giovedì 28 luglio 2022

Ciò che emergeva dalla politica della Unes era la scelta di rifornire di elettricità zone scarsamente industrializzate


In rapporti molto stretti con la Sme, la Unes, Unione Esercizi Elettrici, riuscì in breve tempo a formare un monopolio anomalo rispetto alle altre holding elettriche del Paese. Infatti, la Unes non basò il proprio ramo produttivo sull’utenza di un’unica zona in continuità territoriale, ma forniva elettricità in aree geografiche a volte confinanti, a volte lontane anche centinaia di chilometri l’una dall’altra. Come rilevato dai documenti a disposizione, la Unes, nata l’11 febbraio 1905 dalla volontà di alcuni tecnici preparati dai corsi dei politecnici di Milano e Torino, distribuiva elettricità soprattutto nella zona dell’Adriatico centrale, tra l’alta Puglia, l’Abruzzo, le Marche, parte del Lazio orientale e del nord-est della Campania, e riuscì anche a ritagliarsi una piccola fetta di mercato in alcuni comuni della Toscana <163 e della Liguria. Ciò che emergeva dalla politica della Unes era la scelta di rifornire di elettricità zone scarsamente industrializzate, dedicandosi soprattutto ai piccoli consumi domestici e poco più. Con tutta probabilità l’Unione scelse quelle zone poiché credeva in un loro potenziale sviluppo, oppure perché il mercato elettrico dei monopoli regionali aveva già occupato i territori che avevano bisogno di energia per fini industriali. Un’ulteriore influenza fu esercitata sulla società quando entrò nell’orbita Comit, la quale probabilmente fu la vera artefice di alcune scelte aziendali. Tuttavia, però, la Unes salì tardi alla ribalta del grande mercato elettrico, quando i grandi gruppi avevano già fatto incetta di concessioni nelle loro zone di competenza, ammazzando un’ipotetica concorrenza.
[...] Con la guida superiore dei Pirelli e degli Orlando, e con la supervisione del Credit, il gruppo La Centrale riuscì ad incrementare le proprie attività produttive e finanziarie per tutti gli anni Venti, sia nel ramo elettrico che telefonico. Prima dell’inizio degli anni Trenta il gruppo era proprietario di importanti pacchetti azionari attraverso la stessa gestione delle due grandi società componenti, la SELT-Valdarno e la SRE, che a loro volta controllavano una miriade di piccole distributrici: la Mineraria, la Littoranea, la Forze Idrauliche A. C., la Maremmana, la Laziale, la Tiberina, la Mediterranea, la Lazio-Sabina, ecc., con un volume di affari di centinaia di milioni di lire. Così, il ramo elettrico si estendeva per un territorio comprendente tutta la Toscana e la maggior parte del Lazio, fino a Formia, mentre il ramo telefonico, grazie alla TETI, si prolungava verso la Liguria e la Sardegna: da San Remo a Fondi, da Terranova a Cagliari <195.
[...] La Storia della Unione Esercizi Elettrici è singolare nel suo genere, perché questa società, sorta a Milano nel 1905 con l’operato di Emilio De Benedetti, assunse subito grande rilievo nel panorama elettrico italiano. Tuttavia la storiografia ha ignorato la ricostruzione di questo importante gruppo, forse perché venne incorporato nella Sme e si spense la sua funzione di monopolio elettrico, forse perché la Unes, dopo la nazionalizzazione del settore elettrico, non riconvertì le sue attività in altri campi, ma venne assorbita dalla Italsider, cessando di fatto la sua esistenza <428. In circa vent’anni la Unes riuscì a ritagliarsi un posto di spicco tra le aziende elettriche italiane, con il sostegno della Banca Commerciale e infiltrandosi in un contratto fornitura tra la Sme e l’Ilva <429: l’Unes poteva sfruttare i piccoli corsi d’acqua non interessanti per la Sme e doveva acquistare dalla Meridionale l’energia elettrica necessaria per poter attivare un’espansione territoriale del suo servizio, soprattutto in Abruzzo <430.
Così, dagli anni venti, con impianti e contratti di fornitura energetica, l’Unes serviva una zona a scarsa vocazione industriale, e legata per di più ad attività agricole; ma, accanto al nucleo centrale di fornitura dell’azienda, la Unes riuscì a strappare piccole fette di mercato ai grandi monopoli elettrici regionali nel nord Italia. In sintesi la Unione serviva: la zona Marche-Umbria-Abruzzo <431, la Val di Susa, la Val Tanaro e Bormida (province di Cuneo, con delle diramazioni in Liguria fino alla riviera di Ponente), zona Lago Maggiore (Val d’Ossola), parte della Toscana (Versilia, parte della provincia di Siena e Grosseto), zona di La Spezia e riviera di Ponente <432.
Nonostante questa dispersione di servizio, gli investimenti della società per il sistema dell’Italia centrale erano il quadruplo rispetto agli altri messi insieme.
[NOTE]
163 ASEN, sez. Firenze, accordi Selt-Unes, Scaff. FI K13/A, carte non inventariate. Nei resoconti degli accordi tra la Selt e la Unes emerge che la zona di influenza di quest’ultima era racchiusa nell’odierna zona di Massa, tra il Monte Altissimo e Migliarino, e comprendeva centri importanti come Viareggio e Pietrasanta.
195 La Centrale. Società per il finanziamento di imprese elettriche, a cura di, Fontana, Milano, 1933. Questa fonte bibliografica è di indiscusso valore per intendere le potenzialità del gruppo La Centrale a solo otto anni dalla sua fondazione. Questa holding risultava tra le più solide negli anni Venti, e riuscì a resistere alla grave crisi bancaria scaturita dal crollo di Wall Street, nonostante il suo volume di affari fosse colpito inesorabilmente, essendo il gruppo interno alle dinamiche finanziarie delle banche miste.
428 Sulla Unes non sono stati pubblicati lavori di sintesi che possano dare una degna ricostruzione della storia di questo importante polo elettrico per l’Italia centrale e meridionale. Tuttavia, si può far riferimento a una tesi di laurea di A. Fanucci, Storia di una grande impresa elettrica dimenticata. La Unione Esercizi Elettrici dalle origini alla seconda guerra mondiale, Tesi di laurea in economia, relatore Luciano Segreto, Università degli Studi di Ancona, a.a. 1991-1992.
429 Cfr. G. Bruno, Capitale straniero e industria elettrica nell’Italia meridionale, in «Studi storici», n.4, 1987, pp. 943-984.
430 Accordo del 1917 tra Sme e Ilva; sul caso, cfr. V. Ferrandino, M.R. Napolitano, a cura di, Storia d’impresa e imprese storiche. Una visione diacronica, Franco Angeli, Milano, 2014.
431 Che rappresentava la zona principale di fornitura della società.
432 ASIRI, rossa, sistemazione Unes, 16/2/1934, busta STO/519.
Gerardo Cringoli, L’integrazione competitiva. L’industria elettrica italiana prima della nazionalizzazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2017

L’industria elettrica, superata la fase sperimentale, si inserì nello sviluppo industriale nazionale dell’inizio del secolo, fornendo energia alle nascenti industrie meccaniche, chimiche e del cemento. Tra gli elementi di primaria importanza figura quello tecnico-manageriale: le prime applicazioni dell’elettricità risalgono agli inizi del 1880, perciò già all’inizio del Novecento si erano formate competenze tecnico-scientifiche, grazie all’attivazione dei corsi universitari d’ingegneria industriale ed elettrotecnica. Proprio dai politecnici di Milano e Torino uscirono alcuni giovani ingegneri che abbinando competenza scientifica e capacità imprenditoriali, fondarono nel 1905 la Unes. In questo genere di attività quelle virtù non erano, però, condizioni sufficienti, a causa dell’enorme costo degli impianti, specie quelli idroelettrici, i quali necessitavano di colossali opere di sbarramento, di condotte forzate e dell’acquisto di macchinari in continua evoluzione (quasi sempre di provenienza estera). Se la stessa società intendeva anche distribuire l’energia prodotta, ai costi di produzione, si sommavano quelli necessari per la palificazione delle linee, per la costruzione di cabine di trasformazione e smistamento e per la manutenzione ed assistenza agli utenti. Per fronteggiare questa ingente necessità di capitali gli industriali elettrici dovettero far ricorso, spesso fin dalla nascita, a potenti finanziarie straniere, prevalentemente tedesche e svizzere, a causa della scarsa accumulazione realizzata fino ad allora dal nostro sistema capitalistico. Poiché quelle holding erano quasi sempre emanazione di industrie elettromeccaniche, all’attività creditizia abbinarono la vendita di macchinari delle proprie case madri.
Tra le grandi banche “miste” Italiane che per prime investirono copiosamente nel settore elettrico spiccano, anzitutto, la Banca Commerciale Italiana e, in misura minore, il Credito Italiano e la Banca Italiana di Sconto. Per quanto concerne le altre banche, esse non avevano ancora quella larghezza di capitali necessaria per entrare direttamente in un settore tanto impegnativo. La guerra fece la fortuna dei grossi gruppi finanziari ed industriali nazionali che, grazie alle commesse belliche, poterono incrementare le loro disponibilità. Parallelamente crebbe l’influenza che poterono esercitare nei consigli di amministrazione delle società in cui amministratori e consiglieri, di origine o di nazionalità tedesca furono costretti a dimettersi.
Per quanto concerne la UNES, essa trovò conveniente allearsi alla Banca Commerciale per poter realizzare compiutamente le proprie strategie, volte all’integrazione verticale del processo produttivo resa necessaria dalla rigidità del sistema che contemplava una preponderanza assoluta dei costi fissi su quelli variabili. Inoltre il tipo di mercato instauratosi era oligopolistico: pertanto le più grandi imprese, e la UNES era tra queste, si erano ritagliate delle aree geografiche d’influenza, inglobando, man mano, le piccole centrali e facendo incetta di concessioni nelle rispettive zone d’influenza anticipando così i potenziali concorrenti. In tal modo le barriere all’entrata non erano soltanto dovute alle economie di scala (e conseguentemente alle tariffe più basse), bensì anche e soprattutto al gran numero di utenti collegati alla rete distributiva in maniera quasi indissolubile.
Aleandro Fanucci, Storia di una grande impresa elettrica dimenticata. La Unione Esercizi Elettrici dalle origini alla seconda guerra mondiale, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Ancona, Anno Accademico 1991-92