giovedì 2 dicembre 2021
Richelmy si dedicò alla perlustrazione e alla conoscenza del proprio territorio e dei suoi abitanti
Ad Agostino Richelmy piacevano i treni (Enzo Giachino - dal 1959 alla guida dell’Istituto Italiano di Cultura di Tokio - aveva appositamente studiato per lui un tragitto Italia-Giappone quasi esclusivamente su binario), in particolare però amava quelli lenti, che fermavano a tutte le stazioni - anche le più piccole - e che davano modo e tempo per fissare gli occhi sul paesaggio al di fuori del finestrino e l’orecchio ai discorsi dei passeggeri.
Così nella sua vita Richelmy si dedicò alla perlustrazione e alla conoscenza del proprio territorio e dei suoi abitanti; in un ricordo privato afferma: «Si deve soltanto cercare di conoscere bene il proprio sito (e la gente intorno?) - e i libri della propria sorte, o del proprio piccolo scaffale - e con ciò riuscire a immaginare tutto il resto».
È ciò che ha fatto, come uomo (cultore delle tradizioni locali, del Piemonte più isolato dove meglio si conservano usi e linguaggi antichi) e come scrittore (fedele ai grandi classici che gli ‘toccarono in sorte’: Petrarca, Foscolo, Leopardi, Carducci, Pascoli).
Classicista per inclinazione e sensibilità, non solo nelle scelte formali, ma nella selezione di soggetti e temi, Richelmy conquista la propria cifra stilistica inconfondibile verso la metà degli anni Venti, dopo aver dato sfogo alle tante speranze giovanili e ancor più al disincanto, complici i grandi modelli (Leopardi su tutti), ben assimilati ma - ahimè - meno felicemente imitati.
La produzione in versi che confluisce nelle pagine de L’arrotino appassionato è - a mio avviso - la migliore, per autenticità e per originalità: la tradizione e il classicismo si riscontrano più nei temi che nelle forme, alle quali Richelmy concede invece una frivola e gradevole libertà.
Per contro, La lettrice di Isasca registra un aumento di regolarità formale e - nello stesso tempo - una maggiore complessità e, talvolta, più ‘ermetismo’ nei contenuti (non in assoluto, ma in relazione all’Arrotino).
A questo proposito il fine orecchio di Giovanni Raboni, recensendo la Lettrice, avverte "quando, vent’anni fa, ho letto L’arrotino appassionato, […] sono stato sorpreso dalla diversità della sua [di Richelmy] poesia - diversità, per dirla un po’ sbrigativamente, rispetto al canone novecentesco e al ‘sentimento poetico contemporaneo’ - molto più di quanto non lo sia stato ora di fronte a La lettrice di Isasca (Garzanti, 1986). Mi chiedo come mai e trovo subito due risposte insufficienti o addirittura sbagliate. La prima: la poesia di Richelmy, nel frattempo, si è in qualche modo avvicinata alla poesia del suo (del nostro) tempo, si è in qualche modo maggiormente amalgamata ad essa: un po’ come è successo, mettiamo, alla poesia di Saba ai tempi di Parole. La seconda: la situazione, intorno, è cambiata. Riuso delle forme metriche tradizionali, anacronismo, postmoderno […] hanno influito sull’aspetto complessivo della poesia, ne hanno modificato la veduta d’insieme in senso, come dire?, antimodernista, a un punto tale che la figura di Richelmy vi appare meno isolata e contrastante". <824
Raboni finirà per scegliere, sebbene con qualche aggiustatina, la seconda risposta.
Eppure anche nella prima si può rintracciare una parziale verità: la massima parte dei testi della raccolta del 1965 è databile non oltre gli anni Cinquanta, molti anzi risalgono alla giovinezza del poeta, a quando nelle campagne da lui girate in lungo e in largo non era ancora giunta massicciamente l’odiatissima modernità; molti paesaggi e situazioni del Piemonte agreste della metà del Novecento si presentavano identici a quelli che si sarebbero potuti osservare secoli prima,e la tradizione e il classicismo erano per così dire insiti nella materia.
Non è più così per le poesie de La lettrice di Isasca: uscita nel 1986, raccoglie componimenti che in buona parte risalgono agli anni Settanta; certo, anche qui si possono ritrovare testi ‘antichi’ come La nonna di Rosei o Il torello, ma è sufficiente il timbro nuovo delle liriche più recenti ad alterarne l’intero accordo.
Esse hanno il compito di filtrare un mondo che nel frattempo è mutato molto e molto in fretta agli occhi di un uomo che, pur rifiutandosi di comprenderlo, non può fare a meno di osservarlo e darne conto.
Ecco perché, forse, Richelmy è costretto a cercare una maggiore regolarità e tradizione nelle forme, perché devono imbrigliare - e nel giro di pochi versi - una realtà irreversibilmente trasformata e spesso resagli irriconoscibile dalla modernità; nascono così le poesie della sezione Glossolalie, o i tentativi di trovare un lato idillico anche nelle moderne tecnologie (In aereo) o i versi rabbiosi, di vecchio che non si rassegna all’estinguersi della sua ‘era’, di A un X, presente solo nel “Quadernetto indifeso” e poi sparita da La lettrice di Isasca.
Credo che in questa ultima fase produttiva, Richelmy sia riuscito a ritrovare ed esprimere al meglio l’antica anima e sensibilità classicistica nella prosa, il cui respiro e passo gli fornirono forse una dimensione più adatta e comoda - rispetto al più esiguo spazio di una lirica - per raccogliere quel che rimaneva di un tempo e di un mondo che stavano scomparendo e la cui consistenza scemava giorno dopo giorno. Articoli brevi, probabilmente per esigenze editoriali, ma con un ‘dietro le quinte’ vasto e profondo, come testimoniano le numerossime annotazioni dei diari.
E poiché, in ogni caso, rimane vera un’altra fondamentale impressione di Raboni, ossia: «basta aprire La lettrice di Isasca per accorgersi che la poesia di Richelmy è sempre lì, incantevolmente uguale a se stessa, aristocraticamente indifferente alle sorti progressive o regressive della contemporanea letteratura in versi», ecco che il poter disporre dei suoi scritti in prosa, dei suoi taccuini di appunti, il rileggerli e finalmente lo studiarli sarà particolarmente importante proprio per metterli al confronto con le due raccolte poetiche.
Adottando la prosa di Richelmy come unità di misura (da “Mondo Nuovo” a “Stampa Sera”, è un arco di quasi trent’anni), è possibile rintracciare fra l’Arrotino e la Lettrice analogie e differenze non tanto rispetto alla letteratura contemporanea (verso la quale l’indifferenza di Richelmy appare in effetti granitica), quanto rispetto all’orizzonte, sociale ed economico, degli anni in cui Richelmy visse e scrisse.
824 GIOVANNI RABONI, Ascoltare Richelmy, in «Paragone letteratura», a. XXXVII, n. 434-436, aprile-giugno 1986, pp. 142-150.
Irene Barichello, Le carte segrete di Agostino Richelmy, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Padova, 2012