martedì 2 agosto 2022

La diocesi-abbazia di Schuster, dunque, non vedeva al suo interno né comunisti, né protestanti


La Chiesa ambrosiana uscì dal secondo conflitto mondiale con un notevole prestigio soprattutto per merito del ruolo di «vicario papale per l’Italia settentrionale» <42 svolto dal cardinale Schuster in quei difficili anni. Angelo Majo ritiene che il magistero di Schuster nel dopoguerra si mosse in continuità con il periodo precedente e ne ha individuato cinque caratteristiche fondamentali: la riaffermazione dei valori cristiani, la predicazione della parola di Dio, la promozione di iniziative di carattere assistenziale e caritativo, l’incoraggiamento alle strutture sorte per assicurare la presenza cristiana nel tessuto sociale e la fondazione di istituti di aggiornamento culturale <43. Questi cinque punti vanno inseriti all’interno del progetto che Schuster promosse fin dal suo ingresso in diocesi volto a costituire «l’ordinata abbazia da realizzare nel milanese» <44. Con l’avvio della ricostruzione, Schuster proseguì il suo impegno pastorale seguendo questa concezione e richiamò più volte i milanesi alla fraternità, elemento fondamentale per fondare «un’unica famiglia umana nella quale Dio è il Padre comune» e una «democrazia evangelica nella quale tutte le nazioni sono unite nel grembo della Madre comune, la S. Chiesa» <45. L’arcivescovo riteneva, infatti, che, anche dopo il 1945, il modello monastico continuasse a essere un esempio valido sul quale edificare la nuova società perché i monasteri erano state le prime istituzioni democratiche d’Europa senza però «essere dilaniate dalle lotte partitiche» <46. La teoria sociale di Schuster scaturiva dunque dalla sua concezione del monachesimo e intendeva contribuire alla ricostruzione innanzitutto morale di una «società civile gerarchicamente ordinata, sotto la figura di un’autorità benevola e paterna, in cui il grado di controllo per la formazione degli uomini, dei popoli, dei rapporti ragionevoli e chiari spetta ancora, in ultima istanza, alla religione» <47.
Nel disegno di Schuster la diocesi-abbazia così delineata aveva dei nemici che, soprattutto dopo il progressivo avvicinamento delle posizioni del fascismo con quelle del nazismo, erano riconosciuti nelle dottrine razziali propagandate dal regime hitleriano e che portarono l’arcivescovo, il 13 novembre 1938, a manifestare pubblicamente la sua opposizione a quella che definiva «eresia nordica» <48. Caduti i regimi nazifascisti e istaurata la democrazia in Italia, il principale avversario di Schuster divenne il comunismo che rappresentava «l’opposizione più radicale alla mistica città di Dio» perché costituiva «un sistema religioso che vuole distruggere i valori dello spirito in grazia del più puro ed assoluto materialismo» <49. Le critiche di Schuster erano innanzitutto di natura religiosa <50 perché egli riteneva che comunismo e cristianesimo costituissero «due teologie antitetiche» <51 e perciò non vi era alcuna possibilità di accordo né di dialogo.
Già pochi mesi dopo la Liberazione, Schuster ribadì l’impossibilità di costruire un retto ordinamento sociale svincolato dal Testo sacro affermando che «nel Continente nuovo sulla base del decalogo e della Bibbia perfino Ebrei, Protestanti e Mussulmani possono venire ad un accordo con i cattolici. Non è possibile invece accordo alcuno con quei nemici dichiarati d’ogni principio spirituale [...] i quali non professano altro assioma che il materialismo» <52. Questa battaglia era considerata da Schuster come una lotta per il bene non solo della Chiesa, ma anche dello Stato e della società, e perciò egli chiedeva agli organismi statali di sostenere la Chiesa in questo scontro. Nel 1952, ad esempio, il cardinale ambrosiano richiamava lo Stato a vigilare sulla moralità e sull’espansione del comunismo perché la Chiesa non poteva lottare sola contro «una marea di fango, che attraverso la stampa, lo spettacolo, la propaganda, la libera organizzazione antipatriottica travolge senza ostacolo la nazione intera» <53. L’arcivescovo concepiva quindi la comunità nazionale come una grande abbazia e ciò lo portava indubbiamente ad avere un’idea paternalistica dello Stato che doveva assumere, soprattutto dopo il trionfo elettorale della Dc alle elezioni del 1948, una connotazione decisamente cristiana, aiutando la Chiesa nella lotta al comunismo. Secondo il cardinale, infatti, l’azione della Chiesa contro la scristianizzazione e la diffusione del comunismo «è sinceramente grande. Essa tuttavia sarebbe assai maggiore se lo Stato non fosse né liberale, né laico» <54. Lo Stato, inoltre, non doveva semplicemente manifestare la sua connotazione cristiana in funzione anticomunista ma doveva anche mostrare la sua identità cattolica per favorire la missione della Chiesa e reprimere la diffusione in Italia di altre confessioni cristiane. Schuster, infatti, riconosceva la libertà di culto per i cittadini stranieri residenti in Italia, ma chiedeva allo Stato che «per motivi di ordine religioso e politico sia raffrenata la libertà, specialmente ai preti e ai frati apostati, d’incrinare colle loro storture l’unità degli italiani» <55. La diocesi-abbazia di Schuster, dunque, non vedeva al suo interno né comunisti, né protestanti perché i suoi abitanti dovevano essere animati da «un concorde segno religioso» <56. Per tale motivo, Schuster appoggiò costantemente la Dc e affidò al partito un ruolo centrale per il mantenimento della concordia e dell’unità religiosa all’interno della diocesi e in tutto il resto del Paese.
Egli visse l’esperienza democristiana e le prove elettorali alle quali il partito fu chiamato come battaglie religiose, tanto che, analogamente a molti altri vescovi italiani, dopo la vittoria del 1948 equiparò il trionfo alla «vittoria dell’Italia cristiana» guidata dalla «fede e dalla carità di patria» <57. Questa stretta connessione tra religione e politica fu costante nella riflessione e nell’azione di Schuster, tanto che nel 1953 tornò ad invitare con forza i milanesi a sostenere la Dc: quella tornata elettorale «per il governo democratico cristiano, in conseguenza anche per la Nazione, è questione di vita o di morte. E’ necessario ad ogni costo salvare l’Italia, perché insieme con l’Italia si salvino le anime» <58.
Schuster, quindi, riteneva che i destini della Dc, dell’Italia e della missione salvifica della Chiesa fossero inscindibilmente uniti e perciò credeva che la lotta al comunismo, da un lato, e il sostegno al partito democristiano, dall’altro, costituissero due aspetti non marginali del suo incarico di pastore della Chiesa di Milano.
La teoria sociale di Schuster, che equiparava la diocesi a una abbazia guidata da una religiosità comune e da un forte senso di comunione gerarchica tra i suoi membri, non comportava però un governo ecclesiastico monocratico incentrato sul vescovo perché, come ha scritto Majo, egli «a tutti riconobbe diritto di parola e di proposta […] ma da tutti richiese rispetto alle norme stabilite, ubbidienza alle direttive impartite» <59. Schuster dimostrò in prima persona una certa elasticità e capacità di sapersi circondare di validi elementi, finalizzando la sua azione episcopale al mantenimento dell’unità della Chiesa locale e non dimostrandosi «incline ad approvare iniziative che si discostassero dalla linea pastorale indicata né ad accettare [un] pluralismo di opinioni e di comportamenti» <60.
Schuster espresse delle teorie sociali piuttosto conservatrici, ma riuscì anche a sostenere la vitalità e l’espansione del movimento sociale cattolico ambrosiano. Egli fu protagonista di una delle stagioni più floride del cattolicesimo milanese per quanto riguarda la nascita di nuove organizzazioni assistenziali: già a partire dal 1939 cercò di supplire alle carenze statali con numerose istituzioni caritative che nel dopoguerra furono razionalizzate in grandi organismi come l’Opera delle Mense arcivescovili e la Charitas ambrosiana61, cui si aggiungevano il Pane di San Galdino e la Carità dell’arcivescovo.
Terminato il conflitto, non venne meno l’impegno di Schuster in questo campo e furono create altre organizzazioni assistenziali come la Domus ambrosiana, fondata nel 1949 per la costruzione di case popolari. Di fronte all’imponenza delle necessità dei milanesi e soprattutto alla crescente disoccupazione che caratterizzò la seconda metà degli anni Quaranta, il cardinale ambrosiano decise di rivolgere molte energie personali e della diocesi nella risoluzione di questo problema e «per mesi le anticamere dell’appartamento vescovile divennero “uffici di collocamento”; il segretario del card. Schuster, don Guglielmo Galli, accoglieva di mattina a sera schiere innumerevoli di persone di ogni condizione» <62.
Schuster ebbe anche attorno a sé un nucleo di preti volenterosi e intraprendenti come don Carlo Gnocchi, il quale, dopo essere tornato dal fronte russo dove era stato inviato come cappellano militare, decise di dedicare il suo ministero agli orfani e ai bimbi mutilati, inaugurando un collegio presso villa Negroni di Pessano, cui si aggiunsero la Rotonda di Inverigo per i mutilatini e il Collegio dei giovani per le mutilatine. Nel 1952, don Gnocchi razionalizzò le sue molte istituzioni nella Fondazione Pro Juventute e la sua fama si diffuse in tutta Italia <63. Schuster poté contare sull’intraprendenza di altri preti, come don Luigi Monza, il quale nel 1947 fondò a Vedano Olona “La nostra famiglia”,
un’organizzazione per bimbi handicappati e in breve tempo aprì altre case a Ponte Lambro, Bosisio Parini e Lecco <64. Il gruppo dei collaboratori di Schuster in questo campo si giovò anche dell’attività di don Abramo Martignoni <65, che nel 1953 aprì la Casa del giovane per l’istruzione professionale ai giovani, di don Eugenio Bussa <66, fondatore del Patronato Sant’Antonio e del padre gesuita Ludovico Maino, animatore dell’Assistenza malati poveri San Fedele.
L’episcopato Schuster non fu però solo indirizzato al sostegno delle opere assistenziali: il cardinale era consapevole che la diocesi di Milano del secondo dopoguerra avrebbe avuto bisogno di «cristiani con convinzioni più salde e quindi conoscenze più profonde della verità della fede e dei principi di morale» <67 [...]
[NOTE]
42 Giorgio Rumi ha definito Schuster “vicario papale al Nord” e ha scritto che egli svolse questo ruolo anche nell’immediato dopoguerra quando i collegamenti tra Roma e l’area padana erano ancora estremamente difficili. Cfr. G. Rumi, Il tesoro vitale della nostra verità. Da Achille Ratti a Giovanni Battista Montini (1921-1963) in A. Caprioli, A. Rimoldi e L. Vaccaro (a cura di), Storia religiosa della Lombardia. Diocesi di Milano, II Parte, La Scuola, Brescia, 1990, p. 836. Schuster fu uno dei vescovi più amati dai milanesi. Biffi sostiene che «fu il vescovo del XX secolo che, con il cardinal Ferrari, più vivamente si stampò nel cuore dei milanesi» (I. Biffi, Figure e vicende della Chiesa ambrosiana, Jaca Book, Milano, 2011, p. 441) - per la sua grandi capacità organizzative ma anche per il suo forte spirito ascetico che ha portato Majo a definirlo «uomo di Dio in prestito al mondo» (A. Majo, Storia della Chiesa ambrosiana, 5: Dal card. Ratti ai giorni nostri, NED, Milano, 1986, p. 51) e Leccisotti a indicarlo come «ambasciatore dell’assoluto» (T. Leccisotti, Il cardinale Schuster, 1, Scuola Tipografica San Benedetto, San Giuliano Milanese (Mi), 1969, p. V) il cui pensiero poteva essere condensato nel motto «il dire giova poco, è necessario organizzare» (T. Leccisotti, Il cardinale Schuster, 2, Scuola Tipografica San Benedetto, San Giuliano Milanese (Mi), 1969, p. 7). Le qualità e le capacità per cui Schuster si fece apprezzare ai milanesi sono strettamente collegate al percorso di vita seguito da Schuster prima di giungere a Milano. Alfredo Schuster nacque a Roma il 18 gennaio 1880 e fece la professione religiosa tra i benedettini aggiungendo il nome di Ildefonso il 13 novembre 1898. Fece un brillante carriera nel suo ordine divenendo abate e ordinario di San Paolo fuori le mura nel 1918. Nel medesimo periodo la sua fama di erudito e studioso di liturgia e patristica crebbe e fu nominato consultore della Congregazione dei riti, preside del Pontificio Istituto orientale e della Pontificia Commissione di arte sacra. Fu molto stimato da Pio XI, il quale lo nominò visitatore apostolico dei seminari lombardi e il 26 giugno 1929 lo promosse arcivescovo di Milano. Fece il suo ingresso in diocesi l’8 settembre non senza provare dolore per l’abbandono dell’amata abbazia romana. Biffi riporta, infatti, un colloquio avvenuto il 12 agosto del 1939, nel quale il futuro arcivescovo Giovanni Colombo cercava di far comprendere a Schuster la sua contrarietà ad abbandonare l’Università cattolica per assumere l’incarico di rettore del Seminario liceale. Di fronte alle lamentele di Colombo, Schuster rispose che «se avessero domandato a me che cosa volessi fare, io avrei risposto che desideravo restare a S. Paolo fuori le mura a fare il benedettino. Ma non si fanno queste domande». Cfr. Biffi, Figure e vicende della Chiesa ambrosiana, cit., p. 361. Biffi riporta anche che Schuster, abbandonando i suoi confratelli romani il 30 agosto 1929, non poté trattenere le lacrime, tuttavia alcune voci in Vaticano non accolsero positivamente la promozione di Schuster. Venuto a conoscenza della nomina di Schuster, infatti, il cardinal Pompili, vicario di Roma, si chiedeva «come avrebbe fatto a guidare la diocesi ambrosiana uno che non era stato capace di reggere un “pollaio” come l’abbazia di San Paolo». Cfr. ibidem, p. 442. Queste critiche non sono riportate nelle principali biografie su Schuster ma trovano rispondenza in alcune parole del padre Giulio Bevilacqua, Co, che disse a Montini, appena nominato arcivescovo di Milano, che avrebbe sostituito «un uomo che non ne indovinava una, ma che con la povertà e la parola evangelica ha saputo conquistare il popolo milanese». Cfr. ibidem, p.443. Queste opinioni comunque non impedirono a Schuster di governare la diocesi spendendo tutte le sue energie nel tentativo di emulare San Carlo. Nel corso del suo episcopato, infatti, realizzò cinque visite pastorali, indisse cinque sinodi diocesani, il nono congresso provinciale e due congressi eucaristici diocesani. Si avrà modo di analizzare l’azione di Schuster nel dopoguerra, ma è bene qui ricordare che, già negli anni Trenta e nella prima parte dei Quaranta, l’arcivescovo si contraddistinse per le sue capacità realizzative. In questo periodo, infatti, fondò il Comitato pro templi nuovi, l’Opera per le vocazioni ecclesiastiche (1935), il Seminario di Venegono (1930), il Preseminario di san Martino a Masnago (1941) e l’Istituto superiore di musica sacra (1931). Si spense nel Seminario di Venegono nel 1954 e nel 1996 Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato.
43 Majo ha delineato questi cinque punti in due pubblicazioni ovvero in G. Rumi e A. Majo, Il cardinal Schuster e il suo tempo, NED, Milano, 1996, p. 80-81 e A. Majo, Gli anni difficili dell’episcopato del card. A.I. Schuster, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996, p.11-12. Come indicato da Ferrari, in entrambi i testi «Majo sottolinea la continuità nell’episcopato tra guerra e dopoguerra». Cfr. A. Ferrari, Per un bilancio della storiografia schusteriana in Il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Avvio allo studio, Archivio ambrosiano, a. XXXVII (1979), p. 211.
44 Rumi, Il tesoro vitale della nostra verità, cit., p. 834. Biffi ha aggiunto che Schuster venne a Milano «portando e conservando sempre nel cuore il monastero» in Biffi, Figure e vicende della Chiesa ambrosiana, cit., p. 445.
45 Cit. in Rumi e Majo, Il cardinal Schuster e il suo tempo, cit., p. 85.
46 Majo, Gli anni difficili dell’episcopato del card. A.I. Schuster, cit., p. 64.
47 Rumi e Majo, Il cardinal Schuster e il suo tempo, cit., p. 77.
48 Questa omelia scontentò le autorità fasciste che furono ancor più infastidite dalla pubblicazione del testo pronunciato da Schuster su «L’Italia» del giorno seguente. Le autorità chiesero al quotidiano di mutare opinione e di assicurare il suo sostegno alla politica razziale fascista. Schuster allora chiese lumi in Vaticano che rispose affermando «non si può cedere su questo punto, né l’Italia può cambiare indirizzo». Secondo questa ricostruzione proposta da Majo si può concludere che i sentimenti antirazzisti di Schuster trovassero rispondenza in Vaticano; tuttavia le posizioni dell’arcivescovo causarono numerosi problemi al quotidiano che fu costretto a cambiare direttore esautorando Sante Maggi mentre l’opposizione delle autorità crebbe fino ad esplodere durante l’ultima parte dell’occupazione nazista di Milano, nel corso della quale «L’Italia» dovette sospendere le pubblicazioni quotidiane e trasformarsi in settimanale. Cfr. Majo, Storia della Chiesa ambrosiana, cit., p. 58.
49 Cit. in Majo, Gli anni difficili dell’episcopato del card. A.I. Schuster, cit., p. 23.
50 Nei confronti del comunismo, Schuster cercò di separare gli obiettivi comunisti, ritenuti dall’arcivescovo già presenti nella dottrina cristiana, dai metodi, considerati appunto diabolici perché miranti a sradicare la presenza cattolica. Leccisotti, infatti, scrive che, visitando cinque comunisti condannati a morte e detenuti nel carcere di san Vittore, Schuster disse loro «anch’io sono un po’ comunista. Sono monaco, cresciuto nel monastero, dove tutto è comune. Ma questo è il vero comunismo». Cfr. Leccisotti, Il cardinale Schuster, 2, cit., p.188. Questa frase lascerebbe quindi intendere che, secondo il cardinale ambrosiano, il vero comunismo era l’essenza del cristianesimo e del monachesimo. La concezione politica dell’arcivescovo fu inoltre profondamente legata ad interessi e concezioni religiose perché, come ha scritto Migliori, Schuster «fu sempre e solamente il Vescovo. Che si occupa di fatti politici quando questi toccano l’Altare». Cfr. Majo, Storia della Chiesa ambrosiana, cit., p. 66.
51 Cit. in Majo, Gli anni difficili dell’episcopato del card. A.I. Schuster, cit., p. 23.
52 «Rivista diocesana milanese», a. XXXVI (1947), p. 207 cit. in Leccisotti, Il cardinale Schuster, 2, cit., p. 180.
53 Cit. in Ibidem, p. 185.
54 Ibidem.
55 «Rivista diocesana milanese», a. XLI (1952), p. 298 cit. in Ibidem, p. 187.
56 Rumi, Il tesoro vitale della nostra verità, cit., p. 836.
57 Cfr. I. Belski Lagazzi, Il card. Schuster, Paoline, Modena, 1965, p. 270. L’autrice aggiunge che la felicità di Schuster derivava anche dal fatto che la vittoria della Dc sanciva che «la Magna Charta costitutiva della democrazia è il Vangelo».
58 «Rivista diocesana milanese», a. XLIII (1954), p. 23-24, cit. in Leccisotti, Il cardinale Schuster, 2, cit., p. 196.
59 Rumi e Majo, Il cardinal Schuster e il suo tempo, cit., p. 116.
60 Ibidem.
61 Già poco dopo l’8 settembre 1943, un gruppo di preti e laici coordinato da monsignor Giuseppe Bicchierai iniziò ad operare svolgendo attività in favore di deportati, carcerati ed Ebrei. Dopo la liberazione, il gruppo curò il rimpatrio dei reduci e la raccolta di informazioni sui dispersi e i caduti. Il 16 dicembre 1948, il nucleo creò la Charitas ambrosiana che si sviluppò molto negli anni Cinquanta e Sessanta con una vasta gamma di attività come la gestione di un posto di ristoro in stazione centrale, la distribuzione di pacchi dono alle famiglie bisognose e il coordinamento di colonie marine e montane. Per approfondire l’azione della Charitas ambrosiana cfr. A. Majo, Carità e assistenza nella Chiesa ambrosiana, NED, Milano, 1986, p. 73-86 mentre per una biografia di monsignor Bicchierai cfr. A. Belloni Sonzogni, Giuseppe Bicchierai. Sacerdote e manager a Milano (1898-1987), Franco Angeli, Milano, 1999.
62 Majo, Storia della Chiesa ambrosiana, cit., p. 77. Per approfondire l’azione caritativa di Schuster cfr. il capitolo V di ibidem, p. 71-82.
63 Con l’ingresso in diocesi di Montini, a don Gnocchi fu affidato l’incarico di progettare un piano di assistenza per i bambini italiani affetti da poliomielite, ma don Gnocchi morì prima di poter vedere l’apertura del centro nazionale per bimbi poliomielitici inaugurato a Milano nel 1960, mentre la sua eredità fu raccolta da mons. Emiliano Gilardi e poi da mons. Ernesto Pisoni. Per approfondire la vita di don Gnocchi cfr. il recente L. Bove, Don Carlo Gnocchi, Paoline, Milano, 2009.
64 Per approfondire la vita di don Monza cfr. E. Apeciti, Dare la vita: biografia del beato don Luigi Monza, Centro Ambrosiano, Milano, 2006.
65 Per una biografia di don Martignoni cfr. V. Di Mauro, Carità a tempo pieno: vita di don Abramo Martignoni, Vita e Pensiero, Milano, 1986.
66 Per qualche notazione biografica su don Bussa cfr. A. Losi, Don Eugenio Bussa: una vita per il sacerdozio, ADEB, Milano, 2002.
67 Majo, Storia della Chiesa ambrosiana, cit., p. 83. Per approfondire l’attenzione di Schuster per le istituzioni formative e culturali cfr. il capitolo VI in ibidem, p. 83-95.
Francesco Ferrari, Il laboratorio del Concilio: Chiesa e industria nella Milano del “miracolo economico”, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2016

La risposta di Hitler a questa severissima enciclica sarà altrettanto dura: il Führer ordinò che le copie del testo, che era stato letto in tutte le chiese cattoliche, venissero interamente sequestrate. Aumentarono le persecuzioni nei confronti dei cattolici e si inscenarono dei processi farsa contro numerosi religiosi. Molte associazioni cattoliche vennero chiuse e centinaia di religiosi gettati in prigione. Ma ciò non fermò le proteste né del Papa né degli arcivescovi come Alfredo Ildefonso Schuster, che nel novembre 1938 ribadì dal Duomo di Milano la condanna assoluta per il razzismo nazista: «È nata all'estero e serpeggia un po' dovunque una specie di eresia, che non solamente attenta alle fondamenta soprannaturali della cattolica Chiesa, ma materializza nel sangue umano i concetti spirituali di individuo, di Nazione e di Patria, rinnega all'umanità ogni altro valore spirituale, e costituisce così un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo. È il cosiddetto razzismo» <335.
335 Giacomo Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Siena, Cantagalli, 2007, p. 359.
Davide Spada Pianezzola, Le ragioni dei Giusti. Azioni, tecniche e motivazioni dei "Giusti" italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, 1941 - 1945, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2013 - 2014

La relazione dell’OSS non si esaurisce, pertanto, nella ricostruzione degli ultimi istanti di vita di Benito Mussolini, sui quali -si deve, sin d’ora, evidenziare- l’agente dell’OSS vi apportava segretamente alcune importanti novità, ma narra gli ultimi quattro tormentati giorni di una Repubblica e del suo Capo.
§ 3. L’incontro in Arcivescovado
Su questo incontro dall’esito tragicamente fallimentare molto si è scritto <18. L’agente dell’OSS ne ha ricostruito prologo, motivazioni, modalità e conclusioni, avvalendosi delle testimonianze di alcuni suoi celebri protagonisti, il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, il generale Raffaele Cadorna, il prefetto Riccardo Lombardi, l’azionista Leo Valiani e redigendo accurati resoconti dei relativi colloqui, quindi puntualmente inseriti nel suo rapporto <19. E‘ noto ed è confermato da tale relazione che il presule, ansioso per la sorte di Milano e di tutta la Lombardia, intessé una fitta rete di rapporti diplomatici con tutte le parti in conflitto, ergendosi a trait d’union tra il CLNAI e, in particolare, il democristiano avv. Achille Marrazza, da un lato, e gli emissari tedeschi, le cui trattative con i servizi segreti alleati fervevano, nonché, almeno dal 22 aprile, con i responsabili fascisti, che pure avevano dato segni di essere propensi a negoziare la resa, dall’altro <20. Invero, già dal dicembre 1944, i dirigenti della RSI, su autorizzazione di Mussolini ovvero anche autonomamente, avevano avviato con alcuni esponenti del CLNAI una stagione di trattative [...]
[NOTE]
18 Si confrontino e multis R. Cadorna, La riscossa cit.; R. Graziani, Una vita per l’Italia cit.; R. Lombardi, Primo e ultimo incontro con Mussolini, in «Italia Libera», 28 maggio 1945; A. Marrazza, Il colloquio del CLNAI con Mussolini nell’arcivescovado di Milano, in AA.VV., La Resistenza in Lombardia cit. (in polemica con quello che definisce il “libro bianco” del cardinale Schuster, accusato di aver alterato i fatti con particolare riferimento al tema della transigibilità della “resa incondizionata” da parte del CLNAI.); A. I., Schuster, Gli ultimi tempi di un regime, Daverio, Milano 1960; L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma cit.; M. Viganò, Mussolini e i colloqui di piazza san Sepolcro in «Nuova Antologia», gennaio-marzo 1999.
19 I relativi resoconti sono riportati in versione tradotta, in appendice al saggio di M. Sapio, Gli ultimi giorni di Mussolini tra storia e verità cit., pp. 70 e ss.
20 Il cardinale Schuster nel febbraio del 1945 scrisse una lettera a Mussolini nella quale lo supplicava di evitare la distruzione di Milano e della Lombardia che era di grande importanza per l’economia italiana e lo invitava a cessare le ostilità, offrendogli i suoi servigi per una trattativa di resa con gli Alleati. Dopo dieci giorni di silenzio, il presule fu contattato da Vittorio Mussolini il quale dichiarò che il Duce, suo padre, era determinato a difendere la Lombardia con tutte le sue forze e avrebbe portato a termine questi piani trattandosi di una misura disperata, salvo che gli Alleati avessero voluto venire incontro a certe condizioni che includevano la garanzia della salvezza per l’esercito neofascista e delle altre formazioni militari, la personale salvezza dei suoi ministri e delle loro famiglie e la garanzia per la sua vita e quella della sua famiglia. Il 13 marzo, Vittorio Mussolini ritornò dal cardinale con una lettera che contemplava le condizioni di resa offerte dal padre, condizioni che il cardinale inoltrò attraverso la Nunziatura Papale di Berna, alla Santa Sede e quindi agli Alleati, che, però, dichiararono di rifiutare ogni negoziato e di esigere la resa incondizionata. La corrispondenza tra l’Arcivescovado di Milano e le Autorità alleate, da un lato, e i rappresentanti della RSI nonché i dirigenti nazisti, dall’altro, è riportata in I. Schuster, Gli ultimi tempi di un regime cit., pp. 90 e ss. Schuster riferì a Mocarski di non aver comunicato la notizia a Mussolini, poiché temeva la sua reazione furibonda che lo avrebbe reso 'più determinato di quanto già non fosse nella difesa della Lombardia con il risultato della distruzione di questa importante provincia italiana'. La relazione dell’OSS conferma, dunque, che erano in corso trattative anche da parte dei dirigenti fascisti e, in particolare, informa di un tranello escogitato da un elemento dello staff di Mussolini, allo scopo di indurlo a entrare in diretto contatto col Cardinale nella speranza che quest’ultimo lo persuadesse ad arrendersi agli Alleati: il 23 aprile, infatti, qualcuno -ma il Mocarski non precisa chi- disse a Mussolini che il cardinale voleva vederlo. I successivi eventi sia a Milano sia a Como avrebbero provato, infatti, che 'i ministri di Mussolini tentarono disperatamente di provocare un qualche tipo di resa preordinata al fine di far salva la vita del Duce e la loro. Il cardinale non aveva inviato alcun messaggio a Mussolini […] ma, ciononostante il duce rispose che sarebbe stato lieto di vederlo […] Due giorni dopo, un intermediario, (che secondo ciò che Cadorna riferì si trattava di un tale Cella), si recò dal Cardinale di primo mattino con la dichiarazione che Mussolini lo avrebbe incontrato alle 15,00 di quel pomeriggio perché, disse l’intermediario, egli voleva firmare una resa incondizionata'. Schuster fu naturalmente d’accordo a prestare i suoi uffici a tale scopo e subito ne informò il generale Raffaele Cadorna. V. Lada Mocarski, Last days of Mussolini and his Ministers cit., Meeting between Mussolini and CLNAI on April 25 1945 held at Cardinal Schuster’s Palace in Milan.

Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012