[...] Per questo nuovo impiego il Reggimento fu costretto a cambiare il modus operandi facendo leva sulle tattiche di controguerriglia già sperimentati precedentemente nel 1943.
Le prime operazioni concrete presero inizio nel 1944 quando nel nord Italia scoppiarono tutta una serie di scontri causati dall’infervoramento dell’attività partigiana. Questo aumento delle azioni clandestine fu stimolato soprattutto dai comandi alleati che, arrivati lungo la linea Gotica, chiesero a gran voce l’avvio di operazioni nelle retrovie nemiche per alleggerire le pressioni lungo il fronte e creare disagi ai tedeschi. I punti nevralgici furono essenzialmente in Valdossola ed in Garfagnana dove dovettero intervenire i reparti paracadutisti del “Mazzarini e del Rgt. “Folgore”.
In particolare nell’Ossola, venne fondato un governo di stampo antifascista, presieduto dal Prof. Tibaldi e gestito dal CLNAI. Tibaldi fece affidamento a sua volta ad un gruppo di professionisti locali per gestire al meglio la situazione. Come primo atto del Governo, venne deciso, tramite un referente tedesco, una sorta di periodo di non belligeranza nel quale i vari presidi tedeschi sarebbero stati traferiti a differenza di quelli del GNR che rimasero in balia degli attacchi partigiani. Solo ad alcune famiglie di noti gerarchi fascisti, venne data la possibilità di trasferirsi, anche se, tuttavia, non furono esenti da atti di ostilità. Una volta sgombrata la zona dai tedeschi e dalla Polizei, il 3 Settembre 1944, i partigiani avviarono una serie di attacchi contro i militi della GNR che vennero di conseguenza massacrati e torturati. Lo stesso Mussolini resosi conto della criticità della situazione, decise di intervenire impostando un piano di rioccupazione che previde il dispiegamento di Legionari, Waffen SS, Brigate Nere, Marò del X , paracadutisti del “Mazzarini” e del Rgt. “Folgore”. Il 9 Settembre 1944, gli allievi ufficiali del GNR occuparono Cannobio e presero contatto con i partigiani che furono messi in fuga. Prontamente venne ristabilita la normalità nella cittadina mentre il Rgt. “Folgore” avviò la costituzione di un 4° Btg. con elementi di tutti i reparti regimentali. Dal 10 Ottobre venne avviata una violenta offensiva nei confronti delle due principali Brigate partigiane ovvero la “Piave” e la “Garibaldi” di cui la prima venne totalmente annientata. A questa operazione parteciparono i 3 Battaglioni “Folgore”, “Nembo” e “Azzurro” supportati dalla Cp. Com. Reggimentale che fu quella che subì lo scontro più drammatico. Infatti, mentre tentavano di conquistare la diga del Toce presso Le Casse, nel tentativo di superare il letto del fiume a valle, i partigiani decisero di aprire le paratoie della diga. I paracadutisti, rimasti nel letto del fiume, vennero raggiunti immediatamente dall’acqua che per poco non li trascinò via. Solo grazie all’intervento di alcuni rinforzi, che videro la scena con il livello dell’acqua salire all’ altezza del torace, i paracadutisti vennero tratti in salvo. Poche settimane dopo il “Folgore” pose fine alle azione e si ritirò nei propri accampamenti nel Varesotto. L’operazione costò al Reggimento la morte di otto paracadutisti fra cui un ufficiale e due sergenti, 26 feriti con 4 ufficiali e 14 dispersi catturati dai soldati elvetici e successivamente scambiati. Alla data del 31/12/1994 le perdite del Raggruppamento Paracadutisti ammontarono a 196 caduti, 43 dei quali uccisi in attentati, agguati, scontri a fuoco con i partigiani” <70.
Il 1945 si aprì con diverse sortite in Valle Viù dove furono segnalati diversi gruppi partigiani. Le azioni iniziali del “Folgore” consistettero nel rendere sicura la zona e difendere le varie vie di accesso al fronte come strade e ferrovie dalle bande partigiane. Infatti come primo provvedimento venne programmato un vasto rastrellamento delle zone montuose in modo da rendere sicuro ed efficiente il rifornimento logistico. Per questo compito vennero schierati i 3 Battaglioni che vennero frammentati per rendere l’azione più efficacie. In effetti dal 1 al 15 Ottobre la missione ebbe come risultato “958 ribelli morti accertati, 872 prigionieri e un totale di 2600 soldati italo tedeschi liberati dalla detenzione pur subendo 111 caduti italiani e tedeschi e 268 feriti”. <71 Alle operazioni parteciparono le Cp. 11a e 12a del 3° “Azzurro” e la 6a e 7a del 2° “Nembo”, supportati dalle autoblindo AB41 del gruppo “Leonessa”, per un totale di circa 450 effettivi. A metà giornata venne avviato l’attacco verso Viù partendo da Lanzo dove, prima di entrare, fu incontrata una blanda resistenza da parte di alcuni partigiani che venne soppressa dalle autoblindo. Lanzo fu quindi liberata e posta sotto presidio. Nei giorni successivi, alcuni rastrellamenti portarono alla conquista di Col San Giovanni, Airetta e Colle di Lis. Sulla cima di quest’ultimo rimasero di vedetta 10 uomini della 11a Cp. pronti a rispondere a qualunque sortita da parte dei ribelli. La restante parte della compagnia si portò alla conquista dei principali punti strategici quali, località Monfellato, Madonna della Bassa, Malandrino e Casa Rana. In questo modo le bande della zona vennero obbligate a recarsi nelle zone più accessibili e dunque vulnerabili. Pochi giorni dopo, esattamente il 14 gennaio 1945 venne segnalata la presenza di un forte contingente di ribelli presso Pessinetto dove fu inviata parte della 11a Cp. del 3° Btg.. Prima di procedere verso il centro del paese venne deciso di inviare una pattuglia comandata dal 1° Av. Mussano la quale venne immediatamente fatta a segno dalle mitragliatrici. In supporto si attivò la pattuglia del Serg. Cherin la quale attaccò il paese dalla destra, dirigendosi poi verso il centro e bloccarsi di conseguenza per via della forte resistenza. Nel frattempo si apprese che poco distante da lì, a Procaria, un gruppo di 60 ribelli si accampò e poté essere colto di sorpresa facilmente. Venne deciso dunque che mentre il gruppo del Ten. Carriere avrebbe continuato a combattere a Pessinetto, il gruppo del Serg. Cherin si sarebbe recato presso Procaria. Una volta giunti sul posto, notarono immediatamente un posto di blocco partigiano e decisero di attaccarlo. I partigiani colti di sorpresa e convinti di avere di fronte preponderanti forze, decisero di ritirarsi abbandonando sul posto numerose armi e gran parte dell’equipaggiamento. Il giorno successivo, il reparto, dopo aver liberato Pessinetto e messo in sicurezza il perimetro, si diresse verso Ala Stura dove stanziò fino a fine operazione. Più a nord il 1° Btg. operò diversi rastrellamenti in Val di Susa su diverse direttrici spesso anche impervie mentre il 3°Btg “Azzurro” proseguì la sua missione fino a Pian della Mussa per poi rientrare per riposo a Mathì. Nel mese di Febbraio, dopo avere effettuato una nuova operazione di rastrellamento presso Cafasse, il 2°Btg. “Nembo” ed il 3° “Azzurro” furono impiegati in operazioni per annientare definitivamente qualsiasi segno di ribellione nelle retrovie del fronte. A fine operazioni le formazioni partigiane videro completamente distrutti i propri comandi grazie anche alla grande quantità di informazioni giunte dal Servizio I di intelligence con l’avvicinamento di numerosi informatori Militari. In questo modo sia la Val di Lanzo che di Susa furono rioccupate dalle truppe nazi-fasciste che riuscirono a ristabilire la situazione.
Nel mese di Febbraio, il 1° Btg. fu in attesa di spostarsi sul Moncenisio, mentre il 2° Btg. stazionò nella valle della Stura di Lanzo assieme al 3° Btg. di stanza in Valle Viù. Fu a fine mese che si ebbero i primi movimenti di truppa, quando il 2° Nembo si spostò tra Rocca Canavese e Corio, mentre il Btg. Azzurro prese le posizioni tra Fogliazzo e Val Soana dove furono segnalati movimenti di truppe nemiche. Venne collaudata una nuova strategia basata sull’istituzione di una serie di presidi nelle zone cruciali che svolsero il compito di sostegno e pattuglia. Oltre allo scopo di sostegno e pattuglia, queste manovre aiutarono i paracadutisti a mantenere un certo standard di preparazione tecnica per un successivo impiego sul fronte. Man mano che le zone furono pulite vennero cedute ai vari reparti della GNR del RAU e della “Monterosa”. Il giorno 19 Febbraio, un consistente reparto del “Nembo” partì da Barbania per arrivare a Rivara, per poi spingersi verso Pratiglione. In questo tragitto vennero effettuati diversi rastrellamenti che non portarono a vistosi risultati. Nei giorni successivi furono condotte altre operazioni presso Buana dove fu incontrata una modesta resistenza che coinvolse la 7° Cp. Alla data del 24 Febbraio “il 2° “Nembo” custodiva 23 ribelli dichiarati e 5 elementi sospetti, numericamente sufficienti per eventuali scambi di prigionieri di cui il comando di battaglione aveva diffuso la notizia tramite il Clero per un potenziale accordo” <72. Infatti, il 5 Marzo, rientrò al Nembo dopo essere stato prigioniero dei partigiani, il S. Ten. Moroni che venne scambiato con una staffetta. Tuttavia la caccia incessante nei confronti dei ribelli, portò sia la “Nembo” che, di conseguenza, il “Folgore” ad essere inclusi in una direttiva del CVL nella quale vennero elencati tutti i reparti considerati “fuorilegge” e passibili di pena di morte da eseguirsi entro tre ore dalla cattura, compresi i feriti. Questa direttiva suscitò molte discordie nel dopoguerra per via del diritto internazionale che tutela i soldati regolari quali erano quelli della “Nembo”.
“Ai primi di marzo il Nembo ricevette dei complementi che gli permisero di ricostituire il Battaglione che si articolò in Comando, V.E., Servizi logistici, Sanitari e Tecnici, Reparto Personale, Autoparco, e Amministrazione. Per quanto riguarda i comandanti invece si ebbe il Comando sotto la responsabilità del Ten. Augusto Lucchetti, 5a Compagnia con il Ten. Piero Cimenti e Ten. Bruno Bean, 6a Cp. Ten. Cherici Alvaro, 7a Cp. Ten. Chesi Ezio e 8a Cp. A.A Ten Mario Angelici” <73. “Fra il 18 ed il 28 Marzo il “Nembo” con 350 uomini su due Cp. 5° e 7°, portò a termine una serie di missioni di controllo” <74. Queste operazioni, coordinate dal Cap. Bernardi con i Ten. Monti, Clerici, Chesi, Lucchetti e Sandro Rizzati, figlio del Magg. Mario Rizzati, portarono a diversi scontri con morti e feriti. La conclusione di queste operazioni si ebbe il 29 Marzo con l’episodio dell’assedio presso Rocca Canavese, apice del dramma dell’intera missione. Infatti, data l’azione invasiva ed opprimente svolta dal Nembo, i capi partigiani decisero di rispondere con la violenza e decisero di attaccare il presidio di zona per annientarlo radicalmente. Fu deciso di attaccare il presidio di Rocca Canavese dove era stanziata la 7° Cp. sotto il Ten. Chesi. L’edificio principale, consistente in una scuola, era ubicato in una posizione infelice e a favore degli attaccanti poiché era sul fondo di una vallata e quindi facilmente assaltabile da più lati. L’attacco venne condotto da circa 200 partigiani della 4° Div. “Garibaldi” e dalla 7° Div. G.L, armati di tutto punto con equipaggiamento pesante inglese. L’attacco iniziò alle ore 1:30 del 29 quando un gruppo di partigiani si avvicinò alle postazioni del “Nembo” grazie al favore della notte e sparò un razzo all’interno dell’edificio, uccidendo un paracadutista e ferendone altri tre. A questo punto, i ribelli offrirono ai paracadutisti di arrendersi ma ricevuto un secco rifiuto ripresero l’attacco. La battaglia durò qualche ora fino a quando una voce proveniente dai ribelli ordinò la ritirata. Al mattino la zona era completamente sgombra e fu possibile uscire dalla scuola, diventata ormai un cumulo di macerie, ed effettuare una rapida perlustrazione che dimostrò le gravi perdite arrecate ai ribelli. Alle ore 9:00 arrivò anche la 5° Cp. ma poté fare ben poco visto che la situazione fu ristabilita. Nella notte tra il 4 ed il 5 Aprile venne tentata la stessa operazione al presidio di Volpiano, anche questa volta senza successo. Tuttavia, l’attacco più doloroso fu sferrato in maniera subdola allorquando il 6 Aprile un gruppo di partigiani, con divise tedesche ed italiane, entrò in una casa di tolleranza presso Ivrea, aprendo il fuoco ed uccidendo il Ten. Ezio Chesi, più altri 5 presenti e ferendone altri 11. In sostituzione del Tenente Chesi venne scelto il Ten. Piero Cimenti, audace veterano del “Nembo”.
[NOTE]
70 Nino Arena, Nembo!, pag. 234
71 Nino Arena, Nembo!, pag. 237
72 Nino Arena, Nembo!, pag. 268
73 Nino Arena, Nembo!, pag.268
74 Nino Arena, Nembo!, pag 272
Francesco Braneschi, Come Nembo di tempesta: storia ed analisi della divisione paracadutisti Nembo, Tesi di Laurea, Università Luiss, Anno accademico 2015/2016
In occasione della commemorazione del 65° anniversario della difesa di Roma (8 settembre 1943), il Ministro della Difesa Ignazio La Russa dichiara: “Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell'esercito della RSI, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardarono con obiettività alla storia d'Italia”.
Le parole del Ministro La Russa suscitano polemiche, indignazione, proteste.
Suscitano anche risposte dirette e immediate da parte di giornalisti e di storici. Tra i giornalisti, Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera: “Ignazio La Russa ha mai sentito parlare di Hans Schmidt? Se conoscesse la sua storia, forse ci andrebbe più cauto, prima di stupirsi per le polemiche sul suo omaggio ai soldati di Salò e di lagnarsi di “una forma di razzismo culturale” che impedirebbe addirittura di parlare (bum!) a chi è di destra. Alberto Asor Rosa, anni fa, spiegò benissimo le cose: “Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buona fede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono. Non ce ne importa nulla che i bravi “ragazzi di Salò” non sapessero cosa difendevano, insieme con l'onore della patria. Capita, talvolta, nella storia di trovarsi dalla parte sbagliata”. In quel 1944 in cui i repubblichini affiggevano sui muri manifesti grondanti di croci uncinate (“Arruolatevi nella legione SS italiana. L'Italia si riscatta solo con le armi in pugno” oppure “Operai italiani arruolatevi! La grande Germania vi proteggerà!”), Schmidt morì nel nome della democrazia, della libertà, della resurrezione dell'Italia occupata dai nazisti. […] Nell'agosto di quel penultimo anno di guerra, aveva messo a punto con altri quattro soldati anti-nazisti un piano per consegnare la postazione militare alla Resistenza. Non si sa chi li tradì. Fatto sta che poche ore prima del colpo di mano, Hans Schmidt, Erwin Bucher, Erwin Schlunder, Karl-Heinz Schreyer e Martin Koch furono arrestati. Hans ed Erwin furono torturati per ore e ore prima di essere finiti con una pistolettata in faccia. I loro amici vennero fucilati. […] Così morì, insieme coi suoi amici, Hans Schmidt. Il “nostro” Hans Schmidt. In tutta la guerra non aveva sparato un colpo. Un po' dell'onore tedesco, però, lo salvò lui. E a nessun ministro della difesa di Berlino verrebbe mai in mente di onorare chi, pensando di difendere la Germania, lo torturò a morte” <684.
Tra gli storici, Emilio Gentile, in un'intervista a Simonetta Fiori su Repubblica: "Il ministro La Russa ha reso omaggio al valore dei “patrioti di Salò”. “Quale patria? Una delle caratteristiche del fascismo fin dalle origini fu quella di negare l'esistenza di una patria di tutti gli italiani: esisteva soltanto la patria di coloro che aderirono al fascismo. Anche soggettivamente il patriottismo fascista fu liberticida [...]".
[...] Sulla questione interviene anche Giovanni De Luna con osservazioni che in qualche modo riguardano il nostro ragionamento: “La Russa può rivendicare il patriottismo dei soldati della Nembo perché viviamo in un abisso di ignoranza della storia. Perché nessuno sa che quei soldati erano inquadrati organicamente nella Wehrmacht, non difendevano la patria (neanche quella fascista), ma il Terzo Reich.[…] La colpa di questo stato di cose è di noi che insegniamo la storia, sia nelle scuole, che come me, nelle università. La scuola è ferma ai vecchi manuali che gli studenti non vogliono leggere, incapace di usare mezzi audiovisivi, raccontare ciò che si vede nelle foto e nei filmati”, mentre quella che viene raccontata nelle trasmissioni tv “è una storia usa e getta, che rifiuta la complessità: appiattita al presente consumista” <686.
[NOTE]
684 Gian Antonio Stella, Cautela a onorare i “ragazzi di Salò”. Ignazio La Russa sarebbe più prudente se conoscesse la storia di Hans Schmidt, “Corriere della Sera”, 10 settembre 2008.
686 Barbari in casa. Il razzismo che riemerge. La rivalutazione di Salò. La caccia al rom. Il consenso totale al Capo. Siamo al nuovo fascismo? No, rispondono storici e intellettuali. Ma la democrazia è in pericolo, di W. Goldkorn e G. Riva, “l'Espresso”, 30 settembre 2008.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011