sabato 27 marzo 2021

Tentori modula sommessamente

Quanto a Francesco Tentori, la seconda voce sull’«Albero» 1975/53, da una lettera a Betocchi dell’8 gennaio 1976 sappiamo che Caproni ne aveva già visto prima della pubblicazione il dattiloscritto, ma non si avevano notizie ulteriori. Adesso una preziosa lettera caproniana inedita, la cui conoscenza devo a Lina e ad Antonio Tentori, 36 ci informa che a metà giugno era giunto in via Pio Foà un testo che (messo accanto ad una microserie di altri documenti inediti) ci consente di ricostruire il dialogo Caproni/Tentori, 37 e con quello una serie di contatti cordiali tra i due che si era nutrita non solo di poesia italiana, ma di testi spagnoli, di ritratti, di autoritratti, e di machadiane memorie.
Per procedere con ordine è il caso di iniziare da chi (stando ai documenti fino ad oggi disponibili) risulta essere partito per primo; cioè dalle recensioni, numerose 38 e generose, 39 di Caproni (già dal 1957) ai testi del giovane poeta e traduttore, che, come sua abitudine, 40 gli avrebbero dato l’occasione di riflettere in generale sulla poesia. La mappa indo-spagnola fornita dall’antologia ispano-americana di Tentori gli consentiva infatti di sottolineare la capacità che la poesia ha di far capire meglio di «inchieste e documentazioni» l’«odore delle cose». 41 «Per la prerogativa, che è soprattutto della poesia, di immediatamente ‘denunciarci’ il polso (l’anima, la cultura, la natura) d’un popolo», o per dirla con Leopoldo Panero, 42 ma pensando - sulla scorta di Tentori - a Neruda, a Vallejo: «un’altra lingua per esprimere l’anima». Visto che la poesia (Caproni lo avrebbe ricordato anche parlando, nella stessa omnicomprensiva rassegna, dei Canti gitani e andalusi di Lorca tradotti da Macrí), tra cuerpo ausente e alma presente, restituisce «la persona viva», «il meglio della persona viva» del poeta, «vale a dire d’un’anima che ha avuto la singolare ventura […] di costituirsi parte della nostra medesima anima quotidiana». Anima e poesia, dunque, e a molteplici riprese, vengono associate, tanto da poterne dedurre che raggiungere l’anima (anche per via delle segrete, machadiane galerias tante volte evocate) potesse equivalere, per Caproni, a toccare l’obiettivo ultimo del fare poetico. 43
Come vedremo tutto questo si intreccia con il nostro Vetrone, inserendosi nella corrispondenza tra i due poeti.
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Giorgio Caproni - Fonte: Wikipedia

36. Che ringrazio, ricordando gli amichevoli incontri nel corso dei quali è maturata in loro la decisione di donare le carte del padre all’Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti» del Gabinetto Vieusseux.
37. Che qui dunque si riproduce trascrivendo tutti i documenti inediti, grazie alla disponibilità degli eredi Caproni e Tentori.
38. Con tre interventi sulla poesia, apparsi su La Fiera Letteraria del 2 giugno 1957, del 7 agosto 1960 (come recensioni al Diario. Poesie 1947-1955, Roma: Edizioni della Meridiana, 1956 e di Lettere a Vilna, Firenze: Vallecchi, 1960) e La Nazione del 27 marzo 1964 (su Nulla è reale, Firenze: Vallecchi, 1964) e due sulle curatele e traduzioni, pubblicati su La Fiera Letteraria del 2 marzo 1958 (come recensione a Poesia ispano-americana del ’900, Parma: Guanda, 1957) e su Il Punto, 17-24 dicembre 1960 (sulle Poesie di Juan Ramón Jiménez, Parma: Guanda, 1960). Questi scritti sono adesso tutti raccolti, rispettivamente con i titoli di Dalla cultura alla poesia, Cimatti e Tentori, «Nulla è reale», Poesia ispanoamericana del Novecento, Natale con i poeti, in G. Caproni, Prose critiche 1934-1989. Edizione e introduzione a cura di Raffaella Scarpa. Prefazione di Gian Luigi Beccaria, Torino: Nino Aragno Editore, 2013, vol. 4.
39. Quasi in ognuno dei sui pezzi Caproni riconosce a Tentori (noto ispanista, e «anche uno dei pochi poeti coscienti e non improvvisati nella sua generazione»), oltre al merito di avere fatto conoscere la grande poesia ispano-americana, la serietà e cultura di un dettato individuale degno di attenzione (si veda, rispettivamente a proposito di Lettere a Vilna e di Nulla è reale: «questo giovane poeta […] senza rinnegare nulla del ‘passato’, ma anzi assumendone così dal profondo la lezione sino a riuscire, proprio per tale suo intelligente amore, a superarlo più d’una volta, occupa un posto di prima fila nell’antologia, non ancora compilata, della poesia del dopoguerra. / La sua poesia ha un tono sommesso, quasi discorsivo, povero in apparenza d’invenzioni ritmiche (domina per tutte le pagine un libero endecasillabo: è quasi del tutto assente la rima), ma, modello più vicino l’ultimo Luzi, profonde sono spesso le risonanze musicali (le risoluzioni di poesia raggiunta), che trovano la loro energia proprio nel loro saper conservarsi, nonostante le maggiori conoscenze e tentazioni, nell’ambito della naturale misura (che non viene mai forzata) della voce»; «Tentori modula sommessamente, su uno sfondo di silenziose città popolate d’ombre più che di persone certe e vissute più nel limbo del ricordo labile e intermittente che nella loro concreta realtà […] la sua dolce e perfino un poco coltivata ossessione di solitudine e di impossibilità di penetrare a fondo - di scoprire e di vivere a fondo - la tanto desiderata vita vera: quella vita che per lui sta forse dietro il vetro allettante ma ingannevole delle apparenze sensibili, e che tuttavia proprio i colori e i segni e i moti volubili di tali apparenze sembrano esser sempre lì lì per rivelargli, mentre riescon soltanto a confondere, o a distogliere, l’ansia della mente e del cuore in perpetua attesa d’un messaggio ch’è vano ma dolce, sperare. Un’ansia che soltanto nelle cercate lontananze dal presente oggettivo (memoria o sogno o esilio o sospirata clausura) può trovare a tratti, nella riapparizione d’un gesto o d’una voce o d’un fuggitivo volto, l’illusione d’una risposta al suo ininterrotto e sospeso interrogare»). Già nel primo testo del ’57 d’altronde Caproni aveva lucidamente individuato in Tentori l’«occhio fisso a certi modelli di civiltà poetica facilmente identificabili (l’area tra Bertolucci e Sereni con qualche lieve impennata fiorentina) e l’altro (quello che ci interessa di più) alla sua propria identità di poeta ‘successivo’».
40. Cfr. G. Caproni, Prose critiche 1934-1989, cit.
41. Nella fattispecie l’«odore di quella città mista (conquistadores che, mescolato il sangue diventano libertadores) in continua partita doppia di dare e avere con la vecchia Spagna» di cui parla nella recensione apparsa su La Fiera Letteraria del 2 marzo 1958.
42. Citato con questo rimando nella recensione.
43. A riprova si può vedere l’equivalenza canto/anima (il poeta ridotto «a pura voce (a puro canto: a pura anima)») in un testo (ora raccolto nei volumi delle Prose critiche) su La Fiera Letteraria del 9 febbraio 1958 come recensione a Biagio Marin, Tristessa de la sera (Verona: Riva, 1957).
Anna Dolfi, Giorgio Caproni, una lettera a Tentori e il «cielo dell’anima», Quaderns d’Italià, 22, 2017