Biagio Boeri in Taggia e la sua podesteria (Pinerolo, 1986, I, p. 32 sgg.) attribuisce ai Benedettini di Pedona l’esperienza monastica nell’agro tabiese (che prende il nome oggi dal territorio comunale di Taggia, in provincia di Imperia, a levante di Sanremo e allo sbocco della Valle Argentina, la quale ultima culmina con la nota Triora, sottostante il Monte Saccarello; zona più vasta, comunque, alla luce dell’articolo in parola), dove sarebbero giunti grosso modo verso il 643-4 dopo la cacciata dei Bizantini e l’avvento dei Longobardi del re Rotari.
E’ un’ipotesi valida, ma forse i monaci di Lerino (isole Lerins vicino a Cannes) li avevano preceduti: le postazioni di CAMPO MARZIO (in territorio di Badalucco, alle spalle di Taggia, sempre in Valle Argentina) e della NECROPOLI DI COSTA BELENI sembrano collegabili sia col cristianesimo orientaleggiante proprio di Lerino sia con l’occupazione greco-bizantina, favorevole ad incentivare l’influenza “lerinese”.
Il Boeri attribuisce ai monaci di Pedona il primo vero processo di civilizzazione cristiana sul territorio, che va da Arma di Taggia ai siti interni e a Riva Ligure e S. Stefano al Mare.
L’elemento che merita una riflessione è costituito dalla frequenza del toponimo Arma, segnale notevole del monachesimo “lerinese o lerinense”.
Il monachesimo di Lerino era, infatti, modellato su esempi egiziani, con espressioni eremitiche, impregnate di ascetismo. Secondo E. Azaretti le * balme erano celebri in Provenza come sedi eremitiche individuali o conventuali di matrice “lerinense”: la menzione * alma compare poco dopo in delimitazioni territoriali o in norme statutarie. Per Taggia cita: Habitatores Alme ad aquam Almedani del 960 = “gli abitanti di Arma di Taggia al di qua del Torrente Armea” (Liber Jurium, I, p. 1282); De una parte fine fuvio Armedana = “da una parte a confine col Torrente Armea” (XIII sec.) (Liber Jurium, I, pp. 6-9); Arma et Clappa = “abitato di Arma e regione Ciappe” (Statuti comunali di Taggia del 1381).
La presenza di grotte naturali fan credere che l’anacoretica abbia influenzato questi luoghi con un fenomeno che ebbe, tra VI e VII sec., tanta vastità da indurre il MONASTERO DI LERINO (ormai “cuore” del MONACHESIMO TIRRENICO ED INSULARE) ad accamparvi diritti ancora nel XVIII secolo.
Pare indubitabile che il monachesimo provenzale sia penetrato in luoghi ancora soggetti a Bisanzio e che abbia affiancato l’apostolato dei Vescovi di Genova favorevoli al programma degli Imperatori greci.
E’ poi da citare una caratteristica di Lerino: il suo monachesimo si potrebbe definire CITTADINO, in quanto posto sotto l’influenza dei vescovi.
E’ importante quanto scrive G. Picasso (Il Monachesimo nell’alto medioevo, in AA.VV., Dall’eremo al cenobio, Milano, 1987, pp. 6-7): “La stretta collaborazione dei monaci con l’episcopato e il moltiplicarsi dei centri di vita monastica, pur con spiccato orientamento eremitico, in molte regioni furono possibili perché nessuna regola si impose allora alla disciplina monastica in Italia; le varie correnti… vi trovarono accoglienza e non si ebbe un monachesimo a un unico orientamento. Ne conseguì un notevole arricchimento di esperienze e tradizioni dal quale trarranno frutto, nel secolo VI, le due grandi regole del Maestro e di Benedetto”.
Pare esser prossimo, anche in rapporto a tutto quanto detto in precedenza, il caso di “Costa Beleni” e dei MONACI DI LERINO: è credibile che l’agro di Sanremo e Taggia fosse giunto al vescovado di Genova in tempi antichi e che in tal zona si siano favoriti insediamenti eremitici dal IV secolo.
I Bizantini, circa 200 anni dopo, forse, ufficializzarono un dato di fatto, come donazione all’episcopato genovese, a loro favorevole: molti territori costieri e vecchi fondi abbandonati furono assegnati dal fisco imperiale alla Chiesa di Genova.
Gli scavi archeologici di Capo Don a Riva Ligure (IM) |
Alcuni studiosi individuano nel Capo Don, in Riva Ligure (IM), un relitto toponomastico del donum dei Bizantini all’Ecclesia genovese nella II metà del VI secolo. La donazione fu celata sotto la leggenda del vescovo genovese San Siro, cui l’ufficiale Gallione avrebbe donato poderi nei territori matuziani (cioè, di Sanremo) e di Taggia per avergli liberata una figlia dal demonio.
Nella leggenda si elenca la “curtem que Tabia nuncupatur… positam iuxta fumen Tabia”.
Non è da escludere che il fisco imperiale abbia riconosciuto altri beni al vescovado genovese tra cui una proprietà rustica fra Terzorio e Cipressa (ancora più a levante), detta di San Siro, giunta probabilmente ai Benedettini, prima delle donazioni feudali, attraverso l’evoluzione del monachesimo cittadino. La donazione di Gallione è certo una leggenda, ma può celare una verità di fondo. Secondo il documento, nei terreni vicini al Tavia, presso il mare, sarebbe esistita una cappella del Beato Pietro.
Sarebbe da verificare, come suggerì Aldo Sarchi, se il battistero paleocristiano qui identificato appartenesse a tale edificio religioso, quale sia stata l’influenza di Lerino su questo complesso cultuale e se la vasca battesimale sia oggi la traccia più eclatante della matrice paleocristiana donde si evolsero le chiese di S. Pietro Apostolo di Castellaro e S. Maurizio di Riva Ligure. Ai monaci di Lerino, nel Ponente ligure (anche se i dati più certi li possediamo per l’area di Taggia e S.Stefano) si affiancarono nel VII sec. i BENEDETTINI di PEDONA.
Da una piccola base, dedicata ai SS. FAUSTINO e GIOVITA presso il paesino di AIGOVO, scesero appunto a Tabia (Taggia) dopo le presumibili devastazioni longobarde. E’ arduo dire come trovarono Costa Beleni, il circondario e la sede “lerinese”. Il Boeri sostiene che trovarono una popolazione provata e procedettero ad immediati restauri.
Per formulare un’idea dell’impianto di questi Benedettini o dei lavori loro attribuiti valgono sempre le indagini del Boeri (pp. 32-35). Il Boeri poi scrive: “Il complesso monastico ebbe pure un’altra casa, che era la sede dell’Abate ed è all’incirca l’attuale Villa Eleonora, nonché un chiostro, le cui colonne vennero poi usate per la costruzione del convento di San Domenico verso il 1470. Inoltre i Benedettini, oltre alla coltivazione dei terreni, edificarono varie altre opere e di queste certamente: il secondo arco del ponte proseguendo quello romano, per la comodità di accesso ai terreni oltre il torrente, e gli archetti intermedi; la CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA DEL BOSCO, con annesse varie celle e condotte di acqua; la chiesa di San Martino, ora proprieta privata, nella zona che da quella prese il nome; una grangia e forse anche una chiesa nella zona sopra Costa Bellene, che dopo il XII secolo venne ampliata dai frati Benedettini dell’Abbazia di Santo Stefano di Genova (Villaregia); una chiesetta, ora totalmente scomparsa, nella zona Cardune, dedicata a Sant’Antonino; una torre di vedetta o specola sopra il complesso del Colletto; inoltre costruirono anche mulini da grano e frantoi, che sono ancora citati negli statuti del 1381, come molendina monacorum; probabilmente fu loro opera anche la costruzione di una chiesetta dedicata a Santa Caterina Martire, nei pressi del Convento di San Domenico e della quale restano pochi resti a fianco della strada.
Di alcune opere restano solo pochi ruderi e non vi è possibilità di documentazione. Inoltre nella zona, ora detta Ciappe, doveva esistere una grossa vigna, che è ricordata in documenti del XII secolo come vinea monacorum. Questi terreni ancora nel secolo scorso erano gravati di una tassa, detta livello, a favore della Chiesa di Taggia."
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