domenica 13 marzo 2022

Sciascia ha un’idea di letteratura come cosmo ordinabile da opporre al caos dell’esistenza


 È dunque da «un singolare e stretto legame tra il privato-esistenziale e la riflessione storica e pubblica <26» che prende avvio la scrittura di Leonardo Sciascia. Nell’esperienza poetica "La Sicilia, il suo cuore" - schierandosi dalla parte dei più deboli e cercando di adeguare il più possibile le parole alla realtà <27 - il poeta dà forma all’angoscia antica di una terra che è alimentata da povertà e miseria, che è scenario metastorico per una meditazione esistenziale più ampia, segnata da una profonda desolazione <28. Le occorrenze zoomorfe delle liriche sono utilizzate per accompagnare immagini di desolazione e di miseria, mettendo in forma - qui, come altrove - quell’idea di morte che percorre in un continuum tutte le sue opere <29. Sciascia vorrebbe dar voce a questa angoscia antica, opponendovi una scrittura forte, in grado di rompere quel silenzio assordante sulle cose, ma si scontra con la difficoltà di rappresentare quel mondo all’interno del ritmo e della misura della lirica.
Onofri sottolinea come molte liriche si caratterizzino per un andamento prosastico, per una vocazione a farsi racconto, vocazione che troverà i più alti risultati nelle produzioni narrative successive <30.
Ma le considerazioni del critico sulla presenza all’interno della raccolta «di un lessico attinto ad una lingua anti-realistica, anti-prosastica, alta, che molto deve a Quasimodo (…), al Luzi di "La barca" e, in generale, ad una koinè latamente ermetica <31», devono essere arricchite con le considerazioni di Fabio Moliterni, il quale sottolinea come la scrittura delle liriche presenti immagini e lessemi che sono riconducibili, al limite dell’espressionismo, ad un universo che è luttuoso, animalesco, «insieme metafisico, irrazionale e crudelmente realistico». Sono immagini che Sciascia ricava dalla geografia siciliana e popolare, che poi vedranno più compiuta rappresentazione, sia sul piano stilistico che su quello formale, nel successivo esordio narrativo <32.
Sciascia, mosso da un’urgenza realistica, con le "Favole della dittatura" e l’esperienza lirica successiva, riesce a dare una prima razionalizzazione al mondo della Sicilia, mescolandovi una realtà irrazionale e luttuosa, che vede le sue più profonde radici dalle meditazioni sulle letture pirandelliane <33: «Sentivo come una costrizione, come un’imposizione, di non potere vedere la vita - nell’immediatezza del luogo e del tempo in cui la vivevo e nel conseguente dislegare in più vasta e dolorosa meditazione – di non poter vedere la vita altrimenti di come [Pirandello] la vedeva… <34». La scrittura di Sciascia nell’approdo alla stagione letteraria successiva cerca di cogliere «le cose di Sicilia» adottando registri e procedimenti stilistici che non saranno del tutto difformi dai modi e dalle forme dei primi esordi: da un lato, il registro comico-umoristico, il sarcasmo e l’umorismo contro il Potere; dall’altro la pietà e il sentimento tragico verso i deboli della terra <35.
A questa altezza cronologica, come emerge da questa breve ricognizione circa il cammino di Sciascia verso il realismo, l’arte e la letteratura sono non solo in grado di rispecchiare la realtà, ma la intensificano e la potenziano, al punto tale che ne emerge una nuova, più vera di quella da cui deriva. Una concezione che vede nella scrittura la possibilità di ordinare il caos della vita, concezione che Sciascia matura in questo percorso di chiarificazione letteraria <36.
2.1.II. L’opera
Durante i primi anni Sessanta, la scrittura di Sciascia registra un interesse verso il rapporto con il reale e l’interesse per la storia, interesse che influenza il suo impegno civile così come ne sono influenzate le strutture tematiche, le scelte stilistiche e la forma dell’opera letteraria. Progressivamente vengono erodendosi e complicandosi le linee guida della poetica realistica che aveva caratterizzato la sua giovinezza, la vena civile si chiuderà in una dimensione intima, percorsa da sofferte inquietudini esistenziali <37. Il suo storicismo dominato da note negative e l’illuminismo critico comportano in sede letteraria un’inchiesta ed un’investigazione letteraria attorno ai codici simbolici del Potere così come una ricognizione sui soprusi della storia <38. Come precedentemente sottolineato, il razionalismo cui Sciascia era approdato derivava dall’aver scritto sempre mosso da una nevrosi da ragione, una ragione che - come proprio Sciascia affermò - camminava sull’orlo di una non ragione. Quest’ultima era percepita come una condizione patologica da cui uscire, e non come il presupposto per un’esperienza illuministica: era una ragione-valore, la ragione degli oppressi. Viene ridefinendosi il rapporto tra letteratura e realtà: tra una letteratura che tenta di dare un ordine razionale alla realtà ed una realtà che però è sempre più inadatta alla rappresentazione letteraria. L’autore aspira a redimire con la letteratura lo strazio ed i soprusi, strazio che però ai suoi occhi è irredimibile <39.
Per Sciascia la letteratura non solo è il mezzo attraverso cui è possibile una comprensione della realtà, ma è anche forma di consolazione rispetto al caos e al dolore da cui è dominata <40. Il nucleo della scrittura di Sciascia è dunque da individuare nel suo «assillo morale, pedagogico e civile <41»:
"Tutto è legato, per me, al problema della giustizia: in cui si involge quello della libertà, della dignità umana, del rispetto tra uomo e uomo. Un problema che si assomma nella scrittura, che nella scrittura trova spazio o riscatto. E direi che il documento mi affascina - scrittura dello strazio - in quanto entità nella scrittura, nella mia scrittura, riscattabile" <42.
Si stavano venendo a delineare i poli fondativi della sua esperienza intellettuale: la sua concezione del reale e della storia ed il rapporto che la letteratura instaura con la verità e la giustizia <43.
Ed è su questo sfondo che nasce "Il Consiglio d’Egitto": opera da annoverare tra i risultati più alti della narrativa sciasciana, vertice della sua vena inventiva e creativa, il punto di partenza delle meditazioni che percorrono tutta la produzione letteraria dell’autore. Pubblicato nel 1963, l’opera narra le vicende, in una Palermo di fine Settecento, dell’abate maltese Giuseppe Vella e dell’avvocato Francesco Paolo Di Blasi. L’abate, fingendo di conoscere la lingua araba, falsifica due codici: il "Consiglio di Sicilia" e il "Consiglio d’Egitto", i quali avrebbero dovuto chiarire l’origine e la legittimità di alcuni possedimenti feudali siciliani. Così facendo avrebbe fornito la presunta autorevolezza dei documenti storici utili alla battaglia contro i privilegi dei feudatari siciliani condotta dai viceré riformatori Caracciolo e Caramanico. Dell’impostura che passo dopo passo prende forma, Vella si approfitta, accettando i ricchi compensi che gli aristocratici gli garantiscono in cambio di ulteriori falsificazioni al codice a loro favore. L’abate, successivamente, una volta sostenuto un pubblico confronto con un vero arabista che cercava di denunciare la sua impostura, Hager, capisce che la stagione riformista sta concludendosi - dopo l’allontanamento da Palermo di Caracciolo e la morte di Caramanico. Decide quindi di confessare la sua impostura e accetta serenamente la prigione. Di Blasi, uomo di coscienza illuminista, libertino e poeta, in un primo momento sostiene la battaglia antifeudale grazie alla sua cultura giuridica, poi in un secondo momento - per combattere il viceré successivo Lopez y Rojo - organizza una congiura giacobina. Questa vedrà però la fine sul nascere, il 31 marzo 1795, mandando al patibolo l’avvocato Di Blasi <44.
La vicenda dell’abate Vella, con la falsificazione linguistica che ne deriva e la ricostruzione della “truffa letteraria”, fanno sì che "Il Consiglio d’Egitto" sia un testo con funzione di archetipo, contenente in sé la summa del metodo e del laboratorio di scrittura dell’autore. Da intendersi come «l’opera più sciasciana di Sciascia, la più sottilmente autobiografica, ma anche un romanzo storico, romanzo di conflitti sociali: nelle intenzioni, nella forma e nella struttura <45».
Con l’impostura del Vella, Sciascia fornisce un’esemplificazione della nozione di letteratura che era venutasi maturando: questa quando non si piega ai giochi del Potere, non può essere considerata meramente come mezzo di denuncia ideologica.
Il "Consiglio", in qualità di testo letterario, può vivere come realtà in sé conclusa, all’interno della quale possono «pacificamente risolversi i contrasti della vita, medicarsi i dolori, sciogliersi le contraddizioni della natura e della storia» seguendo un ordine razionale - grazie all’aiuto di una menzogna, ma che può essere considerata come profonda verità <46. Uno dei temi principali del romanzo è quello del rapporto tra letteratura e vita: Sciascia ha un’idea di letteratura come cosmo ordinabile da opporre al caos dell’esistenza, un cosmo «tanto libero limpido e razionale, quanto opaca costretta e irrazionale era la realtà in cui si era trovato a vivere <47».
Ecco, quindi, che l’antistoricismo dell’autore vede alla base una concezione della letteratura come luogo senza tempo, in cui i misfatti possono redimersi e gli enigmi della vita sciogliersi nella verità. Questa convinzione percorrerà tutta la sua scrittura, come ultimo segno di ottimismo, persino nei tempi del più estremo scetticismo radicale <48.
[NOTE]
26 F. MOLITERNI, Sciascia moderno. Studi, documenti e carteggi, cit., p. 39.
27 M. ONOFRI, Storia di Sciascia, cit., p. 30.
28 F. MOLITERNI, Sciascia moderno. Studi, documenti e carteggi, cit., p. 39.
29 Ivi, p. 42.
30 M. ONOFRI, Storia di Sciascia, cit., p. 32.
31 Ivi, p. 33.
32 F. MOLITERNI, Sciascia moderno. Studi, documenti e carteggi, cit., p. 42.
33 Ivi, p. 43.
34 L. SCIASCIA, Pirandello, mio padre, in Micromega, n. 1, 1989, pp. 33-4, in F. MOLITERNI, Sciascia moderno. Studi, documenti e carteggi, cit., p. 43.
35 Ivi, p. 44.
36 M. ONOFRI, Storia di Sciascia, cit., p. 37.
37 F. MOLITERNI, La nera scrittura: saggi su Leonardo Sciascia, Bari, B. A. Graphis, 2007, p. 57.
38 Idem, Sciascia moderno. Studi, documenti e carteggi, cit., p. 70.
39 M. ONOFRI, Storia di Sciascia, cit., pp. 39-41.
40 Ivi, p. 78.
41 F. MOLITERNI, Sciascia moderno. Studi, documenti e carteggi, cit., p. 69.
42 14 domande a Leonardo Sciascia, a cura di C. Ambroise, in Leonardo Sciascia, Opere 1956-1971, Milano, Bompiani, 2000, p. XXI, in https://www.amicisciascia.it/pubblicazioni/sintesi/item/157-edoardo-costadura-leonardo-sciascia-la-solitudine-del-maestro.html.
43 F. MOLITERNI, Sciascia moderno. Studi, documenti e carteggi, cit., p. 73.
44 G. TRAINA, Leonardo Sciascia, cit., p. 77.
45 G. TRAINA, In un destino di verità. Ipotesi su Sciascia, Milano, La Vita Felice, 1999, p. 35.
46 M. ONOFRI, Storia di Sciascia, cit., p. 85.
47 Ivi, p. 18.
48 Ibidem.
Irene Boesso, Le modulazioni del tema della morte in Leonardo Sciascia. Un’analisi in tre tempi, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2019/2020