sabato 6 marzo 2021

La Rosa di Bagdad. Un tesoro ritrovato

Locandina ufficiale (Zizibè) de La rosa di Bagdad - Fonte: Urania cit. infra

[...] In quel teatro di orrore e violenza che fu l’Europa dal 1939 al 1945, quanto poteva essere anacronistica la dolce favola de La rosa di Bagdad, produzione IMA Film per la regia di Anton Gino Domeneghini?
La storia del piccolo maestro di musica di un regno medio-orientale nasceva da un sogno del regista il quale, proprio grazie alla sua tenacia e alla sua ferma convinzione nel progetto, riuscì a resistere alle intemperie della guerra attraversando il caos che porterà l’Italia dalla dittatura fascista alla nascita della Repubblica e al clima della guerra fredda.
Ma chi era Domeneghini?
Nato nel 1897 a Darfo Boario Terme in provincia di Brescia, dopo l’esperienza come volontario durante la Grande Guerra e avere partecipato all’impresa di Fiume a fianco di D’Annunzio, diresse una società di pubblicità, la IMA (Immagine Metodo Arte), con sede a Milano. Convinto fascista proseguì la sua carriera di pubblicitario finché la Storia non si frappose per la prima volta tra lui e il suo lavoro: durante la guerra, il regime di Mussolini vietò la pubblicità a scopo commerciale. Per mantenere coeso il suo gruppo creativo con l’incedere della guerra e attiva la sua società, nel 1942 Domeneghini decise di trasformare la IMA in IMA Film e cominciò a elaborare un progetto ambizioso: un lungometraggio animato ispirato a una raccolta di novelle dal titolo Il libro della primavera.
I capitali per questo progetto vennero raccolti dal regista sia tra finanziatori privati sia grazie alle sue conoscenze all’interno del “fascistissimo” Ministero della Cultura Popolare.
La produzione cominciò a Milano che allora era la sede privilegiata dell’animazione italiana sia cinematografica che pubblicitaria mentre Roma, soprattutto dopo il neonato interesse del regime per questo mezzo di comunicazione di massa, era la capitale incontrastata delle produzioni “dal vero.”
Un saggio di Walter Alberti del 1957 sul cinema d’animazione motivava questa divisione geografica dell’industria cinematografica utilizzando categorie antropologiche (sic!): “La causa va ricercata nel tipo di tecnica di realizzazione dei disegni che vogliono soprattutto pazienza e costanza, qualità più milanesi che romane.”
I talenti coinvolti dal regista erano di prim’ordine: Libico Maraja e Gildo Gusmaroli alle scenografie, Riccardo Pick Mangiagalli alle musiche originali e l’autore delle figurine Perugina Angelo Bioletto come character designer.
Nell’ottobre del 1942 ancora una volta la Storia si mise in mezzo tra Domeneghini e i suoi sogni: a seguito dei bombardamenti anglo-americani nel capoluogo lombardo, la troupe si spostò in cerca di tranquillità e sicurezza in due ville (Villa dei conti Secco d’Aragona e Villa Fé) presso Bornato in Franciacorta. La guerra però continuò a funestare la produzione in quanto i nuovi locali erano nei pressi di una stazione ferroviaria, obiettivo militare degli alleati che volevano ostacolare trasporti e comunicazioni dei nazifascisti: gli animatori erano costretti a interrompere il loro lavoro per cercare riparo dagli attacchi aerei.
Mentre il mondo fantastico de La rosa di Bagdad prendeva forma, a Villa Fé transitavano personaggi appartenenti ad ambedue le fazioni in guerra: da esponenti della Repubblica Sociale a figure come Lucio De Caro, ricercato dai tedeschi e assunto da Domeneghini come montatore. Lo stesso regista a guerra finita venne preso in consegna dai partigiani in quanto convinto fascista ma in seguito liberato; a salvarlo forse fu proprio il suo impegno per La rosa di Bagdad che venne interpretato come un segno di “apoliticità”. Nell’immediato dopoguerra Domeneghini si recò a Londra presso gli Stratford Abbey Studios di Stroud per colorare il film che venne terminato nel 1949 quando venne presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e infine distribuito l’anno seguente sul mercato nazionale. La rosa di Bagdad ottenne un discreto successo di pubblico e permise di rientrare dagli elevati costi di produzione; molto interessante fu l’innovativa campagna adottata per il marketing del film - si ricordi che non a caso Domeneghini era un pubblicitario - realizzata attraverso il lancio di una linea di cioccolatini, quaderni per la scuola a tema e una serie a fumetti (realizzata da Guido Zamperoni). Il trailer presentava - erroneamente - la produzione come il primo lungometraggio animato realizzato in Europa.
Cosa rimane oggi di quel folle progetto che fu La rosa di Bagdad? Come giudicare una produzione di questo tipo all’interno del suo contesto storico? Che ruolo ha avuto nella storia del cinema italiano?
[..] Il sogno fantastico di Domeneghini infatti, nonostante sia stato concepito durante la dittatura, non ha nulla di propagandistico, eccezion fatta per qualche piccolo segnale dello spirito dei tempi (tra i tre savi del Califfo vi è un ministro della propaganda e i marchi razziali dei personaggi di colore, malvagi per natura) ma era molto più affine all’intrattenimento favolistico di matrice disneyana piuttosto che alle allusioni mussoliniane di Scipione l’Africano (1937, regia di Carmine Gallone, produzione ENIC). Infatti, nonostante il fascismo usasse sporadicamente l’animazione per celebrare la cultura e la tradizione italiana al fine di sottolineare la continuità tra le glorie italiche e il regime, La rosa di Bagdad preferisce rifugiarsi nelle languide atmosfere sognanti delle Mille e una notte.
Per quanto riguarda la storia del cinema rimane un progetto ambizioso, seppur destinato a non avere alcun seguito, che segna almeno due traguardi nella produzione nostrana: il primo lungometraggio animato (insieme a I Fratelli Dinamite di Nino Pagot, presentato alla medesima Mostra del Cinema di Venezia insieme a La Rosa di Bagdad) e il primo film italiano a colori, anticipando sia Mater dei (1950, regia di Emilio Cordero, produzione Incar e Parva Film) sia il più noto Totò a colori (1952, regia di Steno, produzione Dino De Laurentiis e Carlo Ponti).
Domeneghini sfruttò la chiusura del mercato nazionale rispetto alle produzioni estere operata durante la guerra dal fascismo per aprire la strada a una tradizione di cinema di animazione nazionale, fino allora assente per ragioni industriali e culturali, nonostante numerose incursioni di alcuni professionisti del settore nel cortometraggio. Per le difficoltà di produzione e il dilatarsi dei tempi di realizzazione, La rosa di Bagdad venne distribuito fuori tempo massimo quando la Disney stava per lanciare film tecnicamente all’avanguardia come Cenerentola e Alice nel paese delle meraviglie e l’animazione italiana aveva addirittura tentato la commistione con il neorealismo [...] ma, come ha detto Marco Bellano, “I Fratelli Dinamite e La rosa di Bagdad vanno interpretati come esiti eroici di attività rimaste a livello pionieristico per oltre tre decenni.”
Domenighini, dopo l’avventurosa storia della produzione della Rosa, tornò al mondo della pubblicità e con lui anche l’animazione italiana che raggiunse i suoi vertici televisivi con Carosello ma rimase confinata nel piccolo schermo mentre nelle sale di tutta Italia spadroneggiavano i film Disney; almeno fino all’arrivo di un grande del disegno animato che proprio dal folle e dolce sogno di Domeneghini era stato ispirato: Bruno Bozzetto.
Carlo Ugolotti, La rosa di Bagdad: il folle sogno di Anton Gino Domeneghini, Catalogo Asta La Rosa di Bagdad. Un tesoro ritrovato, Urania Casa d'Aste, Parma, 19 maggio 2018


Quando nel 2009 La Rosa di Bagdad per il suo 60° anniversario riemerse dalle nebbie del tempo nell’edizione restaurata da Cinecittà-Istituto Luce, primo film d’animazione italiano a venire riproposto in alta definizione bluray, fu evidente che quel recupero della creazione dell’opera di Anton Gino Domeneghini restituiva al godimento e a una consapevole analisi cinematografica ed estetica un manufatto di grande interesse storico e artistico. Grazie a questa operazione si rivelavano nitidi ai nostri occhi i processi creativi che avevano reso possibile il primo lungometraggio in Technicolor del cinema italiano, opera temeraria di un gruppo di artisti a cui guardò con ammirazione tutta la generazione di animatori italiani che dagli anni ’50 in poi avrebbe scritto la storia della settima arte bis del nostro Paese fra grande schermo, cinema d’autore e televisione.
Alle spalle dell’impresa della Rosa, si stagliano due capisaldi del lungometraggio animato realizzati in terra d’America: Biancaneve e i Sette Nani (1937) e I Viaggi di Gulliver (1939). L’estetica di Biancaneve e i Sette Nani è fondata su una quantità di influenze pittoriche e illustrative con radici profonde nel Vecchio Continente.
Gli artisti Disney vennero alimentati anche dal carico di volumi di favolistica classica, d’arte e illustrazione, oltre 350, che Walt Disney aveva rastrellato per librerie e bancarelle durante il fatidico viaggio europeo dell’estate del 1935 attraverso Inghilterra, Francia, Germania e Italia: così si riversarono a Los Angeles migliaia di pagine illustrate da Doré, Dulac, Rackham, De Brunhoff, Kley e tanti altri maestri europei. Sono almeno 15 i titoli italiani di cui la contabilità dello Studio registra l’arrivo nel settembre del ’35. Il raccolto del Grand Tour avrebbe alimentato di ispirazione e spunti, sia nei soggetti sia nelle visualizzazioni, la fantasia degli artisti che operavano nella factory californiana. “Alcuni di quei libri che ho portato a casa dall’Europa contengono illustrazioni affascinanti di piccoli esseri, api, insetti che vivono fra funghi e zucche… questa atmosfera pittoresca mi affascina”: queste le parole espresse da Walt Disney in una nota del dicembre del 1935, a identificare il bagaglio visivo che avrebbe alimentato gran parte dei progetti dello Studio Disney per gli anni a venire. Una storia ben narrata dall’esperto Didier Ghez nell’imperdibile volume Disney’s Grand Tour (2013, Theme Park Press).
Di questo imprinting beneficiò in prima battuta proprio il primo lungometraggio Disney, Biancaneve e i Sette Nani.
Erano europei i membri-chiave del team Disney che fornirono i principali apporti creativi al disegno generale del film: fra i 10 artisti addetti alla ricerca creativa e ai layout spiccano l’ungherese Ferdinand Horvath, capace di tratteggiare ambientazioni e personaggi in un profluvio di disegni finissimi, e lo svizzero Albert Hurter con i suoi bozzetti evocativi delle atmosfere del Vecchio Continente [...]
Federico Fiecconi, L’arte preziosa della Rosa, Op. cit. Urania

[...] Nato a Torino il 23 giugno del 1910, Giovanni Camusso non è sopravvissuto a lungo alla pubblicazione del suo eroe della Resistenza, spegnendosi a Milano l’11 marzo del 1947, come ci informa la signora Grazia, a causa di una gravissima malattia vascolare.
Torinese di nascita, appena diplomato, Camusso, come testimonia la tessera di riconoscimento sotto riportata, viene assunto dalla FIAT, per la quale lavora alcuni anni nell’ufficio tecnico della sezione automobili-aviazione.
Contemporaneamente porta avanti la sua carriera di vignettista per riviste satiriche quali il Bertoldo, il Marc’Aurelio, Candido, Becco Giallo, il Travaso.
Per tutti gli anni Trenta e i primi anni Quaranta del secolo scorso, sue vignette e raccontini illustrati appaiono anche su la Domenica del Corriere e Tribuna Illustrata, come raccontano le ricevute di pagamento che corredano queste righe, singolare memento della vivace attività di Camusso in campo vignettistico.
Come ci informa sempre la signora Grazia, Camusso si trasferisce quindi a Milano nel 1939 (foto sotto), chiamato a collaborare a quel capolavoro del cartone animato italiano, recentemente restaurato, che è La rosa di Bagdad.

 

Fonte: nòva

Purtroppo, del suo intervento nella realizzazione della pellicola animata al momento non ci è dato conoscere di più.
Del giovane e sfortunato disegnatore sappiamo solo che durante gli anni della guerra lavora a Milano nelle industrie aeronautiche Caproni in qualità di progettista e disegnatore. Poi, al termine del conflitto, la breve vicenda editoriale di Pam il partigiano e l’improvvisa scomparsa all’età di neanche 37 anni.
Facile a dirsi, oggi, ma mi sento comunque di affermare che se la malattia non lo avesse portato via così presto, alla luce del suo tratto elegante e dinamico e della sua modernità nell’affrontare le storie disegnate, Giovanni Camusso avrebbe senz’altro potuto dare un contributo notevolissimo allo sviluppo del fumetto italiano.
Per concludere queste brevi righe, mi preme ringraziare sentitamente la signora Grazia per il materiale e le notizie che ci ha gentilmente fornito [...]
Luca Boschi, Giovanni Camusso. Una rosa (di Bagdad) per il partigiano Pam..., nòva Il Sole 24ORE, 25 aprile 2011

Un altro aspetto della multiforme personalità artistica di Nino Camus [Giovanni Camusso] è il suo particolare approccio di DISEGNATORE alle immagini dal vago sapore dysneiano. Questo tipo di immagini fu usato durante la collaborazione di Camus alla realizzazione del primo film di animazione italiano: “La Rosa di Bagdad”. L’impegno doveva essergli congeniale perché esiste una forte correlazione fra le semplificazioni artistiche della figura umana utilizzate nella satira ed i personaggi pseudo-disneyani del film. Erano inoltre propri dello stile di Camus  lo studio veloce ed accattivante dei personaggi e la poetica del paesaggio. Inoltre l’interesse di Camus per i fumetti datava dagli anni ’30 [...]
Nino Camus aveva sicuramente studiato con estremo interesse le strips disneyane pubblicate sull’ “Illustrazione del Popolo” fino dal 30 marzo 1930 e, rispettivamente nel 1935 e nel 1938,  aveva collaborato sia con la "Casa Editrice Nerbini" di Firenze, che con la "Editoriale Universo" di Milano, entrambe impegnate nella pubblicazione di fumetti. Nel 1932 la Nerbini aveva pubblicato il primo numero del giornale illustrato “Topolino”, e successivamente i fumetti  di “Flash Gordon” e “Mandrake”, mentre l’Editrice Universo pubblicava sino dal 1937 gli "Albi dell’Intrepido", ed anche “Il Monello”.  L’interesse di Camus per i cartoons era perciò di vecchia data quando, nel dicembre del 1938,  Anton Gino Domeneghini rimase profondamente colpito dalla visione di “Biancaneve ed i sette nani” di Walt Disney e decise di preparare il primo film di animazione italiano: “La rosa di Bagdad”, ispirato alle “Mille ed una notte”. Domenighini, in qualità di responsabile della IMA, iniziò a raccogliere intorno a se i migliori artisti del momento, tanto che nel periodo di massimo sviluppo si contavano 47 animatori ed assistenti, 25 intercalatori, 44 inchiostratori e pittori, 5 artisti dedicati agli sfondi, tecnici, lavoratori ed assistenti amministrativi.  La preparazione del film  fu fatta coralmente da tanti artisti rappresentativi del  mondo del fumetto e dell’illustrazione italiana (tra cui l’autore delle figurine Perugina Angelo Bioletto, Libico Maraja, Guido Zamperoni e molti altri) che eseguirono circa 200 mila  eleganti disegni per “La rosa di Bagdad”. Un posto di rilievo lo ebbe anche Carla Ruffinelli, cugina di Nino Camus, figlia della "Zia Maddalena" [...]
Nino Camus e La Rosa di Bagdad in Nino Camus