Fonte: SoloEcologia.it |
Sono sempre risultate noiose le pratiche abitudinarie giornaliere.
Oggi dopo più di settanta anni cercano di rosicchiare quel rimasuglio di entusiasmo alla vita, rimasto.
Ad esempio aprire ogni mattina le persiane alla luce per far uscire il buio con i tormentoni notturni che ci iniettiamo ogni giorno con quello che succede intorno e dentro noi.
Per fortuna il nostro inseparabile cellulare ci augura imperterrito “Buongiorno”
Senza voler nulla in cambio, a differenza del gatto ruffiano che viene a strusciarsi ma con un secondo fine.
La sua colazione a cui seguirà, ma solo dopo, la mia.
Le delusioni sono appena iniziate. Davanti al più sincero dei nemici, lo specchio.
Certe mattine i capelli mi ricordano la lana che contenuta nei vecchi materassi veniva estratta da quelle figure scomparse ormai di scena, i materassai.
Lavoravano per cardare la lana di pecora sempre all’aperto in piccoli cortili o sui cigli delle strade secondarie.
Gli strumenti del loro lavoro erano ridotti al minimo e quindi si recavano vicino all'abitazione del committente dove bastava un minimo spazio per eseguire le operazioni.
I più scrupolosi lavavano e mettevano al sole quelle montagne bianche e il rivestimento ad asciugare.
Operazioni che si facevano con il bel tempo, chissà come sopravvivevano nel tempo brutto.
La cardatrice con cui districavano i ciuffi atrofizzati dal peso dei dormienti era un mezzo cilindro basculante che come un pettine districava i nodi eliminando i rimasugli raccolti dalle pecore nei pascoli e ridava sofficità ai fiocchi.
Come una culla oscillava avanti e indietro accompagnato come una ninna nanna dalle chiacchiere di chi transitava.
Era bello poter mettere le mani in quella lana che conteneva semi e tracce di prati.
Il ricordo delle operazioni sulla larga e lunga asse posata su due cavalletti, dove mani abili rimettevano nel tessuto rigorosamente a righe carcerarie sempre sui toni del marrone il cardato (la scelta del colore era forse per nascondere i segni del tempo), che, rinchiuso nel sacco veniva attraversato da lunghi aghi, è tornato vivo grazie ai miei riccioli cascanti.
Il movimento di quelle agugliate era affascinante quando passava alla trapuntatura per poi fissare quei quadrettini di stoffa dove si sarebbero annidati polvere e resti del tempo.
Strapunta in dialetto raccontava di quante volte gli aghi trapassavano quelle formidabili stoffe.
Strapunté e Strapuntéira gli addetti alle trafitture.
Penso che i materassi fossero un bene durevole, che passava la vita con i proprietari e la finiva con loro.
Il popolo attuale, pieno di allergie alle polveri e agli acari e si direbbe alla vita sana, forse non sopravviverebbe su quei vecchi materassi.
O forse non sarà più probabile che le materie sintetiche su cui si dorme oggi siano le vere responsabili di tante intolleranze?
Dormire su un prato non ha mai fatto male a nessuno!
Noi che abbiamo sognato e giocato su quei materassi siamo risultati vaccinati contro queste moderne patologie.
La nostra generazione pare che si trascini in una transumanza senza fine di cui si ignora il luogo di arrivo dove tornare a pascolare tranquilli.