sabato 5 marzo 2022

Il 7 giugno 1944 i nazifascisti avevano fatto irruzione nella sede di di Firenze

Foto di Eleonora Maini

Nella circolare riservata ai comitati locali del 31 ottobre 1943 il Partito d’Azione evidenziava come la situazione italiana non lasciasse spazio se non alla guerra civile <180, ribadendo l’intenzione del partito di “operare contro i tedeschi in modo indipendente da ogni altra formazione a carattere non adeguato alla nostra posizione ideologica e politica nei riguardi della monarchia” <181. La Resistenza fu pertanto intesa dagli esponenti del Partito d’Azione come una “guerra di popolo, guerra di un popolo che si fa esercito” <182. Ma, visto che il partito non poteva fondarsi sull’appoggio delle masse perchè era sostanzialmente “un partito soprattutto di intellettuali e professionisti, quindi soprattutto di quadri” <183, furono proprio i suoi maggiori esponenti a doversi esporre in prima persona “molto più di come la pur necessaria presenza militare o cospirativa non [avrebbe consentito]” <184.
A Bologna erano state organizzate due Brigate, la 8° brigata, comandata da Masia, che operava in città, e la brigata Giustizia e libertà, comandata da Piero Pandiani, nelle quali militavano molti esponenti del partito.
A Firenze collaboravano Ragghianti, Codignola, Enriques Agnoletti e Furno, che erano riusciti a installare un’efficiente rete organizzativa basata su notevoli collegamenti interregionali con le Marche, l’Umbria, la Liguria, l’Emilia Romagna. Si spiega in questo modo la richiesta di Ragghianti agli amici emiliani per il trasporto di alcuni componenti di una macchina per la stampa delle riviste clandestine. Infatti, dopo il successo della diffusione de «L’Italia libera» di Milano, gli antifascisti fiorentini sentirono l’esigenza di pubblicare una rivista propria. Dopo aver utilizzato, per un periodo, gli strumenti di “coraggiosi tipografi” <185 che avevano messo a disposizione del movimento le loro strutture, il Partito d’Azione aveva infatti deciso di dotarsi di una pedalina e di una manolina “i cui caratteri furono procurati in parte da Bologna, e vennero recati a Ragghianti da Antonio Rinaldi, e in parte da Prato, dove furono acquistati da Adon Toccafondi e Rodolfo Corsi” <186 in parte a Perugia da Franchini. L'azione di recupero dei caratteri tipografici di una macchina per la stampa dei manifesti clandestini sembrò passare totalmente inosservata al regime. La tipografia clandestina fu impiantata nello stabilimento dei Ferrero in via Baracca e fu il tipografo Ciuti a stampare numerosi volantini “finché la macchina con i caratteri fu sequestrata, durante uno spostamento, nel magazzino di via Guicciardini, col n. 6 de «La libertà», che era stato tirato con la pedalina stessa” <187.
Verso la fine di settembre del 1943 Ragghianti incaricò, tramite Rinaldi, il fratello di Giorgio Bassani, Paolo, di costruire una radiotrasmittente in valigia <188, che Enzo Tardini, ufficiale e tecnico dell’idrocarburi riuscì a nascondere per non farla cadere nelle mani dei tedeschi. L’obiettivo del Partito d’Azione era quello di realizzare una linea di collegamento tra i vari centri di resistenza <189 e, secondariamente, di collegamento con gli alleati <190.
Ricorda Ragghianti che le maggiori difficoltà erano legate ai continui spostamenti, dei quali si occupò spesso Rinaldi, “in alloggi differenti, e in settori distanti della città e dei dintorni, allo scopo di proteggere il servizio dalla rete tedesca di radiogoniometri che si vedevano sostare in quei mesi nei più vari punti” <191 di Firenze. Spesso, quando più pressanti diventava la caccia ai sovversivi Rinaldi era costretto a nascondersi per qualche giorno celandosi sotto il falso nome di Antonio Ferrari o di Mario Terzi <192. Il 7 giugno 1944 i nazifascisti avevano fatto irruzione nella sede di di Firenze dove si trovavano l’avv. Enrico Bocci, Giardini, Campolmi, Larocca e lo studente di ingegneria Luigi Morandi che stava trasmettendo. Tutti, tranne Morandi, ferito durante la sparatoria, furono portati a Villa Triste, in via Bolognese, torturati per giorni.
Appena una settimana dopo, la sera del 14 luglio 1944 Rinaldi fu arrestato dagli uomini di Carità e trasferito in una villa disabitata nella periferia di Parma con l'imputazione di essere il trasportatore delle attrezzature di radio Co.ra a Bologna. Avvertito Masia <193 attraverso Giurini, Rinaldi, resosi conto di essere controllato decise di rimanere lontano da Bologna e di raggiungere poi le colline di Cesena per non compromettere familiari e compagni <194. Non sapeva Rinaldi quanto felice si sarebbe rivelata la sua decisione: non potendo tornare in città non sarebbe stato presente alla battaglia dell’Università, il 20 ottobre 1944, dove perse la vita tutta l’8° brigata <195 di cui faceva parte.
[NOTE]                  
180 Cfr. testo a stampa conservato nel Fondo Enriques Agnoletti dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana.
181 Ibidem.
182 Leo Valiani, Il Partito d’azione nella Resistenza cit., p. 80.
183 Ibidem.
184 Ibidem.
185 C. L. Ragghianti, Una lotta nel suo corso cit., p. 323.
186 Ibidem.
187 Ivi, pp. 323-324.
188 Paolo Bassani in una lettera a Carlo Ragghianti rievoca l’episodio ricordando come il materiale fosse stato procurato dalla ditta Geloso di Milano dove si era recato ad acquistarlo portando gli ordini falsificati in tipografia di rivenditori di Bologna. Una volta terminato l’apparecchio insieme a Luigi Pasquini procedette al trasporto fino a Firenze. Alla stazione di S. Ruffillo trovarono Beppe Campanelli che dette loro ordini sul piano concordato per far passare al prezioso carico i controlli di un militare tedesco che ispezionava persone e bagagli. La radio fu collocata in una cassetta militare e consegnata insieme ad una pistola a Pasquini. Bassani precedeva tutti con una cassetta piene di patate e cipolle marce, seguito da Campanelli, che sapeva parlare il tedesco, dotato di un carico simile. Il tedesco ispezionò le prime due cassette e lasciò passare la terza, come avevano sperato. Alla stazione di Firenze trovarono ad aspettarli Antonio Rinaldi, Giorgio Bassani e Sergio Telmon. La Bolognese fu poi catturata dai tedeschi nell’irruzione a Piazza d’Azeglio insieme ad altri due apparecchi e Ragghianti ricorda di essere stato costretto a recuperare una radio portatile per riprendere le trasmissioni.
189 “Anzitutto raccomando la questione radio: è essenziale per noi essere collegati col tal mezzo anzitutto con Roma non soltanto per ragioni militari, ma politiche. Data questa urgenza, possiamo mandare qualcuno direttamente a Roma per stabilire la modalità di una connessione radio diretta: ma ciò si farà soltanto dopo che voi avrete esaminato definitivamente la questione tecnica. Ci siamo collegati strettamente con Bologna e con Modena: vantaggio per tutti. Qui si è iniziato il sabotaggio sistematico, con qualche successo, come ti verrà riferito. Certo, per azioni in grande stile che pur si potrebbero compiere, mancano i mezzi che speriamo avere per mezzo degli aviolanci (purché siano tempestivi)” (ivi, p. 20).
190 “Si crede comunemente che la radio fosse destinata al collegamento con gli alleati, ma questo fu un obiettivo secondario e ulteriore, divenne prevalente solo quando, dopo la cattura a Genova nel febbraio 1944 dell’organizzazione Otto e del suo capo Cirillo, alle dipendenze di Parri, e dopo altri insuccessi nel Veneto e a Roma (dove la Malfa personalmente trasportò dalla campagna una radio), il programma di una rete interna di comunicazioni partigiane si dovette abbandonare” (C. L. Ragghianti, Ecco quel che fu Radio Cora, in «La Nazione», Firenze, 11 agosto 1979, poi in Gilda Larocca, La Radio Cora in Piazza d’Azeglio e le altre due stazioni radio, Firenze, Giuntina, 1985, p. 127).
191 “Una delle maggiori difficoltà, date anche le esigenze tecniche (antenne, stesura fili etc.) fu sempre quella degli spostamenti in alloggi differenti, e in settori distanti della città e dei dintorni, allo scopo di proteggere il servizio dalla rete tedesca di radiogoniometri che si vedevano sostare in quei mesi nei più vari punti di Firenze. Nella città superaffollata e vigilata (a parte lo spionaggio) il trovare per cinque mesi basi sempre nuove per gli spostamenti fu problema estremamente arduo: e si dovette spesso, contro ogni debita prudenza, affrontare il pericolo della scoperta, per far funzionare regolarmente il servizio. Per dare un’idea si facevano trasmissioni ogni tre e anche ogni due giorni, e ciò implicava il trasporto degli apparecchi attraverso la città e le perquisizioni e i blocchi abituali e la sistemazione nei nuovi ambienti, spesso inevitabilmente esposti alla vista pubblica” (C. L. Ragghianti, Una lotta nel suo corso: lettere e documenti politici e militari della Resistenza e della Liberazione, a cura di Sandro Contini Bonaccorsi e di Licia Collobi, prefazione di Ferruccio Parri, Venezia, Pozza, 1954, p. 314).
192 Dal 14 novembre 1943 Rinaldi si firma sulla busta Antonio Ferrari Bologna (tranne in un’occasione in cui usa il nome di Mario Terzi).
193 Masia sarebbe stato fucilato insieme agli altri dirigenti del Partito d’azione pochi mesi dopo, il 23 settembre 1944, al Poligono di tiro.
194 “Per qualche notte ancora non verrò a trovarti e Dio sa il bene che mi farebbe più d’ogni altra cosa il solo parlare in pace con te e vederti poi dormire o addormentarmi sotto i tuoi occhi. Me ne starò invece ancora solo e dopo sarò anche più lontano sotto un tetto sconosciuto, seppure poco distante” (Lettera di Antonio Rinaldi a Liliana De Astis, 27 luglio 44, Fondo Rinaldi [A.R.I.2.35.140]).
195 “Il 20 ottobre 1944 i fascisti che avevano individuato il primo gruppo, accerchiavano l’Università ed ebbe così luogo la battaglia. Stelio Ronzani, ferito ad una spalla e a un braccio fu preso e torturato perché parlasse, ma non una parola uscì dalla sua bocca; poi furono presi Ezio Giaccone, poi Leo e Luciano Pizzigotti e Antonio Scaravilli. Per ultimo Mario Bastia. Si deve ricordare che Bastia aveva già distrutto tutti i documenti e solo quando ormai credette di essere l’ultimo ad abbandonare l’università se ne andò per via Zamboni. Ma qui gli fu detto che dentro c’era ancora un gruppo dei suoi partigiani e allora ritornò sul posto per tentare di salvarli. E stavolta fu preso, insieme agli altri trascinato davanti al plotone di esecuzione e fucilato contro la parete esterna dell’aula magna” (Romolo Trauzzi, Testimonianza, in La Resistenza a Bologna cit., p. 60).
Francesca Bartolini, Antonio Rinaldi. Un intellettuale nella cultura del Novecento, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, 2013