, anche in forma specifica nei confronti delle pubbliche amministrazioni, all’articolo 2 comma 447, della legge 4 dicembre 2007, n. 244 le parole ‘decorsi centoottanta giorni’ sono sostituiti dalle seguenti: ‘decorso un anno’”. Poi l’art. 19 d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito in legge 27 febbraio 2009, n. 14, estese ulteriormente il termine a diciotto mesi. Infine, l’art. 23, comma 16, d.l. 1 luglio 2009, n. 78 convertito con modificazioni in legge 3 agosto 2009, n. 102, lo ampliò a ventiquattro mesi. Si è passati dunque da luglio 2008, a gennaio 2009, a luglio 2009 e infine a gennaio 2010.
25 L’art. 140 bis c. cons. è entrato in vigore il 1 gennaio 2010, solo da tale data dunque l’ordinamento italiano si è dotato di una forma di azione di classe.
26 A. D. DE SANTIS, La genesi della nuova tutela giurisdizionale collettiva, in Class action ed azione collettiva inibitoria, cit., p. 4 e ss.
27 In realtà il testo normativo della l. 31 del 2019 consegue ad una proposta di legge presentata già nel 2013 alla Camera, approvata dalla stessa nel 2015 e infine arenata in Senato nella XVII legislatura. L’approvazione repentina della legge sia al Senato che alla Camera discende dallo stesso timore che, ancora una volta, l’iter parlamentare potesse bloccare l’iniziativa. Cfr. C. CONSOLO, Sub art. 840-bis c.p.c., in Codice di procedura civile commentario, C. Consolo (diretto da), Milano, 2019, p. 5.
28 La class action nordamericana è strumento processuale di carattere generale, non finalizzato alla tutela di alcuna particolare situazione sostanziale, bensì utilizzabile per la tutela dei diritti più diversi e nei settori più vari del diritto. Cfr. N. TROCKER, La class action negli stati uniti: lo stato dell’arte, in Riv. dir. proc., 2020, p. 755.
Riccardo Aquilini, Il ruolo dell'azione di classe nel sistema di tutela dell'ambiente e del clima, Tesi di dottorato, Università Cattolica del Scaro Cuore - Sede di Milano, Anno Accademico 2023-2024

martedì 26 agosto 2025

Sidney Tarrow descriveva il PCI come un partito di massa


Pochi mesi prima della pubblicazione del volume di Blackmer, la casa editrice dell’Università di Yale, la Yale University Press, pubblicò la tesi di dottorato di un altro giovane studioso, che aveva terminato il suo corso di studi all’Università di Berkeley nel 1965: "Peasant Communism in Southern Italy", pubblicato nella versione originale nel 1967 e tradotto in italiano per Einaudi nel 1972 <188. La tesi dello studioso era stata diretta dal politologo di Yale David E. Apter, autore del famoso volume "The Politics of Modernization", pubblicato nel 1965 <189.
Sidney Tarrow passò due anni in Italia grazie ai fondi del programma Ford Foundation Dissertation Fellowship, una borsa di studio erogata dalla fondazione per condurre ricerche per la stesura delle tesi di dottorato. Grazie a quel finanziamento e al lavoro svolto in Italia, Tarrow riuscì a entrare in contatto con alcuni membri del PCI, incluso Franco Ferri direttore dell’Istituto Gramsci, contenitore all’interno del quale veniva elaborata la politica culturale del partito. Fu proprio Ferri ad invitare i Segretari di Federazione del PCI a rispondere a un questionario elaborato dallo studioso americano: «d’accordo con la Sezione di organizzazione del PCI», si legge:
"Mi permetto di raccomandarti l’allegato schema di inchiesta […]. Il dott. Tarrow vorrebbe delle notizie a livello provinciale sulla nostra organizzazione e in questo senso sollecita la tua collaborazione per quanto riguarda la tua esperienza personale. Ritengo, confortato dal parere della sezione centrale di organizzazione, che sia bene rispondere la questionario con la massima franchezza" <190.
Dalle carte a disposizione, emerge che Tarrow aveva contatti anche con Giuseppe Lopreato dell’Istituto Cattaneo di Bologna, il personale dell’Associazione per lo sviluppo industriale del mezzogiorno (SVIMEZ), Gianfranco Poggi, Gloria Ammassari, e i leader comunisti Emilio Sereni, presidente della Commissione culturale del partito fino al 1956, membro della Direzione e poi direttore di “Critica marxista” e Giorgio Napolitano, altro esponente di spicco del partito, anch’egli membro della Direzione del partito, già presidente della Sezione lavoro di massa e destinato, di lì a breve, a diventare responsabile della Sezione culturale.
Influenzato probabilmente dai pochi studi disponibili sul sud Italia negli Stati Uniti, Tarrow descriveva la regione come un interessante caso di area in via di sviluppo all’interno di un paese capitalista avanzato <191: nei rapporti economici, sociali e politici, le caratteristiche che emergono dallo studio del sud sono più simili a quelle di un paese arretrato che a quelle del nord Italia. La sua lettura si basava d’altra parte anche sulla riflessione di Antonio Gramsci sulla questione meridionale: una caratteristica nient’affatto scontata per i lavori che qui si analizzano. Tarrow si soffermava anche sull’analisi di Gramsci e Togliatti a proposito del ruolo dei contadini nel partito comunista dimostrando di aver letto le opere dei principali esponenti comunisti che si occupavano di analizzare il Mezzogiorno: oltre a Napolitano e Sereni, Ruggiero Grieco, Mario Alicata e Gerardo Chiaromonte.
La tesi del libro era che la “via italiana al socialismo”, così come applicata dal PCI indistintamente per le regioni del nord e del sud, si fosse rivelata un fallimento in questa seconda area geografica, in cui non sarebbero emersi gruppi dirigenti comunisti adeguati a governare la riforma agraria messa in campo con la creazione della Cassa del Mezzogiorno.
Nei capitoli centrali, dedicati alla storia e all’organizzazione del PCI, l’autore lo descriveva come un partito di massa, che aveva sviluppato «an ideology of solidarity, rather than one of revolution», che rappresentava un tipo nuovo di partito radicale all’interno di una società capitalista, che partecipava all’organizzazione politica ed economica del paese e collabora con gruppi non comunisti specie a livello amministrativo: faceva trasparire, insomma, una lettura positiva del suo ruolo e della sua evoluzione <192.
La bibliografia del volume include anche il lavoro, ancora inedito, di Blackmer. I contatti tra Tarrow e Blackmer c’erano già perlomeno dal 1964, da quando uno scambio di lettere tra i due studiosi conferma lo scambio di commenti e suggerimenti reciproci. Risulta particolarmente interessante lo scambio di vedute tra i due studiosi sull’importanza del "memoriale di Yalta". Tarrow lo riteneva un autentico cambio di passo del PCI, o quantomeno la dimostrazione concreta dell’adesione al policentrismo e alla via italiana <193. Al contrario, Blackmer riteneva che il partito fosse ancora pervaso dall’ideologia leninista e che quindi esagerare l’importanza del "Memoriale" fosse un errore interpretativo <194.
Tarrow difese l’idea del cammino riformista del PCI anche in un saggio pubblicato sull’“American Political Science Review” nel 1967. Confutando l’analisi del politologo italiano Giovanni Sartori, il cui lavoro era già molto noto oltreoceano, Tarrow sosteneva che il PCI non rientrasse nei parametri classici scelti dagli scienziati politici per descrivere l’assetto interno di un partito. Il PCI era un partito di massa, che aveva rinunciato al carattere strettamente leninista e aveva adottato un’efficace strategia della presenza nelle istituzioni e nelle principali organizzazioni del paese, alla cui vita politica collaborava attivamente <195.
I due studiosi avrebbero collaborato nel corso degli anni successivi fino a curare insieme un volume alla metà degli anni settanta, su cui si tornerà in seguito.
La figura accademica che li univa, punto di riferimento di entrambi, era il politologo dell’Università di Yale Joseph LaPalombara, qualcuno che, secondo Tarrow, «some may have seen as the Cavour of Italian political science but who, for me, is a combination of Mazzini and Garibaldi» <196. Vista l’importanza intellettuale avuta nell’evoluzione della scienza politica, la capacità di tessere relazioni negli Stati Uniti e in Italia, l’abilità diplomatica, i costanti contatti nel mondo intellettuale e politico e la varietà dei compiti svolti nel corso di circa cinquant’anni di lavoro, è difficile rendere pienamente giustizia al ruolo svolto in Italia da Joseph LaPalombara. Nell’autunno del 1952, LaPalombara era arrivato in Italia in qualità di dottorando dell’Università di Princeton grazie a un finanziamento della Commissione Fulbright e del Social Science Research Council per completare la ricerca per la sua tesi. Il suo lavoro era incentrato sul movimento sindacale italiano dal secondo dopoguerra e venne pubblicato qualche anno dopo per Cornell University Press. Nato in una famiglia italoamericana, LaPalombara era in grado di leggere l’italiano: così, quando frequentò l’università per stranieri di Perugia, poté rinunciare a seguire i corsi di lingua e dedicarsi completamente allo studio del movimento sindacale nelle campagne umbre. Prese contatto con la Camera del Lavoro della città, e grazie al Segretario Generale della CGIL, Giuseppe di Vittorio, fu presentato a Bruno Trentin, che nell’ottobre del 1952 era appena entrato nell’Ufficio studi del sindacato <197.
Il suo secondo lavoro sull’Italia rivela l’influenza delle teorie della modernizzazione sui politologi “italianisti”: si tratta di un corposo volume in cui vengono analizzate principalmente il ruolo della Confindustria e dell’Azione Cattolica nella definizione della politica italiana. Affiliato al Committee on Comparative Politics del SSRC, LaPalombara utilizzò contestualmente il concetto di cultura politica elaborato da Almond <198 e quello di gruppi di interesse <199 per esaminare il caso italiano. Il volume, pubblicato nel 1964 con il titolo "Interest Groups in Italian Politics", è frutto di una serie di interviste raccolte tra il 1957 e il 1958 <200. Il primo capitolo è dedicato all’analisi del contesto socio-economico italiano, con un particolare accento sulla divisione regionale del paese e, soprattutto, sulle differenze economiche e sociali tra nord e sud. Dai dati dell’istituto di ricerca ISTAT letti da LaPalombara, emergeva non solo che il sud fosse ben più arretrato economicamente rispetto al nord, ma anche che ci fosse una correlazione tra la posizione economica e voto politico. Specie tra gli emigrati meridionali nelle città industriali del nord Italia, coloro che vivevano in difficoltà tendevano a scegliere il PCI alle urne: "Survey research data clearly indicate that support for the Italian Communist party is often strongly provided by those who are in the most disadvantaged economic conditions. Moreover, analyses of voting patterns in such industrial cities as Bologna, Turin, Genoa and Milan show unmistakably that the Communist party is the major beneficiary at the polls of the wretched conditions in which Southern migrants find themselves there" <201
I riferimenti intellettuali con cui LaPalombara dialogava in questa fase del suo lavoro furono da una parte i grandi nomi della scienza politica statunitense e dall’altra alcuni scienziati sociali italiani di fama internazionale con cui aveva già collaborato o lo avrebbe fatto di lì a poco. In particolare, il riferimento principale per la teoria dei gruppi di pressione era il politologo Giovanni Sartori dell’Università di Firenze. Con Alberto Spreafico, collega di Sartori, invece LaPalombara aveva contatti personali: i due politologi collaborarono, insieme con il gruppo di scienziati sociali riuniti attorno alla Fondazione Adriano Olivetti, per almeno un decennio <202 e curarono il volume "Elezioni e comportamento politico in Italia", pubblicato nel 1963 con la casa editrice della Fondazione. Si trattava di una corposa analisi delle elezioni politiche del 1958 e delle amministrative del 1960 elaborata da un gruppo variegato di scienziati sociali italiani, tra cui Paolo Ammassari, allora affiliato al Dipartimento di Sociologia e Antropologia della Michigan State University e Giuseppe Mammarella, assistente della cattedra di Scienza Politica presso la sede fiorentina dell’Università di Stanford. Allo studio del processo elettorale e del regime politico, gli studiosi unirono per la prima volta in Italia l’analisi del comportamento dell’elettorato, con l’obiettivo di valutare il livello di interesse, informazione, adesione ai valori della democrazia, convinzioni ideologiche dei vari gruppi sociali, distinti per età, condizioni economiche, sesso, distribuzione geografica. Come esplicitato nell’introduzione, il volume ricevette i finanziamenti dell’Istituto di diritto pubblico comparato della Facoltà di scienze politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze, del SSRC, dell’Università del Michigan e della United States Information Service (USIS) di Roma, a testimonianza dell’interesse del governo federale statunitense per quello studio <203.
[NOTE]
188 Sidney G. Tarrow, Peasant Communism in Southern Italy, New Haven and London, Yale University Press, 1967.
189 David E. Apter, The Politics of Modernization, Chicago, Chicago University Press, 1965.
190 DLMB Papers, Franco Ferri ai Segretari di Sezione, 8 giugno 1964, Tarrow, Sidney, 1964-1997, MIT, Institute Archives and Special Collections, Cambridge, Massachusetts.
191 Il più noto lavoro sul sud d’Italia negli Stati Uniti è di Edward C. Banfield, che alla metà degli anni Cinquanta si recò in un piccolo paese della Basilicata, Chiaromonte, per studiare l’ethos su cui si basavano i rapporti sociali coniando la definizione di “familismo amorale”. Cfr. Edward C. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, Bologna, Il Mulino, 2010 (ed. or. Edward C. Banfield, The Moral Basis of a Backward Society, New York, The Free Press, 1958).
192 Tarrow, Peasant Communism, cit., pp. 149-161.
193 DLMB Papers, MC 715, Box 5, Tarrow to Blackmer, Oct. 10, 1964, Sidney, Tarrow, MIT, Institute Archives and Special Collections, Cambridge, Massachusetts.
194 DLMB Papers, MC 715, Box 5, Blackmer to Tarrow, March 22, 1965, DLMB Papers, Tarrow, Sidney, MIT, Institute Archives and Special Collections, Cambridge, Massachusetts.
195 Sidney Tarrow, Political Dualism and Italian Communism, in “The American Political Science Review”, March 1967, pp. 39-53. Cfr. anche Giovanni Sartori, European Political Parties: The Case of Polarized Pluralism, in Joseph LaPalombara and Myron Weiner (edited by), Political Parties and Political Development, Princeton, Princeton University Press, 1966, pp. 145-147.
196 Tarrow, Peasant Communism, cit., p. X.
197 Ancora oggi, LaPalombara mantiene contatti con esponenti della politica e della cultura italiana. Joseph LaPalombara, intervista scritta con l’a., 29 ottobre 2017.
198 Cfr. Gabriel Almond, A Functional Approach to Comparative Politics, in Gabriel A. Almond and James S. Coleman (edited by), The Politics of Developing Areas, Princeton, Princeton University Press, 1960, pp. 3-64.
199 Su questo, si veda Joseph LaPalombara, The Utility and Liitations of Interest Group Theory in Non-American Field Situations, in “Journal of Politics”, Vol. 22, Feb. 1960 e Giovanni Sartori, Gruppi di pressione o gruppi di interesse, in “Il Mulino”, Vol. 8, marzo 1960.
200 Presumibilmente grazie ad un finanziamento del SSRC del progetto firmato da LaPalombara e dal collega dell’Università dello stato del Michigan John T. Dorsey sui gruppi di interesse in Italia e Francia. Cfr Rockefeller Archive Center, Social Science Research Council records, Record Group 2: Accession 2; Series 1: Committee Projects; Subseries 74: Committee Projects - Miscellaneous Files Social Science Research Council, 1956 FA021 Box 738, Folder 8918, Committee on Comparative Politics - Papers - LaPalombara, J. and Dorsey, J. T. - ‘A Research Proposal for Western Europe (Italy and France)’.
201 LaPalombara, Interest Groups, cit., pp. 35-36.
202 In particolare, LaPalombara fece da tramite con la Fondazione Ford per la creazione del Co.Spo.S. Cfr. il capitolo 1.
203 Alberto Spreafico e Joseph LaPalombara (a cura di), Elezioni e comportamento politico in Italia, Cremona, Edizioni di Comunità, 1963, p. XXIV.
Alice Ciulla, Gli intellettuali statunitensi e la "questione comunista" in Italia, 1964-1980, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2019

domenica 10 agosto 2025

Un comandante polacco tra i partigiani della provincia di Savona


Alla metà di marzo [1944] la base partigiana della Val Casotto, che ospitava tra gli altri decine di savonesi, era stata spazzata via da un massiccio rastrellamento condotto da truppe alpine tedesche equipaggiate con armi pesanti, e buona parte dei sopravvissuti si diresse verso la provincia di Savona, dando nuova linfa al locale movimento di resistenza. Ancor prima del rastrellamento, ai primi del mese, era tornato nella zona di Santa Giulia di Dego il “Biondino”, conosciuto tra i badogliani come “Folgore”, che, sfuggito ad un agguato a Ceva, aveva ritenuto opportuno riparare nei pressi di casa - era cresciuto tra la valle Uzzone e Piana Crixia - per organizzarvi una nuova banda. Qui iniziò la sua leggenda nera fatta di uccisioni spietate, brillanti azioni di guerriglia, rapine feroci, piccoli e grandi favori ai contadini della zona e una guerra senza quartiere contro i fascisti, cui il “Biondino” (che pure era stato orgogliosamente volontario in Etiopia intuendo laggiù il potere delle armi) imputava tutti i guai della sua difficile esistenza di trovatello <38. Avendo vissuto i giorni migliori della sua vita con un’arma in pugno, accanto ad autentiche imprese da guerrigliero, che citerò più avanti, il “Biondino” si rese responsabile di decine di atti di violenza che, pur contestualizzati nel clima da tregenda della guerra civile e di classe che spazzava le Langhe in quei mesi, non si possono scindere dalla sua mentalità contadina, ristretta e tendenzialmente paranoica. In altre parole, a Santa Giulia tra il marzo e l’agosto del 1944, mentre da un lato il gruppo si legava ai garibaldini della Sedicesima Brigata guidata dall’operaio comunista astigiano Angelo Prete “Device”, che a più riprese intervenne per disciplinarne l’azione, il “Biondino” fu un autentico ras partigiano, amato e temuto al tempo stesso, con potere di vita e di morte sui suoi stessi uomini, cui peraltro non faceva mai mancare il necessario. La sua non fu una Resistenza in senso stretto, una scelta politica e morale meditata e sofferta, ma piuttosto una guerra di vendetta personale contro un mondo che si era intromesso in una vita già precaria e difficile. Sommando questi fattori alla natura violenta, sospettosa, impulsiva e al tempo stesso semplice ed influenzabile del personaggio, il risultato fu una miscela esplosiva che rese Santa Giulia e dintorni scenari da Far West <39, e il “Biondino” un po’ pirata, un po’ pistolero, un po’ partigiano. Elencare le decine di vittime attribuitegli - in buona parte per coprire responsabilità altrui - sarebbe lungo. Va tenuto presente che tali persone furono eliminate per i motivi più svariati, dalla colpa di essere fascisti o parenti di fascisti e per giunta benestanti alla denuncia di un vicino rancoroso o geloso, all’essere sospettati di spionaggio o tradimento <40. Ma anche altrove non si andava tanto per il sottile. Il 15 aprile ad Osiglia, ormai in zona d’influenza garibaldina, furono assassinati a tradimento tre reduci “maurini” di Val Casotto. Si trattava del genovese tenente Mario Ardù, ex comandante del distaccamento dei “Baracconi” e in seguito medaglia d’argento alla memoria, di Ugo Rizzo, di Bordighera, e del monregalese Guido Gennari. Avevano deciso di costituire un nuovo distaccamento intuendo il valore strategico del luogo, ma furono prontamente eliminati da una squadra di “irregolari”, con tutta probabilità garibaldini, desiderosi di vendicare il tradimento di San Giacomo di Roburent <41.
In quei giorni, al “Calcagno” che procedeva inquadrando ed organizzando nuove reclute, si aggiunsero altri piccoli gruppi di insorti, incoraggiati dall’arrivo della primavera oppure spinti alla ribellione dai nuovi bandi di reclutamento della RSI e dalle sempre più dure rappresaglie. Un esempio di questo tipo di unità partigiane, spontaneiste ed inesperte, è dato dalla breve vicenda della “Brigata Tom” <42, un nucleo di una cinquantina di giovani della zona di Pietra Ligure riunitosi intorno al capitano Tommaso Carpino “Tom”. Il gruppo, sommariamente armato, alla fine di marzo controllava e amministrava il paese di Giustenice accumulando armi e viveri in previsione dell’attività futura. Ma, dopo aver disarmato un militare tedesco, fu rapidamente disperso da un rastrellamento nazifascista. In seguito, nello stesso paese si installò una nuova formazione di una ventina di uomini comandati dal genovese tenente Renato Boragine <43. Erano tutti militari, diffidenti nei confronti dei partigiani di provenienza civile che consideravano inadatti al combattimento. Sfuggiti ad un primo rastrellamento ritirandosi sulle montagne sopra Bardineto, i partigiani in uniforme caddero infine in un’imboscata. Boragine venne poi fucilato il 13 settembre 1944; a guerra finita gli fu conferita la medaglia d’oro al valor militare <44. Intanto proseguiva la repressione contro i renitenti alla leva. Il 5 aprile una puntata di rastrellamento italo-tedesca su Calizzano, Bardineto, Murialdo e Millesimo portò alla cattura dei renitenti Nicola e Romolo Maritano, Antonio e Pietro Revetria e Dino Rinaldi, poi fucilati a Ceva <45.
Mentre vari gruppetti isolati nascevano per poi disperdersi, i garibaldini del “Calcagno”, trasferitisi per qualche tempo a Pian dei Corsi, tra Calice Ligure e Bormida, aumentavano di numero fino a raggiungere a primavera inoltrata le 150 unità. La migliorata organizzazione un po’ in tutti i settori fece il resto, pur in una situazione che richiedeva ancora una notevole dose di prudenza. Creati i vari servizi necessari alla propria sicurezza e sussistenza, il distaccamento istituì una “squadra volante” composta di elementi scelti agli ordini di “Mario”. Tale unità fungeva al tempo stesso da commando per le prime operazioni di guerriglia e da polizia partigiana, agendo sovente a notevole distanza dalle basi per non attirare il nemico sul distaccamento ancora in fase di accrescimento, e quindi gravato di reclute inesperte <46. Intanto in marzo a Savona era stata costituita l’intendenza di zona (per il Comando effettivo bisognerà attendere agosto) con sede in via Vanini per opera di Carlo Farini “Simon”, ispettore delle Brigate Garibaldi per il Ponente ligure, Vincenzo Mistrangelo “Marcello”, futuro Commissario di zona, e Angelo Aime “Giorgio”. Con l’aiuto del Fronte della Gioventù, dei Gruppi di Difesa della Donna (l’organizzazione femminile del PCI) e delle nascenti SAP, vennero creati diversi depositi di armi, munizioni, viveri, abiti e medicinali: i primi due erano siti a Savona in via Buscaglia e a Valleggia di Quiliano <47. Con tutto ciò “Mirto”, intendente del “Calcagno”, doveva fare i salti mortali per sfamare i suoi compagni. I partigiani potevano nutrirsi pressoché esclusivamente di castagne, patate, polenta e legumi, sempre che ci fossero. L’arrivo di carne, pasta o riso era un evento memorabile. Grazie ad una fiancheggiatrice il distaccamento poté disporre di alcune tessere annonarie; qualche fornaio riusciva a stornare dei sacchi di farina dalla razione assegnatagli, ma solo correndo gravi rischi perché la sorveglianza delle autorità sui forni era (giustamente, data la situazione alimentare) assai rigida. Con l’avanzare della primavera le azioni del “Calcagno” <48 si fecero più numerose, nel duplice intento di portare scompiglio tra le fila nemiche e, diciamolo, di farsi pubblicità presso un’opinione pubblica ancora scossa dalla ferocia della repressione. Mentre “Leone” e “Vela” tessevano la rete dei collegamenti scarpinando per sentieri tra un paese e l’altro, reclutando collaboratori e cercando di creare “squadre di villaggio” intese come SAP di montagna, le squadre in cui era suddiviso il distaccamento si dedicavano a recuperi e sabotaggi. Alcuni partigiani, con la copertura delle SAP locali, prelevarono dalla stazione di Vado Ligure teli ferroviari da riutilizzare per l’accampamento; altri tre, scesi nottetempo fino a Zinola, tra Vado e Savona, fecero deragliare un treno militare con una potente carica esplosiva. Analoghi sabotaggi interruppero in quei giorni le linee ferroviarie a Sella, tra Savona ed Altare, e a Varigotti. Il 1° maggio fu festeggiato a dovere: bandiere rosse apparvero in molti punti del capoluogo, suscitando viva apprensione nelle forze dell’ordine. Lo stesso giorno il distaccamento “Calcagno”, occupato il paese di Osiglia, ascoltò insieme ai contadini del posto un breve comizio dell’avv. Campanile imperniato sui temi della guerra di liberazione. Il 3 maggio una puntata di un’ottantina tra tedeschi e bersaglieri fu stornata ritirandosi senza accettare il combattimento, essendo gli uomini ancora troppo inesperti e in parte disarmati.
A questo punto è necessario ricordare che il comandante del distaccamento “Calcagno” non era più “Noce”, bensì “Enrico”. Il vero nome del nuovo comandante suonava ben poco ligure, anzi quasi minaccioso: ma Hermann Wygoda era un nemico implacabile del nazifascismo. Ebreo ed ex capitano dell’esercito polacco, sfuggito con fredda audacia alla sorte dei suoi correligionari fingendosi un ingegnere Volksdeutsch (di sangue tedesco ma nato all’est) al servizio dell’Organizzazione Todt, Wygoda era giunto a Savona alla fine del 1943 con la ferma intenzione di procurarsi un mezzo per riparare in Corsica, isola già tenuta dagli Alleati. Una delazione aveva portato al suo arresto da parte della polizia militare tedesca la quale, nulla sapendo circa la sua vera identità, sospettava fosse una spia britannica. Fuggito dal carcere in modo incredibile, dopo aver vagato per molti giorni tra il Monregalese ed il Savonese Wygoda si insediò nei pressi delle Tagliate in compagnia di due disertori della Wehrmacht. Fu qui che venne contattato da Carlo Farini “Simon” e da Angelo Bevilacqua “Leone”, che avevano avuto notizia della sua presenza. Ai due non parve vero di trovare un elemento militarmente capace e al tempo stesso al di sopra di ogni bega locale, e ben presto gli chiesero di assumere il comando, cosa che il polacco fece dopo aver esposto le sue linee guida per l’organizzazione di squadre, comando e servizi. Subito dopo Wygoda si recò a contattare di persona gli altri gruppi partigiani sparsi per la provincia <49.
[NOTE] 
38.    F. Sasso, Il Biondino: eroe o sanguinario?, Rocchetta di Cairo, G.Ri.F.L., 2000, pp. 11 - 14, 17 - 18, 56, 57 - 58.
39.    Ibidem, p. 87.
40.    Ibidem, passim. Gli esempi sono svariati, e danno un quadro dolorosamente vivido della crudezza della guerra civile.
41.    Ibidem, pp. 159 - 161.
42.    Narrata in E. De Vincenzi, O bella ciao…cit., pp. 27 - 32.
43.    Ibidem, pp. 32 - 33.
44.    R. Badarello - E. De Vincenzi, op. cit., p. 348.
45.    G. Gimelli, op. cit., vol. I, p. 198.
46.    Vedi R. Badarello - E. De Vincenzi, op. cit., p. 93.
47.    Ibidem, p. 96.
48.    Per le azioni del “Calcagno” in primavera vedi in ibidem, pp. 94 - 95.
49.    H. Wygoda, In the shadow of the Swastika, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 1998, pp. 93-110
Stefano d'Adamo, Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure ('43-'45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000

martedì 5 agosto 2025

Il lungo percorso espositivo attraversa geograficamente l’Italia da nord a sud

L'apertura del "Festival of Italy" di Philadelphia (22 gennaio 1961). Fonte: Temple

Il lavoro di ricerca presso l’Archivio di Stato di Firenze si è infine focalizzato su di un’ultima manifestazione promozionale allestita negli Stati Uniti: il Festival of Italy.
L’interesse e lo studio verso l’iniziativa sono scaturiti proprio in Archivio, notando alcuni riferimenti riportati nell’elenco sommario degli “Album” fornitomi dalla Dott.ssa Fattori (responsabile dell’“Archivio della Moda Italiana Giovann Battista Giorgini”) durante il mio periodo fiorentino di ricerca. Gli Album la cui documentazione interna è datata “1961”, riportavano infatti in nota dettagli relativi a un generico “Festival of Italy al Commercial Museum di Philadelphia (U.S.A)”.
Il termine “Festival” è presto indice di una rassegna, una parata o un’esposizione, dedicata ovviamente alla Nazione Italia e allestita entro uno spazio museale americano. I margini idealmente tracciati con il solo riferimento del titolo, inducono a pensare si tratti di un’altra iniziativa promozionale che abbia coinvolto la figura e le competenze di Giorgini. Se l’episodio del “transatlantico della moda” è risultato accennato in qualche sporadica pubblicazione dedicata alla storia della moda italiana, il Festival of Italy - che pure di moda si occupa - appare invece del tutto privo di riferimenti bibliografici, commenti e interpretazioni a riguardo. La constatazione è (ri)prova che la bibliografia in circolazione abbia da sempre evitato di approfondire quel contesto internazionale del secondo dopoguerra entro cui si è mosso il primo successo del “Made in Italy” e che ne è di fatto l’artefice.
Il materiale d’Archivio è dunque ancora la sola fonte attraverso la quale è stato possibile ricostruire la dinamica dell’evento <480. Nell’elenco sommario sopracitato tre Album riportano indicazioni circa il Festival of Italy: i numeri 35, 37 e 38. Inoltrata la richiesta di consultazione, i numeri d’inventario si sono però dimostrati errati, in quanto i documenti sono stati collocati e rintracciati negli Album 34, 36 e 37 <481.
Nelle tre cartelle, sono state individuate carte di diversa tipologia. Nell’Album 34 sono stati raccolti il programma, il calendario e le brochure originali dell’evento; la lista della copertura mediatica coinvolta; i comunicati stampa diffusi dall’Ambasciata Italiana di Washington e una sezione dedicata ai così detti “speciale per un’articolata”; qualche articolo americano e due note relative alla campagna televisiva. Nell’Album 36 sono custoditi lettere e telegrammi indirizzati a Giorgini e datati prima e dopo la manifestazione. L’Album 37, il più piccolo, è infine dedicato alla seconda parte del Festival e ribattezzata Italy Today.
Rispetto al fascicolo dedicato al transatlantico che raccoglie soprattutto articoli di cronaca e dal taglio “mondano” (caratteri giustificati dall’impostazione volutamente frivola data all’evento), i documenti del Festival hanno un’impronta più diplomatica e istituzionale in quanto l’iniziativa, come si vedrà, ha ottenuto il patrocinio non solo del Governo italiano ma anche di importanti istituzioni americane: il contenuto dei ritagli rinuncia quindi al brillante pettegolezzo, registrando al contrario gli aspetti più concreti relativi l’organizzazione del Festival, annotando percentuali e statistiche e rivelando la precisa struttura e le dinamiche che hanno sostenuto l’intero progetto promozionale (dedotte invece nel caso del “transatlantico della moda”).
Stante la presenza di due diversi Album, durante il lavoro sulle carte d’Archivio si sono dovuti incrociare e confrontare i documenti contenuti negli Album 34 e 36 per restituire un racconto che potesse presentare la logica sottesa la preparazione dell’evento.
2.2 - La ricostruzione della manifestazione
Ancor prima di sfogliarlo, l’Album 34 appare particolare: interamente rivestito in pelle nera, sulla copertina presenta una silhouette femminile tracciata a spruzzo con una bomboletta argentata. La sagoma è appena delineata, ma disegna perfettamente un lungo abito da sera. Accanto, è infatti incollato l’invito a un “Gala Presentation of Italian High Fashion and Ball”, in programma la sera di giovedì 23 febbraio 1961 nella sala da ballo della “Convention Hall” di Philadelphia.
Lo studio dei documenti ha in seguito svelato che la serata è stata parte di un’immensa manifestazione allestita tra il 21 gennaio e il 26 marzo 1961 negli spazi americani del “Commercial Museum” di Philadelphia: il Festival of Italy, un’esposizione in onore del centesimo anniversario dell’unificazione italiana e del decimo anniversario de “l’unificazione di una delle più grandi arti creative d’Italia: il disegno e l’esecuzione di moda” <482.
Prima di ricostruire gli eventi legati alla celebrazione dei primi dieci anni della moda italiana - ai quali sono dedicati la maggior parte dei documenti presenti in Archivio in quanto hanno coinvolto personalmente la figura di Giorgini - è stato necessario definire il più generale contesto culturale, museale e istituzionale del Festival, entro cui è stata poi collocata la sfilata e gli eventi a essa collegata.
Un Bollettino del “Trade and Convention Center” di Philadelphia annota l’impegno di un anno per organizzare il Festival of Italy: l’intento è delineare, rappresentare e allestire la più completa panoramica possibile d’Italia, tracciandone un profilo che sia al contempo storico e culturale, industriale ed economico <483. L’ambizione è tale, che il progetto è considerato “la più grande rassegna dedicata al centenario italiano al di fuori di Torino” <484.
Gli spazi del “Trade and Convention Center” sono individuati quale cornice più adatta e confacente alle esigenze della manifestazione: si tratta infatti di un complesso di edifici polivalenti comprendente, tra gli altri, la “Convention Hall” e il “Commercial Museum”. A giustificare la scelta è l’“Italian-American Herald” che, presentando l’istituto museale quale primo del suo genere negli Stati Uniti e divenuto dunque prototipo internazionale per il modello del museo di tipo commerciale, ne descrive la perfetta versatilità perché molto flessibile rispetto alla pluralità dei temi che si vogliono trattare in mostra <485.
I 35.000 metri quadrati dei quattro piani del museo garantiscono infatti l’allestimento di ben ventisei sezioni espositive, ciascuna narrante una digressione italiana <486: Civiltà antiche, che ripercorre i contributi e le influenze delle civiltà greca, etrusca e romana alla cultura italiana; Galleria rinascimentale, che espone i capolavori dello stile decorativo rinascimentale in un’ala del museo allestita con uno scenografico colonnato di marmo e soffitti a pannelli; il Centro tematico è invece un richiamo a Piazza San Pietro in Vaticano e ne riproduce il celebre colonnato del Bernini e la fontana funzionante e sgorgante di Carlo Maderno; la sezione Risorgimento accompagna il visitatore nella storia della costruzione dello stato italiano; l’ala Turismo e Viaggi illustra le più famose attrazioni turistiche del Paese su gigantografie fotografiche e come un’agenzia turistica espone mappe e cartine geografiche, banners, costumi regionali e modellini di aerei e treni; la sezione Industria espone i progressi della tecnologia quali automobili, macchine da ufficio e da lavoro e ripercorre la storia dei grandi gruppi industriali Fiat e Olivetti attraverso pannelli e manifesti luminosi; Architetture by Nervi è invece una piccola sezione monotematica interamente dedicata all’architetto Pier Luigi Nervi; Editoria e Stampa ha raccolto ed espone i migliori titoli dell’editoria d’arte e d’archeologia stampati dall’Ufficio Stampa del Governo italiano; nel reparto Riproduzioni dei maestri italiani sono collocate realistiche riproduzioni a colori dei dipinti più celebri, concesse dal medesimo Ufficio Stampa; mentre nella più generica Libreria Commerciale è esposto materiale documentario dedicato all’Italia; il reparto Nuove generazioni dell’arte italiana illustra i più recenti e migliori risultati nella pittura, nel disegno, nella scultura e nella pratica del collage.
A metà percorso i curatori hanno allestito il cosiddetto Cafè il Gatto, un “lounge rinfrescante”, come viene descritto nel volantino. Si tratta della zona ristoro della mostra, progettata in modo tale da restituire l’impressione di trovarsi in un bar lungo la passeggiata dell’isola di Capri.
L’itinerario prosegue verso la sezione Fashion Goods, che espone i prodotti della moda e dell’artigianato italiani quali capi di maglieria, gioielli, ceramiche e vetri; Shoppers Arcade è una scenografica strada cittadina riproducente le vie dello shopping italiano quali la milanese Montenapoleone e la romana Condotti, sulla quale si affacciano le vetrine di negozi arredati secondo lo stile italiano e allestite con capi d’importazione italiana offerti dai retail stores di Philadelphia; il Padiglione siciliano, costruito in Italia e allestito in America, è un settore monotematico dedicato alla regione Sicilia; Arte e Artigianato sardo espone ceste, tappetti, ceramiche e gioielli provenienti dalla seconda grande isola dello Stivale; Export-Import Pier è una piccola esibizione collaterale di beni di consumo, che attraverso pannelli illustrativi ripercorre la storia delle trattative commerciali italo-americane; Mosaici di Ravenna illustra una collezione di mosaici moderni realizzati però con l’antica tecnica bizantina; Tessuti contemporanei mostra il meglio della produzione tessile italiana, offerta da quaranta manifatture; Interior Design ricrea piccoli allestimenti e interni domestici, arredati con mobili e suppellettili italiani; nella generica Arti Decorative sono invece raccolti tessuti, mobili e abiti italiani tipici del XIX Secolo; The Italian in America è un omaggio a tutti gli italiani che hanno contribuito a migliorare lo stile di vita americano; L’Italia onora i Philadelphiani espone le fotografie di illustri cittadini di Philadelphia che hanno ricevuto incarichi e onorificenze dalla Repubblica italiana; Arte dell’infanzia riserva uno spazio ai dipinti realizzati dai bimbini delle scuole italiane; Arte di Nivola è un’ala monotematica dedicata alle sculture di sabbia dell’artista italo-americano Costantino Nivola; e infine la sezione Figurini della Commedia dell’Arte espone statuine ceramiche riproducenti i personaggi tradizionali del teatro italiano, prestate dall’attore Joseph Cotten.
Il lungo percorso espositivo attraversa geograficamente l’Italia da nord a sud, si snoda tra le sue arti e le sue industrie, penetra nella sua storia e ne restituisce un excursus completo che omaggia l’Italia tra cliché, aneddoti e aspetti più concreti e incisivi.
La mostra che celebra il centesimo anniversario italiano rappresenta però solo una parte di una manifestazione che è stata ragionevolmente pensata e definita come un “Festival”: il termine è infatti esplicativo di una rassegna più articolata e che, come una parata, sia diffusa oltre lo spazio museale.
I documenti presenti in Archivio - ritagli di giornale, memorandum e brochure - registrano infatti un fitto calendario di iniziative e incontri, atti a coinvolgere i cittadini in alcuni eventi dall’eco italiana: le compagnie “Philadelphia Orchestra” e “Metropolitan Opera Company of New York” propongono concerti di lirica italiana; il “Philadelphia Ballet Guild” offre balletti moderni e tradizionali; “I Vivaci Choral Group”, “The Contemporary Chamber Music of Philapdelphia” e l’“Emerita String Orchestra” propongono concerti di musica classica, popolare e folcloristica. Dimostrazioni di cucina italiana, letture dal vivo dei classici della letteratura italiana e spettacoli di marionette sono allestiti negli spazi del “Trade Center”; la “Philadelphia Chamber of Commerce” calendarizza una conferenza sul tema del commercio con l’Italia; l’“Accademy of Music” di Philadelphia invita Luciano Tajoli e Betty Curtis, recenti vincitori dell’ultima edizione del Festival di San Remo, per una performance dal vivo; e il “Commercial Museum”, in collaborazione con il “Philadelphia Board of Education”, predispone i servizi educativi per le centinaia di scuole che hanno già prenotato una visita.
A eccezione dei concentri lirici, tutti gli eventi sopracitati sono gratuiti e a ingresso libero, (pur se gratuiti, alcuni prevendono però un ingresso a numero chiuso e la prenotazione). Riservati e su invito sono invece i ricevimenti allestiti negli spazi del “Commercial Museum” dai più importanti gruppi civici della città, quale l’“Ordine Figli d’Italia in America” (i “Sons of Italy”, la più antica organizzazione fraterna italo-americana), l’“Italian-American Society”, la “Foreign Traders Association”, la “Delaware Valley Industrial Editors” e la “Press Photographers Associations” che organizzano banchetti nel Museo, cui seguono visite speciali alla mostra. Infine, anche l’Università e la Chiesa Battista si riservano uno spazio nel corso della manifestazione <487.
L’aspetto più interessante del fuori-mostra è però la proiezione di film e documentari i cui titoli sono evocativi dello spirito italiano che in quei mesi circola a Philadelphia: “Ancient Paestum”, “Ancient Rome”, “Life in Rome”, “Rise of the Roman Empire”, “People of Venice”, “The Renaissance”, “The titan Michelangelo”, “Patient Hands”, “Miracle of the Grape”, “University of Bologna”, “Rome of Bernini”, “Oggi e Domenica”, “Roads of Italy”, “Fun across the Sea”, “Castles of Italy”, “Florence, Athens of Italy” <488.
I titoli in programma ripercorrono in parte le sezioni del percorso museale (come a voler completare la mostra), altri introducono invece l’ospite in sala ad alcune tematiche turistico-culturali tipicamente italiane quali i castelli, i litorali, l’immancabile artigianato e la viticoltura. Il dettaglio è stato oggetto d’indagine e dalle carte degli Album è infatti emerso il contributo apportato al Festival of Italy dall’Italian State Tourist Office di New York, che in collaborazione con le compagnie di trasporto “Italia - Società di Navigazione” e “ALITALIA” ha organizzato con i rispettivi rappresentati incontri dedicati a “racconti di viaggio illustrato” <489. Emerge nuovamente quella componente
turistico-vacanziera già riscontrata negli inserti pubblicitari diffusi proprio dall’Italian State Tourist Office per sponsorizzare l’Italia del dopoguerra e i viaggi a bordo dei suoi transatlantici.
L’idea di un moderno Grand Tour è quindi (ri)proposta con insistenza, rafforzando l’immagine di un Paese ospitale e accogliente. Ripercorrendo anche la proposta d’intrattenimento che accompagna il Festival of Italy si è notata una corrispondenza con temi e soggetti “italiani” già notificati a proposito dei transatlantici quali la rinomata cucina italiana, o le marionette e il folclore popolare spesso citati negli arredi interni delle navi. È dunque possibile affermare che il Festival prosegua lungo quella linea di propaganda già individuata e che verte sulle pontiane “Leggende d’Italia”.
La notevole operazione istituzionale, museale, culturale e promozionale dispiegata per impostare l’evento, rese il Festival of Italy di Philadelphia “[…] la cosa più grande che avessimo mai avuto qui” <490.
Ad aver favorito il successo dell’intera manifestazione, tale da esser stata definita dalla stampa “the top story of the year”, è però quel Gala Presentation of Italian High Fashion and Ball di cui si è parlato in apertura e che ha costituito il momento centrale e più atteso del Festival. A confermare la rilevanza della sfilata di moda italiana (e degli eventi a essa collegati) sono alcune carte rinvenute negli Album: “The Gala Fashion will remain the highlight of the winter’s events” <491; “Fashion Show will be considered the climax of the Festival”; “One the most brilliant shows ever staged in the Trade Center” <492; “Festival focus for Fashion” <493.
I brevi trafiletti testimoniano quanto la struttura del Festival sia stata sostenuta e retta dalla moda, che si è confermata e avvalorata quale matrice della fama italiana in America.
Alcuni documenti d’Archivio registrano infatti gli effetti che il settore italiano della moda ha generato nel volgersi di un solo decennio.
[NOTE]
480 La recensione della manifestazione è però stata nuovamente rintracciata sul “New York Times”, confermando l’interesse del quotidiano americano verso le iniziative promozionali italiane, Anonimo, Italian Festival for Philadelphia; Industry-Culture Exhibition Dating to Etruscans Will Open in Museum Jan. 21, “The New York Times”, 11 dicembre 1960, p. 142.
481 La tabella riassuntiva il lavoro d’inventariazione dovrebbe dunque essere corretta, in quanto ciascun Album inventariato quale depositario dei documenti inerenti al Festival of Italy, deve essere retrocesso di un numero, evitando futuri errori nella richiesta di consultazione. I tre Album sono disponibili per la consultazione al pubblico.
482 “This year is the 100th Anniversary of the Unification of Italy. It is also the Tenth Anniversary of the unification of one of the greatest creative arts of Italy: the design and execution of fashions”. Dall’introduzione della brochure d’invito al Gala Presentation of Italian High Fashion and Ball, AGBG, Album 34, Documento 11. Una copia del cartoncino d’invito è stata rinvenuta anche nell’Album 37, Documento 89, pag. c3.
483 Il bollettino, diffuso dall’ente ospitante nell’aprile del 1961, raccoglie e sintetizza alcune informazioni circa il Festival da dopo conclusosi, in AGBG, Album 34, Documento 56, Festival of Italy brings Story and Spirit of Country to Commercial Museum, “Trade and Convention Center News”, Vol. 1, n. 7, aprile 1961, Philadelphia, Penna.
484 È con questa espressione che in una sua lettera Mr. Harry Ferleger, direttore esecutivo del “Board of Trade and Convention Center”, descrive il Festival a Giorgini, in attesa che il conte fiorentino lo raggiunga a Philadelphia per la sfilata di moda. In Album 36, Documento 31, AGBG, lettera battuta a macchina da Ferleger, indirizzata a Giorgini e datata 10 febbraio 1961. (A quella data, il Festival era infatti iniziato già da tre settimane e Giorgini sarebbe giunto in America solo il 18 febbraio. Ferleger lo aggiorna dunque sull’andamento della manifestazione). Citando Torino, Ferleger si riferisce a Torino 61 (TO’61 - Italia 61), la manifestazione italiana che avrebbe celebrato il primo centenario dell’unità d’Italia, in programma dal 6 maggio al 31 ottobre 1961 nel capoluogo piemontese e il programma della quale prevedeva una Mostra Storica dell'Unità d'Italia, la Mostra delle Regioni Italiane, la Mostra delle bandiere, l'Esposizione Internazionale del Lavoro; e ben 18 eventi collaterali tra i quali raduni d'Arma, la Mostra Internazionale del Fiore, mostre d'arte, congressi, convegni, spettacoli e una mostra dedicata alla moda e al costume. Una copia originale de Italia 61: guida ufficiale, è consultabile nella biblioteca digitale del sito museotorino.it.
485 AGBG, Album 36, Documento 30, Festival of Italy Program Guide, “Italian-American Herald”, Vol. 1, n. 1. La testata è individuata quale “official newspeaper” dell’evento, in quanto giornale di riferimento per la comunità italo-americana e la cui autorevolezza è riconosciuta tanto dalla città di Philadelphia quanto dal Governo italiano. La copertura mediatica garantita dal giornale durante le dieci settimane del Festival sarà dunque la più estesa e completa. A puntualizzarlo, è lo stesso giornale in un proprio articolo, in AGBG, Album 34, Documento 115, A year with the Herald: Festival Top Story, 10 maggio 1961. 
486 L’elenco delle sezioni che ora viene fornito non è casuale ma segue l’esatto ordine riportato sul bollettino del “Trade and Convention Center”. Si è dedotto che le diverse sezioni siano state citate seguendo il percorso espositivo proposto in mostra, in AGBG, Album 34, Documento 56, Festival of Italy brings Story and Spirit of Country to Commercial Museum, “Trade and Convention Center News”, Vol. 1, n. 7, aprile 1961, Philadelphia, Penna. Il dettaglio circa la superficie espositiva del museo è invece riportato in AGBG, Album 36, Documento 20/b, Italian Festival for Philadelphia, “The New York Times”, 11 dicembre 1960.
487 La lista dei concerti di musica lirica è pubblicata in uno degli innumerevoli volantini pubblicitari conservati in Archivio: Aida, Tosca, Cavalleria Rusticana, I Pagliacci, Rigoletto, La Bohème, Madama Butterfly, L’Elisir D’Amore, Lucia di Lammermoor, Il Nabucco e Turandot, in AGBG, Album 36, Documento 29, p. 5 della brochure.
La diffusione del calendario degli eventi collaterali è invece affidata all’“Italian-American Herald”: il 15 e il 22 febbraio si tiene la dimostrazione di cucina dello chef Dione Lucas; il 18 febbraio è previsto il ballo dei “Sons of Italy” e il 20 febbraio sono attesi i vincitori del Festival sanremese; il 21 febbraio è riservato alla conferenza e al banchetto della Camera di Commercio; il 25-26 febbraio e il 19 marzo è allestito lo spettacolo di marionette italiane offerte dal “Theatre of the Little Hands” e il 18 marzo è allestito il ballo per il centenario de “Italian-American Society”. Per quanto irrilevante, il calendario è stato riportato in nota in quanto la maggior parte degli eventi in programma risultano concentrati nella settimana del soggiorno americano di Giorgini, che giunge negli Stati Uniti il 18 febbraio e vi si fermerà almeno fino al 24. L’ipotesi è che la presenza della delegazione fiorentina possa attirare curiosi e spettatori al Museo. L’articolo del giornale che riporta il programma è infatti titolato Fashions to highlight Festival of Italy, in AGBG, Album 34, Documento 78, “Italian-American Herald”, 12 febbraio 1961. L’elenco dei ricevimenti allestiti dagli enti e delle istituzioni cittadine è infine riportato in un bollettino del museo, in AGBG, Album 34, Documento 56, Festival of Italy brings Story and Spirit of Country to Commercial Museum, “Trade and Convention Center News”, Vol. 1, n. 7, aprile 1961, Philadelphia, Penna.
488 Le proiezioni, proposte ogni sabato e domenica nelle settimane comprese tra il 21 gennaio e il 26 marzo, fissano due spettacoli pomeridiani, alle 13:30 e alle 15:30. L’elenco dei film è stato rintracciato in un “memorandum” di Mr. Harry Ferleger del “Board of Trade and Convention Center” collocato nell’Album 37, Documento 2. Si fissino i titoli delle pellicole, in quanto temi e soggetti dei documentari saranno recuperati nelle inserzioni pubblicitarie americane.
489 È ancora il bollettino del “Trade and Convention Center” a notificare gli incontri proposti dall’Italian State Tourist Office, in AGBG, Album 34, Documento 56, Festival of Italy brings Story and Spirit of Country to Commercial Museum. La collaborazione con la compagnia aerea “ALITALIA” sarà approfondita più avanti. Si consideri invece l’Italian State Tourist Office, che capitolo dopo capitolo continua a essere protagonista del racconto. Attraverso i propri annunci turistici sta accogliendo la narrazione italiana proposta anno dopo anno negli Stati Uniti: quindi il racconto artigiano del secondo capitolo (1947-1952), il messaggio vacanziero dei transatlantici nel terzo (1953-1955) e ora - a fianco della stessa Società di Navigazione - quale sponsor del Festival. L’istituto ha dunque ha avuto un ruolo di prim’ordine nella promozione postbellica della Nazione.
490 Il commento è di Mr. Harry Ferleger che un mese prima dell’inaugurazione della manifestazione, ma già perfettamente consapevole dell’intricata macchina organizzativa e delle forze coinvolte, rilascia un’intervista al “New York Times” ammettendo “It will be the biggest thing we’ve ever had here”. E conclude dicendo che il comitato di cui è direttore esecutivo, si aspetta più di 250.000 visitatori in sole 10 settimane, in AGBG, Album 36, Documento 20/b, Italian Festival for Philadelphia, “The New York Times”, 11 dicembre 1960.
491 Il commento è emerso in un telegramma di augurio inviato da Richard Dilworth (sindaco di Philadelphia e presidente del “Fashion Committee” di cui si parlerà più avanti) a Giorgini, con il quale si complimenta per l’esito della sua sfilata, in AGBG, Album 36, Documento 19, 15 marzo 1961.
492 La doppia citazione è riportata in AGBG, Album 34, Documento 57, 10.000 Jam Festival of Italy to establish One-Day Mark, “Italian-American Herald”, Vol. 1, n. 22, giovedì 2 marzo 1961. Per l’occasione, il giornale apporrà il sottotitolo Commemorating the Festival of Italy.
493 L’espressione è in realtà il titolo di un articolo, che già in apertura dichiara l’attenzione che il Festival ha riservato alla moda, in AGBG, Album 34, Documento 73, Festival focus for fashions, “Italian-American Herald”, 9 febbraio 1961.
Clara Pellegris, Homo Faber. La ricostruzione identitaria italiana e la nascita del “Made in Italy”, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno Accademico 2019-2020