Mario Luzi e Giacinto Spagnoletti sono state due figure di spicco del milieu letterario del XX secolo ed il primo, in modo particolare, di quell’ambiente ermetico fiorentino di cui fu senz’altro uno degli esponenti principali e più rappresentativi. Data la levatura dei due personaggi è possibile già preliminarmente comprendere il valore storico-documentaristico del presente studio nel quale si vuole dar conto, per la prima volta integralmente, delle lettere inviate dal poeta di Castello al critico tarantino, che ricoprono un arco temporale molto lungo, all’incirca più di mezzo secolo, dal 1941 al 1993.
A riprova di tale importanza basti pensare che alcune di esse sono state parzialmente utilizzate - citandole per brevi brani - da Stefano Verdino, curatore per la collana I Meridiani di Mondadori del volume Mario Luzi. L’opera poetica, pubblicato nel 1998, soprattutto per la ricostruzione del dettagliatissimo profilo biografico del poeta contenuto nella sezione Cronologia.
I testi autografi, qui restituiti, sono tutti conservati, ma non ancora catalogati, presso la Fondazione Schlesinger, nella sede di Lugano.
Per quanto riguarda, invece, la corrispondenza di Giacinto Spagnoletti a Mario Luzi è possibile che si trovi - come recentemente dichiarato dal figlio del poeta, Gianni Luzi, in un’intervista apparsa su l'Unità - in uno dei tanti scatoloni depositati a Palazzo Cerretani, una delle sedi della Regione Toscana, i cui contenuti non sono attualmente consultabili.
Purtroppo l’impossibilità di analizzare tali testi ha reso il presente lavoro più difficoltoso in quanto il riscontro con le lettere di Spagnoletti avrebbe aiutato a far chiarezza su alcuni punti, formali e contenutistici, delle missive rimasti dubbi (dai problemi inerenti la datazione sino a quelli di natura più strettamente concettuale).
Altri ostacoli nello studio del presente corpus epistolare sono stati determinati anche da ragioni strutturali interne, quali, ad esempio, l’inevitabile processo di usura cui sono andati incontro, con il trascorre degli anni, i supporti cartacei: la consunzione progressiva delle carte, ridotte allo stato attuale quasi a veline, e l’inchiostro ormai scolorito hanno reso difatti difficilissima e lunghissima la trascrizione e la comprensione degli autografi qui fedelmente restituiti, in cui - proprio a causa delle sopra illustrate difficoltà - alcune parole e qualche sintagma sono rimasti dei loci disperati. E, infine, ultimo ma non meno considerevole scoglio si è rivelata proprio la grafia dell’autore, spesso frettolosa e spigolosa.
[...] Grazie a questo corredo di studi è stato possibile rendere, con la speranza di conservarle a futura memoria, nella loro interezza queste 163 lettere che oltre ad attestare una bella storia d’amicizia, durata all’incirca più di mezzo secolo, tra Luzi e Spagnoletti, forniscono utili informazioni anche sulle vicende e sugli altri protagonisti dell’entourage non solo letterario, ma anche più genericamente intellettuale dell’epoca (editoria, concorsi letterari, università, riviste e quotidiani, ecc.).
Di particolare interesse critico-filologico si sono, inoltre, rivelate tutte quelle lettere in cui Luzi, illustrando all’amico il proprio modus operandi, gli confessa in realtà le travagliate fasi della propria produzione, sia in versi che in prosa, fornendo quindi, anche a noi lettori, la chiave di volta per accedere all’interno della sua ricchissima ‘officina’. E parimenti importanti sono le lettere in cui Luzi da poeta si trasforma in critico dell’operato del suo destinatario, autore non solo di antologie e recensioni ‘militanti’, ma altresì di romanzi e poesie di cui Luzi fu attento lettore e, a volte, severo mentore critico.
Se a questi testi va, come si è detto, riconosciuto innanzi tutto un indubbio valore documentaristico e cronachistico in ambito storico-letterario, va pure sottolineato, ad onor del vero, che essi rivestono un’estrema importanza per le notizie a carattere privato e familiare che - come notato da Giacinto Spagnoletti stesso, sebbene in altro contesto - non conosceremmo da altra fonte ed il cui vantaggio più immediato consiste nel fatto che esse permettono di integrare e corredare i dati contenuti nelle biografie ufficiali dei due corrispondenti, aiutando così tutti gli studiosi a comprendere meglio aspetti intimistici e autobiografici spesso in nuce nelle rispettive produzioni letterarie.
Per quanto riguarda, infine, il tono generale delle missive se, da un lato, bisogna rimarcare come esso sia di fondo caratterizzato da un’estrema freschezza e schiettezza determinate proprio dalla mancanza di freni e d’inibizione, che il mittente lascia cadere alla presenza del fidato destinatario, tanto che spesso si abbandona a sfoghi, confessioni e giudizi su uomini e cose, facendo ricorso anche ad un linguaggio colorito, dall’altro lato, si registra anche un tono permeato da una profonda tristezza - veicolata da un linguaggio che tocca a volte le vette più alte dell’espressività poetica - causata soprattutto dalla consapevolezza, da parte dello scrivente, di non riuscire a trovare alcun sollievo ad un’angoscia esistenziale, divenuta sempre più opprimente con il passare degli anni, a quel “male di vivere” che giorno dopo giorno lo spingeva a chiudersi sempre più in se stesso e ad allontanarsi da tutto e tutti.
Non a caso la parola più ricorrente in queste missive è “solitudine”, una solitudine avvertita dal poeta come vera e propria ‘tentazione’ alla quale egli cercava titanicamente di resistere, tentando di ‘appuntellarsi’ ai suoi pochi e veri amici, nel ristretto novero dei quali certamente un posto d'onore spettò a Giacinto Spagnoletti.
Ed è proprio a quest’intimo amico e corrispondente che l’autore de Il giusto della vita, nella lettera XLI datata 24 febbraio 1947, trovava la forza di confessare che nonostante avesse ormai profonda consapevolezza che la vita fosse solo “presunzione e bestemmia”, aveva tuttavia, ancora una volta, ritrovato la voglia di “galoppare” e “credere”, cercando di dimenticare tutti i tormenti e la miseria di una esistenza trascorsa tra stenti, sofferenze e profonde solitudini dell’anima: "Ah, ma ora, se sopraggiungerà quel tempo che oggi mi si promette con tanta lusinga del sole vaporoso e fermentante, nessuno mi reggerà più dal galoppare per queste nostre colline a dimenticarmi dei tormenti e della miseria, a persuadermi che qualcosa di noi nasce continuamente spazzando via perfino le ceneri di ciò che è morto. So tutto questo, so che spesso la nostra vita è presunzione e bestemmia contro ciò che veramente, semplicemente e inesorabilmente esiste; e voglio infine abbandonarmi a questa incredibile scienza".
"Tra le cose che si possono dire sulla figura poetica di Mario Luzi […] una prende immediatamente risalto dal senso di armonia che è inerente alla sua opera. Nessuno degli scrittori e dei poeti della generazione di Luzi ha saputo “prevedersi” tanto quanto lui, predisponendo al tempo stesso i risultati artistici con altrettanto equilibrio e naturalezza. È chiaro che si tratta di un equilibrio spirituale, che cela al di dentro la propria drammaticità, e di quel genere di naturalezza dotata di un profondo sedimento di cultura. […] In un’epoca di esasperata tensione espressiva, di pericolose saturazioni letterarie (era tornato d’attualità il simbolismo), quale fu tra il 1935 e il 1940 la stagione ermetica fiorentina, quando - lungi dal fondersi - le capacità di ciascuno tendevano ad attraversarsi la strada […], la parola di Luzi giunse al momento giusto, animata da un’esemplare chiarezza, retta da una salda visione della vita; e in un tempo di crisi come l’attuale essa appare ancora più coerente".
Non ci sono migliori presentazioni per la figura poetica di Mario Luzi di queste parole scritte dall’amico Giacinto Spagnoletti in un saggio del 1988 intitolato, significativamente, Nella casa armoniosa della poesia di Luzi, che riprende in parte quanto già il critico tarantino aveva sostenuto in un articolo apparso, nel 1955, su “La Fiera Letteraria” del 14 agosto.
L’itinerario poetico luziano fu in effetti seguito da Spagnoletti sempre con notevole e particolare interesse sin quasi dai suoi esordi se si pone mente al fatto che la prima recensione al poeta di Castello a firma del critico apparve nel 1940.
All’epoca i due si erano da poco conosciuti, come risulta possibile ricavare dalle prime missive inviate da Mario Luzi a Giacinto Spagnoletti databili al 1941.
Paola Benigni, Pensando a te nelle voluttuose spire, le sigarette della tua gentilezza. Lettere inedite di Mario Luzi a Giacinto Spagnoletti, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno Accademico 2007/2008
A riprova di tale importanza basti pensare che alcune di esse sono state parzialmente utilizzate - citandole per brevi brani - da Stefano Verdino, curatore per la collana I Meridiani di Mondadori del volume Mario Luzi. L’opera poetica, pubblicato nel 1998, soprattutto per la ricostruzione del dettagliatissimo profilo biografico del poeta contenuto nella sezione Cronologia.
I testi autografi, qui restituiti, sono tutti conservati, ma non ancora catalogati, presso la Fondazione Schlesinger, nella sede di Lugano.
Per quanto riguarda, invece, la corrispondenza di Giacinto Spagnoletti a Mario Luzi è possibile che si trovi - come recentemente dichiarato dal figlio del poeta, Gianni Luzi, in un’intervista apparsa su l'Unità - in uno dei tanti scatoloni depositati a Palazzo Cerretani, una delle sedi della Regione Toscana, i cui contenuti non sono attualmente consultabili.
Purtroppo l’impossibilità di analizzare tali testi ha reso il presente lavoro più difficoltoso in quanto il riscontro con le lettere di Spagnoletti avrebbe aiutato a far chiarezza su alcuni punti, formali e contenutistici, delle missive rimasti dubbi (dai problemi inerenti la datazione sino a quelli di natura più strettamente concettuale).
Altri ostacoli nello studio del presente corpus epistolare sono stati determinati anche da ragioni strutturali interne, quali, ad esempio, l’inevitabile processo di usura cui sono andati incontro, con il trascorre degli anni, i supporti cartacei: la consunzione progressiva delle carte, ridotte allo stato attuale quasi a veline, e l’inchiostro ormai scolorito hanno reso difatti difficilissima e lunghissima la trascrizione e la comprensione degli autografi qui fedelmente restituiti, in cui - proprio a causa delle sopra illustrate difficoltà - alcune parole e qualche sintagma sono rimasti dei loci disperati. E, infine, ultimo ma non meno considerevole scoglio si è rivelata proprio la grafia dell’autore, spesso frettolosa e spigolosa.
[...] Grazie a questo corredo di studi è stato possibile rendere, con la speranza di conservarle a futura memoria, nella loro interezza queste 163 lettere che oltre ad attestare una bella storia d’amicizia, durata all’incirca più di mezzo secolo, tra Luzi e Spagnoletti, forniscono utili informazioni anche sulle vicende e sugli altri protagonisti dell’entourage non solo letterario, ma anche più genericamente intellettuale dell’epoca (editoria, concorsi letterari, università, riviste e quotidiani, ecc.).
Di particolare interesse critico-filologico si sono, inoltre, rivelate tutte quelle lettere in cui Luzi, illustrando all’amico il proprio modus operandi, gli confessa in realtà le travagliate fasi della propria produzione, sia in versi che in prosa, fornendo quindi, anche a noi lettori, la chiave di volta per accedere all’interno della sua ricchissima ‘officina’. E parimenti importanti sono le lettere in cui Luzi da poeta si trasforma in critico dell’operato del suo destinatario, autore non solo di antologie e recensioni ‘militanti’, ma altresì di romanzi e poesie di cui Luzi fu attento lettore e, a volte, severo mentore critico.
Se a questi testi va, come si è detto, riconosciuto innanzi tutto un indubbio valore documentaristico e cronachistico in ambito storico-letterario, va pure sottolineato, ad onor del vero, che essi rivestono un’estrema importanza per le notizie a carattere privato e familiare che - come notato da Giacinto Spagnoletti stesso, sebbene in altro contesto - non conosceremmo da altra fonte ed il cui vantaggio più immediato consiste nel fatto che esse permettono di integrare e corredare i dati contenuti nelle biografie ufficiali dei due corrispondenti, aiutando così tutti gli studiosi a comprendere meglio aspetti intimistici e autobiografici spesso in nuce nelle rispettive produzioni letterarie.
Per quanto riguarda, infine, il tono generale delle missive se, da un lato, bisogna rimarcare come esso sia di fondo caratterizzato da un’estrema freschezza e schiettezza determinate proprio dalla mancanza di freni e d’inibizione, che il mittente lascia cadere alla presenza del fidato destinatario, tanto che spesso si abbandona a sfoghi, confessioni e giudizi su uomini e cose, facendo ricorso anche ad un linguaggio colorito, dall’altro lato, si registra anche un tono permeato da una profonda tristezza - veicolata da un linguaggio che tocca a volte le vette più alte dell’espressività poetica - causata soprattutto dalla consapevolezza, da parte dello scrivente, di non riuscire a trovare alcun sollievo ad un’angoscia esistenziale, divenuta sempre più opprimente con il passare degli anni, a quel “male di vivere” che giorno dopo giorno lo spingeva a chiudersi sempre più in se stesso e ad allontanarsi da tutto e tutti.
Non a caso la parola più ricorrente in queste missive è “solitudine”, una solitudine avvertita dal poeta come vera e propria ‘tentazione’ alla quale egli cercava titanicamente di resistere, tentando di ‘appuntellarsi’ ai suoi pochi e veri amici, nel ristretto novero dei quali certamente un posto d'onore spettò a Giacinto Spagnoletti.
Ed è proprio a quest’intimo amico e corrispondente che l’autore de Il giusto della vita, nella lettera XLI datata 24 febbraio 1947, trovava la forza di confessare che nonostante avesse ormai profonda consapevolezza che la vita fosse solo “presunzione e bestemmia”, aveva tuttavia, ancora una volta, ritrovato la voglia di “galoppare” e “credere”, cercando di dimenticare tutti i tormenti e la miseria di una esistenza trascorsa tra stenti, sofferenze e profonde solitudini dell’anima: "Ah, ma ora, se sopraggiungerà quel tempo che oggi mi si promette con tanta lusinga del sole vaporoso e fermentante, nessuno mi reggerà più dal galoppare per queste nostre colline a dimenticarmi dei tormenti e della miseria, a persuadermi che qualcosa di noi nasce continuamente spazzando via perfino le ceneri di ciò che è morto. So tutto questo, so che spesso la nostra vita è presunzione e bestemmia contro ciò che veramente, semplicemente e inesorabilmente esiste; e voglio infine abbandonarmi a questa incredibile scienza".
"Tra le cose che si possono dire sulla figura poetica di Mario Luzi […] una prende immediatamente risalto dal senso di armonia che è inerente alla sua opera. Nessuno degli scrittori e dei poeti della generazione di Luzi ha saputo “prevedersi” tanto quanto lui, predisponendo al tempo stesso i risultati artistici con altrettanto equilibrio e naturalezza. È chiaro che si tratta di un equilibrio spirituale, che cela al di dentro la propria drammaticità, e di quel genere di naturalezza dotata di un profondo sedimento di cultura. […] In un’epoca di esasperata tensione espressiva, di pericolose saturazioni letterarie (era tornato d’attualità il simbolismo), quale fu tra il 1935 e il 1940 la stagione ermetica fiorentina, quando - lungi dal fondersi - le capacità di ciascuno tendevano ad attraversarsi la strada […], la parola di Luzi giunse al momento giusto, animata da un’esemplare chiarezza, retta da una salda visione della vita; e in un tempo di crisi come l’attuale essa appare ancora più coerente".
Non ci sono migliori presentazioni per la figura poetica di Mario Luzi di queste parole scritte dall’amico Giacinto Spagnoletti in un saggio del 1988 intitolato, significativamente, Nella casa armoniosa della poesia di Luzi, che riprende in parte quanto già il critico tarantino aveva sostenuto in un articolo apparso, nel 1955, su “La Fiera Letteraria” del 14 agosto.
L’itinerario poetico luziano fu in effetti seguito da Spagnoletti sempre con notevole e particolare interesse sin quasi dai suoi esordi se si pone mente al fatto che la prima recensione al poeta di Castello a firma del critico apparve nel 1940.
All’epoca i due si erano da poco conosciuti, come risulta possibile ricavare dalle prime missive inviate da Mario Luzi a Giacinto Spagnoletti databili al 1941.
Paola Benigni, Pensando a te nelle voluttuose spire, le sigarette della tua gentilezza. Lettere inedite di Mario Luzi a Giacinto Spagnoletti, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno Accademico 2007/2008
Lettera 2
[Roma] [aprile 1941]
Caro Macrí,
grazie per le tue parole. Oh, so della tua solitudine - e per quel che tu mi scrivi e per quel che mi hanno detto comuni amici. Ma la nostra Puglia, così cattiva e rassegnata, forse ti restituisce più intatto, quasi avaro,
al tuo dolore sempre fermo.
Vorrei dirti quel che significa per me restare a Roma, solo, lavorare per una tesi (è Serra, ma purtroppo devo rivolgerla a Sapegno <1) che sento tanto discussa già, tanto respinta dentro di me: quindi lasciare i giorni a provvedermi di una cultura tanto segreta da diventare molle e banale.
Ma finirà presto: poi chissà?
Troverai un pezzo per «Vedetta Mediterranea» <2 di cui avrei piacere di vedere il 1° numero <3. (Forse non potrà andare per un giornale: ma aspetto da te qualche risposta).
Io e Jacobbi <4 parliamo spesso delle tue cose: quando siamo soli, talvolta ad ore notturne, lasciamo cadere sulle ginocchia la vecchia «Vita giovanile» <5 e rileggiamo quella pagina in cui c’è uno scritto tuo, una poesia di Luzi e un pezzo di Bo <6. È nostalgia: eravamo molto ragazzi, allora.
Smetto per non annoiarti. Saluti da
Giacinto Spagnoletti
Lettera manoscritta (espresso). Busta indirizzata a «Oreste Macrí / Maglie / (Lecce)». (Sul verso della busta: Spedisce: Giacinto Spagnoletti / Via Napoleone III, 53 / Roma). T.p. del 1 aprile [19]41.
[NOTE]
1 Spagnoletti si laureerà nel novembre del ’41 con una tesi su Renato Serra all’Università di Roma con relatore Natalino Sapegno (cfr. la lettera 23). La tesi, rielaborata, sarà poi pubblicata (G. Spagnoletti, Renato Serra, Morcelliana, Brescia 1943).
2 Il pezzo (Passi nel Messico) sarà pubblicato il 14 aprile ’41 («Vedetta Mediterranea » I, 4, 1941, p. 3) insieme a una poesia di Piero Bigongiari (Tiara), a un saggio di Vittorio Bodini (Opinioni su Poe e Kafka) e alla rubrica Letture curata da Macrí.
3 La terza pagina del primo numero di «Vedetta Mediterranea» (I, 1, 1941) comprendeva: il necrologio a Joyce (Compianto di Joyce) firmato da Bodini, due traduzioni (da Sofocle e Juan Ramon Jiménez) di Rotella e Bodini, una Testimonianza su Carrà di Raffaello Franchi e la rubrica Letture curata da Macrí.
4 Ruggero Jacobbi (1920-1981) saggista, critico, poeta, regista, lusitanista, traduttore, vicino negli anni giovanili al gruppo fiorentino degli ermetici (con luogo di ritrovo al caffè delle Giubbe Rosse), tra le esperienze più significative della sua vita si ricorda la permanenza in Brasile, dal ’46 al ’60. Su Jacobbi cfr.: Diciotto saggi su Ruggero Jacobbi, Atti delle Giornate di Studio (Firenze, 23-24 marzo 1984), a cura di A. Dolfi, Gabinetto G.P. Vieusseux, Firenze 1987; R. Jacobbi-O. Macrí, Lettere 1941-1981. Con un’appendice di testi inediti o rari, a cura di A. Dolfi, Bulzoni, Roma 1993; L’eclettico Jacobbi. Percorsi multipli tra letteratura e teatro, Atti della Giornata di Studio (Firenze, 14 gennaio 2002), a cura di A. Dolfi, Bulzoni, Roma 2003; Lettere a Ruggero Jacobbi. Regesto di un fondo inedito, a cura di F. Bartolini, Firenze University Press, Firenze 2006; F. Bartolini, C. Bellini, Ruggero Jacobbi. Teatro e massmedia negli anni Sessanta e Settanta, Bulzoni, Roma 2012.
5 Rivista milanese fondata nel gennaio 1938 da Ernesto Treccani, dapprima col nome di «Vita giovanile» dopo pochi numeri muterà il nome in «Corrente di Vita giovanile» per poi essere conosciuta (fino al ’40, anno di cessazione delle pubblicazioni) col nome di «Corrente».
6 Il numero in questione è il 16 («Corrente di Vita giovanile» I, 16, 1938) con (p. 3) un saggio di Carlo Bo (Di un nuovo naturalismo), uno di Macrí (Alla ricerca del romanzo), una poesia di Mario Luzi (Periodo).
(a cura di) Andrea Giusti, «Si risponde lavorando». Lettere 1941-1992 / Oreste Macrí-Giacinto Spagnoletti, Firenze, Firenze University Press, 2019
Lettera 23
[Roma t.p.] 5 dicembre [1941 t.p.]
Carissimo,
è da qualche mese che ho ricevuto la tua breve cartolina militare: dopo non ho più saputo nulla di te. Anche gli amici di Firenze mi domandavano inutilmente notizie, alcuni giorni fa. Ora prendo la penna in mano per metterti al corrente di alcune cose che riguardano me e che certamente ti interesseranno.
Due settimane fa ho preso la laurea: il solito 110 e lode, in più un’aria familiare fra i professori che mi ha stupito moltissimo: non sapevo che Sapegno, Trompeo, Schiaffini mi volessero tanto bene.
[...] L’antologia della poesia contemporanea ital[iana], di cui a suo tempo ti parlai, è stata oramai oggetto delle più svariate discussioni e interpretazioni da parte di tutti: prima ancora di uscire da un destino fatalmente polemico, o perlomeno accademico sulle sue spalle. In primavera, se il lavoro di compilazione non subirà soste o intralci, uscirà nelle edizioni di «Prospettive», in un grosso volume ben curato tipograficamente e spero ben messo in vendita <7.
Carlo Bo <2 si è offerto di scrivere una prefazione di carattere generale e io ho accettato: ci siamo visti a Roma diverse volte e nelle nostre discussioni il carattere dell’antologia si è venuto delineando.
Mario Luzi <3 e Sandro Parronchi <4 mi hanno anche loro molto giovato con consigli e aiuto. Speriamo che possa lavorare in pace.
Avant’ieri mi presentai al distretto per la chiamata alle armi e mi hanno dato quattro giorni di proroga per passare la visita medica: dalla quale risulterà il mio destino.
[...] Ti abbraccio
Giacinto
Lettera manoscritta. Busta indirizzata a «Prof. Oreste Macrí / Maglie / (Lecce) ». T.p. del 5 dicembre [19]41, [anno] XX [dell’era fascista].
[NOTE]
2 Carlo Bo (1911-2001), oltre all’attività di professore (soprattutto presso l’Università di Urbino), di critico militante (impegnato in molteplici giornali e riviste), di studioso (pionieristici i suoi Lirici spagnoli, Edizioni di «Corrente», Milano 1941), sarà riconosciuto (insieme a Macrí) come il ‘teorico’ dell’ermetismo soprattutto per il suo discorso fondativo: Letteratura come vita, pronunciato nel ’38 nella fiorentina basilica di San Miniato. Su Bo cfr. gli interventi a lui dedicati in L’ermetismo e Firenze (vol. I), cit.
3 Mario Luzi (1914-2005) è stato tra i protagonisti della stagione ermetica; poeta, professore di Letteratura francese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, saggista, drammaturgo, traduttore… Sui rapporti tra Luzi e Spagnoletti cfr. M. Luzi-G. Spagnoletti, “pensando a te nelle voluttuose spire, le sigarette della tua gentilezza…”. Lettere inedite (1941-1993), a cura di P. Benigni, prefazione di S. Verdino, Edizioni Sette Città, Viterbo 2011. Su Luzi cfr. Per Mario Luzi, Atti della Giornata di Studio (Firenze, 20 gennaio 1995), a cura di G. Nicoletti, Bulzoni, Roma 1997 e le sezioni a lui dedicate in L’ermetismo e Firenze (vol. II), cit., pp. 21-278.
4 Alessandro Parronchi (1914-2007) è stato, insieme a Luzi, Bigongiari… tra i maggiori esponenti della terza generazione: poeta, saggista, studioso d’arte. Su Parronchi cfr. Per Alessandro Parronchi, Atti della Giornata di Studio (Firenze, 10 febbraio 1995), a cura di I. Bigazzi e G. Falaschi, Bulzoni, Roma 1998 e la sezione a lui dedicata in L’ermetismo e Firenze (vol. II), cit., pp. 451-568.
Andrea Giusti, Op. cit.
[Roma] [aprile 1941]
Caro Macrí,
grazie per le tue parole. Oh, so della tua solitudine - e per quel che tu mi scrivi e per quel che mi hanno detto comuni amici. Ma la nostra Puglia, così cattiva e rassegnata, forse ti restituisce più intatto, quasi avaro,
al tuo dolore sempre fermo.
Vorrei dirti quel che significa per me restare a Roma, solo, lavorare per una tesi (è Serra, ma purtroppo devo rivolgerla a Sapegno <1) che sento tanto discussa già, tanto respinta dentro di me: quindi lasciare i giorni a provvedermi di una cultura tanto segreta da diventare molle e banale.
Ma finirà presto: poi chissà?
Troverai un pezzo per «Vedetta Mediterranea» <2 di cui avrei piacere di vedere il 1° numero <3. (Forse non potrà andare per un giornale: ma aspetto da te qualche risposta).
Io e Jacobbi <4 parliamo spesso delle tue cose: quando siamo soli, talvolta ad ore notturne, lasciamo cadere sulle ginocchia la vecchia «Vita giovanile» <5 e rileggiamo quella pagina in cui c’è uno scritto tuo, una poesia di Luzi e un pezzo di Bo <6. È nostalgia: eravamo molto ragazzi, allora.
Smetto per non annoiarti. Saluti da
Giacinto Spagnoletti
Lettera manoscritta (espresso). Busta indirizzata a «Oreste Macrí / Maglie / (Lecce)». (Sul verso della busta: Spedisce: Giacinto Spagnoletti / Via Napoleone III, 53 / Roma). T.p. del 1 aprile [19]41.
[NOTE]
1 Spagnoletti si laureerà nel novembre del ’41 con una tesi su Renato Serra all’Università di Roma con relatore Natalino Sapegno (cfr. la lettera 23). La tesi, rielaborata, sarà poi pubblicata (G. Spagnoletti, Renato Serra, Morcelliana, Brescia 1943).
2 Il pezzo (Passi nel Messico) sarà pubblicato il 14 aprile ’41 («Vedetta Mediterranea » I, 4, 1941, p. 3) insieme a una poesia di Piero Bigongiari (Tiara), a un saggio di Vittorio Bodini (Opinioni su Poe e Kafka) e alla rubrica Letture curata da Macrí.
3 La terza pagina del primo numero di «Vedetta Mediterranea» (I, 1, 1941) comprendeva: il necrologio a Joyce (Compianto di Joyce) firmato da Bodini, due traduzioni (da Sofocle e Juan Ramon Jiménez) di Rotella e Bodini, una Testimonianza su Carrà di Raffaello Franchi e la rubrica Letture curata da Macrí.
4 Ruggero Jacobbi (1920-1981) saggista, critico, poeta, regista, lusitanista, traduttore, vicino negli anni giovanili al gruppo fiorentino degli ermetici (con luogo di ritrovo al caffè delle Giubbe Rosse), tra le esperienze più significative della sua vita si ricorda la permanenza in Brasile, dal ’46 al ’60. Su Jacobbi cfr.: Diciotto saggi su Ruggero Jacobbi, Atti delle Giornate di Studio (Firenze, 23-24 marzo 1984), a cura di A. Dolfi, Gabinetto G.P. Vieusseux, Firenze 1987; R. Jacobbi-O. Macrí, Lettere 1941-1981. Con un’appendice di testi inediti o rari, a cura di A. Dolfi, Bulzoni, Roma 1993; L’eclettico Jacobbi. Percorsi multipli tra letteratura e teatro, Atti della Giornata di Studio (Firenze, 14 gennaio 2002), a cura di A. Dolfi, Bulzoni, Roma 2003; Lettere a Ruggero Jacobbi. Regesto di un fondo inedito, a cura di F. Bartolini, Firenze University Press, Firenze 2006; F. Bartolini, C. Bellini, Ruggero Jacobbi. Teatro e massmedia negli anni Sessanta e Settanta, Bulzoni, Roma 2012.
5 Rivista milanese fondata nel gennaio 1938 da Ernesto Treccani, dapprima col nome di «Vita giovanile» dopo pochi numeri muterà il nome in «Corrente di Vita giovanile» per poi essere conosciuta (fino al ’40, anno di cessazione delle pubblicazioni) col nome di «Corrente».
6 Il numero in questione è il 16 («Corrente di Vita giovanile» I, 16, 1938) con (p. 3) un saggio di Carlo Bo (Di un nuovo naturalismo), uno di Macrí (Alla ricerca del romanzo), una poesia di Mario Luzi (Periodo).
(a cura di) Andrea Giusti, «Si risponde lavorando». Lettere 1941-1992 / Oreste Macrí-Giacinto Spagnoletti, Firenze, Firenze University Press, 2019
Lettera 23
[Roma t.p.] 5 dicembre [1941 t.p.]
Carissimo,
è da qualche mese che ho ricevuto la tua breve cartolina militare: dopo non ho più saputo nulla di te. Anche gli amici di Firenze mi domandavano inutilmente notizie, alcuni giorni fa. Ora prendo la penna in mano per metterti al corrente di alcune cose che riguardano me e che certamente ti interesseranno.
Due settimane fa ho preso la laurea: il solito 110 e lode, in più un’aria familiare fra i professori che mi ha stupito moltissimo: non sapevo che Sapegno, Trompeo, Schiaffini mi volessero tanto bene.
[...] L’antologia della poesia contemporanea ital[iana], di cui a suo tempo ti parlai, è stata oramai oggetto delle più svariate discussioni e interpretazioni da parte di tutti: prima ancora di uscire da un destino fatalmente polemico, o perlomeno accademico sulle sue spalle. In primavera, se il lavoro di compilazione non subirà soste o intralci, uscirà nelle edizioni di «Prospettive», in un grosso volume ben curato tipograficamente e spero ben messo in vendita <7.
Carlo Bo <2 si è offerto di scrivere una prefazione di carattere generale e io ho accettato: ci siamo visti a Roma diverse volte e nelle nostre discussioni il carattere dell’antologia si è venuto delineando.
Mario Luzi <3 e Sandro Parronchi <4 mi hanno anche loro molto giovato con consigli e aiuto. Speriamo che possa lavorare in pace.
Avant’ieri mi presentai al distretto per la chiamata alle armi e mi hanno dato quattro giorni di proroga per passare la visita medica: dalla quale risulterà il mio destino.
[...] Ti abbraccio
Giacinto
Lettera manoscritta. Busta indirizzata a «Prof. Oreste Macrí / Maglie / (Lecce) ». T.p. del 5 dicembre [19]41, [anno] XX [dell’era fascista].
[NOTE]
2 Carlo Bo (1911-2001), oltre all’attività di professore (soprattutto presso l’Università di Urbino), di critico militante (impegnato in molteplici giornali e riviste), di studioso (pionieristici i suoi Lirici spagnoli, Edizioni di «Corrente», Milano 1941), sarà riconosciuto (insieme a Macrí) come il ‘teorico’ dell’ermetismo soprattutto per il suo discorso fondativo: Letteratura come vita, pronunciato nel ’38 nella fiorentina basilica di San Miniato. Su Bo cfr. gli interventi a lui dedicati in L’ermetismo e Firenze (vol. I), cit.
3 Mario Luzi (1914-2005) è stato tra i protagonisti della stagione ermetica; poeta, professore di Letteratura francese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, saggista, drammaturgo, traduttore… Sui rapporti tra Luzi e Spagnoletti cfr. M. Luzi-G. Spagnoletti, “pensando a te nelle voluttuose spire, le sigarette della tua gentilezza…”. Lettere inedite (1941-1993), a cura di P. Benigni, prefazione di S. Verdino, Edizioni Sette Città, Viterbo 2011. Su Luzi cfr. Per Mario Luzi, Atti della Giornata di Studio (Firenze, 20 gennaio 1995), a cura di G. Nicoletti, Bulzoni, Roma 1997 e le sezioni a lui dedicate in L’ermetismo e Firenze (vol. II), cit., pp. 21-278.
4 Alessandro Parronchi (1914-2007) è stato, insieme a Luzi, Bigongiari… tra i maggiori esponenti della terza generazione: poeta, saggista, studioso d’arte. Su Parronchi cfr. Per Alessandro Parronchi, Atti della Giornata di Studio (Firenze, 10 febbraio 1995), a cura di I. Bigazzi e G. Falaschi, Bulzoni, Roma 1998 e la sezione a lui dedicata in L’ermetismo e Firenze (vol. II), cit., pp. 451-568.
Andrea Giusti, Op. cit.
Lettera 324
Firenze 2 marzo 1956
Mio caro Giacinto,
la tua lettera affettuosa mi ha riempito di gioia; qui si trascorrono giorni grigi. Firenze non è più quella di un tempo, neppure l’ombra; i giovani accoccolano sulle predelle dei professori universitari, che danno un tono - specialmente i neoaristotelici - amarillento e accidioso. Ci resta solo Gerola, poverino. La lotta per la vita pare abbia estenuato e incattivito i migliori, perfino i Luzi e i Parronchi. [...]
L’abbraccio del tuo
Oreste
Molto bello il libro di Luzi *
Lettera manoscritta. Busta mancante.
* L’allusione è agli Aspetti della generazione napoleonica e altri saggi di letteratura francese, cit.
Andrea Giusti, Op. cit.
Firenze 2 marzo 1956
Mio caro Giacinto,
la tua lettera affettuosa mi ha riempito di gioia; qui si trascorrono giorni grigi. Firenze non è più quella di un tempo, neppure l’ombra; i giovani accoccolano sulle predelle dei professori universitari, che danno un tono - specialmente i neoaristotelici - amarillento e accidioso. Ci resta solo Gerola, poverino. La lotta per la vita pare abbia estenuato e incattivito i migliori, perfino i Luzi e i Parronchi. [...]
L’abbraccio del tuo
Oreste
Molto bello il libro di Luzi *
Lettera manoscritta. Busta mancante.
* L’allusione è agli Aspetti della generazione napoleonica e altri saggi di letteratura francese, cit.
Andrea Giusti, Op. cit.