Uno degli aspetti ancora da approfondire nell’ambito della ricerca storica relativa agli anni del centrosinistra italiano, che può essere considerato un caso di studio di quella che è stata definita la guerra fredda culturale, è il ruolo svolto da Fabio Luca Cavazza <1 nel convincere i vertici dell’amministrazione Kennedy a rimuovere il veto degli Stati Uniti sull’apertura a sinistra. Cavazza - tra i fondatori della rivista «il Mulino» (1951) e dell’omonima casa editrice (1954) - con l’avvio della guerra fredda riuscì a costruire un forte legame con le élites intellettuali statunitensi, impegnate, sul piano ideologico-propagandistico, nella crescente contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Attraverso l’USIS (United States of Information Service), che nella metà degli anni ‘50 finanziò al Mulino un ciclo triennale di pubblicazioni di testi di sociologia, l’editrice bolognese riuscì ad entrare in relazione con il mondo culturale e accademico americano. Nello stesso tempo, il Mulino diventò agli occhi degli americani qualcosa di più di una semplice casa editrice interessata a tradurre opere americane. La rivista iniziò ad essere utilizzata dal Dipartimento di Stato come una fonte per le analisi che venivano periodicamente prodotte sul nostro Paese, poiché a Washington il gruppo degli intellettuali del Mulino venne considerato un importante laboratorio politico-culturale in grado di produrre ricerche di grande interesse sugli avvenimenti che stavano trasformando la società e il quadro politico italiano, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ‘60. Nel giro di pochi anni, quindi, i contatti si allargarono anche alla sfera politico-diplomatica. Cavazza ebbe l’opportunità di conoscere importanti esponenti della non communist left, come Arthur Schlesinger Jr., Walt W. Rostow, i quali assumeranno prestigiosi incarichi di governo durante l’amministrazione Kennedy. Con la ricostruzione dell’attività di Cavazza, come operatore culturale e mediatore politico tra Italia e Stati Uniti, risulta possibile chiarire meglio le ragioni del coinvolgimento di influenti personalità della Nuova Frontiera e la loro funzione nel processo di formazione del centrosinistra. Particolarmente fruttuosa risulta, da questo punto di vista, l’analisi del rapporto epistolare e diretto che Cavazza intrattenne in quegli anni tanto con Schlesinger, tra i maggiori sostenitori alla Casa Bianca dell’apertura a sinistra, quanto con i leader dei due partiti italiani (Dc e PSI), protagonisti del nuovo corso politico. La tesi cerca di ricostruire come l’analista bolognese riuscisse a far circolare relazioni, opinioni, informazioni a favore della formazione del centrosinistra all’interno del mondo culturale e politico americano, al fine di influenzare la diplomazia statunitense, che aveva assunto nel corso degli anni ’50, sotto la presidenza Eisenhower, una posizione decisamente contraria all’ingresso dei socialisti nel governo italiano.
Nel primo capitolo - «Il Mulino», l’Italia e la guerra fredda culturale - è stata messa in luce l’attività promossa dal gruppo del Mulino negli anni ’50 del ‘900 per favorire in Italia la formazione di una cultura politica al tempo stesso anticomunista e riformatrice, capace sia di sfidare la cultura marxista sul terreno delle politiche del progresso sociale, sia di smarcarsi dalle posizioni conservatrici praticate dal centrismo. Il capitolo - Lo sguardo verso la Nuova Frontiera - si focalizza sull’interessata attenzione degli intellettuali gravitanti attorno al centro culturale ed editoriale bolognese verso gli sviluppi della politica americana all’epoca dell’elezione alla presidenza degli Usa di John F. Kennedy. Infine, nel terzo capitolo - Cavazza, i kennediani e le sfide della «diplomazia personale - è stato ricostruito il processo di gestazione del centrosinistra in Italia nei primi anni ’60, analizzando nel dettaglio l’impegno di Cavazza e di Schlesinger nel sostenere la leadership di Nenni, sia cercando di convincere il Dipartimento di Stato e l’ambasciata americana a Roma che il Psi non avrebbe mutato l’orientamento della politica estera italiana a sostegno della NATO, sia concretamente, attraverso il sostegno finanziario offerto al partito di Nenni dai fratelli Reuther, massimi rappresentati del sindacato americano United Automobile Workers. Da un punto di vista metodologico questa ricerca intende dimostrare come in alcuni casi il livello diplomatico politico-istituzionale permetta solo una parziale lettura della complessa realtà dei rapporti tra Italia e Usa, che si articolava, invece, in diverse «diplomazie» finalizzate verso un unico obiettivo: il contenimento e il ridimensionamento del comunismo. Molto spesso le dinamiche che concorrono a mutare la posizione di un’amministrazione americana verso un paese straniero possono essere influenzate anche da canali non esclusivamente diplomatici, che definiscono una sorta di «diplomazia personale». Per quanto riguarda il centrosinistra, infatti, figure apparentemente marginali di «politici-intellettuali», come quella di Cavazza, esercitarono un ruolo chiave nello sviluppo delle relazioni transatlantiche. Pertanto, la consultazione del suo archivio privato costituisce una nuova fonte da affiancare a quelle più tradizionalmente utilizzate, contribuendo, con una documentazione inedita, all’approfondimento di aspetti poco noti.
Inquadrato in un contesto più ampio, questo contributo si propone di arricchire di nuovi elementi il dibattito sulla guerra fredda in Italia e in Europa, mettendo in discussione la teoria che considera gli intellettuali «vicini» al mondo americano una categoria sistematicamente coinvolta nelle operazioni culturali della CIA. Al contrario, la maggior parte di essi portarono avanti in piena autonomia, sulla base dell’anticomunismo intellettuale, i loro progetti culturali e politici, arrivando, a volte, a influenzare, come nel caso di Cavazza, personalità e istituzioni d’oltre oceano che animarono la guerra fredda culturale. Questo prova che i rapporti transatlantici non si articolarono in maniera unilaterale, ma che l’Italia e gli Usa si condizionarono reciprocamente e mescolarono le loro strategie negli anni della lotta al comunismo.
1 Fabio Luca Cavazza nacque a Bologna il 24 maggio del 1927, frequentò nella sua città la facoltà di Giurisprudenza laureandosi nel 1950 con una tesi dal titolo «Le politiche tributarie dei laburisti». Dopo l’esperienza al Mulino, conclusa alla fine del 1963, si trasferì a Milano dove collaborò con Piero Bassetti nel creare una società per analisi sociali e di mercato, partecipando anche alla progettazione e promozione degli organi regionali per la programmazione economica. Nel frattempo cominciò una collaborazione con «La Stampa» e fu coinvolto nella costituzione della Fondazione Agnelli che finanzierà il progetto de Il caso italiano poi pubblicato con l’editrice Garzanti nel 1974 a cura sua e di S.R. Graubard, docente universitario e già allora direttore della rivista culturale americana «Daedalus». Sempre negli anni settanta proseguirono le collaborazioni con la Fondazione Rockefeller e Ford e partecipa alla Commissione Pirelli per la riorganizzazione dello Statuto di Confindustria. Nello stesso periodo entrò come amministratore delegato nel «Sole 24 Ore» di cui divenne poi direttore tra il 1978 e il 1980 e successivamente presidente fino al 1982. In seguito a quest’esperienza editoriale, fece il suo ingresso nel CdA del «Corriere della Sera» dopo l’uscita dell’editore Rizzoli e partecipò alla riorganizzazione del quotidiano. Tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta fu nel CdA dell’Istituto Italiano di Studi Storici di Napoli e partecipò alle attività dell’«Aspen Institute», dove svolse consulenze per alcune delle principali nuove fondazione bancarie. Nei primi anni novanta collaborò attivamente al movimento referendario a favore del sistema uninominale e curò un nuovo volume dal titolo «La riconquista dell’Italia» pubblicato da Longanesi nel 1993. Morì a Milano il 20 novembre del 1996.
Francesco Bello, Fabio Luca Cavazza, la nascita del centro-sinistra e la Nuova Frontiera, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2016
Nel primo capitolo - «Il Mulino», l’Italia e la guerra fredda culturale - è stata messa in luce l’attività promossa dal gruppo del Mulino negli anni ’50 del ‘900 per favorire in Italia la formazione di una cultura politica al tempo stesso anticomunista e riformatrice, capace sia di sfidare la cultura marxista sul terreno delle politiche del progresso sociale, sia di smarcarsi dalle posizioni conservatrici praticate dal centrismo. Il capitolo - Lo sguardo verso la Nuova Frontiera - si focalizza sull’interessata attenzione degli intellettuali gravitanti attorno al centro culturale ed editoriale bolognese verso gli sviluppi della politica americana all’epoca dell’elezione alla presidenza degli Usa di John F. Kennedy. Infine, nel terzo capitolo - Cavazza, i kennediani e le sfide della «diplomazia personale - è stato ricostruito il processo di gestazione del centrosinistra in Italia nei primi anni ’60, analizzando nel dettaglio l’impegno di Cavazza e di Schlesinger nel sostenere la leadership di Nenni, sia cercando di convincere il Dipartimento di Stato e l’ambasciata americana a Roma che il Psi non avrebbe mutato l’orientamento della politica estera italiana a sostegno della NATO, sia concretamente, attraverso il sostegno finanziario offerto al partito di Nenni dai fratelli Reuther, massimi rappresentati del sindacato americano United Automobile Workers. Da un punto di vista metodologico questa ricerca intende dimostrare come in alcuni casi il livello diplomatico politico-istituzionale permetta solo una parziale lettura della complessa realtà dei rapporti tra Italia e Usa, che si articolava, invece, in diverse «diplomazie» finalizzate verso un unico obiettivo: il contenimento e il ridimensionamento del comunismo. Molto spesso le dinamiche che concorrono a mutare la posizione di un’amministrazione americana verso un paese straniero possono essere influenzate anche da canali non esclusivamente diplomatici, che definiscono una sorta di «diplomazia personale». Per quanto riguarda il centrosinistra, infatti, figure apparentemente marginali di «politici-intellettuali», come quella di Cavazza, esercitarono un ruolo chiave nello sviluppo delle relazioni transatlantiche. Pertanto, la consultazione del suo archivio privato costituisce una nuova fonte da affiancare a quelle più tradizionalmente utilizzate, contribuendo, con una documentazione inedita, all’approfondimento di aspetti poco noti.
Inquadrato in un contesto più ampio, questo contributo si propone di arricchire di nuovi elementi il dibattito sulla guerra fredda in Italia e in Europa, mettendo in discussione la teoria che considera gli intellettuali «vicini» al mondo americano una categoria sistematicamente coinvolta nelle operazioni culturali della CIA. Al contrario, la maggior parte di essi portarono avanti in piena autonomia, sulla base dell’anticomunismo intellettuale, i loro progetti culturali e politici, arrivando, a volte, a influenzare, come nel caso di Cavazza, personalità e istituzioni d’oltre oceano che animarono la guerra fredda culturale. Questo prova che i rapporti transatlantici non si articolarono in maniera unilaterale, ma che l’Italia e gli Usa si condizionarono reciprocamente e mescolarono le loro strategie negli anni della lotta al comunismo.
1 Fabio Luca Cavazza nacque a Bologna il 24 maggio del 1927, frequentò nella sua città la facoltà di Giurisprudenza laureandosi nel 1950 con una tesi dal titolo «Le politiche tributarie dei laburisti». Dopo l’esperienza al Mulino, conclusa alla fine del 1963, si trasferì a Milano dove collaborò con Piero Bassetti nel creare una società per analisi sociali e di mercato, partecipando anche alla progettazione e promozione degli organi regionali per la programmazione economica. Nel frattempo cominciò una collaborazione con «La Stampa» e fu coinvolto nella costituzione della Fondazione Agnelli che finanzierà il progetto de Il caso italiano poi pubblicato con l’editrice Garzanti nel 1974 a cura sua e di S.R. Graubard, docente universitario e già allora direttore della rivista culturale americana «Daedalus». Sempre negli anni settanta proseguirono le collaborazioni con la Fondazione Rockefeller e Ford e partecipa alla Commissione Pirelli per la riorganizzazione dello Statuto di Confindustria. Nello stesso periodo entrò come amministratore delegato nel «Sole 24 Ore» di cui divenne poi direttore tra il 1978 e il 1980 e successivamente presidente fino al 1982. In seguito a quest’esperienza editoriale, fece il suo ingresso nel CdA del «Corriere della Sera» dopo l’uscita dell’editore Rizzoli e partecipò alla riorganizzazione del quotidiano. Tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta fu nel CdA dell’Istituto Italiano di Studi Storici di Napoli e partecipò alle attività dell’«Aspen Institute», dove svolse consulenze per alcune delle principali nuove fondazione bancarie. Nei primi anni novanta collaborò attivamente al movimento referendario a favore del sistema uninominale e curò un nuovo volume dal titolo «La riconquista dell’Italia» pubblicato da Longanesi nel 1993. Morì a Milano il 20 novembre del 1996.
Francesco Bello, Fabio Luca Cavazza, la nascita del centro-sinistra e la Nuova Frontiera, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2016
Grazie al lavoro di alcuni storici sappiamo ormai che l’apertura a sinistra e la nascita del primo governo Moro nel 1963 furono favoriti dalla elezione di John Kennedy alla presidenza degli Stati Uniti nel novembre 1960. Quando Giuseppe Saragat e Pietro Nenni si incontrarono a Pralognan in Savoia, nell’agosto del 1956, la prospettiva di una riconciliazione fra le due anime del socialismo italiano era percepita a Washington come una potenziale minaccia alla stabilità della penisola. La diffidenza e i timori furono evidenti durante tutta la presidenza Eisenhower. Alla «svolta», come fu definita, erano allora contrari la Casa Bianca, il dipartimento di Stato, la Cia e, naturalmente, l’ambasciata degli Stati Uniti a Roma. L’opposizione americana, come accade spesso in questi casi, era usata da quella parte della Democrazia cristiana e della società italiana per cui aprire a Nenni significava avvicinare pericolosamente il Pci alle soglie del potere.
L’elezione di Kennedy non cambiò immediatamente il quadro politico, ma suggerì a un gruppo di intellettuali italiani le grandi linee di una strategia culturale. L’animatore di questo gruppo era Fabio Luca Cavazza, fondatore con altri studiosi del Mulino (una «società di pensiero» come sarebbe stata chiamata nella Francia del Settecento) che pubblicò subito una rivista e divenne una delle migliori case editrici nazionali. Cavazza conosceva gli Stati Uniti, aveva amicizie nel mondo accademico e constatò con piacere che alcuni dei suoi amici americani (fra cui in particolare Arthur Schlesinger) avevano seguito Kennedy alla Casa Bianca. Da quel momento, ricorrendo a una larga rete di conoscenze europee e americane, si impegnò nel tentativo di provare che esisteva una sorta di cuginanza intellettuale fra la svolta a sinistra della politica italiana e la «Nuova Frontiera» che Kennedy aveva promesso agli americani durante la campagna elettorale. L’occasione per creare contatti, confrontare idee e suscitare progetti, fu un convegno a Bologna nell’aprile del 1961 a cui venne invitata una delegazione americana composta da un ex segretario di Stato (Dean Acheson), uno dei maggiori studiosi di politica internazionale (Hans Morgenthau) e uno dei più intimi consiglieri di Kennedy (Arthur Schlesinger). Il grande archivio di Cavazza, custodito dalla famiglia, ha permesso a un giovane studioso italiano, Francesco Bello, di ricostruire questo disegno in un libro intitolato Fabio Luca Cavazza, la Nuova Frontiera e l’apertura a sinistra, pubblicato ora a Napoli da Giannini Editore.
Il convegno cominciò il 22 aprile con un intervento in cui Cavazza sostenne che l’elezione di Kennedy obbligava gli europei «a un urgente schietto riesame dei comportamenti politici che qui, nel vecchio continente, hanno contraddistinto sia a livelli pubblici che privati tanta parte della nostra classe dirigente».
[...]
La disavventura di Kennedy non ebbe alcuna influenza sul convegno di Bologna. Mentre Cavazza continuava a tessere con successo la sua trama, il presidente riprendeva in mano il controllo della situazione e riconquistava la fiducia della opinione pubblica democratica, negando ai ribelli cubani l’aiuto della aviazione americana. Il vero colpevole agli occhi di tutti fu la Cia, regista della operazione e prima responsabile del suo fallimento. Ma la Cia era anche uno dei principali avversari dell’apertura a sinistra in Italia; e a Cavazza non dovette spiacere che un nemico americano del suo disegno uscisse male dalla crisi cubana.
Sergio Romano, John Kennedy e il Mulino, intesa per l’apertura a sinistra, Corriere della Sera, 23 luglio 2016
L’elezione di Kennedy non cambiò immediatamente il quadro politico, ma suggerì a un gruppo di intellettuali italiani le grandi linee di una strategia culturale. L’animatore di questo gruppo era Fabio Luca Cavazza, fondatore con altri studiosi del Mulino (una «società di pensiero» come sarebbe stata chiamata nella Francia del Settecento) che pubblicò subito una rivista e divenne una delle migliori case editrici nazionali. Cavazza conosceva gli Stati Uniti, aveva amicizie nel mondo accademico e constatò con piacere che alcuni dei suoi amici americani (fra cui in particolare Arthur Schlesinger) avevano seguito Kennedy alla Casa Bianca. Da quel momento, ricorrendo a una larga rete di conoscenze europee e americane, si impegnò nel tentativo di provare che esisteva una sorta di cuginanza intellettuale fra la svolta a sinistra della politica italiana e la «Nuova Frontiera» che Kennedy aveva promesso agli americani durante la campagna elettorale. L’occasione per creare contatti, confrontare idee e suscitare progetti, fu un convegno a Bologna nell’aprile del 1961 a cui venne invitata una delegazione americana composta da un ex segretario di Stato (Dean Acheson), uno dei maggiori studiosi di politica internazionale (Hans Morgenthau) e uno dei più intimi consiglieri di Kennedy (Arthur Schlesinger). Il grande archivio di Cavazza, custodito dalla famiglia, ha permesso a un giovane studioso italiano, Francesco Bello, di ricostruire questo disegno in un libro intitolato Fabio Luca Cavazza, la Nuova Frontiera e l’apertura a sinistra, pubblicato ora a Napoli da Giannini Editore.
Il convegno cominciò il 22 aprile con un intervento in cui Cavazza sostenne che l’elezione di Kennedy obbligava gli europei «a un urgente schietto riesame dei comportamenti politici che qui, nel vecchio continente, hanno contraddistinto sia a livelli pubblici che privati tanta parte della nostra classe dirigente».
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La disavventura di Kennedy non ebbe alcuna influenza sul convegno di Bologna. Mentre Cavazza continuava a tessere con successo la sua trama, il presidente riprendeva in mano il controllo della situazione e riconquistava la fiducia della opinione pubblica democratica, negando ai ribelli cubani l’aiuto della aviazione americana. Il vero colpevole agli occhi di tutti fu la Cia, regista della operazione e prima responsabile del suo fallimento. Ma la Cia era anche uno dei principali avversari dell’apertura a sinistra in Italia; e a Cavazza non dovette spiacere che un nemico americano del suo disegno uscisse male dalla crisi cubana.
Sergio Romano, John Kennedy e il Mulino, intesa per l’apertura a sinistra, Corriere della Sera, 23 luglio 2016
Moro non dimenticò di omaggiare le grandi personalità di quel periodo storico, quali Kennedy, assassinato proprio mentre erano in atto le trattative per la formazione del suo governo, Giovanni XXIII ed il suo successore, Paolo VI. Proprio il nuovo papa, legato a Moro come detto precedentemente da un rapporto nato ben prima della discesa in politica dello statista di Maglie, si rivelò fondamentale nelle vicende che nacquero all’interno del dibattito sulla fiducia al governo.
Infatti, tra le repliche all’intervento di Moro, ci fu quella di Scelba, il quale si dichiarò indisponibile, assieme ad altri trenta parlamentari, a dare la fiducia al nuovo governo, accusando Moro di essere “più sollecito dell’unità del Psi e della riuscita del governo, che della stessa unità morale della Dc” e sottolineando come per la prima volta una corrente della Dc fosse stata estromessa del governo a causa della sua diversa visione politica.
Il giorno seguente venne pubblicata una nota dell’”Osservatore Romano”, nella quale si richiamava all’unità del partito, condannando “la grave portata d’una rottura interna della Dc” ed affermando che “in Italia, per il partito dei cattolici e per la democrazia stessa, l’alternativa è unica: o uniti o sconfitti”.
Scelba, capendo la portata del messaggio ed il livello di rappresentatività da cui esso veniva, fu costretto a modificare la propria scelta politica, ufficializzando dunque quella “solidarietà di Montini e di Moro” che “si formalizzava ora come alleanza di fatto”.
La mozione di fiducia venne approvata dalla Camera con 350 voti a favore, tra i quali mancavano quelli del repubblicano Pacciardi e di 25 socialisti che uscirono dall’aula al momento dell’appello, 233 voti contrari e 4 astenuti.
Pochi giorni dopo Moro ottenne la fiducia anche al Senato, con 175 voti favorevoli e 111 contrari, e si ripeté quanto visto alla Camera con 13 senatori della Sinistra socialista che abbandonarono l’aula in segno di dissenso, andando ad accrescere la spaccatura all’interno del Partito socialista.
Ebbe dunque inizio il I Governo Moro, il primo cosiddetto centro-sinistra organico con la partecipazione attiva dei socialisti, investiti di quelle “corresponsabilità” nell’azione di governo di cui lo stesso Moro aveva parlato pochi mesi prima, dando così il via al suo progetto politico.
Mirko Tursi, Aldo Moro e l'apertura a sinistra: dalla crisi del centrismo al centro-sinistra organico, Tesi di laurea, Università Luiss Guido Carli, Anno accademico 2017/18
Infatti, tra le repliche all’intervento di Moro, ci fu quella di Scelba, il quale si dichiarò indisponibile, assieme ad altri trenta parlamentari, a dare la fiducia al nuovo governo, accusando Moro di essere “più sollecito dell’unità del Psi e della riuscita del governo, che della stessa unità morale della Dc” e sottolineando come per la prima volta una corrente della Dc fosse stata estromessa del governo a causa della sua diversa visione politica.
Il giorno seguente venne pubblicata una nota dell’”Osservatore Romano”, nella quale si richiamava all’unità del partito, condannando “la grave portata d’una rottura interna della Dc” ed affermando che “in Italia, per il partito dei cattolici e per la democrazia stessa, l’alternativa è unica: o uniti o sconfitti”.
Scelba, capendo la portata del messaggio ed il livello di rappresentatività da cui esso veniva, fu costretto a modificare la propria scelta politica, ufficializzando dunque quella “solidarietà di Montini e di Moro” che “si formalizzava ora come alleanza di fatto”.
La mozione di fiducia venne approvata dalla Camera con 350 voti a favore, tra i quali mancavano quelli del repubblicano Pacciardi e di 25 socialisti che uscirono dall’aula al momento dell’appello, 233 voti contrari e 4 astenuti.
Pochi giorni dopo Moro ottenne la fiducia anche al Senato, con 175 voti favorevoli e 111 contrari, e si ripeté quanto visto alla Camera con 13 senatori della Sinistra socialista che abbandonarono l’aula in segno di dissenso, andando ad accrescere la spaccatura all’interno del Partito socialista.
Ebbe dunque inizio il I Governo Moro, il primo cosiddetto centro-sinistra organico con la partecipazione attiva dei socialisti, investiti di quelle “corresponsabilità” nell’azione di governo di cui lo stesso Moro aveva parlato pochi mesi prima, dando così il via al suo progetto politico.
Mirko Tursi, Aldo Moro e l'apertura a sinistra: dalla crisi del centrismo al centro-sinistra organico, Tesi di laurea, Università Luiss Guido Carli, Anno accademico 2017/18