martedì 17 novembre 2020

"Che cosa sono le nuvole?" - Il cinema di Pasolini fra innovazione e poesia


La vita è il sogno d’un sogno, ovvero la rappresentazione di una rappresentazione, questo sostiene Pasolini in Che cosa sono le nuvole? - uno degli episodi del film Capriccio all’Italiana - opera fra le sue più significative, intrisa di novità e di poesia.
Per esprimere la propria idea, il regista fa ricorso ad una “mise in abyme”, espressione francese che significa: collocazione all’infinito e che nell’arte figurativa e letteraria sta ad indicare un abile gioco di specchi in cui vengono proposti più livelli espressivi o narrativi, o, se si preferisce, più contenuti, un po’ come succede con le scatole cinesi, in cui una nasconde l’altra.
Che cosa sono le nuvole? girato nel 1967, è la messinscena di un famoso dramma shakespeariano: l’Otello. A realizzare tale messinscena sono dei personaggi inconsueti, cioè degli uomini /marionette, impersonati da attori del cinema comico, segno dell’importanza che il regista bolognese attribuiva agli artisti del genere.
Pasolini colloca la vicenda in un teatrino di terz’ordine e riduce all’osso la trama della tragedia shakespeariana per renderla accessibile ad un pubblico semplice, ingenuo e sprovveduto: Jago, invidioso di Cassio, che ha appena ottenuto un importante incarico da Otello, fa credere a quest’ultimo che la moglie Desdemona lo tradisca proprio col suo fido luogotenente.
Jago, che nel cortometraggio ha il volto contrassegnato da un eloquente colorito verde bile, si procura un fazzoletto della donna e lo esibisce al marito come prova della sua presunta infedeltà. Otello cade nell’inganno e, pazzo di gelosia, decide di punire Desdemona con la morte.
La tragedia sta per consumarsi sino in fondo, secondo il copione originale, ma gli spettatori, incapaci di distinguere fra finzione e realtà, non accettano l’iniqua conclusione, così irrompono sul palcoscenico e uccidono Jago ed Otello, portando poi in trionfo Cassio e Desdemona.
A questo punto il burattinaio decide di liberarsi di Jago ed Otello, i due attori/pupazzi che, a suo avviso, hanno fatto fallire lo spettacolo e sono divenuti ormai inutili; li fa caricare su un camion, il cui autista va subito a gettarli nello sversatoio dell’immondizia, accompagnando il “rito” con un canto.
Mentre sono semi-sepolte dai rifiuti, le marionette scorgono per la prima volta il cielo, dove fluttuano dei lievi cirri bianchi.
- Ihhh… che sono quelle? - chiede Otello, visibilmente sorpreso.  
- Sono le nuvole - risponde Jago  
- E che sono le nuvole? - replica l’altro.  
- Ma! - dice Jago.
- Quanto so' belle! Quanto so' belle! - esclama Otello.
- Ah, meravigliosa e straziante bellezza del creato - conclude Jago, con un lungo sospiro.
Sino ad allora, i due erano stati marionette, pupazzi appesi a un filo, oggetti nelle mani del burattinaio-padrone e perciò incapaci di assumere coscienza della propria realtà e del mondo circostante. Soltanto nel momento in cui questo legame si spezza, diventano creature libere e possono scoprire la meravigliosa bellezza del creato. Ma purtroppo tale liberazione coincide pure con la loro morte.
In questo epilogo è possibile cogliere alcuni fondamentali aspetti del film: l’allusione all’ineluttabilità della sorte dei puri e dei semplici; l’accenno ai condizionamenti che la società borghese esercita nei confronti delle classi subalterne; ed è rilevabile pure un’istanza di spiritualità dell’essere umano, non mediata dall’esterno.
Per comprendere appieno la novità introdotta dal film Che cosa sono le nuvole? bisogna esaminare la sequenza in cui Pasolini mostra un famoso quadro di Velásquez, Las meniñas (che appare assieme ad altri dipinti-locandine esposti all’ingresso del teatro), un’opera pittorica importante, complessa, considerata uno dei prototipi di “struttura in abisso”, nella quale le figure, riflesse in uno specchio, assumono molteplici apparenze e ulteriori valori semantici.
A confermare il meccanismo ricorsivo pasoliniano, ovvero la sua tendenza a frammentare le situazioni, rimandando l’interpretazione di una ad un’altra e così via, in una sorta di processo all’infinito, è lo scambio di battute fra Otello e Jago, in cui il primo chiede: - Ma perché dovremmo essere così diversi da come ci crediamo? - e Jago risponde - Eh, figlio mio, noi siamo in un sogno dentro un sogno.
Il riferimento all’opera del grande pittore spagnolo sta ad indicare l’intento del regista di ricorrere a un nuovo modo d’indagare la realtà, osservandone appunto le differenti sfaccettature.
Pasolini, in effetti, parte dalla constatazione che la realtà è inafferrabile, sfuggente, per dare vita ad una sorta di “cinema decostruzionista”, in cui le varie componenti narrative non sono scisse  definitivamente, né vanno a costituire un disordinato coacervo di contenuti a sé stanti, ma finiscono col confluire in un unico racconto, come se il medesimo soffio ispiratore alitasse incessantemente sull’opera, dall’inizio alla fine, conferendole senso, spessore e dignità.
Nel costruire il suo film, Pasolini opera un’attenta suddivisione dello spazio, separando il palco (luogo dei personaggi e della finzione)  dalla platea (luogo degli spettatori e della realtà). Improvvisamente, sul finire della vicenda, fa in modo che i due spazi si fondano, attraverso l’irruzione del pubblico sul palcoscenico e l’abbattimento della cosiddetta “quarta parete”.
A questo punto, appare evidente la volontà di dimostrare come le aspettative della massa (la volontà del pubblico in sala) possano confliggere con i sogni borghesi (l’opera shakespeariana col suo tragico finale; e l’interesse del marionettista-impresario che ambisce al successo dello spettacolo).
Che cosa sono le nuvole? è impreziosito dalla presenza di interpreti come: Totò (Jago); Ninetto Davoli (Otello); Laura Betti (Desdemona); Franco Franchi (Cassio); Ciccio Ingrassia (Roderigo); Adriana Asti (Bianca); Francesco Leonetti (il marionettista); Domenico Modugno (l’autista del camion); tutti provenienti dall’avanspettacolo (ad eccezione di Leonetti, scrittore, amico e compagno di studi di Pasolini) e dotati perciò di particolari requisiti attorali.
Magistrale, ad esempio, la prova di Totò e Franco Franchi, che, grazie alle loro connaturate doti istrioniche e alla lunga gavetta giovanile, riescono a raggiungere livelli d’impareggiabile bravura. I due danno vita ad una gustosa pantomima, nella quale si muovono con gesti coatti, trattenuti, si scrutano, assumono espressioni fanciullesche, stupìte, agendo con una tale misura, da sembrare degli autentici pupi siciliani.
È forse proprio questa loro duttilità, questo sapersi piegare alle leggi dello spettacolo, senza rimanerne schiavi, ma riuscendo a conservare il proprio marchio, la propria impronta creativa, a renderli eterni.
Particolare significato assume la presenza di Totò-Jago che, pronunciando la frase: “Ah, meravigliosa e struggente bellezza del creato”, chiude l’episodio e chiude pure la propria carriera d’uomo e d’artista. Morirà infatti un mese dopo aver terminato le riprese del film.
L’ultima sua battuta somiglia più alla persona che alla maschera. La prima, come si sa, era seria, pensosa, riservata, persino malinconica; la seconda comica, irriverente, surreale, capace di divertire il mondo intero con smorfie, gag, trovate ed una verve davvero inesauribile.
Nessuno meglio di Totò e dei suoi compagni avrebbe potuto rappresentare l’eterna dicotomia fra l’uomo e la maschera, la realtà e la finzione, il concreto e l’astratto.
Pasolini l’aveva capito bene, perciò affidò a dei comici il compito d’interpretare il suo cortometraggio e inaugurare così una nuova stagione espressiva. Scelse attori popolari, lontani dai paradigmi del teatro classico e dall’accademismo scolastico, artisti naturali, spontanei (grandi come soltanto gli umili sanno essere) e capaci perciò di coniugare, in un’originale e straordinaria sintesi, cinema e poesia.

Antonio Magliulo