La Mostra nella politica di Luigi Freddi
La sostanziale distanza di Mussolini dalla Mostra [Internazionale d'Arte Cinematografica], dovuta a una forma di cautela che gli garantiva comunque di esercitare il controllo sull'allestimento, dal momento che a lui spettava l'autorizzazione del calendario e del programma, non era destinata a durare. Il 1935 segna di fatto lo spostamento del centro di controllo della Mostra dalla Biennale, coadiuvata dall'Istituto Internazionale di Cinematografia Educativa, alla Direzione Generale per la Cinematografia.
A determinare questo strappo concorse il brusco cambiamento della politica estera di Mussolini. Il 1933 infatti segnò l'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni, della quale l'Istituto Internazionale per la Cinematografia Educativa era emanazione. La Germania ormai costituiva una minaccia per l'Europa. Per questo le grandi potenze si mossero per stringere accordi e impedire il riarmo tedesco.
Così fece Mussolini, che presto intese opporre alla furia bellicista della Germania nell'Est europeo una politica colonialista nell'Africa orientale.
Nell'ottobre del 1935, immediatamente dopo la prima Mostra organizzata senza alcun legame con la Società delle Nazioni, l'Italia si mosse “a sorpresa” occupando l'Etiopia, mostrando al mondo il volto aggressivo e imperialista del fascismo.
A quel punto anche l'immagine della Biennale «Ginevra delle arti», luogo della concordia delle discipline artistiche, specchio fedele della linea di stabilizzazione mantenuta da Mussolini in politica estera, dovette cambiare <42.
Sul versante interno, l'Italia si apprestava a rinforzare il proprio apparato industriale, anche avviando la progressiva statalizzazione dell'industria cinematografica.
Ancora nel 1934, Luigi Freddi, giornalista e uomo politico da settembre a capo della neonata Direzione Generale del Cinema, emanazione del Ministero per la Stampa e la Propaganda, nonché membro della Corporazione dello Spettacolo, venne incaricato di redigere una relazione sul cinema italiano <43.
La relazione di Freddi si può considerare come un testo chiave per comprendere le scelte politiche del regime in materia cinematografica <44.
La politica cinematografica di Luigi Freddi, rispetto alla quale la Mostra può apparire come un'iniziativa piuttosto sui generis, si pose come obiettivo la centralizzazione della produzione e della distribuzione cinematografiche italiane su modello tedesco, per quanto lo stesso Freddi condannasse le azioni coercitive messe in atto dal III Reich. Nel quadro della politica culturale fascista, la Mostra serviva per promuovere all'estero l'immagine di un'Italia cosmopolita e industrializzata, ricca di storia ma tesa verso il futuro. Non un'iniziativa eccentrica, né un mero strumento propagandistico, piuttosto il rovescio della medaglia dell'Italia fascista che all'interno si appoggiava alla retorica del patriottismo ruralista, all'esterno guardava ad un cosmopolitismo industriale.
Dal punto di vista distributivo, il 1934 è ancora lontano dalle scelte protezioniste e antiamericane che, a partire dal 1939, serviranno a consolidare l'alleanza con la Germania. Luigi Freddi in questa fase si limitò a gettare le fondamenta di un sistema corporativo il cui scopo era la promozione e il controllo - e non il soffocamento - dell'industria cinematografica italiana, nei suoi aspetti produttivo e distributivo.
Rispetto al modello tedesco, che come vedremo avrebbe di lì a poco condizionato le scelte italiane attraverso la creazione della Camera Internazionale del Film, l'Italia rinunciò allo strumento dell'imposizione, “limitandosi” a creare un circuito di sale cinematografiche a gestione statale, a istituire premi fascisti, a operare censure sui copioni e a favorire la produzione nazionale, il tutto nel tentativo di promuovere e difendere il cinema di intrattenimento.
Al cinema, l'arma più forte, lo strumento attraverso cui diffondere nel mondo l'immagine di Roma e del suo rinnovato impero, vennero riservati investimenti e progetti, ma l'idea sottesa alla politica freddiana favoriva il cinema in quanto strumento della distensione sociale.
Non un cinema di propaganda, che in Italia ebbe tutto sommato uno spazio limitato, bensì uno spettacolo di intrattenimento, sul modello americano.
Posta sotto la tutela e il controllo del Ministero per la Stampa e la Propaganda, l'organizzazione della Mostra venne sottratta alle competenze dell'Istituto Internazionale per la Cinematografia Educativa e Luciano De Feo venne estromesso. Fu istituita una struttura organizzativa permanente e autonoma interna alla Biennale ed espressamente dedicata all'allestimento della Mostra e venne creato un comitato direttivo, a capo del quale fu nominato Ottavio Croze: il primo direttore della Mostra di Venezia, per quanto i suoi compiti non siano assimilabili a quelli che, dal dopoguerra in poi, definiranno il ruolo del vero e proprio direttore artistico.
La ricorrenza annuale
A consentire l'allestimento della terza edizione a distanza di un solo anno rispetto alla precedente fu lo stesso Mussolini. È Luigi Freddi a ricordare che «per volere di S.E. il Capo del Governo», in seguito a trattative intercorse tra la Biennale e la Direzione Generale per la Cinematografia, venne autorizzata la cadenza annuale della manifestazione, e quindi poté avviarsi l'organizzazione della III Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Nell'arco del 1935, il governo non solo si avvicinò alla Mostra, ma vi entrò con pieni poteri e ne cambiò l'assetto, rafforzandone la struttura e concedendole di divenire annuale. Tuttavia, perché queste modifiche fossero sancite da un punto di vista legislativo si sarebbe dovuto aspettare il 13 febbraio 1936, anno in cui venne emanato il regio decreto legge n. 891.
La terza edizione della Mostra fu a suo modo innovativa, al punto da anticipare alcune delle linee che in futuro costituiranno delle costanti del festival veneziano e non solo: alcuni presupposti teorici e alcuni aspetti organizzativi e strutturali segneranno da Venezia la strada per molti festival cinematografici a venire.
La prima importante innovazione fu il nuovo carattere annuale della manifestazione. La trasformazione della Mostra da evento biennale a evento annuale consentì alla rassegna veneziana di seguire l'andamento del mercato cinematografico, più dinamico rispetto al mercato dell'arte che alimentava le mostre biennali cui inizialmente si ispirarono gli ideatori della «biennale del cinema».
L'iniziativa era destinata quindi ad assumere alcuni caratteri propri degli eventi commerciali, pur conservando altissima la vocazione artistica. Così «Intercine», mensile dell'Istituto Internazionale di Cinematografia Educativa, partner organizzativo della Mostra, chiosava l'obiettivo principe della manifestazione resa annuale: «L'anno cinematografico inizia con la Mostra <45».
Questa dualità eterna, strutturale nel cinema tutto, tra arte e industria, è espressa in termini estetici nello stesso articolo di «Intercine», che postula la confluenza a Venezia di un cinema spettacolare destinato alle grandi masse, del quale la critica analizza «le reazioni estetiche, politiche, sociali» e un cinema «di pura arte», in relazione al quale la critica svolge un'analisi sul piano tecnico ed estetico «per sondare le possibilità dell'avvenire <46».
Tale dualità riflette anche le linee di governo in materia cinematografica attuate dallo stato fascista, specie in relazione alla produzione. Con alle spalle la Direzione Generale per il Cinema, emanazione diretta del neonato Ministero per la Stampa e la Propaganda e l'Istituto per la Cinematografia Educativa, la Mostra si candidava a diventare l'epicentro degli scambi commerciali (e diplomatici) intorno al cinema, industria sulla quale il governo italiano aveva puntato per dimostrare la potenza e la lungimiranza dell'Impero.
A beneficiare della recente legislatura in materia cinematografica fu, naturalmente, soprattutto il cinema italiano che trovò sostegno economico e, nella Mostra, un'occasione molto importante di confronto con la cinematografia internazionale. Si legge infatti nel numero monografico de «La Rivista del Cinematografo», dedicato alla III Mostra: «La produzione italiana ha sentito l'influsso provvidenziale, benefico del nuovo controllo dato dalla Direzione Generale della Cinematografia presso il Ministero della Stampa e della Propaganda. Abbiamo avuto la sensazione precisa di una tale assistenza premurosa. Le produzioni nostre sono apparse meno preoccupate - è l'esatta espressione - che per il passato. In esse la vivacità, il movimento, l'ambientazione, il decoro degli allestimenti scenici, hanno perduto una buona volta quella impronta - mi scusi il passato! - di teatrino di posa fatto con una scatola da gioco di bimbi <47».
Il cinema italiano trova dunque a Venezia il suo trampolino di lancio ideale. La motivazione dell'assegnazione della Coppa Mussolini a Casta diva di Carmine Gallone, già presentato a Parigi nell'edizione italiana e inglese e a Londra nell'edizione inglese, qui al suo battesimo italiano, si prodiga di rintracciare nella fattura del film un grande dispiego tecnico e un gusto italico degno della risonanza internazionale.
«Il film costituisce un'opera tecnicamente e artisticamente perfetta, di un gusto e di un'armonia tipicamente italiani che le conferiscono un sicuro e nobile significato internazionale <48».
L'Italia mussoliniana attraverso questa terza edizione della Mostra diede di sé un'immagine tecnicamente e culturalmente avanzata, in grado di reggere il confronto con quella delle altre nazioni europee.
[NOTE]
42 Per un resoconto degli effetti della politica estera dell'Italia fascista sulla Biennale, cfr. Massimo De Sabbata, Tra diplomazia e arte: le Biennali di Antonio Maraini (1928-1942), Udine, Forum, 2006, pp. 28-31.
43 Per un approfondimento della figura di Luigi Freddi attraverso i suoi scritti e le sue memorie, cfr. Luigi Freddi, Il cinema, 2 voll., Roma, L’Arnia, 1948.
44 Cfr. Luigi Freddi, Relazione sul cinema italiano 1933-1934, in Francesco Bono, Cronaca di un festival senza orbace, censure e coppe di regime in Ghigi, Giuseppe (a cura di), Venezia 1932. Il cinema diventa arte, Venezia, Fabbri-La Biennale di Venezia, 1992, pp. 91-109.
45 «Intercine», anno III, n. 8, agosto 1935, in Aprà, Ghigi, Pistagnesi (a cura di), Cinquant'anni di cinema a Venezia, cit., p. 59.
46 Ivi.
47 Mario Milani, La terza Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica al Lido di Venezia, in «La Rivista del Cinematografo», numero speciale pubblicato in occasione della III Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, settembre 1935, p. 257.
48 Ibid., pp. 217-220.
Riccardo Triolo, Per una storia della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica: revisione e studio della Serie Cinema conservata presso l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2011
La sostanziale distanza di Mussolini dalla Mostra [Internazionale d'Arte Cinematografica], dovuta a una forma di cautela che gli garantiva comunque di esercitare il controllo sull'allestimento, dal momento che a lui spettava l'autorizzazione del calendario e del programma, non era destinata a durare. Il 1935 segna di fatto lo spostamento del centro di controllo della Mostra dalla Biennale, coadiuvata dall'Istituto Internazionale di Cinematografia Educativa, alla Direzione Generale per la Cinematografia.
A determinare questo strappo concorse il brusco cambiamento della politica estera di Mussolini. Il 1933 infatti segnò l'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni, della quale l'Istituto Internazionale per la Cinematografia Educativa era emanazione. La Germania ormai costituiva una minaccia per l'Europa. Per questo le grandi potenze si mossero per stringere accordi e impedire il riarmo tedesco.
Così fece Mussolini, che presto intese opporre alla furia bellicista della Germania nell'Est europeo una politica colonialista nell'Africa orientale.
Nell'ottobre del 1935, immediatamente dopo la prima Mostra organizzata senza alcun legame con la Società delle Nazioni, l'Italia si mosse “a sorpresa” occupando l'Etiopia, mostrando al mondo il volto aggressivo e imperialista del fascismo.
A quel punto anche l'immagine della Biennale «Ginevra delle arti», luogo della concordia delle discipline artistiche, specchio fedele della linea di stabilizzazione mantenuta da Mussolini in politica estera, dovette cambiare <42.
Sul versante interno, l'Italia si apprestava a rinforzare il proprio apparato industriale, anche avviando la progressiva statalizzazione dell'industria cinematografica.
Ancora nel 1934, Luigi Freddi, giornalista e uomo politico da settembre a capo della neonata Direzione Generale del Cinema, emanazione del Ministero per la Stampa e la Propaganda, nonché membro della Corporazione dello Spettacolo, venne incaricato di redigere una relazione sul cinema italiano <43.
La relazione di Freddi si può considerare come un testo chiave per comprendere le scelte politiche del regime in materia cinematografica <44.
La politica cinematografica di Luigi Freddi, rispetto alla quale la Mostra può apparire come un'iniziativa piuttosto sui generis, si pose come obiettivo la centralizzazione della produzione e della distribuzione cinematografiche italiane su modello tedesco, per quanto lo stesso Freddi condannasse le azioni coercitive messe in atto dal III Reich. Nel quadro della politica culturale fascista, la Mostra serviva per promuovere all'estero l'immagine di un'Italia cosmopolita e industrializzata, ricca di storia ma tesa verso il futuro. Non un'iniziativa eccentrica, né un mero strumento propagandistico, piuttosto il rovescio della medaglia dell'Italia fascista che all'interno si appoggiava alla retorica del patriottismo ruralista, all'esterno guardava ad un cosmopolitismo industriale.
Dal punto di vista distributivo, il 1934 è ancora lontano dalle scelte protezioniste e antiamericane che, a partire dal 1939, serviranno a consolidare l'alleanza con la Germania. Luigi Freddi in questa fase si limitò a gettare le fondamenta di un sistema corporativo il cui scopo era la promozione e il controllo - e non il soffocamento - dell'industria cinematografica italiana, nei suoi aspetti produttivo e distributivo.
Rispetto al modello tedesco, che come vedremo avrebbe di lì a poco condizionato le scelte italiane attraverso la creazione della Camera Internazionale del Film, l'Italia rinunciò allo strumento dell'imposizione, “limitandosi” a creare un circuito di sale cinematografiche a gestione statale, a istituire premi fascisti, a operare censure sui copioni e a favorire la produzione nazionale, il tutto nel tentativo di promuovere e difendere il cinema di intrattenimento.
Al cinema, l'arma più forte, lo strumento attraverso cui diffondere nel mondo l'immagine di Roma e del suo rinnovato impero, vennero riservati investimenti e progetti, ma l'idea sottesa alla politica freddiana favoriva il cinema in quanto strumento della distensione sociale.
Non un cinema di propaganda, che in Italia ebbe tutto sommato uno spazio limitato, bensì uno spettacolo di intrattenimento, sul modello americano.
Posta sotto la tutela e il controllo del Ministero per la Stampa e la Propaganda, l'organizzazione della Mostra venne sottratta alle competenze dell'Istituto Internazionale per la Cinematografia Educativa e Luciano De Feo venne estromesso. Fu istituita una struttura organizzativa permanente e autonoma interna alla Biennale ed espressamente dedicata all'allestimento della Mostra e venne creato un comitato direttivo, a capo del quale fu nominato Ottavio Croze: il primo direttore della Mostra di Venezia, per quanto i suoi compiti non siano assimilabili a quelli che, dal dopoguerra in poi, definiranno il ruolo del vero e proprio direttore artistico.
La ricorrenza annuale
A consentire l'allestimento della terza edizione a distanza di un solo anno rispetto alla precedente fu lo stesso Mussolini. È Luigi Freddi a ricordare che «per volere di S.E. il Capo del Governo», in seguito a trattative intercorse tra la Biennale e la Direzione Generale per la Cinematografia, venne autorizzata la cadenza annuale della manifestazione, e quindi poté avviarsi l'organizzazione della III Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Nell'arco del 1935, il governo non solo si avvicinò alla Mostra, ma vi entrò con pieni poteri e ne cambiò l'assetto, rafforzandone la struttura e concedendole di divenire annuale. Tuttavia, perché queste modifiche fossero sancite da un punto di vista legislativo si sarebbe dovuto aspettare il 13 febbraio 1936, anno in cui venne emanato il regio decreto legge n. 891.
La terza edizione della Mostra fu a suo modo innovativa, al punto da anticipare alcune delle linee che in futuro costituiranno delle costanti del festival veneziano e non solo: alcuni presupposti teorici e alcuni aspetti organizzativi e strutturali segneranno da Venezia la strada per molti festival cinematografici a venire.
La prima importante innovazione fu il nuovo carattere annuale della manifestazione. La trasformazione della Mostra da evento biennale a evento annuale consentì alla rassegna veneziana di seguire l'andamento del mercato cinematografico, più dinamico rispetto al mercato dell'arte che alimentava le mostre biennali cui inizialmente si ispirarono gli ideatori della «biennale del cinema».
L'iniziativa era destinata quindi ad assumere alcuni caratteri propri degli eventi commerciali, pur conservando altissima la vocazione artistica. Così «Intercine», mensile dell'Istituto Internazionale di Cinematografia Educativa, partner organizzativo della Mostra, chiosava l'obiettivo principe della manifestazione resa annuale: «L'anno cinematografico inizia con la Mostra <45».
Questa dualità eterna, strutturale nel cinema tutto, tra arte e industria, è espressa in termini estetici nello stesso articolo di «Intercine», che postula la confluenza a Venezia di un cinema spettacolare destinato alle grandi masse, del quale la critica analizza «le reazioni estetiche, politiche, sociali» e un cinema «di pura arte», in relazione al quale la critica svolge un'analisi sul piano tecnico ed estetico «per sondare le possibilità dell'avvenire <46».
Tale dualità riflette anche le linee di governo in materia cinematografica attuate dallo stato fascista, specie in relazione alla produzione. Con alle spalle la Direzione Generale per il Cinema, emanazione diretta del neonato Ministero per la Stampa e la Propaganda e l'Istituto per la Cinematografia Educativa, la Mostra si candidava a diventare l'epicentro degli scambi commerciali (e diplomatici) intorno al cinema, industria sulla quale il governo italiano aveva puntato per dimostrare la potenza e la lungimiranza dell'Impero.
A beneficiare della recente legislatura in materia cinematografica fu, naturalmente, soprattutto il cinema italiano che trovò sostegno economico e, nella Mostra, un'occasione molto importante di confronto con la cinematografia internazionale. Si legge infatti nel numero monografico de «La Rivista del Cinematografo», dedicato alla III Mostra: «La produzione italiana ha sentito l'influsso provvidenziale, benefico del nuovo controllo dato dalla Direzione Generale della Cinematografia presso il Ministero della Stampa e della Propaganda. Abbiamo avuto la sensazione precisa di una tale assistenza premurosa. Le produzioni nostre sono apparse meno preoccupate - è l'esatta espressione - che per il passato. In esse la vivacità, il movimento, l'ambientazione, il decoro degli allestimenti scenici, hanno perduto una buona volta quella impronta - mi scusi il passato! - di teatrino di posa fatto con una scatola da gioco di bimbi <47».
Il cinema italiano trova dunque a Venezia il suo trampolino di lancio ideale. La motivazione dell'assegnazione della Coppa Mussolini a Casta diva di Carmine Gallone, già presentato a Parigi nell'edizione italiana e inglese e a Londra nell'edizione inglese, qui al suo battesimo italiano, si prodiga di rintracciare nella fattura del film un grande dispiego tecnico e un gusto italico degno della risonanza internazionale.
«Il film costituisce un'opera tecnicamente e artisticamente perfetta, di un gusto e di un'armonia tipicamente italiani che le conferiscono un sicuro e nobile significato internazionale <48».
L'Italia mussoliniana attraverso questa terza edizione della Mostra diede di sé un'immagine tecnicamente e culturalmente avanzata, in grado di reggere il confronto con quella delle altre nazioni europee.
[NOTE]
42 Per un resoconto degli effetti della politica estera dell'Italia fascista sulla Biennale, cfr. Massimo De Sabbata, Tra diplomazia e arte: le Biennali di Antonio Maraini (1928-1942), Udine, Forum, 2006, pp. 28-31.
43 Per un approfondimento della figura di Luigi Freddi attraverso i suoi scritti e le sue memorie, cfr. Luigi Freddi, Il cinema, 2 voll., Roma, L’Arnia, 1948.
44 Cfr. Luigi Freddi, Relazione sul cinema italiano 1933-1934, in Francesco Bono, Cronaca di un festival senza orbace, censure e coppe di regime in Ghigi, Giuseppe (a cura di), Venezia 1932. Il cinema diventa arte, Venezia, Fabbri-La Biennale di Venezia, 1992, pp. 91-109.
45 «Intercine», anno III, n. 8, agosto 1935, in Aprà, Ghigi, Pistagnesi (a cura di), Cinquant'anni di cinema a Venezia, cit., p. 59.
46 Ivi.
47 Mario Milani, La terza Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica al Lido di Venezia, in «La Rivista del Cinematografo», numero speciale pubblicato in occasione della III Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, settembre 1935, p. 257.
48 Ibid., pp. 217-220.
Riccardo Triolo, Per una storia della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica: revisione e studio della Serie Cinema conservata presso l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2011
L’interesse di Mussolini per il cinema non si limitava tuttavia ad aspetti esclusivamente propagandistici: l’inaugurazione nel 1932 del festival cinematografico internazionale della Biennale di Venezia, la fondazione del Centro Sperimentale di Cinematografia e la realizzazione del complesso di studi cinematografici di Cinecittà (rispettivamente nel 1935 e 1937), sono indicativi di un sostegno pubblico del cinema che, senza trascurare la dimensione propagandistica, anzi includendola a pieno titolo, non si risolveva solo ad essa.
Una forma di controllo sulla produzione venne istituita con la creazione di una Direzione generale per la cinematografia nel 1934, oltre alla censura <89.
La rinascita dell’industria cinematografica nazionale nel 1933 pareva avviata e, anche se le importazioni continuavano a superare nei numeri la produzione nazionale: in quell’anno videro la luce ventisette film italiani, di cui circa la metà usciti dalla Cines <90.
Luigi Freddi, un alto funzionario fascista già responsabile per la propaganda del PNF, volle migliorare la situazione dell’industria cinematografica: intraprese una “missione esplorativa”, di due mesi ad Hollywood nel 1932, rimanendo ammirato dallo studio system americano, e nel maggio 1933 una visita di Goebbels, che aveva parlato della Reichsfilmkammer (il nuovo dipartimento cinematografico di Stato) lo convinse dei meriti di un intervento governativo <91.
Freddi (che divenne uno dei massimi responsabili della politica cinematografica italiana dalla metà degli anni trenta) introdusse l’idea di un ufficio statale centralizzato, o Direzione Generale di Cinematografia, che divenne operativo sotto la sua guida nel settembre 1934, con l’assistenza di un piccolo staff <92.
Ebbe l’incarico da parte di Mussolini di stilare una relazione sul cinema italiano e su quella che avrebbe potuto essere la politica cinematografica del fascismo93. La sua idea fu quella di puntare ad un’organizzazione della struttura cinematografica di tipo americano, benché sottoposta alla volontà politica, ideologica ed etica del regime fascista.
Nel rapporto gli apprezzamenti non furono lusinghieri per i prodotti dell’Istituto Luce (soprattutto per i cinegiornali) <94.
Inoltre pensò di creare una centrale produttiva di Stato, specializzata in film di fiction, svincolata da qualsiasi società privata <95.
[NOTE]
89 M. Tolomelli, Sfera pubblica e consenso di massa nel XX secolo, p.36
90 R. Ben - Ghiat, La cultura fascista, p. 142.
91 R. Ben - Ghiat, La cultura fascista, p. 143.
92 R. Ben - Ghiat, La cultura fascista, pp. 143 - 144.
93 M. Argentieri, L’occhio del regime, p. 67.
94 M. Argentieri, L’occhio del regime, p. 68.
95 M. Argentieri, L’occhio del regime, p. 67.
Matteo Veneroso, Politiche di propaganda nell'Italia fascista, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2015
Una forma di controllo sulla produzione venne istituita con la creazione di una Direzione generale per la cinematografia nel 1934, oltre alla censura <89.
La rinascita dell’industria cinematografica nazionale nel 1933 pareva avviata e, anche se le importazioni continuavano a superare nei numeri la produzione nazionale: in quell’anno videro la luce ventisette film italiani, di cui circa la metà usciti dalla Cines <90.
Luigi Freddi, un alto funzionario fascista già responsabile per la propaganda del PNF, volle migliorare la situazione dell’industria cinematografica: intraprese una “missione esplorativa”, di due mesi ad Hollywood nel 1932, rimanendo ammirato dallo studio system americano, e nel maggio 1933 una visita di Goebbels, che aveva parlato della Reichsfilmkammer (il nuovo dipartimento cinematografico di Stato) lo convinse dei meriti di un intervento governativo <91.
Freddi (che divenne uno dei massimi responsabili della politica cinematografica italiana dalla metà degli anni trenta) introdusse l’idea di un ufficio statale centralizzato, o Direzione Generale di Cinematografia, che divenne operativo sotto la sua guida nel settembre 1934, con l’assistenza di un piccolo staff <92.
Ebbe l’incarico da parte di Mussolini di stilare una relazione sul cinema italiano e su quella che avrebbe potuto essere la politica cinematografica del fascismo93. La sua idea fu quella di puntare ad un’organizzazione della struttura cinematografica di tipo americano, benché sottoposta alla volontà politica, ideologica ed etica del regime fascista.
Nel rapporto gli apprezzamenti non furono lusinghieri per i prodotti dell’Istituto Luce (soprattutto per i cinegiornali) <94.
Inoltre pensò di creare una centrale produttiva di Stato, specializzata in film di fiction, svincolata da qualsiasi società privata <95.
[NOTE]
89 M. Tolomelli, Sfera pubblica e consenso di massa nel XX secolo, p.36
90 R. Ben - Ghiat, La cultura fascista, p. 142.
91 R. Ben - Ghiat, La cultura fascista, p. 143.
92 R. Ben - Ghiat, La cultura fascista, pp. 143 - 144.
93 M. Argentieri, L’occhio del regime, p. 67.
94 M. Argentieri, L’occhio del regime, p. 68.
95 M. Argentieri, L’occhio del regime, p. 67.
Matteo Veneroso, Politiche di propaganda nell'Italia fascista, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2015