venerdì 10 dicembre 2021

Idee che devono aver confermato a Mussolini l’opportunità e la convenienza di avere Ungaretti dalla propria parte


L’abbandono del «Popolo d’Italia» da parte di Ungaretti <433 non comporta la sua ritrattazione della dichiarata adesione al fascismo, inteso nella sua riduzione a mussolinianesimo. Le motivazioni di questa scelta politica non si limitano, naturalmente, alla condivisione di un’ideologia, ma riguardano anche le difficoltà economiche del poeta, spesso al centro delle sue lettere a Mussolini. La corrispondenza col Duce, reperita da Francesca Petrocchi in un fascicolo della Segreteria Particolare, in effetti prende avvio nel novembre del 1922 <434 proprio con la richiesta di Ungaretti di una Prefazione al "Porto Sepolto spezzino". Il poeta vi mette in mostra il fatto che la sua poesia derivi dal sacrificio di soldato e ripropone la necessità di dare una spinta alla letteratura italiana di valore.
Queste idee devono aver confermato a Mussolini l’opportunità e la convenienza di avere il poeta dalla propria parte, in una fase in cui il suo obiettivo primario era la costruzione del consenso, che passava naturalmente anche attraverso il mondo intellettuale. La fiducia in Mussolini da parte di Ungaretti, inoltre, è in questo momento pressocché totale, come testimonia la già citata lettera che gli invia il 19 gennaio 1923, nella quale prospetta una lunga durata del suo governo, poiché un «uomo giusto» è pronto a combattere contro «i ricatti e le intimidazioni». <435
Ungaretti si iscrive al Partito Nazionale Fascista il 30 agosto 1924, sentendosi grato al Duce sia in quanto cittadino che in quanto artista:
"Mussolini, qui a droit à ma gratitude de citoyen, a en plus fait pour moi et ma famille un geste très généreux. C’est à lui, à lui seul, que je dois d’avoir un peu pu travailler, depuis un an. Ce n’est pas ma gratitude de citoyen [...] mais mon sentiment d’artiste, d’un artiste qui a pu, grâce à Mussolini, n’être pas totalement distrait de son art". <436
La gratitudine per l’aiuto economico si mescola quindi con la speranza di un progetto di sostegno e rivalutazione del ruolo dell’artista in Italia. Per continuare ad avere il necessario supporto, nelle sue lettere al Duce e ai suoi rappresentanti, il poeta mette sempre in primo piano il proprio impegno per la nazione, sia nei panni di soldato che di giornalista.
A Ungaretti viene offerto un lavoro presso l’Ufficio stampa del Ministero degli Esteri, in qualità di traduttore di comunicati e articoli da inviare ai giornali francesi, e si trasferisce a Roma tra la fine del 1921 e l’inizio del 1922, con una parentesi a Genova nei mesi di aprile e maggio e soggiorni a Torino e Parigi. Non è certamente una professione gratificante, anche perché il poeta vorrebbe in questo momento smettere di dedicarsi alla politica, troppo costrittiva <437, ma egli compensa dedicandosi alla sua arte e all’impegno civile, che si manifesta nel tentativo di fondare riviste letterarie e nella collaborazione a molte di esse, così come aveva già cominciato a fare.
Ricordiamo, infatti, che da sempre Ungaretti dà una grande importanza al raggruppamento dei talenti artistici che l’Italia contemporanea offre e alla loro promozione all’estero, in primis in Francia. Quando ancora era al fronte, aveva per esempio aderito al progetto della «Raccolta» di Giuseppe Raimondi, rivista che nasceva per «l’esigenza di radunare le forze “sane”, come per intensificarne l’efficacia, in una società di uomini provati dai lunghi anni di trincea e bisognosi di un impegno letterario di forte valore morale». <438
Per il poeta si trattava di «un’opera di vera italianità» <439, necessaria a «riconsacrare l’immortale primavera d’Italia, rinvenire nel nostro paese la sua intensa, insuperabile bellezza di sogno». <440
Anche durante la collaborazione al «Popolo d’Italia» egli cerca di portare avanti questo progetto, aderendo al «Don Quichotte. Quotidien d’action latine», definita «un’impresa molto seria», alla quale «parteciperanno le migliori forze delle arti francesi», e tramite la quale Ungaretti si ripropone di "Far conoscere qui quello che di meglio si fa in Italia: riviste, giornali, libri [...]. In seguito forse anche organizzeremo esposizioni, e concerti. Non ho pregiudizi, né l’intenzione di mettermi in valore io; ho intenzione di svolgervi una parte di buon operaio innamorato delle belle e buone cose; ho intenzione di far opera d’italiano, e di svolgerla con tutta la modestia necessaria [...]".441
Tornato in Italia, il poeta sembra voler portare avanti questi suoi progetti.
In parallelo a questo desiderio di impegnarsi per la patria italiana, di cui conosce finalmente le origini profonde attraverso lo stretto contatto con la città di Roma, il poeta non riesce a mettere a tacere la sua insicurezza di viandante. Egli ricerca nella città eterna un universo familiare, eppure non si sente da essa integrato, percepisce la propria assenza.
"C’est vous dire qu’il me semble de n’être pas à Rome, dans une ville de chez nous, tellement est grande encore mon absence. N’étant pas venu chercher ici des surprises - en existe-t-il quelque part? - mais un monde familier, je suis assez déçu de constater une fois de plus qu’il n’existe pour moi, et partout, sinon un grand éloignement, au point de ne m’apercevoir même pas - ici, à Rome - de la rue où je marche, du monument d’en face, etc". <442
Forse anche per reagire a questo disagio, oltre che per innegabili necessità finanziarie, Ungaretti dà avvio a un periodo di intenso lavoro, impiegando molte energie per il “terzo mestiere”.
Molti degli articoli di questi anni, in particolare dal 1926 in poi, sono stati ripubblicati o nel volume mondadoriano "Vita d’un uomo". Saggi e interventi, o in "Filosofia fantastica", a cura di Carlo Ossola. Tra i testi esclusi da queste raccolte vi sono quelli a carattere più spiccatamente politico, qualitativamente meno rilevanti degli altri, e che tuttavia dicono qualcosa del modo in cui il poeta affronta gli anni del fascismo, e del perché egli continui ad aderirvi.
"Ungaretti testimone acuto del proprio tempo, [...] scarsamente pratico in politica, come lui stesso ammette, incline a dare giudizi taglienti e poco motivati a fianco della propaganda mussoliniana, tuttavia egregio mediatore culturale tra Italia e Francia, con la sua particolare sensibilità di «figlio di emigranti» alla espansione culturale all’estero della lingua e della cultura italiana, [...] attento al mondo del lavoro, all’etica, alla politica per il popolo, con interventi, sempre nel solco della ortodossia al regime, ma pur originali e dettati, quasi tutti, da una autentica pietas per il singolo individuo, specialmente per il popolo, non genericamente e strutturalmente inteso". <443
Tra le riviste su cui scrive Ungaretti negli anni Venti vi è il «Nuovo Paese», che ha anche Savinio tra le sue penne, come si è visto. Il poeta si prodiga molto affinché Soffici accetti la direzione della pagina letteraria, benché la sua stessa collaborazione - fatta principalmente di articoli su letteratura, filosofia e arti figurative - cessi dopo pochi mesi. <444
Si è già parlato del ruolo di questa rivista nel quadro della costruzione del consenso da parte degli esponenti fascisti, e di come essa venga di fatto sostituita dal «Corriere Italiano». Ungaretti cerca di collaborare a quest’ultima testata, che definisce «un grande giornale fascista» <445, ma non vi riesce, probabilmente a causa di alcuni malumori suscitati nella redazione dal suo articolo "Roma africana". Su «L’Idea Nazionale» <446, invece, pubblica il celebre "Elogio della borghesia" che confluirà in "Originalità del fascismo", uscito sul «Mattino» nel 1927. Il titolo è dato dall’opera omonima di René Johannet, discepolo di Sorel, in cui si parla dell’avvento di «un ordine nuovo», dopo un lungo periodo in cui regnavano «lo sbigottimento, le speranze smisurate, la rivolta fomentata dalla pazienza». <447
Se però Johannet considera questo cambiamento come proprio della sola classe borghese, Ungaretti ci tiene a sottolineare che esso va inteso a tutto tondo e deve coinvolgere anche il popolo, anche perché proprio la borghesia ha grosse colpe, secondo lui, nella creazione della situazione precedente, dovuta fra le altre cose al suo reclamare e coltivare i propri privilegi. Le gerarchie vanno sì mantenute, ma nel senso di «divisione sistematica del lavoro», di «organizzazione sociale basata sugli interessi tecnici e umani, e non più sulle rivalità demagogiche e la cupidigia». Il poeta riprende insomma un tema già affrontato sulle pagine del «Popolo d’Italia», mischiando «le parole di propaganda, anche volgarmente sottomesse, a battaglie in qualche modo autentiche, di chi si ricorda di essere figlio del popolo e di migranti» <448, mostrando di conservare un’immagine del fascismo come movimento progressista e antiborghese.
D’altro canto, non molto tempo dopo, nella seconda versione dell’articolo, Mussolini viene descritto come un uomo «venuto dal popolo, educato per il popolo, in un paese dove i problemi ardui sono di masse, senza misconoscere le classi». <449 "Elogio della borghesia", "Originalità del fascismo" e il successivo "Borghesia" <450 elaborano, a detta di Dombroski, «il cardine ideologico del fascismo di Ungaretti», che in effetti colloca il pensiero mussoliniano «al di fuori della problematica di classe», secondo un modus operandi tipico della componente più rivoluzionaria di quest’ultimo, «cioè, mistificare la realtà effettiva del regime, impostando l’egemonia in termini di nozioni interclassiste come “popolo”, “comunità” e “razza”». <451
Quest’ultimi concetti, continua lo studioso, sono dal poeta assolutizzati in senso religioso, cosicché l’esistenza della classe borghese è vista solo come una fase di passaggio, funzionale a ristabilire una spiritualità collettiva.
Non a caso, forse, un altro dei temi che interessano Ungaretti in questi anni, e che porterà avanti a lungo, è quello dell’unità morale degli italiani.
[NOTE]
433 G. Ungaretti, Una difesa dell’Occidente, «Il Mattino», 5-6 giugno 1927, ora in C. Ossola (cur.), Filosofia fantastica, op. cit., p. 110.
434 Va segnalato, tuttavia, che già verso la fine del 1919 i due si conoscono, come attestano tre biglietti di Mussolini, ora raccolti in Vita d’un uomo. Saggi e Interventi, p. 910.
435 Ora in F. Petrocchi, Scrittori italiani e fascismo: tra sindacalismo e letteratura, Archivio Guido Izzi, Roma 1997, p. 176.
436 Lettera a Paulhan di fine aprile 1925, p. 52.
437 Cfr. lettera a Soffici del 18 giugno 1921.
438 G. Ungaretti, Lettere a Giuseppe Raimondi, Pàtron, Bologna 2004, p. 11.
439 Lettera a Raimondi del maggio 1918 (n. 7).
440 Lettera a Raimondi del maggio 1918 (n. 9).
441 Lettera a Soffici dell’8 febbraio 1920.
442 Lettera n. 4 (1921) a Paulhan.
443 F. Pierangeli, Ombre e presenze. Ungaretti e il secondo mestiere (1919-1937), Loffredo, Napoli 2016, p. 33.
444 Il primo articolo di Ungaretti sul «Nuovo Paese» è del 9 gennaio 1923 e l’ultimo del 2 maggio dello stesso anno. Si è già sottolineato, a proposito di Savinio, la piena adesione della rivista al fascismo.
445 Lettera a Soffici dell’8 novembre 1922.
446 Si tratta di un periodico nazionalista nato nel 1911, con Corradini nel comitato redazionale, che si dichiara fascista fin da subito.
447 G. Ungaretti, Elogio della borghesia, «L’Idea Nazionale», 17 giugno 1924 e «Lo Spettatore Italiano», 14 giugno e 19 febbraio 1925; poi confluito in Originalità del fascismo, «Il Mattino», 20-21 febbraio 1927; ora in ID., Vita d’un uomo. Saggi e interventi, op. cit., p. 149.
448 F. Pierangeli, Ombre e presenze, op. cit., p. 29.
449 G. Ungaretti, Originalità del fascismo, op. cit., p. 153.
450 «Gazzetta del Popolo», 30 gennaio 1931.
451 R. S. Dombroski, L’esistenza ubbidiente: letterati sotto il fascismo, Guida, Napoli 1984, pp. 74-75.
Giulia Ferri, Retour à la terre des pères: sentiment d’appartenance et quête des origines. Alberto Savinio et Giuseppe Ungaretti, Tesi di dottorato, Université Grenoble Alpes in cotutela con «Sapienza» Università di Roma, 2020