domenica 24 gennaio 2021

Giacomo Natta, originale ed estroso scrittore, negato alla stabilità

Nazzareno Cugurra, Ritratto di Giacomo Natta, 1952 - Fonte: ArsValue.com

Giacomo Ferdinando Natta era nato a Vallecrosia (IM) il 17 gennaio 1892 a un passo dal confine col Nizzardo. Ma al contrario del Mohamed Scheab del suo amico Ungaretti, non era “figlio di emiri” e non solo parlava il francese, ma si sentiva francese. Di cultura e di sentimenti. Ma come l’amato Montaigne, non amava Parigi, grigia e maleodorante, ma la luce tenue e dorata del golfo di Nizza, la Promenade des Anglais, il Capo d’Antibes di fronte all’Isola di Saint Honoré. Negato alla stabilità, come dimostrano i suoi passaporti affollati di visti, di continui passaggi di frontiera, era a suo agio nel frequentare più luoghi e più ambienti. Dalla Francia, dov’era stato precettore presso una ricca famiglia borghese, alla Svizzera dov’era stato segretario del grande psicoanalista e sessuologo Hirschfield, a Firenze, dove aveva frequentato con discrezione il circolo degli intellettuali che si dividevano fra i caffè delle Giubbe Rosse e il Paskoski, ai tempi di Lacerba, di Palazzeschi, di Dino Campana, di Soffici, di Montale, di Carlo Betocchi e di tanti altri poeti, scrittori, pittori come Rosai. Di quegli anni serbava un ricordo nitido e ironico. A Campana aveva dedicato uno splendido racconto, pubblicato su L’Approdo di Betocchi, a Roma si era stabilito verso la fine degli anni ’30, non senza improvvise assenze e non meno imprevedibili ritorni, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e i due decenni successivi, traducendo per editori, per la radio, facendo consulenze editoriali o correggendo poesie altrui alle quali non esitava aggiungerne dei suoi, estemporanei e dei quali mai avrebbe rivendicato la paternità. Le sue dimore erano state raramente gli hotel, più spesso camere d’affitto, piccole pensioni, come quella della moglie del giornalista Felice Chilanti, a un passo da Piazza di Spagna. E quello era, appunto, il suo luogo, fra il Caffè Greco e la sala da te Babington. Di quelle residenze temporanee, quasi soste ombrose in un deserto assolato, parlava con humor e ironia, ne dipingeva gli interni, tracciava i ritratti delle buone signore che le conducevano [...] Alle sue Maximes ricorreva ogni volta che i sentimenti minacciavano di mistificare la realtà. Diceva che il Marchese lo aveva reso “arido come un cardo” e, mentre ne consigliava la lettura, non mancava di mettere in guardia dalle sue conseguenze. Amava anche Saint-Beuve e i suoi Portraits che non si stancava di rileggere nella memoria, avvezzo com’era a non più frequentarne le pagine. Verso le quali non nascondeva una certa riluttanza che lo aveva indotto a preferire di “scrivere nell’aria”, disteso sul letto col viso rivolto al soffitto. Con quella penna ideale aveva riempito interi volumi, aggiungeva, con la sua solita, fine ironia. Quella che gli sciocchi gli rimproveravano, senza accorgersi che era proprio l’ironia che lo induceva a mitigare i suoi giudizi, a renderlo indulgente verso l’insipienza altrui. Ignazio Delogu (1928 - 2011) in Reti Dedalus

Dieci anni fa Truzzi, la domenica batteva le strade delle nostre campagne; le dipingeva instancabilmente; riempiva due o tre cartoni nella stessa giornata. Il paesaggio era studiato con amore, con ostinazione; fino a che il pittore non ne avesse sceverato i caratteri distintivi di paesaggio ligure.
Questo contatto durò sino al 1950, poi ci fu una specie d’arresto. Il pittore si chiuse nel suo studio, elaborò composizioni che s’ispiravano al lavoro dei contadini e in modo particolare a quello dei muratori, tra i quali egli viveva e lavorava. Il colore s’incupì, agli accordi squillanti dei gialli, dei rossi, dei verdi, dei precedenti paesaggi, seguirono accordi di terre e di neri.
Era nata una pittura che poteva chiamarsi neorealista.
Ma il paesaggio ligure lo riprese. Questa volta fu l’architettura dei paesi a incantarlo. Costruzione di muri screpolati, archi, blocchi desolati, Truzzi vagava di paese in paese, solo prendendo qualche appunto. […] Dipinse quindi grandi tempere, drammatiche architetture in bleu e in terra rossa. Egli mostra eccezionali doni di fantasia: come dire che è artista per essenza. (Ci sono nei suoi quadri accordi di colore del tutto nuovi).
Parte dal vero verso liriche variazioni, in visioni delicatissime di case, alberi, colline. La voce del suo paesaggio è nuova (austera e anche mistica) sconosciuta è l’aria e la poesia che lo anima.
Giacomo Ferdinando Natta, 1957

Su queste basi di probità, tra l’altro, è nato a Bordighera in questi anni il premio letterario “Cinque Bettole”, che si circonda di altri di pittura e di giornalismo. Quello letterario fu vinto l’anno scorso da Giacomo Natta, originale ed estroso scrittore in cui si raccoglie, si può dire tradizionalmente, lo spirito vivo dei rapporti tra la letteratura ligure militante e la migliore cultura italiana […]  Carlo Betocchi, Rapporto ligure, febbraio 1957

E’ un merito, il tuo, di poesia, del quale tu [il pittore Joffre Truzzi] sai che penso quello che pensa il finissimo amico Natta.
Carlo Betocchi, 1959

Sono passati tre anni – che alla mia mutevole età assomigliano almeno ai lustri - dal primo incontro con Maiolino [il pittore Enzo Maiolino], e oramai parliamo di tutto, anche se lo scrittore Giacomo Natta rimane il suo argomento preferito, insieme a Luciano De Giovanni s’intende (e ai miei studi e ai miei scritti, per una gentilezza non estranea all’empatia, essendo il pittore e incisore anche un infaticabile ricercatore). Alessandro Ferraro, Le mille forme dell’amicizia, Cuadernos de Filología Italiana, 2014, vol. 21, 325-332

Maiolino, per limitarsi a qualche esempio emblematico, ha pubblicato testimonianze inedite e rare su Amedeo Modigliani, ma anche una raccolta di racconti di Giacomo Natta […] Il sapere del poliedrico pittore si poggiava saldamente su una memoria fatta di mille cassetti dove tutto era stato messo gelosamente al sicuro e ordinato con paziente perizia, mentre la sua curiosità e la sua generosità rendevano d’impiccio chiavi e combinazioni: era sempre pronto ad archiviare un nuovo documento, ad aggiornare una vecchia bibliografia, ad attentare all’intrico di una questione complicatissima, e con forza uguale e teneramente contraria ti concedeva di guardare da vicino, ti coinvolgeva nella gioia di una scoperta, ti chiedeva di ripartire daccapo e insieme per una ricerca fin lì infruttuosa (quella relativa a Natta e Zambrano ci ha appassionato particolarmente).  Alessandro Ferraro, La memoria di Enzo Maiolino, «La Riviera Ligure», XXVIII, 83, maggio/settembre 2017

Volevo tanto bene a Giacomo Natta da essermi prefisso di assistere ad ogni costo ai suoi prestigiosi “Lunedì Letterari”, malgrado che si svolgessero nel Teatro dell’Opera del Casinò Municipale [di Sanremo (IM)].  […] All’apparire sul palco di Natta al fianco del suo illustre ospite, io mi sentivo, ormai, a mio agio; tiravo un sospiro di sollievo e partecipavo allegro ai battimani del pubblico.
Ma Natta, decisamente, insisteva nel chiedermi troppo.
Pretendeva addirittura che, conclusosi il discorso, io lo raggiungessi dietro le quinte e mi facessi coraggiosamente avanti per stringere la mano al celebre personaggio di turno, mentre intanto, Natta, mi presentava.
L’ospite, messo alle strette, doveva pur rivolgermi qualche imbarazzato complimento…
Queste non volute intrusioni in un mondo che non mi toccava finivano con l’opprimermi e me ne tornavo a casa scontento e umiliato, tanto più se m’ero visto costretto a partecipare al rinfresco che concludeva la cerimonia.
[…] Quando ci ritrovammo soli implorai Natta di aver compassione dei miei limiti. Non me la sentivo più di far la parte del poeta del posto, e rinunciavo volentieri ai privilegi che ne derivavano.
[…] Da allora mi godetti il piacere dell’incognito nella mia poltroncina d’angolo, vicina all’uscita, e Natta, quando riusciva ad avvistarmi, mi salutava dal palco con un impercettibile gesto. Un lungo ricordo dei “lunedì letterari” apre Il vino schietto dello scrittore Giacomo Natta, omaggio firmato da Luciano De Giovanni per la rivista «Provincia d’Imperia» (14, 1991, pp. 14-15)   Alessandro Ferraro, Aprii, cauto, la porta. L’incontro di Luciano De Giovanni con Camillo Sbarbaro, La Riviera Ligure, XXVIII, 84, settembre/dicembre 2017