venerdì 6 maggio 2022

Sull'arrivo in Italia dei cosacchi al fianco dei nazisti


Prima di entrare nel cuore della vicenda dell’Armata cosacca in Carnia, sembra utile segnalare  che anche le FF.AA. italiane  reclutarono, ancorchè in misura minima, collaborazionisti russi. Al riguardo, si hanno notizie circostanziate di un reparto cosacco, in servizio presso il Comando dell’8a Armata italiana (ARMIR) al livello di sotnja (squadrone) denominato “Banda Campello” <29 dal nome del suo comandante, il Magg. di cavalleria Ranieri di Campello. Da ricerche effettuate  presso l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, è emerso  che questi cosacchi venivano impiegati come esploratori o informatori, a favore dell’Ufficio Informazioni del Comando dell’8a Armata italiana. Era anche stato previsto e già erano state ottenute le necessarie autorizzazioni del Comando tedesco e dell’atamano del Don,  il  reclutamento di altri 2.000 cosacchi con cui costituire due Reggimenti, uno di cavalleria e uno di fanteria. Il precipitare degli eventi, nel dicembre del  1942, impedì di dare attuazione al disegno. Durante la ritirata dell’ARMIR dalla linea del Don, questi cosacchi si unirono alle colonne italiane in ritirata condividendone traversie e disagi. Al riguardo c’è una interessante relazione di un Sottotenente italiano appartenente alla  Gruppo cosacco (Documento 6a). Rimpatriato il Magg Campello perchè ferito, nel marzo 1943, l’unità assunse la denominazione di “Gruppo cosacco Savoia” <30 ed il comando fu assunto dal Cap. di cavalleria Giorgio Stavro Santarosa. Il Gruppo, ridotto a 200 uomini, giunse in Italia nel giugno 1943 e fu accasermato a Maccacari (VR) dove si provvide al suo riordinamento e riequipaggiamento nonchè al suo completamento con volontari tratti sia dai superstiti di altre formazioni ausiliarie russe giunte in Italia al seguito dei reparti italiani, sia dalle colonie cosacche in Albania. La denominazione del reparto fu cambiata in “Banda irregolare cosacca”. A riordinamento avvenuto, il reparto contava un Comando italiano, un  Comando cosacco subordinato e tre sotnje cosacche per un totale di 257 uomini a cavallo, inclusi 14 del Comando italiano (Documento  6b). A fine agosto 1943, fu disposto che la “Banda irregolare cosacca”  fosse inviata in Albania, alle dipendenze della 9a. Armata (Documento 6c).
Secondo Pier Arrigo Carnier, durante la ritirata seguita alla caduta di Stalingrado vi sarebbero stati ripensamenti, da parte di alcuni cosacchi del Gruppo Savoia, culminati in un tentativo di assassinio del Magg. Campello, salvato in extremis dall’intervento di un  Capitano cosacco <31. Al rientro in Italia, il Gruppo autonomo cosacchi Savoia, al comando del Magg. Luigi Cavarzerani  sarebbe stato inquadrato nel Reggimento di cavalleria “Lancieri di Novara” <32. Infine, l’8 settembre, allo scioglimento del Reggimento, il Gruppo sarebbe stato lasciato in armi, dai tedeschi, e non deportato in Germania, come avvenne per i militari italiani sorpresi in uniforme e che avessero declinato di unirsi alle truppe tedesche.
Successivamente, parte dei cosacchi si sarebbe spostata a Camporosso, presso Tarvisio, e parte si sarebbe dispersa confluendo infine, nel 1944, nell’Armata cosacca nel frattempo giunta in Carnia. I rimanenti, dopo aver nascosto armi e munizioni e racimolati abiti borghesi, si sarebbero dispersi nelle varie fattorie.
[...] Nel Febbraio 1943, dopo la caduta di Stalingrado, le bande cosacche collaborazioniste, guidate dall’atamano del Don Sergej Vasilievic Pavlov e dal Col. Timofey Ivanovic Domanov <34, mossero da Novorossisk nella zona di raccolta di Kamanez Podolsk, in Podolia, dove avvenne la loro iscrizione nel “registro dello stato militare”, da parte dei tedeschi <35. Li avevano seguiti  familiari.ed altri civili che si erano compromessi con gli invasori tedeschi e temevano le ritorsioni dell’Armata Rossa. Pochi mesi dopo, i cosacchi furono costretti a spostarsi nei campi di raccolta di Novogrodki e Baranovichi, 120 verste (1 versta=1066 m.) ad ovest di Minsk (Bielorussia). Qui si provvide a organizzare i cosacchi abili al servizio militare, in unità regolari. Gli Ufficiali cosacchi reclutarono molti soldati cosacchi traendoli da campi di concentramento tedeschi. Si potè in tal modo creare undici Reggimenti (1.200 uomini ciascuno), che diedero vita all’Armata cosacca <36.
[...] Il trasferimento in Italia dell’Armata cosacca e di una Divisione caucasica, coordinato con l’SS Gruppenführer Globocnik, responsabile della sicurezza interna dell’Adriatisches Küstenland, fu organizzato per via ferroviaria attraverso il valico di Tarvisio. Attenendoci alla versione del Carnier, il trasferimento ebbe inizio il 20 luglio 1944 e si protrasse sino al 10 agosto successivo. Furono necessari 50 treni per un totale di 2500 carri ferroviari tedeschi <51. L’arrivo dei cosacchi (e caucasici), in Carnia, sorprese e deluse <52 le autorità delle SS e della Polizia dell’Adriatisches Küstenland che avevano dato il loro consenso all’arrivo dei cosacchi. Esse si aspettavano unità organizzate, bene armate, addestrate, pronte ad essere impiegate in combattimento, come era stato per la 162a Divisione Turcomanna, che nell’aprile1944 era stata trasferita sulla Linea Gotica, ed invece videro scendere dai treni  un’accozzaglia di truppe male armate, disordinate e disorganizzate, accompagnate inoltre da una massa di profughi di ogni età, con carriaggi, bestiame, suppellettili di ogni tipo etc,. Il tutto  molto somigliante ad una immensa carovana zingaresca e pochissimo a una formazione militare di aspetto appena decente. Soprattutto stupiva la presenza di tanti civili profughi estranei alle famiglie dei militari. In verità, presso il Ministero dei Territori dell’Est europeo, c’era stata una proposta, prima del trasferimento in Carnia, di sistemare 5.000 profughi cosacchi e caucasici (non i famigliari dei militari) in Carinzia ma poi, per ignote ragioni, la proposta era stata lasciata cadere. <53
Occupazione della Carnia da parte  delle truppe cosacche e caucasiche. Loro insediamento ed organizzazione. La difficile convivenza con i carnici
I cosacchi si sistemarono temporaneamente nella piana di Amaro (accampati sull’ampio greto del Tagliamento quasi secco in agosto) e nell’area pedemontana di Osoppo, Gemona,  Tarcento, Artegna, Nimis e nello Spilimberghese.
Il Col. Domanov fissò il Comando dell’Armata a Gemona. Le forze caucasiche, distinte e separate dai cosacchi di Domanov, erano comandate dal Generale Sultan Ghirey Klitsch <54.
Rimasero sulla piana di Amaro e nell’area pedemontana della  sinistra Tagliamento, Osoppo, Gemona, Venzone, Nimis, Tarcento, per quasi due mesi. Nel clima di disorganizzazione regnante anche in campo tedesco, inizialmente   impossibilitati per ordine delle autorità tedesche a cambiare i marchi in lire, e al tempo stesso volendo acquistare viveri ed altri beni essenziali, cercarono di “arrangiarsi”, rubando e vendendo sale, oggetti del folklore cosacco, qualcuno  anche il proprio cavallo. Il Comando cosacco intervenne prontamente esponendo un manifesto in cui si diffidavano i locali da acquisti di cavalli da militari o civili cosacchi, pena l’arresto e la confisca dei quadrupedi (Documento 9) acquistati.
Fin  dai primi giorni del loro insediamento, le guarnigioni cosacche di Gemona e di Osoppo  dovettero reagire agli attacchi dei partigiani di pianura, con rastrellamenti a breve raggio. Nel solo mese di agosto, ad Amaro, Stazione per la Carnia e nei pressi di Tolmezzo, i cosacchi ebbero circa trenta morti. Fu in questo periodo che i partigiani carnici, convinti di una presunta soggezione nei loro confronti da parte dei tedeschi e dei collaborazionisti cosacchi, attaccarono  in forze il presidio tedesco di Sappada, costringendolo ad arrendersi il 14 settembre 1944. Quel giorno era stata raggiunta la massima estensione della Zona Libera di Carnia.
Da Berlino, intanto, era giunto anche il Gen. Shkurò, cui fu affidato il Comando della riserva dell’Armata cosacca.
All’inizio di ottobre le cose cominciarono a cambiare e vi furono le prime avvisaglie di un imminente rastrellamento in forze in Carnia e la notizia dell’invasione  dell’area carnica da parte delle truppe cosacche.
L’operazione Waldläufer, consistente nel già ricordato attacco di ingenti truppe tedesche e cosacche da Sud, di soli tedeschi da nord attraverso il Passo di Monte Croce Carnico, di nazifascisti dal Cadore, con il supporto di artiglierie e mortai e una compagnia carri sovietici T 34 di preda bellica <55, si materializzò l’8 ottobre 1944 <56. I partigiani, impossibilitati a reggere il confronto in campo aperto con un nemico quantitativamente e qualitativamente preponderante, ripiegarono sui monti.
Formazioni di cavalleria e fanterie cosacche e caucasiche, partite da Tolmezzo, risalirono la Valle del But fino a Sutrio e, attraverso la Valcalda scesero nella Valle del Degano occupando Comeglians e Ovaro ove trovarono oltre cento prigionieri tedeschi abbandonati dai partigiani in fuga <57. La popolazione, ritiratisi i partigiani, si trovò indifesa e dovette subire la violenza selvaggia e immotivata dei cosacchi: irruzioni nelle case, ruberie, razzie di animali, stupri. In breve tempo, vennero occupate Ampezzo, Sauris, Paluzza e le Prealpi Carniche:Tramonti, Clauzetto, Meduno, Frisanco, Trasaghis.
Ad Imponzo, fu ucciso il parroco Don Giuseppe Treppo, intervenuto per difendere la propria gente; la dura protesta dell’Arcivescovo di Udine, Mons. Nogara, provocò l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto da parte del Comando tedesco. I rastrellamenti  proseguirono per tutto ottobre, ma ormai la presenza partigiana si era andata rarefacendo, per la defezione dei partigiani meno motivati. Resistevano solo i garibaldini e il battaglione autonomo Stalin n° 1, che respinsero anche l’invito del Maresciallo Alexander a sciogliere le formazioni partigiane sino alla primavera successiva.
A fine ottobre, i cosacchi e i caucasici presidiavano tutta la Carnia. Ad Alesso, Bordano e in parte a Trasaghis (Prealpi Carniche),  la popolazione fu interamente evacuata per fare spazio al presidio cosacco ed a un contingente di profughi <58. Tutti i paesi, comunque, furono costretti ad alloggiare militari cosacchi e spesso a nutrirli. Si provvide anche a rinominare i paesi: Alesso divenne Novocerkassk, Cavazzo Carnico Jekaterinodar (o Krasnodar), Trasaghis Novorossisk. Anche diverse frazioni vennero ribattezzate con nomi di stanicye (villaggi) del Don, del Kuban, del Terek, a seconda della provenienza dei cosacchi che vi erano insediati <59.
Anche l’alto spilimberghese fu occupato. A Tauriano, il contingente di presidio era comandato da una contessina. <60
[NOTE]
29 Pier Arrigo Carnier, L'armata cosacca in Italia, De Vecchi, 1965, pp. 117-118.
30 Il Gruppo cosacco “Savoia” non ebbe nulla a che vedere con l’omonimo Reggimento di Cavalleria “Savoia” dell’Esercito Italiano, anch’esso presente sul fronte russo e protagonista della nota carica di Isbuscensky
31 P.A. CARNIER, op. cit., p. 118.
32 P.A. CARNIER, op. cit., p. 118. Non si capisce bene se Carnier indichi il Magg. Cavarzerani quale Comandante del Gruppo cosacco Savoia oppure quale Comandante del Rgt. Lancieri di Novara. In ogni caso, nessuna delle due interpretazioni è valida: il Magg. Cavarzerani non fu mai Comandante nè dell’una nè dell’altro.   
34 Il Col. Domanov, filo tedesco, era in stretto contatto con gli apparati di sicurezza tedeschi. Era accompagnata dalla moglie Maria, appartenente alla minoranza tedesca del Volga, e dal funzionario tedesco Eduard Radtke, referente del Ministro Rosenberg. P.A. CARNIER, op. cit., p. 23.
35 P.A. CARNIER, op. cit., p. 23.
36 Nella tradizionale terminologia militare russa, zarista e sovietica, si hanno, in ordine crescente le seguenti unità: Reggimento, Divisione, Armata, Gruppo d’Armate, Fronte. Non esiste il Corpo d’Armata.
51 P.A. CARNIER, op. cit., p. 40.
52 E COLLOTTI, op. cit., p. 110. Anche P. STEFANUTTI, Novocerkassk e dintorni-L’occupazione cosacca della Valle del Lago. ottobre 1944-maggio 1945, IFSML, Udine 1995, p. 28.
53 E. COLLOTTI, op. cit., p. 119.
54 Anch’egli era stato Comandante di reparti controrivoluzionari nella guerra civile. Dopo la vittoria dell’Armata Rossa, si era rifugiato a Parigi. Era l’unico discendente dell’ultimo sovrano dell’Orda d’Oro, cioè del canato di Crimea. P.A CARNIER, op. cit., p. 9.
55 C. GENTILE, La repressione antipartigiana tedesca in Angelo Ventura (a cura di), La società veneta dalla Resistenza alla Repubblica - Atti del convegno di studi - Padova 9-11 maggio 1996, Istituto Veneto per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea, Padova 1996, p. 211.
56 M. DI RONCO, L’occupazione cosacco-caucasica della Carnia (1944-1945), Ed Aquileia, Tolmezzo, 1988,p. 21. Secondo Pier Arrigo Carnier, nei primi giorni dell’offensiva, fu segnalata a Tolmezzo la presenza del Maresciallo Kesserling, venuto a seguire l’andamento delle operazioni. P.A. CARNIER, op. cit., p. 45.
57 Si trattava dei tedeschi del presidio di Sappada fatti prigionieri il 24 settembre 1944 e trasferiti nel salone della latteria di Ovaro. N. CANCIANI, Un anno di Guerra - Vita coi cosacchi, Il Segno, Villa Santina 2000, p. CXLVI
58 P.A. CARNIER, op. cit., p. 52.
59 P.A. CARNIER, op. cit., p. 55.
60  P.A. CARNIER, op. cit., p.54. Anche a Forni Avoltri, nel marzo del 1945, il presidio di georgiani, inquadrato da vecchi aristocratici esuli a Parigi ove molti probabilmente si erano guadagnati da vivere, non diversamente da molti ex ufficiali cosacchi in esilio, lavorando come tassisti, portieri d’albergo etc, era comandato da una bella e battagliera principessa trentenne. N. BETHELI, op. cit. pp. 109-110.
Antonio Dessy, Kosakenland in Nord Italien - I cosacchi di Krassnov in Carnia (agosto 1944-6 maggio 1945) e loro forzata consegna ai sovietici (28 maggio-7 giugno 1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2003-2004


Prenderò le mosse, per ricostruire come effettivamente si svolsero quei dolorosi fatti, dalla versione, peraltro anch'essa in gran parte inesatta, resa da P.A. Carnier nel suo volume "L'Armata Cosacca in Italia".
Su questo libro non mi soffermerò più che tanto se non per dire che esso è storicamente inattendibile ed è da prendersi soltanto come un "romanzo", per giunta settariamente malevolo verso la Resistenza, scritto da persona che non ha vissuto quelle tremende realtà avendole solo sfiorate o sentite raccontare quando era ancora troppo giovane e perciò non in grado di comprendere l'esatta dimensione di quel grande dramma storico, con l'aggravante per lo scrittore di avere dato alla sua narrazione un'assurda impronta generale di viva simpatia per le usanze, ovviamente talora pittoresche e molto diverse dalle nostre, di quella banda di predoni ed assassini che furono invece i cosacchi sotto bandiera nazista.
Fanno poi sorridere, a dir poco, altri suoi giudizi, frutto evidente di totale disinformazione, come quello sull'origine del movimento partigiano in Carnia attribuita dal Carnier al già descritto compagno slavo Mirko che sicuramente invece giunse ben più tardi e non fu l'iniziatore di un movimento nato in precedenza con altra matrice storica e politica, come pure è già stato ampiamente narrato in questo mio libro.
Detto autore d'altronde si è ben qualificato per quel che è attraverso l'impronta generale data alla narrazione, da un lato largamente simpatizzante per i cosacchi e di converso scopertamente e fortemente minimizzante e dispregiativa verso il mondo della Resistenza e dell'Antifascismo carnico.
A mio parere è inammissibile e calunnioso minimizzare, come ha fatto il Carnier, sulla tremenda tragedia che il popolo carnico allora soffrì a causa dei cosacchi e minimizzare altresì sull'eroico contributo e tutti gli ideali che mossero i nostri combattenti, per privilegiare e narrare invece in tono entusiastico il folklore, l'esotismo, le tradizioni, gli usi di quell'orda di barbari e di predoni dell'Armata Cosacca relativamente al cui comportamento ed ai terribili lutti e rovine da essa cagionati al nostro povero paese egli ha invece moltissimo sorvolato.
(passi dal libro Affinché resti memoria. Autobiografia di un proletario carnico per gentile concessione dell'Editore Kappa Vu)
Redazione, Osvaldo Fabian "Elio", La battaglia di Ovaro. La liberazione, Carnia Libera 1944 


La collaborazione <1 dei cosacchi <2 con la Germania nazista nella Seconda guerra mondiale, pur inquadrandosi nel vasto fenomeno che registrò decine di migliaia di cittadini sovietici, soldati dell’Armata rossa ed émigré passare dalla parte dei tedeschi nel corso della guerra combattuta contro l’Unione Sovietica <3, presenta specificità e caratterizzazioni peculiari. Questo fenomeno, che rappresentò per molti aspetti un unicum nella gestione tedesca dei reparti collaborazionisti, si sviluppò a partire dal 1941 e proseguì nel corso di tutto il conflitto radicandosi con specifiche modalità d’impiego in diversi territori e nazioni (regioni cosacche, Ucraina, Bielorussia, Polonia, Italia e Austria) evolvendo nel periodo in ragione del contributo militare e politico di diversi attori (gerarchie e comandi militari tedeschi, cosacchi émigré, cittadini sovietici e prigionieri di guerra).
Oltre a far luce su queste dinamiche, l’analisi del contributo recato dai cosacchi alla Germania assume fondamentale importanza per comprenderne l’insediamento in Friuli Venezia Giulia come contingente di occupazione nel 1944 e per inquadrarne la consegna ai sovietici alla fine del conflitto.
[NOTE]
1 Sul tema della presenza in Carnia delle truppe cosacche e caucasiche collaborazioniste dei tedeschi e, in particolare, del fenomeno delle violenze sessuali si segnala il volume di F. Verardo, «Offesa all’onore della donna». Le violenze sessuali durante l’occupazione cosacco-caucasica della Carnia 1944-1945, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venenzia Giulia, Trieste 2016.
2 Con il termine cosacco si intendono le diverse popolazioni di radice perlopiù russa e ucraina, stanziate dalle steppe a nord del Mar Nero alle montagne del Caucaso fino agli Altaj in Siberia; tra queste, i cosacchi del Don, del Kuban e del Terek erano stanziati nelle regioni dei fiumi omonimi. M. Di Ronco, L’occupazione cosacco-caucasica della Carnia (1944-1945), Edizioni Aquileia, Tolmezzo 1988, p. 17. Cfr. P. Longworth, The Cossacks, Constable, London 1969.
3 Gli esempi più noti sono l’Armata russa di liberazione (ROA, Russkaja Osvoboditel’naja Armija) comandata dal generale Vlasov e il XV corpo di Cavalleria cosacco comandato dal generale tedesco Von Pannwitz; si calcola che oltre un milione di cittadini sovietici collaborò con gli occupanti nel corso del conflitto. G. Corni, Il sogno del «grande spazio». Le politiche d’occupazione nell’Europa nazista, Laterza, Bari-Roma 2005, p. 52. Secondo le stime di Richard Overy furono circa 250.000 i cosacchi che combatterono o lavorarono per i tedeschi tra il 1941 ed il 1945. R. Overy, Russia’s War: A History of the Soviet War Effort, 1941-1945, Penguin, New York 1997, p. 347. Sulla collaborazione nell’est Europa si rinvia a J. Armstrong, Collaborationism in World War II: The Integral Nationalist Variant in Eastern Europe, in «The Journal of Modern History», vol. 40, n. 3, 1968, pp. 396-410.
Oleg V. Ratushnyak e Fabio Verardo, I cosacchi e il Terzo Reich. Il collaborazionismo cosacco nella Seconda guerra mondiale, «Qualestoria» n. 2, dicembre 2016