sabato 12 giugno 2021

Grande fosforo imperiale, fanne cenere

Franco Fortini - Fonte: Vivere Milano

Molto chiare si vedono le cose.
Puoi contare ogni foglia dei platani.
Lungo il parco di settembre
l'autobus già ne porta via qualcuna.
Ad uno ad uno tornano gli ultimi mesi,
il lavoro imperfetto e l’ansia,
le mattine, le attese e le piogge.
Lo sguardo è là ma non vede una storia
di sé o di altri. Non sa più chi sia
l’ostinato che a notte armerà le carte
coi segni di una lingua non più sua
e replica il suo errore.
È niente? È qualcosa?
Una risposta a queste domande è dovuta.
La forza di luglio era grande.
Quando è passata, è passata l’estate.
Però l’estate non è tutto.
Franco Fortini

Non ho mai capito gli altri né me stesso
ma il modo che ho di sbagliare questo sì. Se mi arriva
una verità è nel mezzo della fronte: è
un’accusa. Ragiono
senza comprendere. Mai sono dove credo.
Avrò parlato quel mattino
come l'idiota che so essere. Qualche bava
gaia avrò avuta alle labbra. Qualche sussidio
per la mia giornata fino a notte. [...]
Mi è stato fatto non so quando un male.
Una ingiustizia strana e indecifrabile
mi ha reso stolto e forte per sempre.
Leggo i versi di Sereni per Nicolò Gallo
e scrivo ancora una volta parola per parola.
Non tutto allora è vero quello che ho detto sin qui.
Posso anche io intendere chi noi siamo.
Franco Fortini

Così, lacerato da forze che lo trascinano in due direzioni opposte, egli (Fortini) ruota un po’ disperato su se stesso, si impoverisce e affabula accanitamente: trovandosi così quasi sempre respinto magari di un soffio fuori dalla rosa del tiro della grazia. Eppure si ha la netta impressione che egli, nel fondo, voglia proprio questo. Essere cioè dimostrazione vissuta - ‘martire’ nel senso etimologico della parola - di una nuova cultura e di una nuova ideologia letteraria, che escludono, per definizione, sia l’umanesimo che l’irrazionalismo della poesia.
Pier Paolo Pasolini, Passione e ideologia, p. 469

Verrà nella stanza da bagno un chiarore di neve.
Buon latte d’aria, mite crema, affetto
che sempre hai desiderato e ora basta com’è.
Potrei volgere la mente alle tue cellule
dove palpitano stente
desinenze, musiche orbe,
brame goffe, gesti d’ira;
e chiedere ah non pietà ma di tornare
nel letto ancora a dormire.
Finché non esiga irritato il telefono
"Signore, prego, parli!" - la scelta, la data
del contratto, l’ora della riunione,
il differimento di te a te medesimo,
la certezza che sono disfatti
gli antichi miceli nervosi, annientato il disegno
delle labbra in sogno ancora tenere
di chi un giomo ti chiamò amore.
Franco Fortini 

La poesia fortiniana successiva a Una volta per sempre segue un’evidente parabola evolutiva, che è connessa al progetto ordinativo dell’autore. Questo, concepito a dimostrazione della propria derivazione bellica, sembra orientato ad attestare la maturità poetica delle ultime tre raccolte, raggiunta attraverso persistenti dialoghi con la Storia. Si parte da Questo muro, ove la presenza storica, che ancora risente delle manomissioni sulle raccolte antecedenti, costituisce nulla di più di un sostrato poetico. Essa appare saltuariamente, evocata da “spie” onomastiche o geografiche, che non sono quasi mai centrali nella composizione. Tale sostrato o sottofondo coincide quasi del tutto con la scenografia dei Paesi allegorici, e riguarda prevalentemente la Storia del Novecento. In Paesaggio con serpente la Storia riprende invece tutta la sua centralità, com’è segnalato in primis dalla rinnovata dignità dell’elemento-data: poesia e storiografia si compenetrano, ma la loro completa fusione risulta essere ancora problematica, come dimostra il fatto che le date mantengono una posizione di esternalità rispetto al verso. Accanto alle date, una varietà considerevole di ambienti e personaggi contribuisce alla percezione di una raccolta interfacciata alla Storia; che non è più solo quella del Novecento, ma si apre al passato, in particolare al diciassettesimo secolo. Infine, Composita solvantur supera, possiamo dire, il momento storico: lo astrae, rendendone evidenti le valenze universali. Storia e Poesia finiscono per intrecciarsi in maniera definitiva, ma non per questo cessano di mostrare il proprio reciproco vincolo dialettico, che viene anzi posto in enfasi dalle principali scelte strutturali. La poesia storiografia di Fortini conclude identificandosi in quella che è la sua più importante e preziosa cifra stilistica: l’allegoria.
Parallelamente alla Storia, nelle tre raccolte muta anche il rapporto con i vinti. La poesia fortiniana si rivolge a queste realtà sin dagli esordi, in maniera del tutto spontanea; ciò si coniuga ben presto alle sue posizioni politiche, e alla personale visione dell’impegno letterario. Dalle rappresentazioni di massa, eredi dell’ideologia comunista, il poeta perviene gradualmente a considerare il singolo: l’individuo oppresso e sconosciuto, che vive l’eterna, impari lotta contro le leggi storiche. Anche questo interesse e la sua trasformazione sembrano incanalati nel progetto ordinativo del poeta-intellettuale, ai fini di ribadire la propria genesi - maturazione - all’insegna della Storia. Fino alla fine degli anni Sessanta, le rappresentazioni degli scomparsi risentono ancora dell’influenza del credo comunista: in Questo muro si legge soprattutto di masse, di anonime folle.
Inizia però a comparire qualche singolo nome di vinto, anche se di personaggi perlopiù noti, non esattamente “dimenticati”. In Paesaggio con serpente è perfettamente osservabile la tensione in atto verso il raggiungimento di una storiografia individuale. Coesistono rappresentazioni collettive e singole; queste ultime iniziano a preferire nomi sconosciuti, individui obliati. Non mancano allegorie (il serpente e le sue vittime) che preludono alla raccolta terminale. In questa, le collettività appaiono solamente in campo allegorico, oppure nella sezione delle Sette canzonette, territorio mediano tra la storiografia e l’allegoria. Ma sia tra le figure naturali, che nelle poche composizioni più direttamente storiografiche, è decisamente privilegiato il rapporto con il singolo. Nell’ultimo Fortini è cantato l’individuo contrapposto e sconfitto dalla Storia; ciascuna singolarità è però in grado di gettare barlumi di significato su di noi, sul presente, sulla storia universale. Ciascuna sconfitta acquista un valore radiante: è questa la vera e più autentica rivincita che il poeta è in grado di restituire.
Possiamo concludere affermando che l’immagine che Fortini intende trasmettere di sé, nella fase poetica più matura, è quella di un autore nato e cresciuto in dialogo con la Storia; che solo alla fine della carriera giunge a includerla nei propri versi, a creare un tutt’uno tra essa e la poesia. Ma è anche quella di un intellettuale sempre più controcorrente, a cominciare dalle posizioni politiche, che si rispecchiano nelle scelte poetiche. Sentendosi ormai irrimediabilmente disgiunto dalla linea della sinistra ufficiale, egli ricerca soluzioni personali, attuandole prima di tutto nei propri versi. Insiste inoltre nel ribadire la necessità dell’impegno, anche quando l’ambiente culturale coevo ne propugna l’inutilità. E lo fa tentando l’impossibile: rivolgendosi ai dimenticati ad uno ad uno, scavando nelle latebre della Storia per riportare alla luce singolarità sepolte. Con esse, Fortini sembra intrecciare rapporti sempre più personali, quasi paterni. Sono scelte non semplici e di non facile realizzazione: contrastare la Storia è qualcosa di titanico, e sempre destinato alla sconfitta. La poesia degli ultimi anni, con la spasmodica ricerca dei piccoli di ogni tempo, sembra consumarlo lentamente, assieme alla malattia:
Ecco scrivo, cari piccoli. Non ho tendine né osso
che non dica in nota acuta: «Più non posso».
Grande fosforo imperiale, fanne cenere.
<425
Ma forse, in questa tensione così dolorosa verso l’individuo, è da leggersi anche un certo desiderio personale: quello di trovare a sua volta una compensazione, memoria e accoglienza tra le generazioni future.
425 Vv. 7-9 di Se volessi un’altra volta…, da Composita solvantur.
Beatrice Benà, «Ecco scrivo, cari piccoli». La storiografia poetica di Franco Fortini, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, anno accademico 2017/2018, pp. 140,141