mercoledì 9 marzo 2022

Le colpe dei padri, vertice della narrativa di Perissinotto, secondo Castagnino


Angelo Castagnino insegna letteratura italiana all’università di Denver, Colorado, ed è un attento studioso della letteratura contemporanea; ha dedicato saggi alla figura dell’intellettuale come detective nei romanzi da Sciascia a Saviano (quasi un percorso nella fiction dei padri nostrani della non-fiction) e all’interpretazione del fascismo nei romanzi storici italiani. Non è un caso, come egli vorrebbe quasi far intendere nelle prime pagine, che abbia incontrato la narrativa di Alessandro Perissinotto, nella quale i due temi vengono ritrovati: il primo, la scelta del poliziesco, ha inciso nella storia iniziale della carriera dello scrittore, da "L’anno che uccisero Rosetta" del 1997 alla trilogia che vede protagonista la psicologa-detective Anna Pavesi tra 2006 e 2008, fino a proseguire poi nell’attività “apocrifa” di giallista baltico con lo pseudonimo di Arno Saar.
D’altronde, il poliziesco è stato, tra fine Novecento e inizio del nuovo millennio, il genere che ha permesso al romanzo italiano di riappropriarsi della realtà e di confrontarsi con i misteri e i problemi irrisolti lasciati dalla prima repubblica. Ma anche il tema del fascismo, delle sue colpe e delle eredità lasciate, rientra nelle poetiche di Perissinotto, almeno da "Treno 8017" del 2003 fino a "Quello che l’acqua nasconde" del 2017. Ma, al di là di un possibile percorso dal poliziesco come genere alto per giungere al romanzo sociale, Castagnino esamina la narrativa di Perissinotto in cinque capitoli, ognuno dei quali offre una «chiave di lettura»: Giallo e nero, (In) giustizia, Identità, Alterità e romanzo sociale, Intertestualità.
Il primo capitolo affronta i gialli di ambientazione storica (dal romanzo d’esordio, "L’anno che uccisero Rosetta", un cold case proveniente dagli anni della Resistenza, al bellissimo "La canzone di Colombano" in cui uno studioso di folklore ricostruisce la vicenda cinquecentesca narrata da una canzone popolare), fino ai romanzi in cui la detective psicologa affronta la realtà del degrado sociale e delle periferie del capitalismo. Il capitolo "(In)giustizia" affronta il ritorno nella narrativa di Perissinotto di un tema scottante: la rivolta singola dell’uomo contro l’ingiustizia, al di là di un sistema che non amministra correttamente la giustizia spingendo le sue vittime all’iniziativa privata: è un tema che compare da "Al mio giudice" del 2004, dove il protagonista preferisce inabissarsi in una catabasi senza ritorno, fino a "Le colpe dei padri" - il vertice della narrativa di Perissinotto, secondo Castagnino - dove il tema del terrorismo, come risposta individuale all’ingiustizia all’interno della grande fabbrica, viene ripreso attraverso un protagonista "ignotus sibi" che scopre di provenire non dalla classe dirigente ma da una coppia di operai, dai perdenti della storia.
Il capitolo "Identità segue" il complesso rapporto tra identità regionale e nazionale nella narrativa di Perissinotto, da "Semina il vento", dove la non accettazione conduce lo straniero a esiti terroristici, fino a "Coordinate d’oriente", in cui un imprenditore italiano giunge a sperimentare un richiamo a valori umanisti e cooperativi nella Cina dell’economia capitalista.
Il capitolo "Alterità e romanzo sociale" analizza un tema che negli ultimi anni ha acquisito spazio e importanza sempre maggiori nella produzione di Perissinotto, la presenza del reietto sociale (il malato di mente, il drogato, la prostituta, l’operaio ucciso dai veleni della fabbrica, ecc.): in particolare romanzi come "Per vendetta", "Le colpe dei padri" e "Quello che l’acqua nasconde" giungono a ripercorrere la condizione dei malati di mente dalla condizione precedente alla “legge Basaglia” alla difficile transizione successiva.
L’ultimo capitolo, "Intertestualità", porta l’attenzione sulla fitta trama di rapporti che la narrativa di Perissinotto instaura con altri testi: se non stupisce che uno scrittore di gialli si riferisca a Simenon ("Al mio giudice" innova sulla linea della "Lettre à mon juge"), meno scontato trovare riferimenti al "Moosbrugger" di Musil, a Kafk, Stifter e a una lunga serie di autori della tradizione europea e italiana (Fenoglio, Sciascia, Primo Levi, ecc.).
Chiude il volume un’intervista a Perissinotto sulla sua attività di scrittore e di studioso di narrativa.
Confesso di provare sempre un po’ di prevenzione quando leggo testi relativi a un autore vivente, tuttavia questa volta mi sembra che il libro di Castagnino abbia colto nel segno e che costituisca un buon contributo alla conoscenza non solo di un autore, ma anche di alcune tematiche che ritornano nei romanzi italiani e di una tradizione, quella del romanzo italiano del Novecento, che sembrava ormai un fardello e che invece continua ad agire in profondità.
 


Enrico Mattioda, Angelo Castagnino, «Fatevi portatori di storie». Alessandro Perissinotto fra giallo e romanzo sociale, Giorgio Pozzi Editore, Ravenna, 2018, pp. 174, € 15 in Nel quadro del Novecento: Strategie espressive dall'Ottocento al Duemila. Generi e linguaggi, Sinestesie, Rivista di studi sulle letterature e le arti europee, Periodico annuale, Anno XVI - 2018