martedì 30 novembre 2021

Mussolini e i suoi gerarchi non si aspettavano di avere la guerra in casa propria


[...] invadere la Sicilia incominciando dalle aree meridionali e quindi le più lontane dallo stretto di Messina diede tutto il vantaggio ai difensori dell’isola, cioè ai tedeschi che riuscirono a tenere aperto e sotto il loro controllo lo Stretto di Messina fino a l’ultimo e quindi la viabilità tra l’isola e il continente <18.
L’invasione, in se stessa, è stata essenzialmente una dimostrazione della capacità industriale degli Alleati ma soprattutto dell’America. Il generale tedesco von Senger, che si trovava nei pressi di Licata e potè quindi osservare le operazioni di sbarco, rimase stupefatto della grandiosità di quelle operazioni e a proposito scrisse: "Per capire la portata di questa superiorità dell’avversario che attacca dal mare bisogna averla vista con i propri occhi. Personalmente ebbi modo, il giorno 12 luglio 1943, mentre mi trovavo sulla costa, a pochi chilometri più ad est, di osservare lo spettacolo goduto dal Generale Eisenhower, per cui posso fare mie le parole allora pronunziate dal comandante americano “...Devo dire che la vista di centinaia di navi, con mezzi da sbarco ovunque, che operavano lungo la costa di Licata verso est, era uno spettacolo indimenticabile...” Indimenticabile lo fu anche per me, ma con sentimenti ben diversi da quelli che animarono Eisenhower!" <19
Malgrado questa enorme superiorità tecnica, terrestre-aereo-navale degli Alleati, l’egocentrismo dei due comandanti, Montgomery e Patton e, pertanto, la mancanza di cooperazione tra le due armate, venne riportato ad Eisenhower, comandante generale delle operazioni nel Mediterraneo, che “furono commessi diversi errori tattici” <20.
Infatti, gli Alleati con due armate e l’enorme superiorità navale e aerea non riuscirono a sbarrare lo Stretto di Messina e a impedire ai tedeschi di ritirarsi ordinatamente, portando sul continente le loro divisioni bene equipaggiate. Il generale tedesco Hans Hube, con sole due divisioni e con l’aiuto saltuario di alcune unità italiane, riuscì a evitare che le due armate Alleate facessero una carneficina delle sue truppe. Hube ritirò le sue truppe dalla Sicilia a tappe misurate e controllate, parte della sua strategia di abbandonare l’isola quando aveva deciso lui. Dal punto di vista militare, la battaglia per la Sicilia è stata essenzialmente vista, dagli esperti, come una vittoria tedesca, “poichè - scrisse von Bonin - durante l’evacuazione non ci furono difficoltà degne di essere menzionate [...] il tempo a nostra disposizione fu completamente sufficiente per traghettare, secondo il piano stabilito, sia l’ultimo uomo che l’ultimo automezzo” <21.
Scrive, a proposito, Ken Ford, “le due divisioni motorizzate panzergrenadier si impossessarono dei veicoli abbandonati dagli italiani e li riportarono sul continente carichi di truppa, rimpiazzando i veicoli mancanti e quelli persi in battaglia. Alla fine della campagna siciliana le due divisioni tedesche erano meglio motorizzate che all’inizio della campagna” <22 e dettero, poi, filo da torcere alle truppe Alleate sia a Salerno che nelle battaglie successive.
Per quanto riguarda l’evacuazione delle truppe italiane la situazione era molto diversa. L’ammiraglio Pietro Barone precisa che “Le operazioni di imbarco si svolsero in condizioni difficilissime per l’indisciplina e il disordine che regnava fra le truppe stesse a causa del completo disinteressamento degli ufficiali addetti ai reparti che non avevano altra palese preoccupazione che quella di imbarcarsi per primi insieme alle loro robe non curandosi dei loro uomini” <23.
È da notare anche che le unità italiane che nel 1943 avevano il compito della difesa costiera delle isole e dell’Italia continentale erano male equipaggiate e dotate di armi scadenti dato che il meglio dell’esercito italiano era stato impiegato e distrutto in Africa, in Russia, in Grecia, in Albania e in Jugoslavia. Nei paesi occupati dall’Asse, erano ancora impegnate altre 38 divisioni italiane: 31 nei paesi balcani, cinque in Francia e due in Corsica* (*Il P.M. Britannicco parla di 35 divisioni italiane mentre in realtà erano 38 le divisioni impegante fuori dal territorio continentale e delle isole).
Per la difesa della Sicilia, della Sardegna e dell’Italia continentale c’erano soltanto 15 divisioni non tutte di prim’ordine, sette nel territorio continentale, quattro in Sardegna e quattro in Sicilia.
I resoconti degli Alleati, ignorando l'ingarbugliata situazione politica, militare ed economica italiana di quei mesi, sottolinearono il mancato impegno dei soldati italiani nel difendere il territorio nazionale. In un rapporto dei Servizi Informazione degli Alleati, il più comprensivo, forse, della situazione italiana, si legge: “Una chiara stanchezza verso la guerra ed un sentimento di sfiducia circa la situazione dell’Italia sono stati tuttavia i fattori ovviamente più potenti ad influenzare e a permeare in profondità l’Esercito da campagna, con il risultato che un senso di inferiorità ha distrutto il suo ardore e il suo morale” <24.
In realtà, Mussolini e i suoi gerarchi non si aspettavano di avere la guerra in casa propria. Infatti, le quattro divisioni addette alla difesa della Sicilia non avevano avuto affatto esperienza di combattimento; l’unica divisione che aveva avuto un ottimo addestramento era la Livorno perché, originariamente, avrebbe dovuto essere impiegata nell’invasione dell’isola di Malta: operazione sempre rimandata fin quando il conflitto, nell’inverno 1942-1943, prese ovunque (in Africa, in Russia e nel Pacifico) una piega negativa per l’Asse.
La situazione di incertezza e le necessità dei bisogni primari che si vennero a creare nella popolazione siciliana contagiò anche i militari.
“Alcuni reparti costituiti da elementi siciliani si sono disfatti prima dell’urto con l’avversario” e perfino un intero battaglione della “Milizia” volontaria fascista si arrese, “col comandante in testa”, senza sparare un solo colpo <25.
Riguardo le truppe italiane addette alla difesa del territorio nazionale e delle isole, in un rapporto al Führer del 5 maggio 1943, alla vigilia dello sbarco degli Alleati in Sicilia, von Rintelen tracciava un ritratto realistico dell’esercito e della situazione italiana. Scriveva, infatti, von Rintelen: "Il nerbo dell’esercito italiano è stato distrutto in Grecia, in Africa e in Russia. Ciò che resta è impari agli onerosi compiti di un conflitto di grande impegno, valgono solamente come debole sostegno di un forte alleato. Il grande punto interrogativo sarà la reazione dell’esercito all’invasione della Madrepatria, il risultato dei primi giorni di combattimento avrà un’importanza decisiva. Va detto insomma che l’esercito italiano non è da solo in condizione di arginare con successo un attacco poderoso contro il suo territorio metropolitano. Ciò si può ottenere con un forte aiuto tedesco e con riserve mobili e centrali" <26.
Infatti, in difesa delle coste siciliane c’erano 36 uomini per ogni km., una media che era (come ebbe a dire il generale Roatta, comandante di tutte le FF.AA. della Sicilia) “probabilmente inferiore perfino a quella dei metropolitani nelle vie centrali di Roma”. E aggiunse che le forze costiere “erano fisse, non avevano mezzi di trasporto eccetto per le biciclette e di qualche carretta o autocarro per la corvée”. Roatta concluse dicendo che questi reparti non avevano alcuna capacità di controffensiva: potevano solo resistere sulle loro posizioni, però, senza reagire al tiro navale dell’avversario o alle offese aeree <27.
Inoltre, nella battaglia per la difesa della Sicilia, è da notare la singolare e quasi totale mancata partecipazione della Marina italiana. Il 3 agosto, il Comando Supremo spronò Supermarina a dare il proprio contributo alla battaglia in corso in Sicilia. “Non est più ammissibile - scriveva il Comando Supremo - che attività navale nemica nel basso Tirreno e nello Jonio si svolga ininterrottamente senza contrasto da parte nostra” <28. Ed esplicitamente chiedeva un intervento della Regia Marina, che alla data del 1 agosto aveva a disposizione una nutrita flotta di 293 unità: 124 pronte ed efficienti e una scorta di 58.000 tonnelate di nafta <29.
Spinta, forse, da questa richiesta, Supermarina mise alcune unità in movimento. Ordinò alla 7a divisione, cioè, agli incrociatori Eugenio di Savoia e Montecuccoli, di bombardare il porto di Palermo, lo scalo maggiore per i rifornimenti dell’Armata americana. Durante la missione, i due incrociatori “avvistarono” presso Ustica una nave cisterna scortata da caccia e sommergibili americani SC-503. Scambiando tali unità per motosiluranti nemiche in agguato, l’Ammiraglio Oliva interruppe la missione e rientrò alla base.
Supermarina non approvò il comportamento dell’Ammiraglio e, considerando non veri gli avvistamenti delle motosiluranti <30, ordinò la stessa missione, bombardare il porto di Palermo, alla 8a divisione formata dagli incrociatori Garibaldi e Duca d’Aosta, al comando dall’Ammiraglio Fioravanzo. [...] l’8 [agosto 1943] le navi italiane in missione ricevettero alle ore 01:45 il messaggio di un ricognitore tedesco che segnalava tre grosse unità a metà strada tra Palermo e Ustica. Questo avvistamento e la contemporanea diminuzione della visibilità, a causa della crescente foschia, indussero l’ammiraglio Fioravanzo, sprovvisto di radar, a fare invertire la rotta alla sua divisione, alle ore 04.00.
Supermarina non gradì questo provvedimento e comunicò agli incrociatori, se non avessero ancora invertito la rotta, di proseguire verso la missione essendo le unità nemiche avvistate ‘presumibilmente piroscafi’ <31.
Come provano queste ed altre timide operazioni, la Regia Marina nella battaglia per la Sicilia e in generale nel Mediterraneo, detto dal regime “mare nostrum”, non dimostrò molta voglia di affrontare il nemico.
A questo atteggiamento della Marina italiana ebbero un ruolo importante i servizi segreti britannici che con l’ULTRA, una sezione dello spionaggio britannico, erano riusciti a decodificare i messagi del comando supremo della Marina italiana e, quindi, aspettavano al varco i convogli o le navi italiane lungo la rotta mediterranea. I servizi inglesi, per non far capire al nemico che erano capaci di decodificare i messagi segreti della Marina italiana, attaccarono perfino navi italiane che avevano a bordo prigionieri britannici. Solo quando, le navi italiane dovevano, per ragioni eccezionali, cambiare la rotta indicata dal Comando supremo riuscivano a evitare l’attacco nemico <32.
In aggiunta al sofisticato sistema ULTRA, i servizi segreti britannici ebbero l’involontario aiuto “dalla leggerezza con cui gli italiani, e spesso anche i tedeschi, presero in considerazioni le norme di sicurezza; ciò che comunque non va imputato soltanto agli operatori radio” <33. Accadde infatti sovente che “gli inglesi poterono impadronirsi agevolmente di importanti documenti situati in sedi operative o addirittura su navi catturate e che i rispettivi comandi italiani non avevano provveduto a distruggere prima della resa o della ritirata” <34.
Per deficienza del controspionaggio italiano, la Marina italiana non ebbe un ruolo significativo nella lotta per la Sicilia. Infatti, il Gen. Quercia, parlando al Centro Alti Studi Militari, attribuì “all’insufficente collaborazione della Marina e anche della Aeronautica la brevità della resistenza vera e propria in Sicilia. Gli altri fattori sarebbero stati, sempre secondo il Quercia, l’alto e imprevedibile numero di sbandati, l’incapacità di sfruttare convenientemente il terreno per azioni di contenimento e la sfavorevole evoluzione degli avvenimenti politici” <35: qui, probabilmente, si riferisce all’arresto di Mussolini.
Pertanto la battaglia per la Sicilia si svolse tutta sul territorio con sporadiche partecipazioni dell’aviazione italiana e tedesca in assoluta minoranza rispetto a quella degli invasori. Molti aerei italiani furono distrutti o resi inoperosi mentre erano a terra durante i massicci e quasi continui bombardamenti degli aeroporti della Sicilia e dell’Italia meridionale, fin dove arrivava l’autonomia degli aerei delle forze Alleate. Per l’enorme numero di velivoli di ogni tipo che gli anglo-americani avevano a disposizione, il cielo era dominato dalla preponderante aviazione inglese e, soprattutto, statunitense. E non c’è dubbio che, come scrive Alberto Santoni, “l’avvilente soggezione ad un incontrastato e impunito predominio aeronavale nemico” abbia determinato nei reparti italiani un senso di impotenza e di inutile carneficina <36.
[NOTE]
18 M. Blumenson (in Sicily: Whose Victory? cit.) sostiene che la campagna in Sicilia era stata mal concepita dagli alti comandi Britannici.
19 F. M. Senger, and Etterlin: Combattere senza paura e senza speranza, op. cit., p. 251.
20 E. Costanzo, The Mafia and the Allies. Sicily 1943 and the return of the Mafia, New York: Enigma books, 2007, p. 2.
21 Carlo D’Este, Bitter Victory: The Battle for Sicily 1943, London: Collins, 1988, p. 516.
22 K. Ford, Assault on Sicily. Monty and Patton at War, cit., p. 247.
23 E. Verzera, Messina ’43, Messina: Edizioni G.B.M., 1976, p. 21.
24 U.S. Army in World War II: Sicily and the surrender of Italy, cit., p.
270. Un’analisi anglo-americana degli insediamenti strettamente militari della campagna siciliana si trova in P.R.O., fondo WO 204, cartella 445: Sicilian operation: Commander in Chief draft dispatches cartella 465: Sicilian campaign: comments and concurrences. I veri e propri rapporti operativi sulle varie fasi dell’operazione HUSKY dal 6 luglio al 22 agosto 1943, compresi quindi anche gli antefatti e le conseguenze, sono invece conservati nel fondo WO 204, cartella 4359: “HUSKY” orders e cartella 4321: Operation ‘Hushy’: situation reports.
25 A. Santoni, Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio-settembre 1943), Stato Maggiore dell’Esercito, 2004, p. 404.
26 S. Attanasio, Sicilia senza Italia, luglio-agosto 1943, Milano: Mursia, 1976, p. 47.
27 Idem, p. 48.
28 A.U.S.E.[Archivio Ufficio Storico Esercito], cartella 1504/B: ‘Diario Storico del Comando Supremo’ teleg. del Comando Supremo n. 42183/op delle ore 18.05 del 3 agosto 1943 indirizzato a Supermarina.
29 A.U.S.E., cartella 1504/B: ‘Diario Storico del Comando Supremo’, giorno 1 agosto 1943/ La disponibilità di 58,100 tonnellate di nafta da parte della R. Marina alla data dell’8 settembre 1943 risulta da Ufficio Storico Marina: La Marina italiana nella seconda guerra mondiale, Vol. 1: Dati statistici, 2a edizione, Roma: 1972, p. 277. A titolo comparativo si ricorda che una corazzata faceva allora “il pieno” con un massimo di 4.000 tonnellate di nafta, un incrociatore con circa 1.500 tonnellate e un cacciatorpediniere con 500 tonnellate.
Tipo di unità in carico pronte
Corazzate 7 3
Incrociatori 13 6
Cacciatorpediniere ed esploratori 33 12
Cacciatorpediniere ex francesi 6 0
Torpediniere e corvette 70 30
Sommergibili 58 26
M.A.S. 48 23
Motosiluranti 35 12
V.A.S. 23 12
______________________ ________ _________
Totale 293 124
Cfr. Alberto Santoni, Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio-agosto 1943), cit., p. 337.
30 Cfr. A. Quercia: Situazione difensiva della Sicilia alla vigilia dello sbarco anglo-americano, Roma: C.A.S.M., 1951-52.
31 Per un ottimo lavoro sul ruolo dello spionaggio Britannico nella guerra del Mediterraneo vedi Alberto Santoni: Il vero traditore: il ruolo documentato di Ultra nella Guerra del Mediterraneo, Milano: Mursia, 1981, p. 244. Incidentalmente si ricorda che proprio nella giornata del 6 agosto gli americani si impadronirono dell’isola di Ustica, catturando un centinaio di uomini di guarnigione e trovando sul posto oltre duecento reclusi tra reclusi comuni e reclusi politici. Crf. Taprel Dorling (alias Taffail): Mediterraneo occidentale 1942-1945, Roma: Ufficio Storico della Marina Militare,1953, pp. 110-111.
32 Idem, vedi Introduzione di Mariano Gabriele, p. 3: “Lo strumento della conoscenza fu usato in modo che in qualche caso perfino a fare attaccare navi che trasportavano prigionieri alleati. Prima di tutto, quindi, ci si preoccupò di difendere il segreto sull’attività di ULTRA nel Mediterraneo, un segreto così prezioso che per mantenerlo potevano essere accettabili sacrifici e rinunce”.
33 Cfr. ad esempio R. Lewin, Ultra Goes to War, Londra, 1978, p. 135.
34 A. Santoni, Il vero traditore, cit., p. 50.
35 A. Quercia, Situazione difensiva della Sicilia alla vigilia dello sbarco anglo-americano, Roma: C.A.S.M., 1951-52, citato da Alberto Santone, Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio-settembre 1943), cit., p. 441, n. 4. 36 A. Santoni, Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio-settembre 1943), cit., p. 403.
The Canadians in Italy (1939-1945), Lt.-Col. G. W. L. Nicholson, Vol. II The Canadians in Italy, 1943-1945, Maps drawn by Major C.C.J. Bond, tradotto da Angelo Principe, Published by Authority of the Minister of National Defence, Edmond Cloutier, C.M.G., O.A., D.S.P., Ottawa, 1956, qui ripreso da Rivista di Studi Italiani, Anno XXXIII, n. 1, Giugno 2015