giovedì 22 febbraio 2024

L'accusa ai comunisti di usare gli scioperi come arma politica contro il governo, se non addirittura come atti preparatori alla insurrezione armata


Solitamente la fiammata insurrezionale del luglio '48, seguita all'attentato a Togliatti, viene considerato l'episodio conclusivo del ciclo conflittuale iniziato con le agitazioni del marzo 1943. Secondo noi risulta invece più corretto, sia a livello nazionale che locale, comprendere anche i due anni successivi fino alle mobilitazioni del 1950: l'eccidio di Modena del 9 gennaio e il grande, ultimo, sciopero bracciantile della pianura padana dell'autunno rappresentano la definitiva chiusura di fase e l'inizio del decennio critico per il movimento dei lavoratori.
Vediamo brevemente i momenti più importanti della fase '47-'50 per quanto riguarda il contesto milanese: la vertenza estiva, luglio-agosto, sulle riunioni interne nelle fabbriche e sul radicale ridimensionamento delle Commissioni Interne; a fine agosto la CGIL nazionale lancia la 'crociata popolare' contro carovita e disoccupazione, che vede Milano in prima fila con un lungo sciopero di 48 ore dei metallurgici il 17 e 18 settembre; dal 7 al 20 settembre 1947 si verifica un grande sciopero bracciantile nelle campagne, di portata nazionale, che presto si estende ad altre categorie, quali anzitutto i mungitori che a dicembre incrociano le braccia; dalla fine di ottobre entrano in agitazione i principali stabilimenti industriali cittadini (Caproni, Lagomarsino, Isotta Fraschini), la cui avanguardia è rappresentata dalle Rubinetterie della Edison, contro i licenziamenti di massa che colpiscono l'industria meneghina e dove affiorano nuovamente le parole d'ordine dell'autogestione; le agitazioni (con proclamazione dello sciopero generale di 12 ore) e l'occupazione della prefettura del novembre '47 guidata dai dirigenti comunisti locali, per protestare contro la sostituzione del prefetto Ettore Troilo (azionista, molto amato dai lavoratori, l'ultimo di nomina CLN) con un funzionario di carriera, da parte di Scelba; gli scontri di piazza del 25 aprile 1948, culmine di un crescendo di violenza poliziesca nei confronti delle agitazioni sindacali e sociali; sciopero bracciantile del maggio-giugno '48, ben presto esteso anche ai mungitori, durante il quale osserviamo il ripresentarsi di antiche forme conflittuali radicali; le mobilitazioni operaie di giugno-luglio, che vedono oltre 250.000 lavoratori in piazza e, dal 2 luglio con la proclamazione dello sciopero generale, l'occupazione delle fabbriche (in particolare Falck, Bezzi, Motta) da parte dei lavoratori; il moto insurrezionale del 14-15 luglio (anche se a Milano assume caratteri decisamente meno radicali rispetto ad altre città, come ad esempio Genova), strettamente connesso con le agitazioni in corso, seguito all'attentato a Togliatti; nuovo sciopero bracciantile a novembre, contro la disdetta di massa che esclude i lavoratori legati alla Federterra; i lavoratori agricoli sono i principali protagonisti delle lotte sociali che dall'aprile '49 fino all'autunno del 1950 agitano la provincia e le campagne milanesi e lombarde; ad essi si affiancano, a Milano, le cosiddette 'lotte difensive' che in alcuni casi portano gli operai ad occupare le fabbriche in risposta alle serrate padronali.
È significativo che lo sciopero bracciantile dell'autunno '50 sia stato chiamato in seguito, dai protagonisti stessi, 'sciopero della sconfitta' <396; mentre gli ultimi episodi del conflitto operaio urbano, risoltisi anch'essi in un fallimento dal punto di vista vertenziale, preludono alla crisi di consenso che FIOM e CGIL conosceranno con le sconfitte storiche nelle elezioni delle commissioni interne, oltre che al completo ribaltamento dei rapporti di forza interni alle fabbriche, di cui i 'reparti confino' saranno la rappresentazione più odiosa. Dopo la fiammata dell'estate '48, l'andamento del conflitto sociale (numero degli episodi, lavoratori coinvolti, successo rispetto al piano rivendicativo) è discendente, fino poi a chiudersi.
È possibile individuare tratti comuni agli episodi di tutto il periodo, anche se dopo le mobilitazioni di luglio '48 il tratto essenziale dell'autonomia e del dualismo di poteri è ormai definitivamente tramontato. Se nel '45-'47 la politica del conflitto ruota attorno alla sopravvivenza e le condizioni di lavoro, i criteri della ricostruzione e l'epurazione antifascista, possiamo dire che nel periodo successivo la battaglia su questi piani è sostanzialmente persa, ma si continua a combattere: la politica economica centrale ha fissato sia la libertà padronale di licenziamento che il piano di sacrifici per i lavoratori, determinando in questo modo la gerarchia sociale del processo di ricostruzione.
Adesso le piattaforme e le modalità del conflitto assumono contenuto radicale e in alcuni casi rivoluzionario (sebbene in assenza di una situazione rivoluzionaria), si recuperano le istanze più estremiste e le aspirazioni classiste di rottura, nonostante il contesto sia nettamente più sfavorevole rispetto al '45.
Importante aprire una parentesi (che riprenderemo più avanti) sull'azione di Mario Scelba ministro degli Interni (dal febbraio '47), dopo la cacciata delle sinistre dal governo. Chi era Scelba? Uomo del circolo ristretto della Democrazia cristiana, esponente di quel filone democratico conservatore che rifiuta la cittadinanza politica alle 'classi pericolose', è sostenitore della necessità di stroncare preventivamente quei movimenti sociali e politici che dietro le bandiere del lavoro sono in realtà gli antichi portatori del germe della sovversione: "È insomma un esponente di primo piano del partito, una figura di rilievo dei governi De Gasperi e il cui impegno, prevalentemente indirizzato al rafforzamento dello Stato, alla riorganizzazione delle forze di pubblica sicurezza e alla protezione della democrazia, va perciò inquadrato nelle scelte e nell'azione della classe dirigente che guida il paese all'uscita dalla guerra e che affronta il problema dell'ordine pubblico 'anche eminentemente come problema politico'." <397
Da questo punto di vista, dunque, egli porta a compimento quel processo di assorbimento e rivalutazione democratico-conservatrice di elementi tipici della tradizionale cultura di governo italiana e di strumenti ereditati dal fascismo (a partire dalla sostanziale preservazione integrale del Testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza - TULPS e il codice penale Rocco). Diciamo che lo porta a compimento perché, da quanto abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, il processo è stato avviato nel primissimo dopoguerra; Scelba gli dà una dichiarata funzione pubblica, che recupera antiche credenze proprie delle classi dirigenti prefasciste e dandogli carattere di permanenza nei decenni successivi: "Fu soprattutto Scelba a dare alla polizia una chiara direzione politica contro i partiti politici e le organizzazioni collaterali del movimento operaio - condivisa da tutto il gabinetto e dal presidente del consiglio De Gasperi - con una crescente azione repressiva verso il sindacato e gli scioperi. Nel lavoro pratico della polizia ciò si traduceva in continui interventi nei conflitti sindacali per salvaguarda la 'libertà di lavoro'. Gli interventi sempre più duri erano giustificati con l'accusa ai comunisti di usare gli scioperi come arma politica contro il governo, se non addirittura come atti preparatori alla insurrezione armata". <398 Filosofia politica esplicitata inoltre dalla sua riserva nei confronti della Costituzione e dei diritti sociali in essa contenuti: "[…] per assecondare lo sforzo di ciascuno e della Nazione, avranno corso tutte le misure ritenute necessarie perché l'azione disgregatrice non abbia a prevalere, quale che sia il costo e il nostro impegno. Rispettosi della Costituzione, siamo peraltro convinti che essa non può diventare una trappola per la libertà del popolo italiano a cui garanzia è stata voluta". <399
L'epurazione (obiettivo mai realmente perseguito nemmeno sotto il governo Parri) è stata definitivamente bloccata e anzi il processo invertito, con l'allontanamento dagli apparati di sicurezza di uomini della sinistra antifascista e di nomina CLN, il reinserimento di quadri medi e alti del periodo fascista, l'annullamento del decreto di incorporamento di 15.000 partigiani nelle forze di polizia ed esercito. "Scelba, poi, procedette a un'accurata selezione del personale nelle posizioni di comando, allontanando per esempio gli ultimi prefetti di nomina politica. Emblematica delle scelte di Scelba fu la nomina nel 1948 di un militare, il generale Giovanni D'Antoni, già prefetto di Bologna, come nuovo capo della polizia. Degli 8.000 ex partigiani che aveva trovato ancora all'interno della polizia, Scelba fece, come dichiarò in un'intervista a 'il Resto del Carlino' (24/2/1971), 'piazza pulita', offrendo condizioni molto favorevoli a chi era disposto a lasciare volontariamente il corpo, ma facendo anche ricorso a un vero e proprio mobbing con trasferimenti punitivi nelle isole. Il punto più importante per caratterizzare la gestione di Scelba sembra però l'allineamento politico-ideologico della polizia e l'affermazione al suo interno di una mentalità che faticava a comprendere e ad accettare la portata dei diritti sanciti dalla costituzione. Più che di un'affermazione però sarebbe corretto di parlare di una riaffermazione che poteva contare su tendenze consolidate da più generazioni all'interno delle forze dell'ordine […]". <400 Aggiungiamo che Scelba si adopera anche per trasformare il reparto Celere da strumento di 'civilizzazione' della gestione dell'ordine pubblico di piazza, come voleva Romita, in mezzo di contenimento e repressione rapida di manifestazioni, scioperi, presìdi e di tutte le forme conflittuali  pubbliche di massa.
Le conseguenze di questa azione politico-organizzativa furono determinanti per la futura composizione delle forze di polizia in Italia: "le tensioni politiche e sociali portarono, o costrinsero, molti ausiliari a non fare domanda per un regolare arruolamento nella Ps, con il risultato finale che all'inizio dell'anno 1950 dei ventimila ausiliari, poco più di 4000 erano rimasti in servizio, a differenza di praticamente tutti gli ex agenti della Pai rientrati. Il ricambio fu anche regionale: gli ausiliari essenzialmente d'origine settentrionale vennero sostituiti da una nuova leva di agenti meridionali, alla ricerca di una collocazione lavorativa e del tutto privi dell'esperienza politica della lotta di Liberazione". <401
Come già anticipato, è precisamente su questo terreno che l'azione dei comunisti al governo ha trovato dei limiti (esterni e interni) invalicabili: nella continuità tra Stato fascista e post-fascista, esplicitando un fenomeno che Renzo Martinelli ha definito 'autocefalia dell'esecutivo' <402, ovvero di separazione netta della dirigenza dai quadri intermedi e dalla base.
Ma qual è stata la premessa di tutto ciò? La fine dell'emergenza e dell'unità antifascista, con il passaggio del dopoguerra alla sua fase definita di 'guerra civile fredda'. Mario Venanzi, partigiano in Val Sesia e Val d'Ossola, deputato comunista e assessore all'urbanistica nella giunta Greppi, ricorderà anni dopo quel momento di passaggio che non si può dire fosse arrivato come un fulmine a ciel sereno: "Come presidente del Cln lombardo, dopo Sereni, posso dire di aver vissuto da vicino il processo di rottura dell'unità antifascista. Prima sono i liberali che se ne vanno, poi sono i democristiani che tentennano. Già con Romita ministro degli interni si era cominciato ad assistere ai primi tentativi di ricucire il vecchio tessuto statuale. Intanto, si cambiano i questori, e a uno a uno si tolgono tutti quelli nominati dal Cln. A Milano spediscono il questore di Modena, lo stesso che, nell'agosto del '43, era venuto nel carcere di Castelfranco Emilia assieme al procuratore del re quando noi detenuti politici avevamo iniziato lo sciopero della fame perché non si decidevano a liberarci. Ancora più che un affronto poteva sembrare una beffa. […] Ci mandano un altro questore, Vincenzo Agnesina, un vecchio volpone della questura romana che era stato capo della polizia speciale di Mussolini ma che, nel '43, aveva preso ad assumere degli atteggiamenti da antifascista. […] Sono proprio le elezioni [quelle amministrative, nda] l'ultimo golino, come dicono i toscani, l'ultimo colpo sotto la gola. Il Cln viene liquidato e il vento del Sud, che cominciava a risalire la penisola, intacca e sbreccia quell'unità antifascista che, a Milano, era ancora molto forte e sentita. Ma noi, da questo osservatorio, stentiamo a capire che quelle forze che la Resistenza sembrava avesse spazzato via riprendono a sollevare la testa. Solo dopo il 2 giugno cominciamo a renderci conto di qual è la scacchiera sulla quale ci muoviamo […] Noi non avevamo, come potevamo averlo a Roma, il polso reale della situazione. Certo, le volte che andavamo a Roma ci si accorgeva che, scendendo verso il Sud, la realtà cambiava sotto gli occhi. Altro linguaggio, altri comportamenti, altra mentalità. Ma solo le elezioni del 18 aprile ci diedero la misura di quel che era il paese". <403
La direzione PCI si trova in realtà costretta da due cause principali a lanciare la controffensiva con il rilancio a fondo delle lotte, a tutti i livelli: lo spostamento a destra dell'asse politico nazionale, in previsione delle elezioni generali del 18 aprile '48, e le direttive del neonato Cominform ai partiti comunisti occidentali di interrompere le politiche di compromesso. C'è poi anche una ragione economica legata alla crisi nera che vive il paese e che in alcuni centri (come Milano) è particolarmente dura, portando le Camere del Lavoro locali a superare la svolta moderata decisa dalla CGIL nazionale. In alcuni casi viene accolta con sollievo la nuova linea di Mosca e la fine dell'unità antifascista, vista come un costante compromesso al ribasso; anche a livello locale i dirigenti comunisti la interpretano positivamente, come l'uscita da una situazione ambigua: questo è ad esempio il giudizio espresso da Pajetta sull'uscita della DC dalla giunta di Milano guidata dal socialista Antonio Greppi. Nel capoluogo lombardo è Longo che coordina l'applicazione delle nuove direttive, che hanno nelle fabbriche il luogo privilegiato, affermando che la Direzione "denuncia l'offensiva padronale che, mirando ad avere mano libera nei licenziamenti, vuol gettare sul lastrico centinaia di migliaia o addirittura milioni di lavoratori… la Direzione invita pertanto tutti i compagni che ricoprono cariche sindacali e tutte le organizzazioni del partito a dare la massima attenzione alla preparazione e all'organizzazione della resistenza e del contrattacco […] Il partito riprenda la lotta fino in fondo, chi non intende impegnarvisi può andarsene". <404
Non potrebbe essere altrimenti: secondo il rapporto di Pietro Secchia, responsabile dell'organizzazione, alla fine del 1947 "nella provincia di Milano abbiamo nel partito il 71% di operai, poco più del 4% di artigiani, neppure l'1% tra intellettuali, studenti e tecnici. L'1,65% di coloni, piccoli proprietari e piccoli affittuari. Poco più del 7% di giornalieri, obbligati e salariati agricoli". <405
La svolta a sinistra del PCI milanese è data però anche da altri due cambiamenti: il passaggio di Giuseppe Alberganti dalla segreteria della CdL a quella della Federazione comunista; la maggiore forza acquisita da Pietro Vergani, esponente dell'ala dura del partito, come segretario  d'organizzazione a Milano. Contemporaneamente, come già accennato, anche nel PSIUP si consolida a livello nazionale la svolta a sinistra data in particolare dal gruppo settentrionale e milanese (qui per un moto più spontaneo che imposto da direttive esterne, come nel caso del PCI), che culmina con l'uscita dei moderati e socialdemocratici interni guidati da Giuseppe Saragat, nella famosa scissione di Palazzo Barberini (11 gennaio 1947), che darà vita al Partito socialista dei lavoratori italiani - PSLI (successivamente Partito socialdemocratico italiano - PSDI) e porta i socialisti ad assumere la vecchia denominazione di Partito socialista italiano - PSI. A fine dicembre '47 PCI e PSI danno vita al Fronte democratico popolare in vista delle elezioni.
A settembre è lo sciopero di oltre 600.000 braccianti nel centro-nord a scuotere il paese: le tradizionali questioni dell'imponibile e del collocamento sono al centro delle agitazioni nelle diverse province padane, in particolare rivendicando la regolamentazione degli imponibili e la giusta causa nelle disdette dei lavoratori delle cascine, per cercare di limitare l'arbitrio degli agrari: "Agrari che sparano contro gli scioperanti sono segnalati nel Bresciano, nel Pavese, nel Padovano, mentre d'altro canto allarmi crescenti destano sia la tendenza a estendere lo sciopero ai mungitori sia gli 'scioperi alla rovescia' per imporre ai proprietari lavori di miglioria: proclamati in nome delle esigenze della produzione ma vissuti per la verità sia dagli agrari che dai braccianti come 'invasioni' od 'occupazioni' delle aziende (e una relazione sindacale segnala con preoccupazione 'qualche incidente, di cui qualcuno abbastanza grave come incendi di cascine, fucilate per le strade, atti di crumiraggio')". <406 Si richiede inoltre un contratto unificato che equipari la loro condizione a quella dei lavoratori industriali.
Nelle campagne il conflitto assume caratteri molto duri ed estremi: non solo per i braccianti che ripropongono antiche forme di lotte, quali il 'gallo rosso' e il sabotaggio, ma anche perché gli agrari rappresentano il principale sostegno del terrorismo neofascista che si sta riorganizzando in questi mesi e che colpisce, tra i diversi obiettivi, in particolare cooperative e case del popolo. Il 9 novembre, ad esempio, un gruppo di giovani comunisti sta rientrando a mezzanotte da una festa da ballo a San Giuliano Milanese e, mentre attraversa un ponte, vengono sparati alcuni colpi di rivoltella che ne feriscono tre. L'11, su invito del sindaco di Mediglia (un paesino nei pressi del capoluogo), alcune centinaia di operai della Breda e della Caproni raggiungono sui loro autocarri il paese dove si sarebbe tenuta una dimostrazione: viene presa d'assalto la casa dell'agrario Giorgio Magenes, ritenuto implicato sia nell'attentato del ponte sia nel lancio di alcune bombe contro un cooperativa sempre a San Giuliano e una trattoria popolare a Desio; Magenes spara contro i lavoratori, uccidendo l'operaio 21enne della Breda Luigi Gaiotti e ferendo Domenico Rivolta. Nonostante l'arrivo dei carabinieri che tentano di portarlo via, questi vengono soverchiati dalla folla che lincia a morte il proprietario terriero. Così un militante della Volante Rossa, presente a quella come ad altre dimostrazioni, ricorda l'episodio: "Abbiamo fatto l'assalto alla cascina. E quando sono arrivati i carabinieri con sei autoblindo è stato troppo tardi, l'avevamo già linciato. Due autoblindo dei carabinieri non ci hanno poi mollato fino a Milano, scortavano il nostro camion". <407
[NOTE]
396 G. Crainz, Padania. Il mondo dei braccianti dall'Ottocento alla fuga dalle campagne, p. 246, Donzelli 2007
397 L. Bertucelli, All'alba della repubblica. Modena, 9 gennaio 1950. L'eccidio delle Fonderie Riunite, p. 26, Edizioni Unicopli 2012
398 D. Della Porta, H. Reiter, op. cit., p. 73
399 M. Scelba, discorso alla Basilica di Massenzio, Roma, 15 agosto 1950, cit. in ibidem, p. 70
400 D. Della Porta, H. Reiter, op. cit., pp. 74-75
401 P. Dogliani, La polizia alla nascita della Repubblica, p. 25, in P. Dogliani, M.A. Matard-Bonucci, op. cit.
402 Cfr. R. Martinelli, op. cit., p. 233
403 G. Manzini, op. cit., pp. 89-91
404 L. Longo cit. in G. Galli, op. cit., p. 177
405 P. Secchia, Il partito della rinascita (Rapporto alla Conferenza Nazionale d'organizzazione del Partito comunista italiano), p. 33, cit. in R. Martinelli, op. cit., p. 165
406 G. Crainz, op. cit., p. 237
407 C. Bermani, op. cit., p. 84
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016-2017