lunedì 1 novembre 2021

Nel corso degli anni Cinquanta il consumo di tempo libero divenne un segno distintivo del rilievo sociale della famiglia

Fonte: Elisabetta Girotto, art.cit. infra

Il tempo libero delle famiglie
Nel corso degli anni Cinquanta la trasformazione delle prassi legate al tempo libero influì in modo determinate sulla relazione fra le diverse pratiche di leisure e lo stile di vita di molte famiglie italiane. Come ricorda di Stefano Cavazza, il tempo libero era – ed è tuttora – «parte integrante della concezione del tempo lavorativo e […] bene di consumo in grado di alimentare una vera e propria industria»[1]. L’affermarsi del tempo libero incise sui modelli culturali delle famiglie e orientò le scelte dei loro componenti. In Italia il tempo libero entrò a far parte dell’immaginario collettivo solo con l’avvento del fascismo, quando, distorcendo il significato del sabato britannico, venne introdotto il così detto “sabato fascista”[2].
La vacanza[3] è un indicatore non esclusivo ma certo esemplare del differente godimento da parte delle famiglie del tempo libero. Trascorrere le vacanze in un luogo di villeggiatura o approfittare della domenica per fare gite fuori porta, non fu a lungo una consuetudine condivisa dalla maggior parte della popolazione. Solo i ceti alto borghesi o nobiliari potevano permettersi di andare a riposare nelle località marine o montane, laddove «i villeggianti erano considerati forestieri e non del tutto graditi dalle popolazioni»[4]. A partire dal secondo dopoguerra però, in concomitanza con la crescita economica del Paese, gli stili di vita delle famiglie si modificarono, e con essi si trasformarono anche le pratiche legate alla sfera del tempo libero.
Ma in che modo il consolidamento del nuovo Stato democratico si intrecciò al consumo del tempo libero delle famiglie? A differenza degli anni Trenta, dove lo Stato fascista, mosso dalla necessità di salvaguardare il proprio potere, ebbe l’esigenza di controllare ogni ambito della vita sociale degli italiani[5], negli anni Cinquanta la pratica del leisure divenne una libera scelta, animata dalla ricerca del benessere individuale[6].
Il tempo libero acquistò particolare importanza, in un rapporto dinamico con la sfera dei consumi, e svolse un ruolo di rilievo nei processi di differenziazione sociale[7]. Se negli anni Trenta per operai o impiegati, per non parlare dei contadini, i momenti di svago e la vacanza rimanevano pratiche precluse o fruibili solo attraverso l’intervento dello Stato[8], dal secondo dopoguerra anche i ceti meno abbienti poterono godere del leisure secondo le loro possibilità economiche. Tuttavia la crescita economica del Paese non era sufficiente a modificare le tradizionali abitudini delle famiglie. A dare impulso e a consolidare le nuove “pratiche e prassi” fu un cambiamento socio-culturale che «interessò la sfera del divertimento e della gratificazione personale»[9].
Nel corso degli anni Cinquanta, il consumo di tempo libero divenne così un segno distintivo del rilievo sociale della famiglia, «una pratica non più circoscritta a cerchie ristrette della popolazione»[10]. Essendo direttamente connessa alla sfera dei consumi e del benessere, le famiglie affermavano la propria identità sociale e il proprio status anche attraverso la scelta dei prodotti offerti dal mercato del leisure[11]. Frequentare un luogo di vacanza rispetto ad un altro, andare in pensione o in albergo, scegliere uno stabilimento balneare o accontentarsi della spiaggia libera, fare i villeggianti della domenica o organizzare un tempo lungo di vacanza, erano tutti elementi che sottolineavano le differenze di classe e acuivano le distanze fra gli strati sociali[12].
D’altronde l’aspirazione all’ozio e alla ricreazione, l’agio individuale e familiare almeno in apparenza acquistarono i tratti di un diritto, che l’istituzione pubblica si proponeva di garantire a tutti gli strati sociali. Il “benessere” come fine dell’azione di governo divenne un fattore essenziale nel processo di legittimazione politica[13].
[...] D’altro lato Domenica in provincia è esempio calzante della proficua collaborazione fra propaganda italiana e statunitense[27]. Il film tenta di coniugare uno stile di vita made in Italy con un’imminente modernizzazione socio-economica, dando vita a dei modelli familiari omogenei. Ricostruendo un momento di ricreazione domenicale i registi elaborano un prodotto mediatico incisivo, volto a richiamare nell’immediatezza l’interesse del pubblico. Vengono prediletti contesti familiari assai elaborati, lontani dalle pratiche del quotidiano. D’altro canto il film ricostituisce fedelmente luoghi e situazioni dove le famiglie degli anni Cinquanta trascorrevano il proprio tempo libero, la continua enfatizzazione dei momenti di svago carica la pellicola di cliscé facilmente assimilabili da diversi strati sociali. Le famiglie sono ritratte al mercato, nei parchi cittadini o a fare scampagnate fuori porta in compagnia di amici e parenti. Le diverse attività si svolgono con ordine, armonia, sobrietà e la compostezza delle famiglie contraddistingue ogni sequenza del film. Significativo il momento del pick-nick; la scena, ambientata in campagna, vede protagonisti due nuclei familiari di tipo esteso. L’operatore con primo piano descrive il “rito” del pranzo frugale. Mentre i nonni richiamano i nipoti che si erano allontani a giocare, le madri, come fosse un gesto consueto, aprono il “moderno” cesto delle vivande e apparecchiano su una tovaglia distesa sul prato.  L’abbigliamento delle donne richiama le ultime tendenze della moda del periodo: pantaloni modello Capri, un golf in coordinato e un foulard  annodato al collo, insomma “la divisa” che molti rotocalchi le invitano ad indossare per trascorrere i momenti di sollazzo[28]. La figura maschile rimane invece sullo sfondo, sono piuttosto gli oggetti collocati nel pro-filmico a restituirle protagonismo: il primo piano di un kit da pesca all’avanguardia introduce la sequenza in cui quattro uomini, di diversa età, si cimentano nella pratica di questo sport.
Il modello familiare che emerge dal cortometraggio è piuttosto “piatto”, pare infatti trovare definizione solo attraverso simboli e modelli culturali riconducibili allo style of life americano[29]. L’aspirazione al benessere coincide, pertanto, con la diffusione del tempo libero, inteso come «parte del processo di sviluppo della società dei consumi»[30].
Donne e American life style
Per lo più, negli anni Cinquanta, le nuove pratiche legate al tempo libero furono generalmente avvertite dalla Chiesa cattolica, ma non solo[31], come un pericolo per la morale femminile e per gli equilibri che regolavano e caratterizzavano i diversi nuclei familiari[32]. Malgrado i primi lumi di emancipazione femminile – basta pensare alla conquista del voto o all’apertura di alcune carriere professionali un tempo riservate solo agli uomini[33] – è  indubbio che persistesse lo stereotipo della donna fragile, facilmente influenzabile dai prodotti culturali della società di massa. La presenza di un’industria culturale che invitava la popolazione e soprattutto le donne all’evasione dalla routine del quotidiano, allarmava sia le culture di destra che di sinistra. Significativo in tal senso l’articolo Buone vacanze, redatto da padre Attanasio per «Famiglia Cristiana»[34], che rivolgeva un particolare appello alle donne:
    a chi vive sulle spiagge assolate [le donne], in mezzo ad un brulicare umano [gli uomini], che troppo spesso si offre agli sguardi senza ritegno, io ripeto le parole di San Pietro: vigilate perché il diavolo simile ad un leone ruggente, si aggira attorno a voi, senza riposo, cercando di divorarvi […] voi donne siete chiamate a proteggere la morale della vostra famiglia secondo gli insegnamenti della Chiesa.
La vacanza, intesa come luogo di divertimento e di esibizione della sessualità, rappresentava una minaccia per la morale della donna, considerata debole e inerme di fronte alle gratificanti lusinghe e alle avances della cultura di massa, e un pericolo per la famiglia che si muove «in un terreno a lei sconosciuto e pieno d’insidie».
Sotto accusa è anche l’istituzione pubblica che alimenta
    "le passioni, i consumi esasperati […], non si cura del suo [della famiglia] benessere morale, pensa solo a offrirle un falso bene fatto di oggetti e pratiche diaboliche […]. La famiglia è preda della peste americana che si insinua come una serpe […] [e] disorienta le famiglie di buona volontà"[35].  
Le preoccupazioni che muovono il giornalista a condannare con forza lo Stato, ne ribadiscono la centralità nel sistema di connessioni fra tempo libero, ricerca del benessere e famiglia.
Da diversa prospettiva il settimanale «L’Europeo» dove, soprattutto nel periodo estivo, affidava le proprie rubriche di costume a Camilla Cederna[36] che, con uno stile narrativo ironico e ammiccante, dava vita ai suoi personaggi e offriva alcuni spaccati della società italiana dei primi anni Cinquanta attraverso l’enfatizzazione dei luoghi comuni e del quotidiano delle famiglie di villeggianti. La giornalista costruiva dei veri e propri reportage sui passatempi degli italiani durante le vacanze. Le protagoniste indiscusse della Cederna erano le donne: simbolo di progresso, ma anche custodi dei valori tradizionali.
La firma femminile del «L’Europeo» entrava prepotentemente nelle case degli italiani regalando un breve momento di spensieratezza alle migliaia di donne che non potevano godersi un periodo di vacanza.  Come ricorda Carla Catelli[37], un’operaia della lucchesia sposata e con una bambina, nelle lunghe estati «mi nascondevo nel bagno, sai vivevo con mia suocera e non c’era molto spazio in casa, e per un breve momento fingevo di essere su quelle spiagge, d’indossare abiti alla moda così ben raccontati da Camilla». Per la Signora Catelli i racconti della Cederna, o come la chiamava lei Camilla - quasi fosse un’amica da sempre -, rappresentavano quel momento di evasione da doveri e compromessi che le scandivano il quotidiano. Carla non era l’unica anche Emanuela Carrara[38] di Treviso o Mery Venturi[39] di Empoli, se pur leggendo a fatica, affidavano a Camilla i loro sogni, segreti e desideri.
Cederna era consapevole di guidare il proprio pubblico nella giungla del mercato dei consumi, di “lanciare” tendenze e di contribuire all’inesorabile processo di emancipazione femminile. Lo stile fresco, un contenuto apparentemente poco impegnato e attento a non esagerare traghetta le donne degli anni Cinquanta in una nuova fase fatta non solo di doveri, ma anche di libertà e diritti.
Se ancora negli anni Cinquanta l’andare in vacanza era solo per pochi, sognare la vacanza era permesso a tutti; ecco allora l’articolo sul Le signore di Capri[40], dove Cederna sottolinea come “l’evento vacanza” e la scelta del luogo di villeggiatura fossero fattori che determinavano «la personalità e lo status» di una donna.
    "una donna che passa da Capri, passa in ogni parte del mondo […]. Quella se vuole può entrare a piedi nudi al Riz, ed è certo che nessuno le dice niente […], insomma può combinare quello che vuole".
L’isola di Capri era il simbolo del lusso, delle nuove tendenze a cui «almeno una volta nella vita, ogni donna aspira». Già da in questo primo passaggio si percepisce come il fine di Camilla Cederna fosse quello di far sognare e divertire il proprio pubblico; d’altro canto, se pur con ironia e caricando di comicità i suoi personaggi la giornalista offriva anche modelli culturali a cui le donne avrebbero potuto riferirsi o aspirare. L’incipiente modernizzazione, il boom economico, emergono con singolare immediatezza dalle descrizioni della Cederna che abilmente intreccia la sfera del tempo libero con il mercato dei consumi. La descrizione del look dei villeggianti ne è un esempio.
    "La moda di Capri è un caso speciale: secondo gli abitanti più raffinati qui non si può andare vestiti come in un’altra isola o in un altro posto qualunque di mare. Il tono generale è più calmo rispetto a qualche anno fa, ma vigono sempre leggi che dividono in due parti i villeggianti: quelli che indovinano e quelli che sbagliano. […] Ecco una milanese che traversa la piazza. Gli esperti capiscono subito da dove viene, [e di cosa si occupa nella vita], perché ha uno chemisier con un’alta cintura di vernice nera in vita, e prima forse è passata al Forte perché ha gli zoccoli. La signora invece rientra nei villeggianti di Capri che sbagliano: primo perché gira con un vestito […] un po’ scemi che va benissimo per Portofino, ma che stona per Capri, secondo perché gli zoccoli a Capri sono all’indice"[41].
Senza dubbio sono descrizioni assai sottolineate, che un tempo riuscivano ad animare la curiosità delle lettrici, e che oggi ci consentono di ricostruire con immediatezza alcuni dei nessi che scandiscono il binomio donne e consumi negli anni cinquanta.
Il filo che unisce le variabili su cui si è riflettuto restano il benessere, il progresso, le “libere” scelte dei consumatori e soprattutto delle consumatrici. Rappresentazioni efficaci di propagandisti e consumati giornalisti; modelli statunitensi che “imperversano” sugli schermi e nella carta stampata, ma questi nuovi stereotipi entrarono così facilmente nel quotidiano delle famiglie italiane?
Ai tempi del tempo libero
Riti, modelli, prassi, consuetudini di famiglie che si affacciano, più o meno timidamente, su una società in trasformazione fatta di nuovi stimoli ed esigenze, sono il punto di arrivo di questo percorso denso di contraddizioni che anima il nostro viaggio nella sfera del tempo libro del secondo dopoguerra. Entrare in punta di piedi nella privacy delle famiglie e la possibilità di riflettere su alcuni dei molti interrogativi rimasti in sospeso è un privilegio offerto dalla lettura di alcuni documenti filmici amatoriali. Senza dubbio non si pretende offrire un’analisi esaustiva delle diverse problematiche, ma ci si propone di rintracciare nuove piste d’analisi che possano sollevare fattori di problematicità volti ad arricchire il dialogo su un periodo storico di per sé denso e non lineare come quello del cinquanta.
La produzione privata di Wando Puccinelli, classe 1920,conta circa 200 ore di girato di cui: 134 in formato 8mm prodotte fra il 1945 e il 1975 e 66 in digitale (1980-2000). Com’è immaginabile gran parte della produzione Puccinelli è dedicata alla rappresentazione di feste e di raduni familiari in occasione di anniversari, battesimi o di matrimoni, ciò non toglie però che sia stato riservato anche ampio spazio alla descrizione di momenti legati alla sfera del tempo libero. La famiglia Puccinelli non è la protagonista esclusiva dei film, le immagini di amici e parenti infatti sono assai ricorrenti.
La struttura e la tecnica cinematografica del film è piuttosto grezza; l’autore non utilizza dissolvenze per passare da una sequenza all’altra, c’è poca consapevolezza dello strumento meccanico quindi le immagini sono spesso sfuocate, e inoltre si notano molte deficienze nel montaggio.
Al di là del dato tecnico, i film di famiglia Puccinelli sono un bacino inesauribile d’informazioni; la lettura dei molti canovacci narrativi, che a differenza di quelli professionali sono costruiti in forma casuale o meglio dipendenti dalle scelte emotive del regista in erba, rendono questo prodotto cinematografico unico per una ricostruzione storica del periodo.
Ma entriamo nel privato della famiglia Puccinelli attraverso la pellicola Viareggio girata nel luglio 1955[42]. Il cortometraggio descrive la gita al mare della famiglia del regista con alcuni amici[43]. Come ricorda l’autore «non mi potevo permettere la villeggiatura, perciò il fine settimana chiudevo bottega e con la famiglia si partiva per il mare»[44].
I ritratti e le sintassi del cortometraggio amatoriale si differenziano notevolmente da quelli proposti dall’Usis[45]. Ad esempio, il climax nei film di propaganda è raggiunto nella descrizione dell’evento che in sé fa percepire l’obbiettivo del racconto cinematografico, mentre nelle pellicole amatoriali ogni momento ha un valore a sé stante visto che l’autore non si avvale di nessuna partitura o scaletta.
Il viaggio per il mare della famiglia Puccinelli inizia alle prime luci dell’alba con i “preparativi”: due donne sulla quarantina (Amanda Puccinelli e l’amica Desy) sono intente a cucinare le pietanze da portare in «vacanza»[46]. Come a una catena di montaggio Amanda e Desy impacchettano, allestiscono ceste e sacchetti stracolmi di vettovaglie «non c’erano soldi per il ristorante, giusto un gelatino per merenda»[47], mentre Wando e Nino (marito di Desy) preparano la macchina: una Fiat Cinquecento carica di bagagli e di persone affastellate l’una sopra l’altra. La calma e l’ordine della famiglia ritratta in Domeniche in provincia cede il passo alle immagini Puccinelli dove emerge un ritratto familiare dinamico e un po’ caotico. I bambini, emozionati, corrono da una parte all’altra inseguiti dalle madri, mentre gli uomini cercano di “infilare” l’ultima borsa nell’unico spazio della macchina rimasto disponibile.
Il regista descrive minuziosamente il momento del viaggio e dell’arrivo delle famiglie in riviera; nelle diverse sequenze si avvicendano paesaggi, luoghi e persone. Autostrade contro strade dissestate, cantieri aperti contro case abbandonate, sobrietà contro ostentazione, parsimonia contro consumismo, modernità contro tradizione vanno letti come «poli opposti di una rappresentazione dialettica che è, nella sua natura bipolare e non in una sola parte, emblema dei tempi»[48]: non esiste un unico cambiamento, così come non esiste una netta appartenenza ad un’unica cultura.
 

Foto 1 Fondo Puccinelli 1958 Viareggio - Fonte: Elisabetta Girotto, art.cit. infra

Finalmente in spiaggia, dove le due famiglie godono un momento di ricreazione sulla spiaggia demaniale di Viareggio (Foto 1.). I “vacanzieri della domenica” hanno montato il proprio ombrellone al confine con lo stabilimento balneare «Rossella», e la scelta non è casuale: la spiaggia libera non offriva alcun servizio, perciò era conveniente “accamparsi” in prossimità di quelle a pagamento[49].
 

Foto 2 Fondo Puccinelli 1958 Viareggio - Fonte: Elisabetta Girotto, art.cit. infra

L’analisi del profilmico mostra come, almeno in apparenza, le abitudini e le ambizioni delle due famiglie non fossero così distanti da quelle rappresentate nelle pellicole di propaganda; i protagonisti, infatti, tentano di seguire le ultime tendenza della moda ovviamente in rapporto alla loro disponibilità economica. I bambini giocano spensierati, i padri parlottano fra loro cercando d’inventare qualche passatempo, mentre le madri si distendono al sole e si concedono una pausa, almeno fino al momento del pranzo. Le parole d’ordine della propaganda: benessere e un nuovo stile di vita, sembrano aver fatto breccia nelle famiglie; dall’analisi degli oggetti del profilmico - la borsa termica, il gira dischi da viaggio o i moderni costumi da bagno - affiora l’esigenza degli italiani e delle italiane di affermare la loro crescita economica e sociale (Foto 2.).
[...]
Ulteriori elementi di confronto emergono dalle pellicole di un altro regista amatoriale, Marco Mangolini[50]. Sebbene la famiglia Mangolini appartenesse al ceto medio e avesse una disponibilità economica maggiore di quella Puccinelli, il rapporto con i fattori di cambiamento, con la sfera dei consumi e con lo Style of life americano non differisce da quelli appena descritti.
Mangolini nella seconda metà degli anni Cinquanta era iscritto all’E.N.A.L.[51] e, con la propria famiglia partecipò a numerose gite organizzate dall’Ente. Nei suoi film dedicò ampio spazio alla rappresentazione di questi momenti di svago; emblematico il cortometraggio Firenze[52] dove, oltre ad essere ritratte le opere d’arte della città, la famiglia si concede più o meno spontaneamente all’occhio della cinepresa seduta in Piazza della Signoria al caffè Rivoire[53]. Le immagini dei figli che sembrano perdersi nella grande coppa di gelato si alternano a quelle della moglie, elegante e dall’età indecifrabile. La donna, ripresa mentre ammira il panorama e sorseggia una bevanda, è visibilmente emozionata e ben vestita: indossa un tailleur da mezza stagione, scarpe col tacco e sfoggia al collo un filo di perle. Gli abiti fuori dell’ordinario fanno supporre che la gita sia per lei un evento eccezionale, un’occasione irripetibile per esibire il suo benessere e status. I gesti, tesi alla ricerca di compostezza, e il modo di vivere il proprio corpo non sono manifesto di modernità, ribadiscono invece condizionamenti consueti, riflesso di un’eduzione tradizionale.
La famiglia Mangolini muove timidamente i suoi primi passi in una società in trasformazione, e come si evince dalle sequenze finali della pellicola: disorientata dal frastuono delle macchine e dalle folle di turisti, cerca rifugio nella propria intimità. I protagonisti stretti, per mano l’uno a l’altro, paiono voler proteggere la propria privacy dalla città, dal progresso che in modo prepotente irrompe nel loro quotidiano.
Conclusioni
La lente della famiglia nell’analisi dei film di propaganda e amatoriali si dimostra duttile strumento nel decifrare alcuni dei meccanismi che caratterizzano la storia del secondo dopoguerra italiano. Periodo storico contraddistinto da forti ritardi e cesure che hanno accompagnato il processo di modernizzazione del Paese. Lo Stato con la propria propaganda per immagini cercò di accelerare il processo di trasformazione culturale utilizzando l’istituto familiare come testimonial delle proprie politiche tese talvolta ad importare modelli culturali provenienti da oltre oceano. D’altro canto gli italiani e le italiani, se pur affascinati dalle nuove pratiche, restano reticenti ad abbracciare nuovi stili di vita così distanti dalla propria cultura. Le famiglie, disorientate e allo stesso tempo attratte dai processi di cambiamento e dalle nuove proposte della società di massa, paiono tentare di conciliare gli elementi di modernità con il proprio privato fatto di pratiche radicate nella tradizione. A ciò si aggiunge una marcata attenzione volta a proteggere la privacy e l’identità della comunità dalle spinte provenienti dall’esterno.
Per le istituzioni e i partiti politici la famiglia rappresentava il luogo da cui muovere per  propagandare i propri programmi e la propria visione di società. E’ così che la vita in famiglia si dimostra palcoscenico e laboratorio fondamentale tanto di conflitti, quanto di relazioni sociali, di genere e generazionali[54]. Al di là del modello familiare proposto, i film di propaganda tesero al consolidamento del sistema-famiglia in quanto elemento essenziale per la promozione delle politiche dello Stato.
[NOTE]
[1]S. Cavazza, Viva l’ozio. Il tempo libero nella età contemporanea, in S. Cavazza, E. Scarpellini (a cura di), Il secolo dei consumi. Dinamiche sociali nella storia del Novecento, Carocci, Roma, 2006, pp. 96-97.
[2]S. Cavazza, Sabato fascista, in V. De Grazia, S. Luzzato (a cura di), Dizionario del fascismo, Torino, Einaudi, 2003, vol. II pp. 570-571.
[3]In questa tipologia sono compresi anche brevi periodi in cui le famiglie erano lontane da casa.
[4] S. Cavazza, Viva l’ozio, cit., pp. 85-86.
[5] Sul rapporto fra Stato e tempo libero si veda: V. De Grazia, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista, Roma- Bari, Laterza, 1981 ( ed. or. The culture of Consent. Mass Organizing of Leisure in FascistItaly, New York, Cambridge University Press, 1981); Per un confronto fra gli anni Trenta e Cinquanta si veda: D. Forgacs, S. Gundle, Cultura di massa e società italiane,1936-1954, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 327- 375 in particolare pp. 327- 346.
[6] S. Cavazza, Viva l’ozio, cit., p. 91.
[7]Ibidem, p.89; Per altri spunti sul tema, cfr. P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, il Mulino, 1983 (ed. or. La distincion: critique sociale dujugement, Minuit, Paris, 1979).
[8]Le attività ricreative promosse dall’OND o dall’OMNI sono segno dell’incisiva relazione fra dittatura, tempo libero e cittadini. Per alcuni esempi della rappresentazione del tempo libero nell’epoca fascista si veda: Istituto Nazionale Luce: A Roma i bimbi delle colonie estive, muto, giornale Luce (da ora g.l). a0460, 00/11/1929; Cfr. A Roma. La villeggiatura fascista delle bambine dei dopolavoristi ospedalieri, muto, g.l. b0709; Cfr. quindi Il fascismo per la salute e la felicità dei bimbi. A Savignone, presso Genova è stata inaugurata una colonia montana per le piccole italiane genovesi, sonoro, g.l. b0331, 1933. Tutte le pellicole sono in b/n, prodotte dall’Istituto Luce e Conservate presso l’Archivio storico Luce di Roma.
[9] S. Cavazza, Viva l’ozio, cit., p. 96.
[10]Ibidem, p. 89.
[11]S. Cavazza, Viva l’ozio p. 87; Altre suggestioni possono essere rintracciate in Cfr. S. Pivato, A. Tonelli, Italia vagabonda: il tempo libero degli italiani, Carocci, Roma, 2004, pp. 23 sgg.
[12] P. Ginsborg, Sogni, genere, classi sociali: elementi di italianità, 1945-2000, in U. Lucas (a cura di), Storia d’Italia. Annali 20. L’immagine fotografica 1945-2000, Torino, Einaudi, 2004, pp. 22-70. Cfr., dello stesso autore Famiglie Novecento, Torino, Einaudi, 2013.
[13] P. Pombeni, La legittimazione del benessere. Nuovi pareri di legittimazione in Europa dopo l seconda guerra mondiale, in Id (a cura di), Crisi, legittimazione e consenso, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 357-417.
[27] Per un’analisi della cinematografia americana: M. Rosen, Le donne e il cinema: miti e falsi miti di Hollywood, Varese, Dall’Oglio, 1974. Per alcuni spunti di riflessione sulla relazione fra mito americano e italiano attraverso un approccio di genere, cfr. S. Gundle, Le figure del desiderio, Roma- Bari, La terza, 2007, (titolo originale: Bellissima. Feminine Beauty and the idea of Italy, Yale University Press, 2007), pp. 174- 201, pp. 234- 273 e in particolare sul rapporto fra consumi e ideale di bellezza pp. 276- 307
[28] C. Cederna, Le mogli fedeli di Riccione, in «L’Europeo», 5 agosto, 1951; Ead. Le signore i signori le signorine della costa dei Forte dei Marmi, in «L’Europeo», 9 agosto, 1953; Ead.  Le signore di Capri, in «L’Europeo», 19 luglio, 1953.
[29] Per una riflessione sul rapporto fra società italiana e style of life americano si veda: V. De Grazia, L’impero irresistibile. La società dei costumi americani alla conquista del mondo, Torino, Einaudi, 2005, (tit., or. Irresistible Empire. America’s Advance through Twentieth-Century Europe, New Nork, 2005), pp. 16- 63 e pp.107- 135.
[30] S. Cavazza, Viva l’ozio, cit., p. 89. Per un’analisi della società di massa e dei suoi prodotti culturali fra i molti lavori si vedano D. Forgasc, S. Gundle, Cultura di massa e società italiana, Cultura di massa e società italiana 1936-1954, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 53 sgg.
[31]E. Girotto, L’immoralità della morale. Giovani donne nell’Italia degli anni Cinquanta del Novecento, in G. Da Molin, (a cura di), Giovani: stili di vita e salute dalla storia all’attualità, Bari, Cacucci, 2019.
[32] A. Corbin, L’invenzione del tempo libero, 1850-1960, Roma- Bari, Laterza, 1996, pp. 378 ss. (ed. or. L’avènementdes loisirs 1850-1960, Aubier, Paris, 1995)
[33] Sul tema contraddittorio dell’emancipazione femminile fra i molti Cfr. A. Bellassai, La legge del desiderio: il progetto Merlin e l’Italia degli anni Cinquanta, Carocci, Roma, 2006, pp. 51-61.
[34] Padre Attanasio, Buone Vacanze, in «Famiglia Cristiana», 10 luglio, 1958.
[35] Padre Attanasio, Buone Vacanze, cit.
[36] Fra i molti si veda: C. Cederna, Le mogli fedeli di Riccione, cit.; si veda inoltre Ead. Alle mogli non piacciono le vacanze in tenda, in «L’Europeo», 5 agosto, 1951; Cfr. quindi Ead. La signora di Salso Maggiore, in «L’Europeo», 17 settembre, 1952; ed inoltre Ead. Viaggio di nozze e turismo, in «L’Europeo», 20 settembre, 1953; Cfr. Ead. Le signore I signori le signorine della costa dei Forte dei Marmi, cit.; ed inoltre Ead., Le signore di Capri, cit.
[37] Intervista del 12/02/2000. Carla Catelli, nata a Lucca 12/04/1930, operaia presso l’Oleificio “Frediani e Del Greco”.
[38] Intervista 03/02/2001. Emanuela Cararra, sposata con due figlie, casalinga.
[39] Intervista a Mery Venturi 12/11/2000. Mery Venturi. Sposata due figli, operaia in un calzaturificio.
[40] C. Cederna, Le signore di Capri, cit.
[41]Ibidem.
[42]Viareggio, Wando Film (il nome della casa di produzione è un’invenzione del regista), durata: 01:45:00 min., colore, muto, anno di produzione: 1955. Parte del cortometraggio è stato visionato con l’autore e sua moglie che hanno spiegato e commentato le diverse scene. Per questa ragione si sarà così puntuali nel ricostruire ambienti, luoghi e personaggi. Intervista a Wando Puccinelli, 12/09/2009. Puccinelli, classe 1929, negli anni Cinquanta aveva aperto una piccola officina meccanica nei pressi di Lucca. Appassionato di modellistica e di comunicazione - aveva costruito un “baracchino radiofonico”- si dedicò alla produzione di film amatoriali sin dai primi anni Cinquanta.
[43] Puccinelli e Zingoni erano amici e coinquilini; dividevano un appartamento disposto su due piani: al primo piano abitavano gli Zingoni e al secondo i Puccinelli, i servizi igienici erano in comune. Com’è immaginabile le famiglie condividevano molti momenti del loro quotidiano. Amanda «si era sempre insieme […] una volta mi lamentavo volevo un po’ più d’intimità, […] ma ora rimpiango quei tempi». La famiglia Puccinelli oggi vive in una villetta unifamiliare a San Concordio, prima periferia della città di Lucca in Toscana.
[44] Intervista a Wando Puccinelli, 12/09/2009.
[45]Domeniche in provincia, cit.; Cfr. I nostri divertimenti, cit.; Se si sposta l’attenzione alla fine del Decennio emerge come le modalità di rappresentazione della famiglia rimangono pressoché inalterate. Per alcuni esempi si veda: Giovedì sera, cit.; Cfr. Giorno di festa,cit.
[46] Da evidenziare come Amanda Puccinelli sottolinei che quei brevi momenti di tempo libero per la sua famiglia rappresentassero una vera e propria vacanza.
[47] Intervista a Amanda Puccinelli, cit.
[48] E. Asquer, Rompere senza rumore, in E. Asquer, M. Casalini, A. Di Biagio, P. Ginsborg (a cura di), Famiglie del novecento, Carocci, Roma, 2010, p. 229.
[49] La mancanza di strutture pubbliche mette in evidenza come lo Stato non assolse fino in fondo al proprio compito di garante di pari opportunità. Ancora una volta la realtà non corrispondeva a ciò che veniva propagandato. Sebbene nella propaganda l’istituzione pubblica ribadisse i risultati delle sue politiche, ciò non toglie che le sue opere non furono in larga parte adeguate alle nuove esigenze delle famiglie. Per un’analisi delle politiche statali del secondo dopo guerra Cfr., G. Crainz, Il paese mancato. Dal Miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli, 2003, pp. 121 sgg.
[50] Marco Mangolini nasce a Ferrara nel 1934. Nel 1945 si sposa con Rosalina Federighi dall’unione nascono due figli – maschio e femmina-. Mangolini era un tecnico farmaceutico. L’archivio della famiglia Mangolini conta di 150 ore di girato in 8mm, prodotto dal 1956 al 1970. Il fondo di famiglia è consultabile previa autorizzazione presso la famiglia Mangolini a Ferrara.
[51]E.N.A.L, Ente Nazionale Assistenza Lavoratori. Era un ente parastatale per il dopo lavoro. Si occupava di organizzare per i lavoratori attività culturali come feste paesane, gite e villeggiature.
[52]Firenze, produzione: M. Mangolini, durata 01:10:00 min., b/n, muto, anno di produzione: 6/4/1957.
[53] Il caffè Revoire, fondato nel 1872, è una caffè storico della città di Firenze in Toscana.
[54]E. Asquer, Rompere senza far rumore, E. Asquer, M. Casalini, A. Di Biagio, P. Ginsborg (a cura di) Le famiglie del Novecento, cit., p. 238.
Elisabetta Girotto, Tutti al mare! Genere, famiglia e tempo libero nell’Italia degli anni Cinquanta del Novecento, OS Officina della storia, 30 giugno 2020