lunedì 11 luglio 2022

Allora il rosa diventa a tutti gli effetti seriale e la produzione dell’editoria italiana s’accresce fino a raggiungere numeri inusitati


La letteratura e il cinema, assieme alla radio, sono divenuti i canali di diffusione per eccellenza dei bisogni e delle aspirazioni al miglioramento delle donne e degli uomini impegnati nel vorticoso sistema produttivo del boom economico. <126
È però necessario che questi media siano facilmente accessibili al maggior numero di fruitori: non si può pretendere un surplus di energia mentale da coloro che sono intenti a ricostruire l’Europa dopo i disastri della Seconda Guerra Mondiale. Ed è proprio a questo punto che la critica più politicizzata commetterà un errore di prospettiva madornale, allontanandosi dagli strati più popolari della popolazione, mettendo in campo una questione culturale, legata ai romanzi rosa, considerati letteratura di serie Z, frutto di strategie capitalistiche atte a tenere sotto scacco il proletariato.
Il romanzo rosa rappresenta invece sempre più una scelta consapevole e matura: non è in ballo una questione culturale, perché coloro che fruiscono della cosiddetta “paraletteratura” non sono più gli “incolti” del secolo precedente, bensì lavoratori e lavoratrici spesso con una ben definita coscienza politica, un tempo costretti a nascondere le proprie preferenze per questi generi letterari screditati, che adesso esibiscono con una buona dose di autoironia. <127
È questo il dato inconfutabile che poi ci porta poco per volta al punto focale della nostra inchiesta: i romanzi di intrattenimento, ai quali non avranno problemi a dedicarsi scrittori considerati “nobili”, grandi, come Dumas, intrattenevano il pubblico, oltre che con avventure straordinarie in scenari da sogno, calate in un passato da favola, attraverso dialoghi interminabili che quasi ipnotizzavano i lettori. E qui s’impone un altro mito da sfatare: non è
vero che la letteratura di intrattenimento è tutta azione, tutta avventura, tutta “eventi”. La letteratura di intrattenimento è principalmente una letteratura di dialogo e l’esempio più evidente ci è dato proprio da Liala. Alcuni suoi romanzi presentano dialoghi di venti, venticinque pagine. Anche quelli sono intrattenimento, perché assolutamente funzionali allo svolgimento della trama rosa, in cui il potere della parola è la rappresentazione della vera forza femminile.
La produzione seriale rosa è divenuta un fenomeno italiano solo nella seconda metà del Novecento. Visto il grande successo editoriale che i romanzi di Liala e non solo quelli continuano ad ottenere, le grandi case editrici comprendono che, sancito il successo trentennale del genere rosa, si può cominciare a parlare di tradizione “prestigiosa”, e dunque di una nuova veste editoriale di maggior pregio. <128
Questo porta, anche a livello più basso di quello di Liala e Luciana Peverelli, ad un fenomeno che certifica la bontà dell’operazione commerciale: la domanda è nettamente superiore all’offerta. Le lettrici e i lettori, fedelissimi o di recente acquisizione, vogliono continuamente leggere queste storie, che rappresentano un loro patrimonio esclusivo, capace di accompagnarli da anni. Allora il rosa diventa a tutti gli effetti seriale e la produzione dell’editoria italiana s’accresce fino a raggiungere numeri inusitati.
Mentre Liala si prova ad investigare nientemeno che il tema della contestazione giovanile con "Good bye, sirena", nel 1975, i titoli delle collane escono ormai al ritmo di uno alla settimana; si comincia a pescare all’estero, comprando i diritti delle romanziere di maggior successo, e si riprendono testi del passato, che non siano troppo legati ad un’epoca precisa o non abbiano una patina linguistico-lessicale troppo tradizionale -altrimenti i “parametri” vengono bellamente adeguati-. In linea generale, nel romanzo rosa non si assiste a grandi modificazioni degli schemi morali e della visione del mondo nel periodo che va dalla fine degli anni Quaranta ai Settanta; l’intento didattico rimane costante in tutte le grandi firme del periodo, anche se con diverse sfumature e comunque di significato completamente opposto a quello di inizio secolo, a partire dall’immarcescibile Luciana Peverelli, nel frattempo divenuta direttrice del settimanale Stop, che scrive "Occhi indimenticabili" e "Ti cercherò dovunque", fino ad arrivare a Brunella Gasperini, che morirà nel 1979, per anni curatrice della rubrica “sentimentale” di Annabella, e autrice di "Rosso di sera" e "Le ragazze della villa accanto".
Gli anni Ottanta, infine, vedono un deciso incremento, in Italia come negli Stati Uniti e in Canada, del romanzo rosa, che ha un bacino di utenza di oltre venti milioni di lettrici e un fatturato complessivo di trecentocinquanta milioni di dollari. I principali editori americani sono la Harlequin di Winnipeg, Canada, che dà l’inizio al “nuovo rosa”, e la Simon & Schuster di New York, i cui romanzi vengono prontamente tradotti e immessi sul mercato nostrano da Mondadori, la collana Harmony, e da Curcio, Bluemoon, che rappresentano insieme l’ottanta per cento del mercato interno. L’industria culturale si riorganizza: le collane hanno le loro sezioni e sottosezioni sempre più specializzate, innervate, però, da libri diversi dal solito; chi ne entra in possesso, deve esserne ben orgoglioso, perché questi sono romanzi ben scritti: in fondo, come abbiamo visto, fanno parte di serie autodefinitesi “di pregio”.
L’idea di base è molto semplice: mettere in vendita, attraverso edicole e supermarket, libri a prezzo molto basso, in genere offerti in un pacchetto di quattro o sei alla volta, con un numero standard di pagine e alte tirature. <129
Perché non è più importante sapere chi scrive. Una lunga schiera di scrittori e scrittrici italiani o provenienti dall’estero, un esercito di artigiani affidabili che si consola con grossi diritti d’autore della totale disattenzione da parte della critica, se non del suo discredito, sono solo nomi che appaiono e scompaiono immediatamente: lo pseudonimo dietro cui si celano è anonimo e asettico, somigliante e assolutamente sovrapponibile a tanti altri.
L’unica cosa che realmente conta è la riconoscibilità dello schema -equilibrio iniziale, incontro e innamoramento, crisi, riconoscimento e nuovo equilibrio finale-; dei personaggi, della situazione, del “discorso amoroso”, inattuale forse, eppure presentissimo nell’immaginario dei sognatori “rosa”. <130 Non c’è posto per l’autore nella letteratura di massa, vale solo la “formula magica” che fa dire al lettore: questo è un romanzo rosa;; la casa editrice fa fede ed è garanzia di qualità: se fa uscire quel testo, vuol dire che c’è dentro una buona storia. Il titolo e il paratesto non hanno più alcuna importanza, secondo una fenomenologia che raddoppia, amplificandola, la produzione editoriale del periodo in cui un nome come quello di Guido da Verona era maggiormente in auge. <131
Le eccezioni all’anonimato sono rappresentate, oltre che dalla “divina” e dai nomi succitati, da Barbara Cartland, quasi coetanea di Liala, gran veterana del genere, reduce dai tanti successi personali ottenuti ben prima dell’esplosione del fenomeno di massa, e i cui oltre trecentosessantacinque titoli rappresentano una società cristallizzata nel tempo, un idealizzato Ottocento, in cui si succedono amori romantici e personaggi eroici alla Byron che montano veloci ed elegantissimi cavalli bianchi. Anche per lei, come per le autrici del “nuovo rosa”, l’amore è una liberazione e un’evasione dalla routine quotidiana, l’ultima possibilità concessa alle protagoniste di mutare radicalmente una grigia esistenza. Autrici come Violet Winspear e Anne Hampson, che compaiono molto frequentemente nelle collane di Mondadori e Curcio, ambientano le proprie storie in paesi esotici, ma soprattutto lontani e a Nord rispetto ai luoghi in cui la protagonista di turno vive e lavora. L’amore che nasce e si sviluppa in questi scenari da sogno, raggiunti attraverso un vero e proprio viaggio iniziatico, e l’uomo idealizzato che solitamente essa incontra -sempre bello, atletico e con una posizione sociale di rango- è di natura affatto violenta e liberatoria: la passione che ne sortisce, annichilisce la donna, che annulla volontariamente le sue conquiste culturali e la sua emancipazione, e si annulla nella considerazione di essere inferiore all’uomo. <132
Per assicurarsi l’attenzione d’un pubblico sempre più smaliziato, che non s’accontenta certo ormai del bacio finale, l’editoria s’adegua prontamente, inserendo sul mercato, all’interno delle sezioni summenzionate, serie come "Desire" della Curcio, dalla caratteristica copertina rossa, o come "Destiny" della Harlequin-Mondadori, i cui protagonisti sono più maturi, reduci quasi sempre da fallimentari esperienze matrimoniali. A Curcio e Mondadori, che insieme sfornano ogni mese oltre cinquanta titoli, s’affiancano altre case editrici con nuove collane di pari livello, come il Club della donna e Intimità di Cino Del Duca, o Polvere di Stelle della Omnia di Roma, che danno a tante autrici italiane la possibilità di pubblicare. Le loro storie non hanno alcunché da invidiare a quelle d’oltreoceano, se non altro in forza della tradizione nazionale, davvero unica al mondo: sono giovani e abili professioniste, dotate di originalità e capacità narrativa, tra cui si distingue Francesca Battaglia, autrice di "Julia, ripensaci" e "Isola blu" che, nel rispetto della migliore tradizione paraletteraria italiana, si firma con lo pseudonimo straniero Lou Warren.
Ma esiste anche una narrativa femminile italiana a grande diffusione, che eredita molti tratti della letteratura rosa nazionale, declinandoli secondo i moduli narrativi dei romanzi di successo di stampo anglosassone, soprattutto per quanto concerne la visione stereotipata del mondo del lusso e della ricchezza, tipica del best-seller americano. Campioni di questa tendenza sono Bice Cairati e Nullo Cantaroni, molto più noti come Sveva Casati Modignani, che devono il loro successo a un pastiche di soldi, sesso, segreti e storie familiari intricate, adattissimo alla rielaborazione televisiva tanto in auge in questi anni, in forza delle numerose sottotrame, dei salti spazio-temporali, dell’esperto uso del flashback. Al fondo, il racconto conserva un sapore d’altri tempi, avvicinabile al glorioso e sempre vincente feuilleton popolare, nonostante sia ambientato nel mondo dell’alta finanza e dei salotti più esclusivi: il personaggio principale è sempre una donna appassionata, il cui nome compare quasi sempre già nel titolo (Anna dagli occhi verdi, Caterina a modo suo, ma vedi anche il notissimo Donna d’onore, del 1988, che s’arrischia ad esplorare il mondo delle tradizioni mafiose, ma calandole nella contemporaneità) che fa di tutto per vivere al massimo dell’intensità le sue vicende amorose, ma strenuamente legata ai valori familiari, soprattutto quelli legati al suo ruolo di madre, e pure riesce ad uscire sempre vincente e in modo più che dignitoso dai tanti pericoli che le si parano innanzi, concentrando nella sua figura l’antica vocazione all’onnipotenza matriarcale, tratto fondante della letteratura sentimentale.
Ancor più esemplare il caso di Maria Venturi. Direttrice di Anna, l’ex Annabella, e curatrice dell’ultima grande rubrica di piccola posta della nostra editoria periodica, Venturi che è l’erede diretta della tradizione delle giornaliste-scrittrici tanto importanti per l’evoluzione del romanzo rosa italiano è di certo l’ultima tra esse a poter vantare un rapporto personale e fecondo con il suo pubblico. Quando esce il suo primo romanzo, "Storia d’amore", nel 1984, non scrive già più sul settimanale; eppure sarà proprio il passaparola delle lettrici a far passare questa trama da un sostanziale anonimato allo status di caso editoriale dell’anno. Da quel momento, ogni vicenda narrata da Venturi risulterà vendutissima, e anche nel suo caso molto farà la sceneggiatura televisiva, per cui i suoi romanzi sembrano essere nati. Al centro delle vicende narrate, va ancora ricordata almeno "La storia spezzata", campeggia il protagonismo femminile, elemento fondamentale della narrazione. Il punto di vista adottato, salvo rarissimi casi, è sempre quello di donne che parlano di altre donne; la carriera, un importante ruolo sociale professionale, sono obiettivi ormai attingibili cui aspirare con tutte le proprie forze, ma è proprio a questo punto che sorgono i problemi: il tema di fondo dei romanzi di Venturi, infatti, è la problematica accettazione di sé da parte delle donne, in questo ben poco aiutate da uomini nel migliore dei casi inadatti, quando non incapaci -a tratti meri oggetti di scambio, nemmeno troppo importanti-; la difficoltà a volte insormontabile di conciliare i tanti, nuovi aspetti della rinascente identità femminile con i ruoli di moglie, madre, amante. <133
Dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta, insomma, i libri hanno continuato strenuamente a rappresentare un duraturo e prestigioso status symbol. Ma con l’avvento della rivoluzione informatica, si assiste ad uno spostamento di senso: lo status symbol muta forma, divenendo neutro. <134 Il cuore del capitalismo, che aveva avuto la sua impennata in Occidente proprio durante questi decenni, intenderebbe ancora rappresentare la possibilità fornita alle persone di sentirsi libere, proprio in forza della maggiorata capacità d’acquisto. Ma il capitalismo difetta dell’anima: alla saturazione di tutti i bisogni mediati dal martellamento pubblicitario, s’erge, inalterato, l’àmbito dell’immaginazione, della fuga nel sogno, che può ancora ritrovarsi nella letteratura rosa contemporanea, singolare misto di tradizione e modernità: magari marginalizzata rispetto alle ricerche che analizzano i grandi flussi culturali ed economici, ma solo perché il fenomeno è ormai solido e stabile.
Vanno naturalmente evitate le generalizzazioni, sia in senso positivo che negativo e occorrono contestualizzazioni storiche più precise: l’Italia degli anni Cinquanta è ancora un Paese molto arretrato -comunque meno di quanto comunemente si pensi, soprattutto a livello industriale-, come testimoniano le inchieste televisive e giornalistiche dell’epoca: eppure è un Paese vivo, in costante progresso, sociale ed economico, in cui tutti ormai vogliono essere partecipi del rinnovamento. L’accesso alle storie sentimentali, a quelle storie che divengono velocemente patrimonio comune, è ormai possibile a tutti gli italiani, a vario grado scolarizzati: la semplicità e ripetitività delle trame, rappresentano un valore piuttosto che un limite: la morale comune trova uno dei suoi specchi proprio nella progressiva audacia delle trame rosa.
L’industriale culturale, ancora una volta, è stata capace di leggere in tempo reale ciò che succedeva nella realtà. <135
Greta Garbo creò il proprio mito ritirandosi dal cinema per farsi ricordare in modo imperituro dal suo pubblico, per sempre bella e giovane come al momento della sua “scomparsa”. Per comprendere quanto Liala sia entrata nel cuore e nelle menti di almeno quattro generazioni di lettori, basta pensare che la scrittrice lariana ha otto anni in più della grande attrice svedese, che diede l’addio al cinema ad appena trentasei anni, nel 1941, dopo il clamoroso insuccesso del film "Non tradirmi con me". Occorre un’ulteriore riflessione su quello che è un atteggiamento mentale tipico delle grandi dive dell’epoca, tra cui ci piace annoverare la nostra scrittrice: le ultime interviste rilasciate da Garbo risalgono addirittura al 1929; per la creazione di un mito non ci si deve mostrare troppo: ogni volta che appare, un essere straordinario perde gran parte della sua aura. E Liala costruisce il proprio mito proprio seguendo queste regole. Non dobbiamo conoscere la sua quotidianità: persino le figlie, che si trovarono a gestire un rapporto difficile con una madre dal nome e dalla personalità tanto ingombranti, nelle scarse interviste rilasciate sembrano recitare un copione ben scritto, perché di questa figura sacrale si deve dir pochissimo. Le notizie sulla sua biografia le ha sempre fornite lei, e in abbondanza, in interviste e libri. Con lungimirante acutezza, le ha trasformate in un pettegolezzo intimo e discreto tra lei e le sue lettrici. <136 Un pettegolezzo che s’accresce fino a divenir mito: "Confidenze di Liala" nasce a questo scopo e almeno una decina di suoi romanzi è direttamente ispirata alla sua vita. Negli anni, Liala ha
infatti pazientemente tessuto e ritessuto la tela di Penelope del suo mito privato, conosciuto ormai da tutte le sue lettrici <137; ma più volte, in varie interviste, affermerà con aristocratico distacco: «Il mio miglior romanzo è la mia vita».
[NOTE]
126 Cfr. E. FLUMERI - G. GIACOMETTI, (cura e traduzione di), La vie en rose. Letteratura rosa e bisogni femminili, Roma, Dino Audino, 2012.
127 Attraverso questo percorso interpretativo si può, a nostro parere, spiegare anche l’ormai centenaria polemica sui fini ultimi dell’arte cinematografica. Ancora oggi, il cinema spettacolare che viene prodotto negli Stati Uniti da quell’enorme macchina organizzativa che è l’industria di Hollywood, viene visto come fumo negli occhi dai critici più oltranzisti, secondo cui un film deve indurre sempre e comunque ad una riflessione più profonda del mero dato visivo. In realtà, il cinema, come tutte le declinazioni artistiche commerciali del primo Novecento, nasce soprattutto per intrattenere. Esiste certo un cinema che deve far riflettere gli spettatori su temi scottanti, ma esiste altresì una cinematografia che offre puro intrattenimento, e non casualmente maggiori incassi. Questa è la grande chiave di lettura. Nel momento in cui la produzione culturale diventa di massa, deve esistere a fianco della letteratura alta anche una letteratura di intrattenimento che non si prefigga una scopo artistico alto. Accanto a mostri sacri come Alla ricerca del tempo perduto di Proust o l’Ulisse di Joyce ci devono essere testi che la grande massa di lettori devono poter leggere.
128 Cfr. AZZOLINI, PAOLA, Il cielo vuoto dell’eroina. Scrittura e identità femminile nel Novecento italiano, Roma, Bulzoni, 2001.
129 Le lettrici italiane dei romanzi rosa, che adesso si possono comprare letteralmente al peso sulle bancarelle agli angoli delle strade inventano peraltro, all’incirca all’inizio degli anni Ottanta, quello che al giorno d’oggi è
considerato un esperimento geniale, il book-sharing. Dal momento che il modo di lettura mostra i tratti di una vera e propria coazione a ripetere, quando si raggiunge un congruo numero di romanzi, che appunto non siano quelli delle edizioni fatte passare come d’eccezione, li si porta al gestore della bancarella che, nel frattempo, ha preparato e distribuisce una serie di testi portati da altre clienti, e così facendo, guadagna una piccola cifra per il suo ruolo di intermediario.
130 Cfr. F. BONAZZI, Uno studio in rosa. Il mondo narrato e l’immaginario femminile, Milano, FrancoAngeli, 2003.
131 Se i romanzi di Sibilla Aleramo, Elsa Morante e Lalla Romano, pur tra mille distinguo, appartengono alla letteratura italiana “alta”, in forza anche delle strategie adottate dagli editori cui queste scrittrici facevano riferimento, il romanzo rosa, ormai assurto al rango di genere riconosciuto, mantiene e anzi rafforza, in virtù dell’acquisito status produttivo, la semplicità delle sue trame, che in alcuni casi diviene rozzezza: il romanzo rosa vuole essere “brutto”.
132 Le storie possono perciò essere ambientate ovunque, in Scozia, Hawaii, America, Australia, per l’Italia a Roma, a Milano -come fa spessissimo Liala, in omaggio alla città “motore” del boom economico italiano-; non cambia alcunché, perché il sistema narrativo è riconoscibile a qualsiasi latitudine: le lettrici e i lettori sono poco o punto interessati allo sfondo delle storie d’amore -sono luoghi, quelli, che mai conosceranno-, come è sempre accaduto sin dai primordi del genere.
133 Ribadiamo che sia nel caso di Sveva Casati Modignani che di Maria Venturi -ma in questo senso, occorre fare una menzione anche per Susanna Tamaro e il suo Va’ dove ti porta il cuore-, non si può parlare di romanzo rosa tout court, ma di letteratura destinata al pubblico femminile, che ne rielabora tematiche e sentimenti. Basti pensare alla marginalità della figura maschile, che non solo non ha il risalto che per “statuto” il rosa classico le ha sempre attribuito, ma è particolarmente sbiadita e sicuramente secondaria. Non è cioè più attraverso il maschio che la donna si definisce, ma in un protagonismo sempre più irrorato dall’avventura, oppure nelle fasi problematiche di una maturazione esclusivamente personale, in cui la maternità non è il più importante degli obiettivi.
134 I best-sellers, per esempio, tipico fenomeno degli anni Settanta e Ottanta, dal loro canto non sono capolavori per eccellenza, ma frutto anch’essi di un’accorta strategia comunicativa pubblicitaria, che riguarda in maggior misura la sociologia della letteratura, piuttosto che il valore intrinseco di questi testi. Cfr. A. CADIOLI, La narrativa consumata, Ancona, Transeuropa, 1987.
135 Qualche anno fa, si ricorderà, ci fu il boom dei numeri telefonici 144. Molti adolescenti chiamavano questi numeri per parlare con donne e uomini chiedendo loro sostanzialmente un accesso privilegiato alla sessualità repressa, o semplicemente un corrispettivo “amicale”. Anche in quel caso, l’industria pubblicitaria seppe cogliere un sommovimento che spostava bruscamente all’indietro, l’età del primo contatto col sesso da parte dei giovani. Questo significava che una fetta consistente del mondo giovanile rimaneva tagliata fuori, a causa di timidezza, bruttezza, lontananza dalle grandi città, atteggiamento severo da parte dei genitori. Allora, i grandi network pubblicitari bombardarono l’etere televisivo di messaggi che, agli occhi di questi ragazzi, si rivelarono irresistibili, fino a che non fu approntata una legge ad hoc che limitò ai soli maggiorenni l’uso delle chat -non solo erotiche, si badi: numerosissime erano appunto le “confidenti” anonime-.
136 «Io non ho bisogno che i critici parlino di me: di me parla bene il mio pubblico, è al mio pubblico che devo rendere conto di ciò che scrivo. Ma vorrei che molti critici, prima di criticare, facessero almeno la fatica di leggere quello che hanno deciso di criticare». LIALA, Diario vagabondo, Milano, Sonzogno, 2001, [I Edizione 1977].
137 Un mito che non accenna a smettere di incuriosire e che ha invaso anche il web: basti pensare ai tanti siti dedicati alla letteratura rosa, così come ai molti articoli riguardanti Liala. Vedi, per un incompleto resoconto, oltre al già citato www.150anni.it, I. BOSSI FEDRIGOTTI, Zucchero e sospiri dell’eterna Liala, 29 marzo 1997, in www.archiviostorico.corriere.it; R. M. DELLA PORTA, Da Liala a Oldofredi, quando la via scivola sul nome, 12 settembre 2002, in www.archiviostorico.corriere.it; s. f., Liala, il romanzo d’amore mai pubblicato e mai finito, 25 agosto 2005, in www.archiviostorico.corriere.it; F. TETTAMANTI, Un secolo di passioni tra amori e ricordi Liala «C’è posta per Liala», 12 dicembre 2007, in www.archiviostorico.corriere.it; S. MONTEFIORI, Il romanzo rosa è l’avanguardia, 26 agosto 2008, in www.archiviostorico.corriere.it; R. M. DELLA PORTA, Il ballerino innamorato che non sa più danzare Un inedito di Liala, 15 dicembre 2009, in www.archiviostorico.corriere.it; I. BOZZI, Un sortilegio per l’ebook, 17 aprile 2011, in www.archiviostorico.corriere.it; A. SACCHI, Liala, il segreto di un successo che ha conquistato ebook e blog, 20 aprile 2011, in www.archiviostorico.corriere.it; A. BENINI, Donna delizia, Liala siamo noi, in «La giornata», 25 aprile 2011, in www.ilfoglio.it; I. BOZZI, Sogni, amori, sentimento. Chi legge ancora Liala?, in «La ventisettesima ora», Blog di Corriere della Sera.it, 12 maggio 2012.
Wilasinee Faengyong, Liala, compagna d'ali e d'insolenze: storia del romanzo rosa in Italia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno accademico 2012/2013