Fotografia della Facoltà di Architettura di Milano all’alba della prima occupazione, 1963, in Archivio Walter Barbero - Immagine qui ripresa da Florencia Natalia Andreola, Op. cit. infra |
Per inquadrare al meglio le premesse del ciclo delle occupazioni di facoltà dell'anno accademico 1967-'68 è utile descrivere brevemente alcuni di quegli episodi contestativi che hanno introdotto quella forma di protesta nel tessuto universitario italiano.
Per individuare le primissime occupazioni di ateneo in Italia occorre quindi ripercorrere il decennio degli anni sessanta: almeno per quanto riguarda le università di Torino, Milano e Roma è possibile infatti trovare testimonianze in tal senso già a partire dal 1963, salvo poi riscontrare un addensarsi di episodi simili nel biennio 1966-1967, subito a ridosso del ciclo di occupazioni oggetto della mia ricerca.
"All'inizio del 1963 vengono occupate le principali facoltà italiane di Architettura. La prima occupazione è a Milano, seguono le facoltà di Torino e Roma". <94
Il giorno di San Valentino del 1963 viene infatti occupata per la prima volta la sede della facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, con lo scopo di dar rilievo ad alcune richieste studentesche indirizzate alla riorganizzazione di alcuni corsi di studio.
Il documento che aveva avviato l'agitazione auspicava l'apertura di un dialogo tra le componenti universitarie e si faceva promotore di una serie di innovazioni didattiche in grado di rispondere in termini moderni agli interessi generali della categoria degli architetti, e della facoltà in cui questi erano formati.
"Questo documento non vuole essere una sterile presa di posizione. Viene posto piuttosto come un ennesimo tentativo di aprire un colloquio diretto tra noi studenti e i docenti, colloquio di cui noi sentiamo la necessità e speriamo venga accettato con la massima apertura possibile. [...] Sentiamo la necessità che gli insegnamenti fondamentali della nostra facoltà (Composizione, Urbanistica, Arredamento), quelli che maggiormente incidono e determinano la nostra formazione, diventino rispondenti ai nostri bisogni di futuri progettisti, a una progettazione professionale di rinnovamento e di ricerca". <95
Dopo circa tre settimane di occupazione il Consiglio di Facoltà promulga la costituzione di una commissione paritetica con lo scopo di analizzare le rivendicazioni studentesche, sbloccando quindi la situazione e favorendo lo sgombero spontaneo dell'edificio della sede di via Bonardi a Milano <96.
Proprio per i suoi esiti più stringenti questa prima agitazione degli studenti del Politecnico milanese può ben individuare alcuni tra i nodi principali in cui si dipanarono le istanze del ceto studentesco nelle università italiane degli anni sessanta.
L'apertura di commissioni paritetiche e di organi consultivi aperti a rappresentanze studentesche fu infatti un'esperienza che non rimase confinata al polo tecnico lombardo, ma anzi coinvolse a macchia di leopardo diverse sedi universitarie del paese a partire dal 1963 <97, salvo poi estinguersi proprio a ridosso delle più imponenti contestazioni del 1967-'68.
Seppur marginale e scarsamente incisiva sugli equilibri interni degli atenei, la partecipazione studentesca a questi organi rappresentava ancora in quegli anni un traguardo positivo agli occhi degli studenti più politicizzati, attraverso cui estendere progressivamente le istanze di rinnovamento didattico anche alla luce di una democratizzazione - formale se non sostanziale - all'interno degli organi di autogoverno delle diverse università del paese.
Si riteneva che la strada per la riforma della didattica fosse strettamente collegata alla partecipazione diretta degli studenti alla gestione degli atenei <98 stessi, soprattutto nel momento in cuila riforma dell'università messa in cantiere da primi governi di centro-sinistra sarebbe arrivata alla discussione delle Camere solo nell'autunno 1967, praticamente ad un passo dallo scadere della legislatura.
Ma l'istituzione di una delle prime 'commissioni paritetiche' non è l'unico punto che vale la pena di sottolineare in questa sede; quella di Architettura del 1963 fu infatti un'agitazione significativa anche per la solidarietà attiva che fu in grado di suscitare da parte di altri gruppi studenteschi, che generalizzando le rivendicazioni dei milanesi erano scesi in lotta occupando altre sedi universitarie.
Il 1° marzo del 1963 vengono infatti occupate le facoltà di Architettura di Roma e del Politecnico di Torino, in segno di solidarietà con i colleghi lombardi, certamente, ma anche sulla base di analoghi desideri di partecipazione politica e in funzione di similari esigenze di rinnovamento didattico.
Anche a Torino, per esempio, l'agitazione otterrà l'istituzione di una Commissione Generale Permanente, con soli poteri consultivi ma aperta alla partecipazione degli studenti.
Nel 1963 gli studenti, in opposizione al Consiglio di facoltà (Cdf), entrano in agitazione per ottenere l'ingresso di loro rappresentanti in un Comitato paritetico di programmazione degli studi, e il tema di fondo è l'adeguamento della facoltà alle esigenze nuove della società. <99
Eppure queste prime occupazioni del 1963 rivestono particolare interesse storiografico. Prima ancora che per le loro conseguenze politiche contingenti, infatti, per l'introduzione di quella particolare forma di lotta nel 'ventaglio delle opportunità politiche' a disposizione degli studenti universitari italiani, per riprendere un'espressione cara alla sociologia dei movimenti di Tarrow e Tilly; una formula politica, quella delle occupazionidelle facoltà, che investe direttamente alcuni nodi centrali più grave crisi oggetto della mia indagine.
"Il Sessantotto italiano non nasce dal nulla. L'emergere fra gli studenti universitari di individui, raggruppamenti e correnti particolarmente radicali, e polemici nei confronti della vita politica istituzionalizzata, data in realtà dal 1962 circa. Per qualche anno - fino al 1967, come vedremo meglio più avanti - queste tendenze riescono tuttavia a muoversi all'interno delle associazioni e degli organismo trappresentativi, in un dialogo talvolta teso ma sempre controllato su opportunità, modi e tempi di una riforma profonda dei meccanismi della vita pubblica universitaria. [...] Le occupazioni delle facoltà di architettura del 1963 rappresentano da questo punto di vista il primo campanello di allarme. A spingere gli studenti di architettura era in origine un'aspirazione "corporativa": il desiderio di riformare l'organizzazione specifica della propria facoltà e dei propri studi. Il dato tecnico acquisiva però ben presto un ampio significato politico, mentre la scelta di occupare la facoltà implicava ovviamente il rifiuto di far passare le proprie rivendicazioni attraverso gli organismi rappresentativi e metteva in crisi l'Unuri". <100
[NOTE]
94 Cit. da G. Crainz, Storia del miracolo economico italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, in L'Italia contemporanea, Donzelli, Roma 2003, p. 209. Naturalmente lo stesso Crainz, al di là della breve citazione inserita nel testo, ha approfondito l'analisi delle occupazioni delle facoltà di architettura del 1963 riprendendo il tema anche nel secondo volume della sua Italia contemporanea (cfr. in particolare G. Crainz, Il paese mancato, in L'Italia cit., pp. 210-212). L'ondata di agitazioni dei giovani architetti italiani del 1963 è evento abbastanza noto, d'altra parte. Su cui però manca ancora una ricostruzione storica puntuale, laddove la maggior parte degli studiosi per il momento si è prevalentemente limitata a menzionare il dibattito che quelle occupazioni avevano alimentato nella pubblicistica contemporanea (e fra tutti uno degli articoli più citati rimane senza dubbio C. Cederna, Perchè 432 universitari hanno occupato la loro facoltà. Il sacco a pelo dell'architetto, «L'Espresso», 3 marzo 1963). Oltre agli spunti inseriti nel testo e soprattutto nelle note che seguiranno, quindi, voglio segnalare un contributo particolarmente prezioso e recente che può senza dubbio contribuire al chiarimento di quello specifico frangente storico. Si tratta del Catalogo a stampa della mostra La rivoluzione culturale. La Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano 1963/1974, tenuta nei locali della stessa facoltà universitaria tra il 23 novembre 2009 e l'8 gennaio del 2010, nell'ambito e con il contributo del Seminario di storia, critica e rappresentazione del progetto. Tale Catalogo infatti, oltre ad entrare nel vivo del dibattito culturale a largo spettro sull'insegnameno dell'Architettura nel corso degli anni sessanta, offre una dettagliata cronologia delle agitazioni nel Politecnico milanese, ricostruita prevalentemente attraverso un'originale indagine documentale effettuata presso L'Archivio generale del Politecnico di Milano. Oltre alla cronaca minuziosa di un corposo numero di episodi il Catalogo riporta, infatti, numerosi stralci di documenti coevi, scelti prevalentemente tra quelli prodotti dagli studenti in agitazione.
95 Si tratta di una lettera firmata individualmente da 72 studenti della facoltà di Architettura di Milano consegnata il 17 gennaio 1963 ai professori del IV anno. Questo testo, per le reazioni e per le adesioni che suscitò, innescò il ciclo di agitazioni che poi diedero vita alla successiva occupazione del 14 febbraio. Una copia originale della lettera è rinvenibile presso l'Archivio Antonio Cassi Ramelli conservato dall'omonima Associazione Cassi Ramelli di Milano (cfr. ivi, fondo Personale, fasc. Corrispondenza professionale e pubblica 1926-1980), ma può essere consultata anche in E. Susani (a cura di), Antonio Cassi Ramelli. L’eclettismo della ragione, Jaca Book, Milano 2005, p. 50. Un ulteriore copia della lettera è stata raccolta in un dattiloscritto curato dal professor Carlo De Carli (cfr. C. De Carli (a cura di), Documenti prima e durante l'occupazione della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano a.a. 1962-'63) e attualmente conservato presso l'Archivio generale del Politecnico di Milano (fondo Occupazione della facoltà di Architettura 1962/63, fasc. Pratica Generale).
96 Cfr. Aldo Castellano, Cultura architettonica milanese e rinnovamento della Facoltà di Architettura tra anni Cinquanta e Sessanta, in Annali di Storia delle Università italiane, V. 12, 2007: "Il 6 marzo 1963 l’occupazione della Facoltà ebbe termine e il rettore autorizzò la nomina di una commissione paritetica tra ordinari, incaricati-assistenti e studenti per lo studio delle dieci rivendicazioni studentesche.".
97 Oltre alle 'sperimentazioni' del Politecnico di Milano, che per'altro continuarono in altre forme anche durante e dopo il Sessantotto, e quelle del Politecnico di Torino, cui si accenna nel seguito del testo, anche Roma vide nel 1963 l'istituzione di una commissione paritetica aperta al contributo degli studenti. Mi riferisco alla facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma, dove per il momento non si erano ancora avuti i primi episodi di occupazione delle aule: "Già nel luglio 1963, il Consiglio dei docenti aveva istituito una propria commissione paritetica per lo studio dei problemi della Facoltà, composta dai professori di ruolo Guido Calogero, Arsenio Frugoni, Alberto Pincherle, Angelo M. Ripellino, Aldo Visalberghi, dai professori incaricati Michele Biscione, Tullio De Mauro, Gabriele Giannantoni, Carmelo La Corte, Vittorio Somenzi, dagli assistenti Mario Burzachechi, Massimo Colesanti, Mino Dazzi, Francesco Sabatini, e - per la prima volta - da alcuni studenti, Guido Bossa, Paolo Mugnai, Petro Roselli, Giorgio Stabile, Vittorio Vidotto.". Cit. da V. Roghi e A. Vittoria, Un “santuario della scienza”: tradizione e rotture nella Facoltà di Lettere e Filosofia dalla Liberazione al 1966, in L. Capo e M. R. Di Simone (a cura di), Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia de “La Sapienza”, Viella, Roma 2000, p. 604.
98 In merito il professor Carlo De Carli, già preside di Architettura nel Politecnico milanese proprio nei caldi anni tra il 1965 e il 1968, ricorda e riporta, in uno dei suoi volumi forse tra i più noti, un breve stralcio di un manifesto stilato dagli occupanti di Architettura il 21 febbraio del 1963, proprio nel corso di un convegno tenutosi presso il circolo culturale Filippo Turati di Milano su I problemi dell'Architettura, cui il professore aveva partecipato di persona. Gli studenti scrivevano già allora come la democratizzazione degli organi accademici fosse senza dubbio "il primo momento per la trasformazione delle nostre Università". Cfr. Carlo De Carli, Architettura. Spazio primario, Hoepli, Milano 1982, p. 235.
99 Cit. da F. Audrito, M.G. Boveri, E. Matassi, D. Terracini e E. Trabucco (a cura di), Lettera dall'assemblea degli studenti di Architettura, in Movimento Studentesco (a cura di), Documenti della rivolta universitaria, Laterza, Bari 1968, p. 91.
100 Cit. da G. Orsina e G. Quagliariello (a cura di), La crisi del sistema cit., pp. XXII-XXIII.
Fabio Papalia, Il Sessantotto italiano nella dinamica delle occupazioni e dei cortei. Un confronto tra i movimenti studenteschi di Torino, Milano e Roma, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno accademico 2010/2011
Per individuare le primissime occupazioni di ateneo in Italia occorre quindi ripercorrere il decennio degli anni sessanta: almeno per quanto riguarda le università di Torino, Milano e Roma è possibile infatti trovare testimonianze in tal senso già a partire dal 1963, salvo poi riscontrare un addensarsi di episodi simili nel biennio 1966-1967, subito a ridosso del ciclo di occupazioni oggetto della mia ricerca.
"All'inizio del 1963 vengono occupate le principali facoltà italiane di Architettura. La prima occupazione è a Milano, seguono le facoltà di Torino e Roma". <94
Il giorno di San Valentino del 1963 viene infatti occupata per la prima volta la sede della facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, con lo scopo di dar rilievo ad alcune richieste studentesche indirizzate alla riorganizzazione di alcuni corsi di studio.
Il documento che aveva avviato l'agitazione auspicava l'apertura di un dialogo tra le componenti universitarie e si faceva promotore di una serie di innovazioni didattiche in grado di rispondere in termini moderni agli interessi generali della categoria degli architetti, e della facoltà in cui questi erano formati.
"Questo documento non vuole essere una sterile presa di posizione. Viene posto piuttosto come un ennesimo tentativo di aprire un colloquio diretto tra noi studenti e i docenti, colloquio di cui noi sentiamo la necessità e speriamo venga accettato con la massima apertura possibile. [...] Sentiamo la necessità che gli insegnamenti fondamentali della nostra facoltà (Composizione, Urbanistica, Arredamento), quelli che maggiormente incidono e determinano la nostra formazione, diventino rispondenti ai nostri bisogni di futuri progettisti, a una progettazione professionale di rinnovamento e di ricerca". <95
Dopo circa tre settimane di occupazione il Consiglio di Facoltà promulga la costituzione di una commissione paritetica con lo scopo di analizzare le rivendicazioni studentesche, sbloccando quindi la situazione e favorendo lo sgombero spontaneo dell'edificio della sede di via Bonardi a Milano <96.
Proprio per i suoi esiti più stringenti questa prima agitazione degli studenti del Politecnico milanese può ben individuare alcuni tra i nodi principali in cui si dipanarono le istanze del ceto studentesco nelle università italiane degli anni sessanta.
L'apertura di commissioni paritetiche e di organi consultivi aperti a rappresentanze studentesche fu infatti un'esperienza che non rimase confinata al polo tecnico lombardo, ma anzi coinvolse a macchia di leopardo diverse sedi universitarie del paese a partire dal 1963 <97, salvo poi estinguersi proprio a ridosso delle più imponenti contestazioni del 1967-'68.
Seppur marginale e scarsamente incisiva sugli equilibri interni degli atenei, la partecipazione studentesca a questi organi rappresentava ancora in quegli anni un traguardo positivo agli occhi degli studenti più politicizzati, attraverso cui estendere progressivamente le istanze di rinnovamento didattico anche alla luce di una democratizzazione - formale se non sostanziale - all'interno degli organi di autogoverno delle diverse università del paese.
Si riteneva che la strada per la riforma della didattica fosse strettamente collegata alla partecipazione diretta degli studenti alla gestione degli atenei <98 stessi, soprattutto nel momento in cuila riforma dell'università messa in cantiere da primi governi di centro-sinistra sarebbe arrivata alla discussione delle Camere solo nell'autunno 1967, praticamente ad un passo dallo scadere della legislatura.
Ma l'istituzione di una delle prime 'commissioni paritetiche' non è l'unico punto che vale la pena di sottolineare in questa sede; quella di Architettura del 1963 fu infatti un'agitazione significativa anche per la solidarietà attiva che fu in grado di suscitare da parte di altri gruppi studenteschi, che generalizzando le rivendicazioni dei milanesi erano scesi in lotta occupando altre sedi universitarie.
Il 1° marzo del 1963 vengono infatti occupate le facoltà di Architettura di Roma e del Politecnico di Torino, in segno di solidarietà con i colleghi lombardi, certamente, ma anche sulla base di analoghi desideri di partecipazione politica e in funzione di similari esigenze di rinnovamento didattico.
Anche a Torino, per esempio, l'agitazione otterrà l'istituzione di una Commissione Generale Permanente, con soli poteri consultivi ma aperta alla partecipazione degli studenti.
Nel 1963 gli studenti, in opposizione al Consiglio di facoltà (Cdf), entrano in agitazione per ottenere l'ingresso di loro rappresentanti in un Comitato paritetico di programmazione degli studi, e il tema di fondo è l'adeguamento della facoltà alle esigenze nuove della società. <99
Eppure queste prime occupazioni del 1963 rivestono particolare interesse storiografico. Prima ancora che per le loro conseguenze politiche contingenti, infatti, per l'introduzione di quella particolare forma di lotta nel 'ventaglio delle opportunità politiche' a disposizione degli studenti universitari italiani, per riprendere un'espressione cara alla sociologia dei movimenti di Tarrow e Tilly; una formula politica, quella delle occupazionidelle facoltà, che investe direttamente alcuni nodi centrali più grave crisi oggetto della mia indagine.
"Il Sessantotto italiano non nasce dal nulla. L'emergere fra gli studenti universitari di individui, raggruppamenti e correnti particolarmente radicali, e polemici nei confronti della vita politica istituzionalizzata, data in realtà dal 1962 circa. Per qualche anno - fino al 1967, come vedremo meglio più avanti - queste tendenze riescono tuttavia a muoversi all'interno delle associazioni e degli organismo trappresentativi, in un dialogo talvolta teso ma sempre controllato su opportunità, modi e tempi di una riforma profonda dei meccanismi della vita pubblica universitaria. [...] Le occupazioni delle facoltà di architettura del 1963 rappresentano da questo punto di vista il primo campanello di allarme. A spingere gli studenti di architettura era in origine un'aspirazione "corporativa": il desiderio di riformare l'organizzazione specifica della propria facoltà e dei propri studi. Il dato tecnico acquisiva però ben presto un ampio significato politico, mentre la scelta di occupare la facoltà implicava ovviamente il rifiuto di far passare le proprie rivendicazioni attraverso gli organismi rappresentativi e metteva in crisi l'Unuri". <100
[NOTE]
94 Cit. da G. Crainz, Storia del miracolo economico italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, in L'Italia contemporanea, Donzelli, Roma 2003, p. 209. Naturalmente lo stesso Crainz, al di là della breve citazione inserita nel testo, ha approfondito l'analisi delle occupazioni delle facoltà di architettura del 1963 riprendendo il tema anche nel secondo volume della sua Italia contemporanea (cfr. in particolare G. Crainz, Il paese mancato, in L'Italia cit., pp. 210-212). L'ondata di agitazioni dei giovani architetti italiani del 1963 è evento abbastanza noto, d'altra parte. Su cui però manca ancora una ricostruzione storica puntuale, laddove la maggior parte degli studiosi per il momento si è prevalentemente limitata a menzionare il dibattito che quelle occupazioni avevano alimentato nella pubblicistica contemporanea (e fra tutti uno degli articoli più citati rimane senza dubbio C. Cederna, Perchè 432 universitari hanno occupato la loro facoltà. Il sacco a pelo dell'architetto, «L'Espresso», 3 marzo 1963). Oltre agli spunti inseriti nel testo e soprattutto nelle note che seguiranno, quindi, voglio segnalare un contributo particolarmente prezioso e recente che può senza dubbio contribuire al chiarimento di quello specifico frangente storico. Si tratta del Catalogo a stampa della mostra La rivoluzione culturale. La Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano 1963/1974, tenuta nei locali della stessa facoltà universitaria tra il 23 novembre 2009 e l'8 gennaio del 2010, nell'ambito e con il contributo del Seminario di storia, critica e rappresentazione del progetto. Tale Catalogo infatti, oltre ad entrare nel vivo del dibattito culturale a largo spettro sull'insegnameno dell'Architettura nel corso degli anni sessanta, offre una dettagliata cronologia delle agitazioni nel Politecnico milanese, ricostruita prevalentemente attraverso un'originale indagine documentale effettuata presso L'Archivio generale del Politecnico di Milano. Oltre alla cronaca minuziosa di un corposo numero di episodi il Catalogo riporta, infatti, numerosi stralci di documenti coevi, scelti prevalentemente tra quelli prodotti dagli studenti in agitazione.
95 Si tratta di una lettera firmata individualmente da 72 studenti della facoltà di Architettura di Milano consegnata il 17 gennaio 1963 ai professori del IV anno. Questo testo, per le reazioni e per le adesioni che suscitò, innescò il ciclo di agitazioni che poi diedero vita alla successiva occupazione del 14 febbraio. Una copia originale della lettera è rinvenibile presso l'Archivio Antonio Cassi Ramelli conservato dall'omonima Associazione Cassi Ramelli di Milano (cfr. ivi, fondo Personale, fasc. Corrispondenza professionale e pubblica 1926-1980), ma può essere consultata anche in E. Susani (a cura di), Antonio Cassi Ramelli. L’eclettismo della ragione, Jaca Book, Milano 2005, p. 50. Un ulteriore copia della lettera è stata raccolta in un dattiloscritto curato dal professor Carlo De Carli (cfr. C. De Carli (a cura di), Documenti prima e durante l'occupazione della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano a.a. 1962-'63) e attualmente conservato presso l'Archivio generale del Politecnico di Milano (fondo Occupazione della facoltà di Architettura 1962/63, fasc. Pratica Generale).
96 Cfr. Aldo Castellano, Cultura architettonica milanese e rinnovamento della Facoltà di Architettura tra anni Cinquanta e Sessanta, in Annali di Storia delle Università italiane, V. 12, 2007: "Il 6 marzo 1963 l’occupazione della Facoltà ebbe termine e il rettore autorizzò la nomina di una commissione paritetica tra ordinari, incaricati-assistenti e studenti per lo studio delle dieci rivendicazioni studentesche.".
97 Oltre alle 'sperimentazioni' del Politecnico di Milano, che per'altro continuarono in altre forme anche durante e dopo il Sessantotto, e quelle del Politecnico di Torino, cui si accenna nel seguito del testo, anche Roma vide nel 1963 l'istituzione di una commissione paritetica aperta al contributo degli studenti. Mi riferisco alla facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma, dove per il momento non si erano ancora avuti i primi episodi di occupazione delle aule: "Già nel luglio 1963, il Consiglio dei docenti aveva istituito una propria commissione paritetica per lo studio dei problemi della Facoltà, composta dai professori di ruolo Guido Calogero, Arsenio Frugoni, Alberto Pincherle, Angelo M. Ripellino, Aldo Visalberghi, dai professori incaricati Michele Biscione, Tullio De Mauro, Gabriele Giannantoni, Carmelo La Corte, Vittorio Somenzi, dagli assistenti Mario Burzachechi, Massimo Colesanti, Mino Dazzi, Francesco Sabatini, e - per la prima volta - da alcuni studenti, Guido Bossa, Paolo Mugnai, Petro Roselli, Giorgio Stabile, Vittorio Vidotto.". Cit. da V. Roghi e A. Vittoria, Un “santuario della scienza”: tradizione e rotture nella Facoltà di Lettere e Filosofia dalla Liberazione al 1966, in L. Capo e M. R. Di Simone (a cura di), Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia de “La Sapienza”, Viella, Roma 2000, p. 604.
98 In merito il professor Carlo De Carli, già preside di Architettura nel Politecnico milanese proprio nei caldi anni tra il 1965 e il 1968, ricorda e riporta, in uno dei suoi volumi forse tra i più noti, un breve stralcio di un manifesto stilato dagli occupanti di Architettura il 21 febbraio del 1963, proprio nel corso di un convegno tenutosi presso il circolo culturale Filippo Turati di Milano su I problemi dell'Architettura, cui il professore aveva partecipato di persona. Gli studenti scrivevano già allora come la democratizzazione degli organi accademici fosse senza dubbio "il primo momento per la trasformazione delle nostre Università". Cfr. Carlo De Carli, Architettura. Spazio primario, Hoepli, Milano 1982, p. 235.
99 Cit. da F. Audrito, M.G. Boveri, E. Matassi, D. Terracini e E. Trabucco (a cura di), Lettera dall'assemblea degli studenti di Architettura, in Movimento Studentesco (a cura di), Documenti della rivolta universitaria, Laterza, Bari 1968, p. 91.
100 Cit. da G. Orsina e G. Quagliariello (a cura di), La crisi del sistema cit., pp. XXII-XXIII.
Fabio Papalia, Il Sessantotto italiano nella dinamica delle occupazioni e dei cortei. Un confronto tra i movimenti studenteschi di Torino, Milano e Roma, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno accademico 2010/2011
Nel quadro generale delle agitazioni studentesche degli anni Sessanta, Milano emerge come un caso peculiare per varie ragioni: tra queste sicuramente un aspetto interessante è la “precocità” con cui prendono corpo la consapevolezza e le proteste degli studenti. Come ricorda Paolo Portoghesi qualche anno più tardi, «ciò che distingue l’esperienza milanese è il tentativo di portare la spinta autocritica e rinnovatrice fuori dal “chiuso” dei corsi e dei ponti stabiliti tra gli insegnamenti più avanzati nel “campo scoperto” della facoltà e quindi in una realtà comunitaria capace di coinvolgere parti non omogene» <113.
Il tentativo di sperimentazione didattica messo in atto dalla Facoltà di Architettura di Milano tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta deve le sue origini ai movimenti studenteschi che, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, si attivano concretamente con l’obiettivo di ottenere un’università riformata e ripensata nelle sue fondamenta. Il grande blocco di studenti che, dal dopoguerra in avanti - e più intensamente dal 1953 -, si va formando e consolidando, sarà anche quello che, prima di chiunque altro in Italia, occuperà la Facoltà milanese, determinando l’inizio delle proteste e fornendo un modello alle altre facoltà italiane, da cui riceverà l’immediato appoggio.
La prima occupazione risale infatti al 14 febbraio 1963, ed è organizzata sulla base di esplicite richieste riguardanti le necessarie modifiche al sistema didattico. Dalla relazione degli studenti al Consiglio di Facoltà di pochi giorni precedente, emerge come le ragioni che muovono le proteste siano tutte incentrate sullo specifico tema dell’insegnamento e ancora non impregnate di ideologie e militanze politiche:
«Lottiamo per un ordinamento universitario democratico, contro una struttura rigidamente autoritaria. I nostri Professori oggi non sono disposti a dividere con altri il potere direzionale della didattica e della ricerca. L’attuale struttura dà agli studenti solo doveri, nessun diritto» <114.
Gli studenti definiscono dieci punti-richieste, attuati i quali si dichiarano disposti a sospendere l’occupazione. I punti in questione riguardano l’ordinamento degli Istituti, lo sdoppiamento dei corsi di composizione, la previsione di lezioni ex-cathedra nei corsi, la scelta della laurea, la possibilità di presenza degli studenti agli esami, la discussione del tema di laurea e la ricerca, l’abolizione degli ex-tempore, gli internati negli istituti, la presenza di corsi monografici, l’organizzazione di conferenze di personalità esterne alla facoltà <115.
Elemento scatenante della protesta milanese sarà significativamente la didattica tenuta dal docente di Composizione architettonica Antonio Cassi Ramelli, titolare del corso di Composizione II e direttore dell’Istituto di Composizione, duramente criticato a causa del suo metodo di insegnamento che impone una progettazione estremamente “professionalistica”. Nel suo corso l’impostazione basata sugli ex-tempore settimanali impedisce infatti qualunque tipo di ricerca o di approfondimento per una mera questione di impossibilità tempistiche, e il livello di attenzione dedicato ai progetti risulta piuttosto limitato e di scarso interesse. In riferimento a ciò scrivono gli studenti:
«L’anno scorso i settanta progetti del secondo corso di Composizione sono stati corretti in due ore e un quarto da un docente che gli studenti avevano visto soltanto il giorno della prolusione. Per arrivare poi a parlare dell’orientamento delle case, un altro professore per ben quattro lezioni, spiegò alla scolaresca cosa sono i solstizi e gli equinozi. Inoltre la ricerca impostata dal corso di Caratteri Distributivi su vari edifici di utilità pubblica, doveva ridursi più che altro a un catalogo di soluzioni. A ciascun allievo toccò studiare soltanto la piccola porzione di un ospedale, a chi fu assegnato un gabinetto di oftalmologia [...] Infine del piano intercomunale di Milano di cui fanno parte 130 Comuni, nell’università di Milano che è il vivaio dei futuri architetti e urbanisti, non si è mai fatto cenno. [...] Partendo dal concetto che questi edifici non corrispondono più alle necessità della società gli studenti chiedono una discussione con i docenti. Al secco rifiuto del titolare di Composizione [Antonio Cassi Ramelli] il 4 febbraio viene indetta una settimana di sciopero totale e attivo, non tanto di proteste e di denunce, quanto di proposte» <116.
La volontà degli studenti si pone in una prima fase nella direzione e con la speranza di istituire una più positiva relazione con il corpo docente, «un ennesimo tentativo di aprire un colloquio diretto tra studenti e docenti» <117, colloquio di cui si avverte ormai sentitamente la necessità e che dovrebbe verificarsi «con la massima apertura mentale». Gli studenti richiedono che gli insegnamenti fondamentali della facoltà (Composizione, Urbanistica, Arredamento), quelli che «maggiormente incidono e determinano la nostra formazione», siano rispondenti ai loro bisogni di futuri progettisti, a una preparazione professionale di rinnovamento e ricerca.
Nel "Libro bianco sulla Facoltà di Architettura di Milano" <118 i redattori contestualizzano i documenti in esso riportati ricordando «l’astrattezza dei programmi, l’agnosticismo di indirizzo, la mancanza di scelte di fondo, prima ancora che la disorganicità dei piani di studio e l’incongruenza dell’attuale ordinamento didattico, derivato dalla giustapposizione “dei criteri delle Accademie di tradizione neoclassica e di quelli positivisti e nazionalisti del sistema universitario della Germania di Bismark”… Non si è riusciti nelle nostre facoltà a produrre né un materiale umano adatto ai compiti che la realtà del Paese andava presentando, né a offrire i risultati di una elaborazione scientifica a largo raggio che permettesse il progresso e l’ammodernamento della edilizia e dell’urbanistica all’interno di un più generale processo di trasformazione della società. […] Le scuole di architettura italiane hanno mancato al loro compito che, per dirla con l’art. 1 del testo unico della legislazione della Pubblica Istruzione, è quello di “promuovere il progresso scientifico e fornire la cultura necessaria per l’esercizio della professione”» <119.
Quando alla fine della fase più complessa delle occupazioni del 1967-68 la Facoltà di Architettura pubblica il "Diario politico" <120, un resoconto degli ultimi due anni di agitazioni studentesche nel quale, a fronte delle mutazioni subite dall’università in quegli anni, si riconoscono chiaramente le ragioni degli eventi, se ne deduce che «l’occupazione del 1963 insorgeva contro la vecchiaia deteriore di una cultura accademico-professionale, superstite tenace ai problemi posti da una nuova fase [intorno al ‘60] dello sviluppo sociale ed economico, e dai nuovi schieramenti ideologici e politici - nel periodo della “svolta” a sinistra. In quell’occasione l’agitazione interessò quasi simultaneamente tutte le Facoltà di Architettura italiane, esaltando le condizioni peculiari e comuni di un settore omogeneo del sistema universitario» <121.
La prima occupazione rimane comunque entro i confini di una contrapposizione dialettica tra le parti coinvolte e riceve l’appoggio degli assistenti e di numerosi docenti della facoltà. Ottenute infatti le sia pur parziali garanzie di accoglimento delle rivendicazioni da parte del preside Portaluppi, tra fine febbraio e inizio marzo 1963 gli studenti interrompono le agitazioni.
Il 6 marzo viene annunciata attraverso un comunicato <122 del Rettore del Politecnico di Milano la Commissione paritetica composta dal preside della Facoltà di Architettura, da Luigi Dodi e Carlo De Carli come professori di ruolo, da Ezio Cerutti, Carlo Perogalli e Renato Bazzani come professori incaricati e assistenti e da Emilio Battisti, Gianni Garbuglia e Cesare Stevan a rappresentare gli studenti; questa viene però varata soltanto in maggio e la sua produzione si limiterà a una proposta di ordinamento per gli Istituti e alla redazione di una serie di indicazioni sulle modalità di svolgimento degli esami di laurea.
L’elezione del nuovo preside della Facoltà, tuttavia, interrompe il clima di collaborazione tra docenti e studenti. Portaluppi viene sostituito il 24 settembre del 1963 dal professore di Urbanistica Luigi Dodi, frutto di una maggioranza sostenuta dall’uscente preside, da Antonio Cassi Ramelli, Arnaldo Masotti e lo stesso Dodi. Malgrado tale delusione, le agitazioni vengono temporaneamente sospese anche grazie alla parziale adozione di un programma di sviluppo per la facoltà redatto da Gio Ponti <123 (ormai fuori ruolo), che tiene in considerazione le proposte avanzate dagli studenti nel corso delle occupazioni.
Durante l’anno accademico 1963-64 si inizia a compiere all’interno della Facoltà la cosiddetta “piccola riforma”, consistente nella riconfigurazione delle materie per “filoni” e nell’impostazione del piano di studi sulla base di una logica più ragionata, “dal generale al particolare”, prevedendo inoltre l’ampliamento del numero delle materie complementari. È durante questo anno accademico inoltre che muta, almeno parzialmente, il quadro dei docenti: viene finalmente immesso in ruolo Ernesto Nathan Rogers con la cattedra di Elementi di Composizione, dopo anni di insegnamento come professore incaricato di Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti; oltre a Rogers vengono chiamati a insegnare durante lo stesso anno accademico gli architetti Piero Bottoni, Franco Albini, Lodovico Barbiano di Belgiojoso e Gino Pollini, in veste di rappresentanti della stagione del razionalismo italiano. Si aprono inoltre le porte all’insegnamento di architetti più giovani: progressivamente vengono chiamati Vittorio Gregotti (a.a. 1964-65), Aldo Rossi e Guido Canella (a.a. 1965-66). In tal senso le richieste degli studenti relative allo svecchiamento del corpo docente e di una maggiore apertura culturale vengono nella sostanza soddisfatte.
[NOTE]
113 Paolo Portoghesi, Perché Milano. Une saison en enfer, cit., p.6
114 Relazione delle richieste degli studenti nei confronti del Consiglio di Facoltà [s.d.], in Carlo De Carli, Documenti prima e durante l’occupazione della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano 1962-63, Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, 1963, in Archivio generale di ateneo -
115 Mozione votata dagli studenti durante l’occupazione, 17 febbraio 1963, dati tratti da Milano: rapporto tra situazioni locali e prospettive nazionali, a cura degli studenti Epifanio Li Calzi e Roberto Sarfatti, in «Casabella», n.287, 1964
116 Camilla Cederna, Il sacco a pelo dell’architetto, in «L’Espresso», 3 marzo 1963
117 Relazione delle richieste degli studenti nei confronti del Consiglio di facoltà [s.d.], cit.
118 Libro bianco sulla Facoltà di Architettura di Milano, CUEP, Milano 1967
119 Note della redazione, in Libro bianco sulla Facoltà di Architettura di Milano, cit., p.II
120 Diario politico, Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, 1968-1969, stampa inedita, Archivio Storico Politecnico di Milano.
121 Ibidem.
122 Comunicato del Rettore del Politecnico di Milano emesso in data 6.3.1963, in Carlo De Carli, Documenti prima e durante l’occupazione della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano anno accademico 1962-63, cit.
123 Gio Ponti, Programma triennale assunto dalla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano per lo sviluppo della sua attività, 23/09/1963, in Ibidem.
Florencia Natalia Andreola, Architettura insegnata. Aldo Rossi, Giorgio Grassi e l'insegnamento della progettazione architettonica (1946-79), Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Anno accademico 2014-2015
Il tentativo di sperimentazione didattica messo in atto dalla Facoltà di Architettura di Milano tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta deve le sue origini ai movimenti studenteschi che, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, si attivano concretamente con l’obiettivo di ottenere un’università riformata e ripensata nelle sue fondamenta. Il grande blocco di studenti che, dal dopoguerra in avanti - e più intensamente dal 1953 -, si va formando e consolidando, sarà anche quello che, prima di chiunque altro in Italia, occuperà la Facoltà milanese, determinando l’inizio delle proteste e fornendo un modello alle altre facoltà italiane, da cui riceverà l’immediato appoggio.
La prima occupazione risale infatti al 14 febbraio 1963, ed è organizzata sulla base di esplicite richieste riguardanti le necessarie modifiche al sistema didattico. Dalla relazione degli studenti al Consiglio di Facoltà di pochi giorni precedente, emerge come le ragioni che muovono le proteste siano tutte incentrate sullo specifico tema dell’insegnamento e ancora non impregnate di ideologie e militanze politiche:
«Lottiamo per un ordinamento universitario democratico, contro una struttura rigidamente autoritaria. I nostri Professori oggi non sono disposti a dividere con altri il potere direzionale della didattica e della ricerca. L’attuale struttura dà agli studenti solo doveri, nessun diritto» <114.
Gli studenti definiscono dieci punti-richieste, attuati i quali si dichiarano disposti a sospendere l’occupazione. I punti in questione riguardano l’ordinamento degli Istituti, lo sdoppiamento dei corsi di composizione, la previsione di lezioni ex-cathedra nei corsi, la scelta della laurea, la possibilità di presenza degli studenti agli esami, la discussione del tema di laurea e la ricerca, l’abolizione degli ex-tempore, gli internati negli istituti, la presenza di corsi monografici, l’organizzazione di conferenze di personalità esterne alla facoltà <115.
Elemento scatenante della protesta milanese sarà significativamente la didattica tenuta dal docente di Composizione architettonica Antonio Cassi Ramelli, titolare del corso di Composizione II e direttore dell’Istituto di Composizione, duramente criticato a causa del suo metodo di insegnamento che impone una progettazione estremamente “professionalistica”. Nel suo corso l’impostazione basata sugli ex-tempore settimanali impedisce infatti qualunque tipo di ricerca o di approfondimento per una mera questione di impossibilità tempistiche, e il livello di attenzione dedicato ai progetti risulta piuttosto limitato e di scarso interesse. In riferimento a ciò scrivono gli studenti:
«L’anno scorso i settanta progetti del secondo corso di Composizione sono stati corretti in due ore e un quarto da un docente che gli studenti avevano visto soltanto il giorno della prolusione. Per arrivare poi a parlare dell’orientamento delle case, un altro professore per ben quattro lezioni, spiegò alla scolaresca cosa sono i solstizi e gli equinozi. Inoltre la ricerca impostata dal corso di Caratteri Distributivi su vari edifici di utilità pubblica, doveva ridursi più che altro a un catalogo di soluzioni. A ciascun allievo toccò studiare soltanto la piccola porzione di un ospedale, a chi fu assegnato un gabinetto di oftalmologia [...] Infine del piano intercomunale di Milano di cui fanno parte 130 Comuni, nell’università di Milano che è il vivaio dei futuri architetti e urbanisti, non si è mai fatto cenno. [...] Partendo dal concetto che questi edifici non corrispondono più alle necessità della società gli studenti chiedono una discussione con i docenti. Al secco rifiuto del titolare di Composizione [Antonio Cassi Ramelli] il 4 febbraio viene indetta una settimana di sciopero totale e attivo, non tanto di proteste e di denunce, quanto di proposte» <116.
La volontà degli studenti si pone in una prima fase nella direzione e con la speranza di istituire una più positiva relazione con il corpo docente, «un ennesimo tentativo di aprire un colloquio diretto tra studenti e docenti» <117, colloquio di cui si avverte ormai sentitamente la necessità e che dovrebbe verificarsi «con la massima apertura mentale». Gli studenti richiedono che gli insegnamenti fondamentali della facoltà (Composizione, Urbanistica, Arredamento), quelli che «maggiormente incidono e determinano la nostra formazione», siano rispondenti ai loro bisogni di futuri progettisti, a una preparazione professionale di rinnovamento e ricerca.
Nel "Libro bianco sulla Facoltà di Architettura di Milano" <118 i redattori contestualizzano i documenti in esso riportati ricordando «l’astrattezza dei programmi, l’agnosticismo di indirizzo, la mancanza di scelte di fondo, prima ancora che la disorganicità dei piani di studio e l’incongruenza dell’attuale ordinamento didattico, derivato dalla giustapposizione “dei criteri delle Accademie di tradizione neoclassica e di quelli positivisti e nazionalisti del sistema universitario della Germania di Bismark”… Non si è riusciti nelle nostre facoltà a produrre né un materiale umano adatto ai compiti che la realtà del Paese andava presentando, né a offrire i risultati di una elaborazione scientifica a largo raggio che permettesse il progresso e l’ammodernamento della edilizia e dell’urbanistica all’interno di un più generale processo di trasformazione della società. […] Le scuole di architettura italiane hanno mancato al loro compito che, per dirla con l’art. 1 del testo unico della legislazione della Pubblica Istruzione, è quello di “promuovere il progresso scientifico e fornire la cultura necessaria per l’esercizio della professione”» <119.
Quando alla fine della fase più complessa delle occupazioni del 1967-68 la Facoltà di Architettura pubblica il "Diario politico" <120, un resoconto degli ultimi due anni di agitazioni studentesche nel quale, a fronte delle mutazioni subite dall’università in quegli anni, si riconoscono chiaramente le ragioni degli eventi, se ne deduce che «l’occupazione del 1963 insorgeva contro la vecchiaia deteriore di una cultura accademico-professionale, superstite tenace ai problemi posti da una nuova fase [intorno al ‘60] dello sviluppo sociale ed economico, e dai nuovi schieramenti ideologici e politici - nel periodo della “svolta” a sinistra. In quell’occasione l’agitazione interessò quasi simultaneamente tutte le Facoltà di Architettura italiane, esaltando le condizioni peculiari e comuni di un settore omogeneo del sistema universitario» <121.
La prima occupazione rimane comunque entro i confini di una contrapposizione dialettica tra le parti coinvolte e riceve l’appoggio degli assistenti e di numerosi docenti della facoltà. Ottenute infatti le sia pur parziali garanzie di accoglimento delle rivendicazioni da parte del preside Portaluppi, tra fine febbraio e inizio marzo 1963 gli studenti interrompono le agitazioni.
Il 6 marzo viene annunciata attraverso un comunicato <122 del Rettore del Politecnico di Milano la Commissione paritetica composta dal preside della Facoltà di Architettura, da Luigi Dodi e Carlo De Carli come professori di ruolo, da Ezio Cerutti, Carlo Perogalli e Renato Bazzani come professori incaricati e assistenti e da Emilio Battisti, Gianni Garbuglia e Cesare Stevan a rappresentare gli studenti; questa viene però varata soltanto in maggio e la sua produzione si limiterà a una proposta di ordinamento per gli Istituti e alla redazione di una serie di indicazioni sulle modalità di svolgimento degli esami di laurea.
L’elezione del nuovo preside della Facoltà, tuttavia, interrompe il clima di collaborazione tra docenti e studenti. Portaluppi viene sostituito il 24 settembre del 1963 dal professore di Urbanistica Luigi Dodi, frutto di una maggioranza sostenuta dall’uscente preside, da Antonio Cassi Ramelli, Arnaldo Masotti e lo stesso Dodi. Malgrado tale delusione, le agitazioni vengono temporaneamente sospese anche grazie alla parziale adozione di un programma di sviluppo per la facoltà redatto da Gio Ponti <123 (ormai fuori ruolo), che tiene in considerazione le proposte avanzate dagli studenti nel corso delle occupazioni.
Durante l’anno accademico 1963-64 si inizia a compiere all’interno della Facoltà la cosiddetta “piccola riforma”, consistente nella riconfigurazione delle materie per “filoni” e nell’impostazione del piano di studi sulla base di una logica più ragionata, “dal generale al particolare”, prevedendo inoltre l’ampliamento del numero delle materie complementari. È durante questo anno accademico inoltre che muta, almeno parzialmente, il quadro dei docenti: viene finalmente immesso in ruolo Ernesto Nathan Rogers con la cattedra di Elementi di Composizione, dopo anni di insegnamento come professore incaricato di Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti; oltre a Rogers vengono chiamati a insegnare durante lo stesso anno accademico gli architetti Piero Bottoni, Franco Albini, Lodovico Barbiano di Belgiojoso e Gino Pollini, in veste di rappresentanti della stagione del razionalismo italiano. Si aprono inoltre le porte all’insegnamento di architetti più giovani: progressivamente vengono chiamati Vittorio Gregotti (a.a. 1964-65), Aldo Rossi e Guido Canella (a.a. 1965-66). In tal senso le richieste degli studenti relative allo svecchiamento del corpo docente e di una maggiore apertura culturale vengono nella sostanza soddisfatte.
[NOTE]
113 Paolo Portoghesi, Perché Milano. Une saison en enfer, cit., p.6
114 Relazione delle richieste degli studenti nei confronti del Consiglio di Facoltà [s.d.], in Carlo De Carli, Documenti prima e durante l’occupazione della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano 1962-63, Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, 1963, in Archivio generale di ateneo -
115 Mozione votata dagli studenti durante l’occupazione, 17 febbraio 1963, dati tratti da Milano: rapporto tra situazioni locali e prospettive nazionali, a cura degli studenti Epifanio Li Calzi e Roberto Sarfatti, in «Casabella», n.287, 1964
116 Camilla Cederna, Il sacco a pelo dell’architetto, in «L’Espresso», 3 marzo 1963
117 Relazione delle richieste degli studenti nei confronti del Consiglio di facoltà [s.d.], cit.
118 Libro bianco sulla Facoltà di Architettura di Milano, CUEP, Milano 1967
119 Note della redazione, in Libro bianco sulla Facoltà di Architettura di Milano, cit., p.II
120 Diario politico, Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, 1968-1969, stampa inedita, Archivio Storico Politecnico di Milano.
121 Ibidem.
122 Comunicato del Rettore del Politecnico di Milano emesso in data 6.3.1963, in Carlo De Carli, Documenti prima e durante l’occupazione della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano anno accademico 1962-63, cit.
123 Gio Ponti, Programma triennale assunto dalla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano per lo sviluppo della sua attività, 23/09/1963, in Ibidem.
Florencia Natalia Andreola, Architettura insegnata. Aldo Rossi, Giorgio Grassi e l'insegnamento della progettazione architettonica (1946-79), Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Anno accademico 2014-2015