lunedì 24 luglio 2023

Il gappismo milanese nasce dalla grande fabbrica


Perché Milano? Perché qui, in particolare nella cintura industriale di Sesto San Giovanni, erano presenti importanti nuclei combattivi di lavoratori; perché il capoluogo lombardo era non solo la capitale produttiva del paese, ma anche il cuore dell'occupazione nazifascista. Non è facile l'avvio della lotta armata, neanche tra gli stessi comunisti: la direttiva del partito che almeno il 15% dei membri di sezione si arruolasse in una formazione guerrigliera viene spesso interpretata come una punizione <303; ci sono molte perplessità legate alla distanza soprattutto teorica tra lotta armata, fosse essa terrorismo o partigianato, e dottrina marxista-leninista.
Concentrandoci principalmente sui fenomeni gappista e sappista, e partendo dal primo, la proposta iniziale di formare Gruppi di azione patriottica che utilizzino il terrorismo contro nazisti e fascisti arriva da reduci della Guerra di Spagna e della primissima lotta partigiana nella Francia meridionale, avendo l'esempio dell'esercito titino in Jugoslavia. Nel documento di Antonio Roasio, esponente del Centro Interno comunista che per primo ha parlato di GAP, emerge che la struttura è mutuata dalla tipologia organizzativa dei gruppi di Francs-tireurs et partisans (d'ora in poi Ftp), che nella Francia del Sud, in particolare tra Lione e Marsiglia, hanno sperimentato l'efficacia di azioni di tipo
terroristico sotto la guida di numerosi dirigenti comunisti italiani, forgiati dall'esperienza della clandestinità e della guerra civile spagnola. <304
Infatti, nella Francia del Sud, fra l'autunno 1942 e i primi mesi del 1943, l'organizzazione del Ftp vede in posizione preminente numerosi dirigenti e militanti del Pci, reduci della guerra civile spagnola, che qui perfezionano l'allenamento alla vita clandestina e all'uso delle tecniche di una guerra condotta in ambito urbano con attentati dinamitardi e alle persone. <305
Ma gli esempi del terrorismo urbano francese e della guerra partigiana jugoslava, ben noti ai dirigenti tempratisi nella guerra civile spagnola e nella scuola di partito a Mosca, restano assai lontani dalla cultura e dall'esperienza di ciò che del Partito era sopravvissuto in Italia, cioè molto poco. <306 Passate le illusioni iniziali, si acquisisce consapevolezza che la lotta armata, soprattutto in città, avrebbe richiesto tempi lunghi. I centri industriali, secondo la formazione dei dirigenti e militanti comunisti, sono i luoghi con la più alta disponibilità di lotta delle masse che però in questa fase sono ancora immobili. La funzione dei GAP è dunque l'utilizzo cosciente della violenza come detonatore della lotta di massa.
Cosa succede, dunque a Milano? «Il gappismo milanese nasce dalla grande fabbrica e affonda le proprie radici in quell'oscuro lavoro di agitazione, di propaganda e di proselitismo che l'organizzazione comunista è riuscita a tessere nel ventennio, mantenendo vitale una trama che, continuamente sfilacciata ma mai completamente distrutta, consente ora il passaggio ad altri livelli di lotta. […] La prima forza combattente dei Gap è costituita da operai non più giovanissimi. Con il passare delle settimane altre forze scenderanno in campo e la Resistenza sarà la guerra dei giovani, […] ma adesso l'elemento propulsore è formato da uomini maturi, ammogliati, con un lavoro che - nei limiti della precarietà dei tempi - li tutela anche dal richiamo alle armi e alla deportazione. La loro scelta non è dunque quella di chi non ha più niente da perdere, bensì quella di chi, convinto della necessità di dover cominciare a fare qualcosa, si improvvisa terrorista.»  <307
La lotta armata urbana dunque nasce come scelta consapevole, di uomini di partito, ma tutti di stretta identità operaia: il nucleo fondatore della prima brigata GAP è formato da operai di Sesto San Giovanni. L'origine sociale è molto importante ai fini del nostro discorso, poiché è ciò che permette al terrorismo di inserirsi, certo forzatamente a causa della situazione straordinaria della guerra, nel movimento operaio e nelle sue pratiche conflittuali.
«La prima dozzina di gappisti faticosamente selezionati, di cui parla Francesco Scotti, sembra incarnare l'apoteosi della centralità della grande fabbrica nel forgiare avanguardie cresciute nella sua dura disciplina. Sette di loro provengono dai maggiori complessi industriali e quattro da quelli di Sesto San Giovanni, la cittadella passata alla storia come la Stalingrado d'Italia, e per i fascisti come "il cancro della Lombardia".»  <308
Le azioni del primo gappismo conoscono un crescendo non solo quantitativo, ma anche qualitativo (a livello di armamento e organizzazione) per tutto l'autunno-inverno '43-'44, in parallelo con l'aumento della conflittualità operaia, fino al tragico errore dell'assalto alla Casa del Fascio il 10 febbraio 1944, che comporta la prima crisi e la scomparsa temporanea dei GAP dalla scena.
«A questa crescita concorrono diversi fattori, tra cui i più importanti sono le dimensioni della metropoli e la grande concentrazione operaia che la circonda; non va però sottaciuto che le cautele diminuiscono di pari passo con la crescita numerica e delle capacità operative. La selezione meno rigorosa e una sensazione d'impunità, un eccesso di sicurezza nella propria bravura, la fiducia che deriva dal sentirsi circondati da una diffusa, complice solidarietà, specialmente nella cittadella operaia di Sesto San Giovanni, dove molto numerosi sono i fiancheggiatori e da cui provengono molti gappisti della prima ora […].» <309
Questo è il motivo per cui, come abbiamo già visto, l'apporto gappista, tanto atteso, allo sciopero generale del marzo '44 è praticamente nullo, costituendo il principale fattore di revisione organizzativa della lotta armata che porterà alla fondazione delle SAP.
Prima di affrontare questo aspetto, approfondiamo ancora brevemente la questione della composizione sociale dei GAP dopo la crisi della primavera-estate '44 e quella ancora successiva del settembre. Protagonista indiscusso da questo momento fino alla Liberazione è il comandante Giovanni Pesce, nome di battaglia "Visone": reduce dalla Guerra di Spagna, antifascista della diaspora cresciuto in Francia, egli porterà avanti con nuclei ridottissimi, spesso anche da solo, la guerriglia gappista fino alla fine, anche quando la funzione dei GAP sarà marginalizzata. Dopo lo sciopero di marzo la violenza tedesca si fa ancora più feroce e, in parallelo, dando il tempo alle SAP di organizzarsi e al partigianato di montagna di usufruire di un secondo fronte in cui sono impegnati i tedeschi, il terrorismo partigiano cerca di rispondere colpo su colpo al terrorismo nazifascista. Qual è il materiale umano che ha a disposizione "Visone" in questi duri mesi? Non più militanti formati, lavoratori maturi, ma ragazzi e giovanissimi dei quartieri popolari e della periferia: «[È dal piccolo gruppo di Mazzo] che in poche settimane nasce il distaccamento Nino Nanetti, che in Milano città, territorio poco conosciuto, sarebbe disorientato, mentre rapidamente si specializza nei sabotaggi alle rotaie, e negli attacchi agli autocarri tedeschi in transito notturno sull'autostrada Milano-Torino. […] I "ragazzi di Niguarda" divengono il distaccamento Walter Perotti e i ragazzi di porta Romana e di porta Ticinese costituiscono il distaccamento Capettini, che prende il nome da uno dei gappisti caduti ai tempi di Rubini. Oltre a questi tre nuclei, Pesce riesce a ingaggiare anche quattro ferrovieri di Greco, "un piccolo lembo della periferia milanese", e due nuove giovani staffette, Sandra (Onorina Brambilla) e Narva (Isa De Ponti) […] È possibile, e i termini utilizzati lo lasciano supporre, che "i ragazzi di Niguarda" e "quelli di porta Ticinese" […] come "i ragazzi del Giambellino" […] siano gruppi di giovani arrivati alla lotta armata partendo da comuni esperienze identitarie, fra le quali l'essere cresciuti insieme, le origini sociali, le tradizioni di combattività e di alterità del quartiere d'origine sono elementi fondativi della scelta di lotta.» <310
Le ultime ricerche storiografiche sui GAP, che sono poi quelle che stiamo utilizzando maggiormente (Borgomaneri e Peli), se da un lato quindi smontano un mito storico dell'estrema sinistra e di parte del PCI relativo alla composizione avanguardista e ideologicamente inquadrata dei Gruppi di azione patriottica, dall'altro però rivelano aspetti ancora più essenziali sul loro significato storico-politico: l'adesione alla lotta armata è quindi scelta ben più complessa ed estesa dal punto di vista sociale, non limitata ai militanti PCI o comunque dell'antifascismo di sinistra. Forse aumentandone ancora di più, su un altro piano del discorso, il valore civile, storico e morale.
Per quanto riguarda le Squadre di azione patriottica, invece, il loro ruolo e la loro composizione sono piuttosto differenti. Sebbene siano state spesso poste ai margini della ricostruzione storiografica (come d'altronde i GAP, sebbene questi avessero un loro pubblico storiografico consistente, soprattutto nell'estrema sinistra e nella base PCI), sono le SAP a rappresentare il vero organismo insurrezionale della Resistenza milanese e italiana: costituite su idea di un giovane esponente della classe media di recente iscrizione al PCI, Italo Busetto, esse presentano caratteri ibridi tra il gappismo, le brigate di strada di autodifesa e la cellula insurrezionale di fabbrica.
«È lui [Busetto, nda] a proporre di trasformare le squadre armate operaie, in buona parte esistenti solo sulla carta, senza reali capacità operative, prive di coordinamento, in vere e proprie brigate Garibaldi, dunque strutturate militarmente, senza però che gli aderenti abbandonino il posto di lavoro, che anzi è il perno attorno al quale dovranno ruotare le nuove formazioni.» <311
La nascita e la formazione delle SAP è un processo eterogeneo e discontinuo, molto più lento e difficile di quanto si presenti sulla carta; i numeri restano bassi e per i primi c'è grande difficoltà ad agire: «Lotta armata di massa, con una piena adesione della classe operaia, si avrà solamente nelle giornate insurrezionali […] Ma intanto, fra l'estate del 1944 e la fine di aprile 1945, con una continuità che non era mai stata realizzata dai Gap, operai armati e inquadrati militarmente entrano a far parte con i loro attentati della quotidianità della metropoli.» <312
Col passare del tempo, le differenze tra GAP e SAP, in particolare le cosiddette "squadre di punta", diminuisce sensibilmente; tuttavia, l'investimento maggiore del PCI su di esse ("Tutto nelle SAP, tutto per le SAP" è la parola d'ordine lanciata tra fine dicembre '44 e inizio gennaio '45 dalla Federazione milanese) e il carattere della sua lotta, rendono la struttura sappista più ramificata e diffusa, anche se militarmente meno efficiente. Come già accennato in precedenza, sono le SAP a farsi carico della lotta "contro la fame e il freddo" della popolazione civile, così come sempre loro riescono a proteggere gli scioperi operai del marzo '45 o le manifestazioni di strada delle donne, punto su cui si era rivelato il fallimento e i limiti del gappismo.
In questi ultimi mesi di guerra si verifica un fenomeno di contaminazione destinato ad avere importanti ripercussioni sulla rivalutazione che il movimento operaio e il rivoluzionarismo di sinistra fanno della lotta armata: «L'osmosi tra città, campagna e montagna, tra lotta armata metropolitana e guerra partigiana, diviene più profonda con il trascorrere dei mesi: anche il rigore dell'inverno che induce molte formazioni di montagna a sciogliersi, a "pianurizzarsi", concorre a rinnovare e rimescolare organizzazioni e gruppi attivi nella lotta armata in città, dove lo scontro fra resistenti e nazifascisti è molto più intenso, a partire dall'estate 1944, di quanto lo sia mai stato nei mesi precedenti.» <313
[NOTE]
303 Cfr. G. Galli, Storia del Pci. Il Partito comunista italiano: Livorno 1921, Rimini 1991, p. 160, Kaos Edizioni 1993
304 S. Peli, op. cit., p. 14
305 Ibidem, p. 32
306 Ibidem, p. 14
307 L. Borgomaneri, op. cit., Due inverni, un'estate e la rossa primavera, p. 24
308 L. Borgomaneri, op. cit., Li chiamavano terroristi, p. 63
309 S. Peli, op. cit., p. 96
310 Ibidem, pp. 148-49
311 Ibidem, p. 115
312 Ibidem, p. 119
313 Ibidem, p. 129
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017