Angelo Barile si proverà ad indicare qualche influenza forse ricevuta dai testi di poeti afro-americani come Langston Hughes e Countes Cullen, che talora insistevano sul tema del contrasto cromatico.
Ma in realtà, come ben intuisce Pier Luigi Ferro nella prefazione alla riedizione del libro farfaiano, “il tema del contrasto o del semplice accostamento tra il bianco e il nero che Barile riscontra nei testi nordamericani su cui fa leva, attraversa con insistenza quasi ossessiva” la produzione di Farfa [Vittorio Osvaldo Tommasini].
Qualche spunto, se non altro per il titolo, proveniva da un articolo di Mario De Silva del 1928, ma le fonti sono ben altre, e diverso è l’humus su cui nasce il poema: il negrismo (cioè l’interesse per la cultura africana, interesse dal quale era nato, fra l’altro, anche il cubismo), la musica jazz, la curiosità per la spiritualità del mondo primitivo, il fascino della gioiosa figura di Josephine Baker…
E l’interesse per le culture africane non finirà qui, se ancora il termine hippy, molti anni dopo (termine che ha fra l’altro una delle sue prime attestazioni in Stan Kenton) sarà così definito: hippy è colui che “acted more Negro than Negroes”.
Ma torniamo al nostro Farfa.
Cosa ci racconta nel poema?
Semplicemente dà la voce a un abitante dell’Africa equatoriale, insofferente della sua condizione di negro e desideroso di accoppiarsi con una donna bianca. Nulla di provinciale o razzistico in questa leggerissima struttura, sia chiaro, ma semplicemente l’espediente narrativo per stendere un componimento dove si intrecciano e si rincorrono ritmi musicali (affiora persino un gong, a pagina 27, e un sax, a pagina 49, e il grido “alehòo” a pagina 59), passione per la “selvaggeria”, abilità e divertimento nel coniugare l’amore per un’assoluta semplicità a versi audacemente sperimentali (e sulla metrica e la retorica farfaiana si leggono precise osservazioni nella prefazione di Ferro, che ci dice anche un mucchio di altre cose interessanti), trovate visive (dall’uso grandioso degli spazi bianchi - finalmente in quest’edizione anastatica il Candore è restituito alla sua giusta dimensione, candida e dilatata - ai giochi grafici della copertina disegnata da Farfa e della palma disegnata da Acquaviva).
Foresta
radici di serpenti
tronchi di fiere
rami di scimmie
foglie di uccelli
verdità totale
oscillata dalle palme
non mi basti più
Foglia cantante
ramo gorilla
tronco belva
radice nomade
io stesso
non mi basto più [...]
(incipit del Poema del candore negro di Farfa)
Marco Innocenti in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno I, n° 2, aprile-giugno 2010
[Marco Innocenti è autore di diverse opere, tra le quali: Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010]
Farfa (Vittorio Osvaldo Tommasini) esordisce come pittore, ma nel 1929 si avvicina a Tullio Mazzotti, iniziando una proficua sperimentazione nell’ambito della ceramica futurista. Grande sperimentatore, soprattutto nel campo dei materiali, apporta un fondamentale contributo sia nella cartellonistica pubblicitaria, sia in campo editoriale. In occasione della realizzazione di un complesso plastico (Prue), nel 1903, per il quale utilizza la latta della ditta di Vincenzo Nosenzo, gli viene l’idea di sfruttare lo stesso materiale anche per delle pubblicazioni. Si realizzano così i primi libri “lito-latta” di Tullio D’Albisola (1934) e di Marinetti (1932), preceduti dal manifesto di Farfa del 22 novembre 1931, Lito latta sincopatia distagnata in libertà, con versi organizzati in una “sincopatia visiva” da Giovanni Acquaviva. Si veda: Silvia Bottaro, Farfa, Acquaviva e la “Lito-Latta”: aspetti del futurismo savonese, in “Risorse”, Savona, n. 4, 1989, pp. 24-28. Silvia Vacca, Periodici Futuristi negli anni Trenta: comunicazione ed innovazione visiva, Tesi di dottorato di ricerca, Università degli Studi di Milano, anno accademico 2012/2013
Dire di tutti gli artisti è impossibile, impossibile è anche di penetrare nelle teoriche che ogni artista ha forgiato per suo uso. Ma possiamo notare i processi con i quali Enrico Prampolini dà espressione al «divenire della materia» ricavando da presupposti scientifici gli elementi che dispone nei suoi quadri con una reale finezza plastica; i modi con i quali A. G. Ambrosi, Baldo Mariotti, Alessandro Bruschetti, Francesco Bagnaresi, Angelo Caviglioni, Armando Dal Bianco, Bruno Tano ed altri vogliono dare liricità ai temi del volo di guerra sono di un’efficacia rappresentativa che supera i modi soliti del primo futurismo dinamico. Tullio Crali raggiunge, anzi, un’ampiezza decorativa che esce dal tentativo per diventare realtà pittorica. Similmente Tato dà visioni di guerra di una suggestione profonda.
Gerardo Dottori, felice inventore di mezzi pittorici seppe trovare anche novità paesistiche inedite; così come Carlo [sic!] Forlin e Farfa.
Dalla mostra si può ricavare, quindi, che il futurismo sta uscendo dalla pura fase di tentativi per dare forme concluse. Anche le opere di aderenti al futurismo sono un indice della diffusione della fiducia che il movimento sta suscitando attorno a sé. Tra questi merita attenzione Francesco Torri, un pittore che si rivela per la prima volta, credo, e che ha una sicura conoscenza dei mezzi e dei fini pittorici. Un «Tramonto vicentino», la «Casa rossa», «Bianche vele», «Sera» traducono così controllate facoltà di osservazione, e un così giusto criterio dei rapporti coloristi, che la visione paesistica si allarga in un commosso alone di felicità poetica" <692.
[...]
1932 MAGGIO 2
Lett. ds. di E. Zorzi a Farfa, Venezia, 2 maggio 1932, p. 58.
Venezia 2 maggio 1932
Egregio Signore
Per poter partecipare la concorso del “Gondoliere” Ella deve con tutta
sollecitudine inviare a questa Segreteria le quattro copie mancanti anche
dattilografate della sua lirica.
Con tutta stima
Per la Segreteria
Elio Zorzi
Signor
Farfa
Savona
[...]
692 G. Nicodemi, Gli artisti italiani alla XXIII Biennale, in «Arte Mediterranea», II, 3-5, maggio-ottobre 1941 [ma 31 agosto 1942].
Alberto Cibin, I futuristi alle Esposizioni Biennali Internazionali d’Arte di Venezia (1926-1942), Tesi di dottorato di ricerca, Università degli Studi di Padova, 2016
Per quanto riguarda gli elementi pubblicitari sulla seconda uscita di “Dinamo futurista”, questi sono limitati alla sovracoperta, ad un motivo decorativo dello stesso Depero, realizzato per un cuscino, ma che chiude l’articolo di Farfa, Signora…sluigiatevi prego! <64, in maniera ornamentale, alle poesie parolibere “pubblicitarie” di Gerbino <65, e agli elementi grafici dell’ultima pagina per le ditte Radi e Komarek <66.
[...] L’ultimo intervento teorico che Marinetti dedica alla comunicazione scritta, e nella fattispecie alla rivoluzione visuale della pagina compiuta dal futurismo, L’arte tipografica di guerra e dopoguerra, viene ospitato sul numero del maggio 1942 di “Graphicus”, rivista torinese pubblicata dagli anni ’10, che dal decennio successivo offre largo spazio al dibattito sulla tipografia futurista. La rivista infatti, un po’ come “Campo Grafico”, non ha una matrice né una predilezione futurista, anche se - oltre alla polemica fra Giulio Lagoni e Carlo Frassinelli negli anni Venti e la successiva tra Lagoni e Farfa (Vittorio Osvaldo Tommasini) - negli anni Trenta pubblica sempre più interventi di futuristi e sul futurismo: lo stesso Farfa, Anton Giulio Bragaglia, Ugo Pozzo e Paolo Alcide Saladin trovano posto sulle pagine del periodico; fino al numero del febbraio 1941, quando viene pubblicato l’appello di Marinetti ai tipografi d’Italia, affinché celebrino la guerra attraverso “l’italianità espressiva della pagina del libro, del giornale con colpi esplosioni e dinamismi di lettere fuori e contro l’antica soavità graziosa ed equilibrata a tono pacifista e anemico”, e a quello dell’ottobre 1941, in cui è presente una sintesi della conferenza tenuta dallo stesso Marinetti al Gruppo tecnico culturale dei poligrafici di Roma, nella quale vengono ribaditi gli stessi concetti.
64 Farfa, Signora…sluigiatevi prego!, ivi, p. 3. Lo stesso motivo decorativo viene riutilizzato da Depero come immagine di copertina dell’invito per l'Esposizione privata Depero. Quadri in stoffa, quadri ad olio, disegni e cuscini, Milano, Corso Plebisciti 12, 1-15 giugno 1934.
65 Giovanni Gerbino, Poesia pubblicitaria di Giovanni Gerbino, in “Dinamo futurista”, n. 2, marzo 1933,, p. 10.
66 Come specificato sui due primi numeri del periodico (Op. cit., n. 2, p. 2), “i disegni pubblicitari riprodotti in ‘Dinamo futurista’ sono offerti gratuitamente” alle ditte, che pagano - come risulta dal quaderno di appunti di Depero (MART, Archivio del ‘900, Fondo Fortunato Depero, Dep.5.18.3) solo il costo dell’inserzione.
Silvia Vacca, Op. cit.