San Francesco: questo paese costituì il bastione settentrionale della difesa partigiana della Val d'Arzino, bastione in cui si svolsero violenti combattimenti. Quasi ogni famiglia di San Francesco ha avuto un congiunto partigiano, ma il paese ha portato fortuna: nessun partigiano locale è caduto. Nel cimitero sono ricordati con una lapide solo il comandante Daniel ed un suo gregario del battaglione «Stalin» operante qui nella Destra Tagliamento.
Qual è la storia di questo battaglione?
Nel mese di maggio 1944 si era formato all'interno del battaglione garibaldino «Matteotti», un distaccamento di soldati sovietici fuggiti dai campi di prigionia tedeschi e qui giunti attraverso la Francia, la Svizzera, l'Austria.
Alla trentina di uomini iniziali si aggiunsero altri durante l'estate, tanto che nella seconda metà di agosto 1944 fu costituito a Pozzis con circa 120 elementi, un battaglione autonomo denominato «Stalin», alle dipendenze della neo-Brigata «Picelli» formata dai battaglioni «Matteotti», «Sozzi» e «Martiri di Belfiore», con il compito di difendere l'alta Val d'Arzino e l'ansa tra la Destra Tagliamento e il lago di Cavazzo.
Il battaglione si distinse sin dall'inizio per disciplina, per la decisione e il valore dei suoi uomini e in agosto-settembre 1944 assunse un ruolo importante nella lotta contro i cosacchi. Allorché il 2 ottobre i tedeschi scatenarono l'offensiva contro le zone libere partigiane, il battaglione «Stalin» si battè con accanimento alla Sella Chianzutan e a Pozzis. I tedeschi furono contenuti e indotti a ritirarsi alle basi di partenza anche perché gli attaccanti da sud trovarono analoga resistenza, affrontati nella zona di Travesio, Castelnuovo e Pinzano dalla Brigata «Garibaldi-Tagliamento» e dalla III Brigata «Osoppo-Friuli».
Tra il 5 e il 15 novembre '44 i tedeschi ripresero gli attacchi nella Sella Chianzutan e verso Pozzis con lo scopo di logorare le forze partigiane ed eliminare il battaglione «Stalin». L'11 novembre raggiunsero San Francesco. Il battaglione «Stalin» contrattaccò e il combattimento durò l'intera giornata. Il giorno dopo tedeschi e cosacchi ripiegarono su Verzegnis con forti perdite. Il battaglione «Stalin» si ridusse tra ottobre e novembre dai 120 uomini iniziali a 50 effettivi.
Anche il suo comandante Daniel, capitano dell'Armata Rossa, mancò all'appello. Il suo corpo fu ritrovato il 14 novembre, a circa 1 km a nord di San Francesco, presso un tombino dove, ferito, si era trascinato per mettersi al riparo, morendo dissanguato. Daniel fu seppellito a Clauzetto.
Il battaglione «Stalin» fu spostato dalla Val d'Arzino alla Val Tramontina nella frazione di Maleon sotto il Monte Rest dove fu riorganizzato e fu nominato un nuovo comandante, Alexej, anch'egli ufficiale russo. Commissario fu confermato «Silos» che parlava anche l'italiano.
Il 27 novembre 1944 il comando tedesco, dopo aver ammassato circa 10.000 uomini a sud, tra Spilimbergo e Meduno, e circa 3.000 cosacchi a nord sulla sinistra del Tagliamento per impedire un ripiegamento partigiano in Carnia, iniziò l'attacco alle ultime due vallate libere.
[...] Il rapporto di forze era di 6-7 a 1 in fatto di uomini a favore dei nazifascisti ed enormemente maggiore in fatto di armi pesanti. I partigiani possedevano pochi mortai e mitragliatrici e niente artiglieria. Malgrado la strenua resistenza furono disgregati dopo alcuni giorni di combattimento. I nazifascisti penetrarono nella Val Tramontina e nella Val d'Arzino. Inseguirono i partigiani in alta montagna, battagliando «casera» per «casera». Caddero nella impari lotta i comandanti della Brigata «Garibaldi-Tagliamento» Giannino Bosi («Battisti») ed Eugenio Candon («Sergio»), i comandanti di battaglione Carlo Schiavi («Chico») del «Sozzi» e Giovanni Braida («Boris II») del «Santarosa». Solamente il comandante della Brigata «Garibaldi-Picelli» Luigi Grion («Furore») con i battaglioni «Matteotti» e «Martiri di Belfiore» riuscirono a passare il Tagliamento senza perdite ed a spostarsi nel Tarcentino. Il battaglione «Sozzi» invece, disintegrato, si sciolse.
I 50 uomini del battaglione «Stalin» furono adibiti, nei primi giorni di lotta, a difesa del comando delle Brigate garibaldine. La sera del 30 novembre raggiunsero Malga Chiamp a nord del Monte Frascola.
Qui ebbero il compito di difendere la zona almeno per tre giorni, in modo da permettere lo sganciamento degli altri reparti. Il battaglione fu attaccato e quasi circondato. Contrattaccò disperatamente, subendo dolorose perdite. Nove partigiani russi si dispersero e, non trovando più collegamenti - in quei giorni nella zona imperversava una bufera di neve - decisero di dirigersi verso la Svizzera che raggiunsero nel febbraio 1945. Gli altri si divisero in due gruppi: uno con il comandante Alexej si diresse verso la zona assegnatagli di Forni di Sopra che raggiunse a metà dicembre '44; l'altro con alcuni ammalati e feriti, si diresse verso i monti sopra Preone. Il sindaco di Forni si preoccupò dell'arrivo degli uomini del battaglione poiché la zona, fino al Passo della Mauria, era strettamente sorvegliata dai cosacchi e la popolazione temeva eventuali scontri e rappresaglie.
Gli uomini dello «Stalin» rimasero inattivi sino a metà febbraio del '45. Poi il gruppo fu individuato ed attaccato. Dovette difendersi anche a causa dell'intervento, fra i cosacchi, di un traditore già appartenente al battaglione e che aveva disertato.
A fine febbraio del 1945 il comandante decise di unificare il battaglione e si recò nella Val Preone. Ai primi di marzo lo «Stalin» si riunì a Forni di Sopra ma era ormai ridotto a 27 uomini. Diventando difficile la permanenza a Forni, il 10 marzo il gruppo si divise nuovamente.
Il nucleo più valido si spostò in Val Pesarina al rifugio De Gasperi a 1770 metri. I rifornimenti dovevano prenderli a Sappada attraverso il Passo di Siera e proprio a causa di questo furono individuati.
Il 2 aprile, giorno di Pasqua, furono attaccati. Per tutta la giornata, 12 uomini tennero testa a 250 cosacchi. Durante le notte, i nove rimasti vivi riuscirono a lasciare il Rifugio ed a ritornare a Forni. Qui il battaglione si ricompose raggiungendo, con l'aggregazione di nuovi elementi, la forza di 50 uomini.
Con la primavera il battaglione divenne più attivo, passando dalla posizione di controllato a quella di controllore del movimento dei cosacchi non più tanto sicuri di se stessi per le notizie dell'andamento della guerra.
Il 29 aprile 1945, «Silos», ora comandante del battaglione, saputo che Tranquillo De Caneva («Ape») comandante della Brigata «Garibaldi-Carnia», era stato arrestato dai cosacchi e portato a Mediis, assaltò il comando cosacco liberando De Caneva. Nello stesso giorno lo «Stalin» bloccò una colonna tedesca che tentava di ritirarsi attraverso il Passo della Mauria. I tedeschi per non impegnarsi in combattimento, preferirono invertire la rotta e tornare a Tolmezzo per prendere la via di Monte Croce Carnico.
Ai primi di maggio anche molti soldati georgiani già in contatto con i garibaldini al cui fianco avevano combattuto a Villa Santina ed a Ovaro, si unirono al battaglione «Stalin» che raggiunse così nuovamente l'organico di 120 uomini. A metà maggio, a guerra finita, il battaglione fu radunato a Tolmezzo dove ricevette il saluto delle autorità e del comando delle Divisioni Garibaldi. Partì quindi per l'Austria per rientrare in Patria.
Bruno Steffè, Partigiani sovietici con la Resistenza in Friuli, Qualestoria. Rivista di storia contemporanea. Anno XXIII, N.ro 3, dicembre 1995
Domenica 12 Maggio alle 15 sul sagrato della chiesa di San Giacomo a Clauzetto, avrà luogo l’annuale cerimonia ricordo dei partigiani sovietici caduti in Friuli, con particolare riferimento alla figura di Danijl Avdeev Varfolomeevic, il Comandante Daniel, nato a Noviki Vologodskaia il 21 dicembre 1917, caduto in località San Francesco di Vito d’Asio l’11 novembre 1944, ufficiale sovietico, Medaglia d’oro della Repubblica italiana al valor militare. Fuggito dai lager tedeschi con altri compatrioti, arrivato in Friuli si aggregò al battaglione garibaldino “Matteotti”. Comandante del battaglione “Stalin”, composto da russi e polacchi, cadde in Val D’Arzino nel novembre del 1944 tentando di arginare l’offensiva nazifascista per permettere lo sganciamento delle formazioni partigiane verso la Val Tramontina. [...]
Redazione, Clauzetto ricorda i partigiani sovietici morti in Val D’Arzino, friulionline, 11 maggio 2019
[...] Biografia del comandante Daniel
Danijl Avdeev Varfolomeevic, nato a Noviki Vologodskaia il 21 dicembre 1917, caduto in località San Francesco di Vito d'Asio (PN) l’11 novembre 1944, ufficiale sovietico, Medaglia d’oro della Repubblica italiana al valor militare.
Avdeev, ufficiale di cavalleria dell'Armata sovietica combatté sul fronte meridionale russo. Catturato prigioniero una prima volta, riuscì a rimpatriare. Assegnato ad un reparto di disciplina, dopo un internamento, venne nuovamente catturato dai tedeschi e trasferito in alcuni lager tedeschi (sull'Elba prima e nel nord della Francia poi). Qui conobbe due delle persone che avrebbero condiviso la sua esperienza di lotta al nazismo: Alexandr Kopilkov e Anton Melniciuk. In momenti diversi, i tre riuscirono a fuggire dal lager e a ritrovarsi in.Svizzera.. Con un avventuroso viaggio a piedi, durato più di un mese, i tre arrivarono in Friuli e, il 24 maggio 1944, si aggregarono al battaglione garibaldino "Matteotti" che operava sulle montagne attorno al lago di Cavazzo.
In seguito, venne costituito in seno al Battaglione "Matteotti", il "Battaglione Stalin", composto in gran parte da russi e polacchi alla cui guida venne designato proprio Avdveev che prese il nome di battaglia di "Comandante Daniel".
Il Battaglione venne inizialmente impiegato soprattutto nella zona tra Cavazzo ed Amaro; nel mese di ottobre, con l'inizio dell’offensiva nazifascista che avrebbe portato allo smantellamento dell'organizzazione partigiana e all'occupazione cosacca, venne spostato in Val d'Arzino. Qui i partigiani dello "Stalin" tennero testa a varie puntate offensive naziste sino a che l'11 novembre 1944, il gruppo di Daniel venne sorpreso e sopraffatto. Oltre a un partigiano russo ed uno polacco, lo stesso comandante rimase ucciso. Nel mese di luglio del 1996 l'allora Presidente della Repubblica Scalfaro ha conferito una medaglia d'oro al valor militare alla memoria dell'ufficiale sovietico Danijl Avdeev Varfolomeevic, il "Comandante Daniel". La medaglia è stata consegnata, nel 1987, dall'Ambasciatore italiano a Mosca a una pronipote del Comandante Daniel...
Redazione, Partigiani sovietici morti in Friuli, ricordo del 'Comandante Daniel', ilFriuli.it, 11 maggio 2019
Mehdi Huseynzade - Fonte: Wikipedia |
Il più noto, però, è il partigiano Mikhailo, nome di battaglia con cui passa alla storia Mehdi Huseynzade, un giovane artista poliglotta, destinato a morire a 25 anni e a essere ricordato come eroe. Tenente dell’Armata Rossa ferito gravemente e fatto prigioniero in battaglia nel 1942 nei pressi di Stalingrado, Huseynzade, di fronte all’opzione di andare in campo di concentramento, preferisce entrare nella Legione nazionale azerbaigiana, con l’idea di fuggirvi il prima possibile. Qui, grazie al suo talento per le lingue, diventa interprete e viene affidato alla 152esima divisione turkestana di fanteria, nel reparto di propaganda e controspionaggio. Questa, dopo l’8 settembre del 1943, viene inviata nella zona di operazioni Litorale Adriatico, la nuova provincia del Reich tedesco che comprende Trieste e la Venezia Giulia; qui Huseynzade progetta la fuga insieme ai suoi compagni Javad Hakimli e Asad Gurbanov.
I tre riescono a mettersi in contatto con dei partigiani comunisti e a entrare nel IX Korpus del Fronte di liberazione sloveno, composto di sloveni e italiani legati alla Brigata Garibaldi. È da loro che Huseynzade viene ribattezzato Mikhailo ed è con loro che progetta diversi attentati contro le postazioni tedesche nella zona, tra cui l’esplosione di una bomba in un cinema pieno di soldati tedeschi a Villa Opicina il 2 aprile 1944, che provocò 80 morti e 110 feriti; 20 giorni più tardi salterà poi in aria il circolo militare Deutsches Soldatenheim in via Ghega a Trieste durante uno spettacolo, facendo 450 tra morti e feriti. Il mese dopo esploderà il casinò militare di via del Fortino, sempre a Trieste, e verrà innescato un ordigno in una caserma.
A settembre dello stesso anno, Mikhailo, travestito da ufficiale nazista, fa saltare due aerei e 25 automezzi in un autodromo tedesco e il mese dopo, con i suoi uomini, fa un’incursione in carcere liberando 700 prigionieri di guerra. La taglia che pende sulla sua testa non gli impedisce di portare a termine un ultimo attentato in un cinema militare di Sezana; ma quando, a novembre, cerca di introdursi nei magazzini di uniformi tedesche a Gorizia, i tedeschi lo fermano. Secondo il dossier ufficiale – in cui probabilmente la realtà sfuma nel mito - gli inseguitori individuano la località in cui Mikhailo alloggia, e lui, accerchiato, uccide 25 soldati tedeschi, prima di suicidarsi con l’ultimo proiettile rimasto. Esiste un’altra versione secondo cui i nazisti trovarono per caso Mikhailo a pranzo in una trattoria nel villaggio di Vitovlje, in Slovenia, e lo trucidarono. Un suo compagno, il georgiano David Tatuashvili, gli costruì una tomba in una località che oggi si trova in Slovenia, su cui Javad Hakimli - che ne parlerà nel 1963 nel suo libro di memorie Intigam (“La vendetta”) - incide la stella rossa dell’Urss. [...]
Silvia Granziero, L'incredibile storia dimenticata dei 5000 partigiani sovietici che aiutarono la Resistenza Italiana, The Vision, 22 ottobre 2021
Professore, quanti furono gli azerbaigiani nella resistenza italiana?
Purtroppo non abbiamo cifre precise. Sappiamo però che circa 5100 cittadini sovietici lottarono nelle brigate partigiane in Italia e tra di loro molti azerbaigiani. Ci furono persino dei reparti partigiani composti interamente da azerbaigiani. Nei ranghi della 31° Brigata Garibaldi operò un battaglione azerbaigiano di una quarantina uomini, comandato da Ibrahim Ibrahimov. Nella 59° Brigata “Caio”, invece, era attivo un reparto al comando di Magerram Mamedov. Di quest’ultimo faceva parte Ashur Amirhanov, meglio noto ai suoi compagni di battaglia italiani come “Amerkanoff”, che cadde eroicamente nei pressi di Piacenza. Da allora, il comando ribattezzò in suo onore il reparto “Distaccamento Amerkanoff”.
Perché gli azerbaigiani si trovavano in Italia?
Si trattava di soldati dell’Armata Rossa catturati sul fronte orientale. Con i prigionieri di guerra i tedeschi crearono delle legioni su base etnica, i cosiddetti “battaglioni orientali”. Questi reparti vennero inviati in Italia settentrionale e in Jugoslavia, per proteggere le retrovie e combattere i partigiani. Però molti di loro finirono per unirsi ai partigiani. I primi azerbaigiani a cambiare fronte furono i fratelli Tashibjaio e Njashibjao Mikaj, che caddero in battaglia nell’autunno 1943 a Santa Maria Capua Vetere.
Nel settembre dello stesso anno raggiunse la lotta antifascista Tair Isaev, che combatteva nei pressi di Bergamo con le “Fiamme Verdi”. Con il soprannome di “Serafino” assunse il comando di una compagnia partigiana e nel 1974 gli è stato perfino dedicato un documentario. Sposò un’italiana, Adele Maurizio, e suo figlio divenne poi ammiraglio della flotta mercantile italiana. Ricevette diverse onorificenze, tra cui la medaglia “Garibaldi”. Questo prestigioso riconoscimento venne concesso in tutto a 9 azerbaigiani. Di loro, 8 erano partigiani, mentre un altro, Bülbül, era un tenore, oltre che presidente dell’associazione di amicizia Urss-Italia.
Vale la pena menzionare anche Mamed Bagirov, che fu l’unico partigiano sovietico a ricevere una pensione dallo stato italiano. Comandò un gruppo di partigiani sovietici all’interno del distaccamento “Ubaldo Fantacci” e prese parte alla liberazione di Pistoia, di cui divenne cittadino onorario. A Udine, inoltre, operò il distaccamento “Chapaev”, al comando dell’azerbaigiano Ali Babaev, detto “Piotto”. Questi partecipò insieme a un suo compatriota, noto come “Michele l’azerbaigiano” o anche come “Mosca”, a una delle azioni più ardite della resistenza: l’attacco alla prigione di Udine (7 febbraio 1945), che portò alla liberazione di oltre 70 detenuti. Su “Michele” mancano dati precisi, ma pare si chiamasse Orudzh Aliev e fosse originario del distretto di Shamkir.
Anche nella zona di Piacenza combatterono diversi azerbaigiani. Due di essi si distinsero per coraggio: Ismail Ibragimov e Vilajat Guseinov. Gli furono dedicate targhe commemorative e sul loro conto fiorirono varie leggende. Di Guseinov, ad esempio, si disse che aveva arrestato Mussolini, cosa che ovviamente non è vera, visto che morì nel dicembre del 1944.
Ci furono anche azerbaigiani che combatterono al fianco dei tedeschi?
Sì, ci furono anche dei collaborazionisti, ma in genere si trattava di reparti reclutati con mezzi coercitivi dai nazisti e che dunque non erano affatto leali. Basti pensare alla strage di Monti di Nese, in provincia di Bergamo, dove nell’aprile del 1945 i fascisti uccisero 120 azerbaigiani, che volevano disertare e raggiungere i partigiani.
Chi è Mikhailo?
Mikhailo è il nome di battaglia di Mehdi Hüseynzade. È probabilmente il più noto dei partigiani azerbaigiani. Era un uomo poliedrico, un artista e un poliglotta. Parlava correntemente tedesco, francese, spagnolo, italiano e sloveno, oltre ovviamente alla lingua materna e al russo. Prese parte alla guerra partigiana nella regione di Trieste e in Slovenia, distinguendosi per coraggio e dedizione. In tutto furono circa 40.000 i cittadini sovietici attivi nella resistenza in Europa e Mikhailo fu il primo a essere decorato con la massima onorificenza dell’Urss: il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica, che ricevette post mortem nel 1957 [...]
Giordano Merlicco, 25 aprile. Non dimentichiamo il coraggio di Mikhailo, il partigiano azero Mehdi Hüseynzade, e dei suoi compagni (Intervista a Ilham Abbasov), Faro di Roma, 25 aprile 2021
Mihajlo non ebbe la stessa fortuna. Nel novembre del 1944 fu ucciso in una imboscata tedesca nella zona di Vipacco <67.
Gli attentati a Opicina e a Trieste non furono gli unici di Raski: «Ho fallito un attentato al Gauleiter Rainer. Ho anche progettato, senza portare a termine, altre esplosioni alla stazione di Opicina, in un altro cinema per tedeschi a Sesana oltre a sabotaggi di linee elettriche» <68.
[NOTE]
67 Così Seidov racconta la fine di Mihajlo: «Il primo novembre del 1944, Mihjlo e altri partigiani si rifugiarono in una casa nella valle di Vipacco. La padrona stava preparando la polenta e tirò fuori una damigianetta di vino. Allora si sparse la voce che erano arrivati i tedeschi. “Scappate nel bosco”, disse la donna. Ma il gruppo preferì nascondersi nella stalla, che però ben presto fu circondata. Mihajlo cercò di uscire e scappare. Venne colpito e rimase ucciso sul colpo. La sua tomba si trova a Cepovanj, nella valle del Vipacco, dove una lapide lo ricorda così: «Dormi, nostro amato Methi, glorioso figlio del popolo dell’Azerbaigian! Il tuo sacrificio in nome della libertà resterà impresso sempre nel cuore dei tuoi amici». Il 19 aprile 1957 sulla «Pravda» si legge la notizia che Mehti Husein Zade, nome di battaglia Mihjlo, era stato nominato “eroe dell’Unione Sovietica”. Una sua statua campeggia ancora oggi in una delle piazza di Baku. Su tali questioni cfr.: M. Rossi, I partigiani sovietici, cit.; S. Maranzana, Le armi cit., pp. 222-223.
68 Io ho fatto saltare cit.
Giorgio Liuzzi, La politica di repressione tedesca nel Litorale Adriatico (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2004