Vi sono film imperdibili, direi irrinunciabili, che aiutano a capire meglio la storia e il mondo nel quale viviamo. Uno di essi è certamente: “In nome del Papa re”, riproposto l'altro ieri, in occasione dei 160 anni dall’Unità d’Italia, opera caposaldo della cinematografia italiana, realizzata da Luigi Magni nel 1977, che fa parte della cosiddetta Trilogia papalina, appartenente allo stesso autore.
Trattasi di un affresco storico-politico-religioso di grande spessore drammaturgico, che tratteggia fedelmente un’epoca ed evidenzia con grande corrosività le contraddizioni e le ipocrisie della Chiesa e della società borghese del tempo.
La vicenda, ambientata nel 1867, trae spunto da un episodio realmente accaduto, ossia l'ultima condanna a morte comminata dallo Stato pontificio a Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, ritenuti responsabili di un attentato perpetrato ai danni di un drappello di gendarmi pontifici.
Domina l’intera vicenda la figura di Monsignor Colombo da Priverno, giudice del Tribunale Pontificio, che durante il processo, avendo compreso le iniquità commesse dal potere temporale, si adopera per salvare la vita degli accusati, sfidando così la volontà di papa Pio IX e pagando poi di persona la propria scelta. E’, Monsignor Colombo, un personaggio acuto, illuminato e progressista, che Magni affida a Manfredi, che lo interpreta con la sua solita e inimitabile ironia, in maniera veramente magistrale!
Fa da contraltare al suddetto prelato l’ambigua e inquietante figura del Padre generale dei Gesuiti, il cosiddetto Papa nero, interpretato da Salvo Randone, attore d’incomparabile talento, che nell’occasione conferma la propria gigantesca statura d’interprete. E proprio nei serrati dialoghi tra questi due personaggi, nel confronto dialettico pregno di meta-significati, che il film tocca i suoi vertici più alti.
“In nome del Papa re” può considerarsi il miglior film di Magni, autore impegnato e pensoso, sempre attento a stigmatizzare le anomalie della nostra società.
Antonio Magliulo