sabato 6 novembre 2021

Il Monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine costituisce un sistema di memoria

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Nel suo recente libro Monumenti per difetto, Adachiara Zevi definisce il Monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine, come monumento che scrive «una nuova pagina nella lunga storia di monumenti e memoriali, invischiata nella migliore delle ipotesi, nella contrapposizione tra figurazione-rappresentazione e astrazione-sublimazione» per il suo «carattere rivoluzionario: … è concepito come un percorso dinamico, anziché come oggetto statico, ma gli episodi architettonici e artistici posti in relazione corrispondono esattamente a quelli della storia da ricordare, consentendoci di riviverla e attualizzarla» <85. Ma non sono queste caratteristiche già prefigurate dal Sacrario militare del monte Grappa? [...]
2.2.4 Monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine Adachiara Zevi ha recentemente analizzato la relazione tra architettura e memoria, alla luce della felice categoria che ha chiamato monumento per difetto, elaborata a partire dalla nozione di contromunumento proposta da E. J. Young e di cui, propone Zevi, il Monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine può costituire il prototipo. Se Zevi individua in questo memoriale il primo monumento da agire, in realtà gran parte dei suoi elementi costitutivi (il fatto che sia concepito come un monumento dinamico, e si trovi sul luogo dove si è compiuto l’evento storico di cui esso racconta), come ho anticipato poche pagine fa, sono già presenti nel sacrario del Monte Grappa, sebbene qui vengano ripresi in una forma più radicale. L’idea di monumento performativo e costruito secondo una logica cinematica al centro del quale si va precisando la relazione tra corpo e paesaggio, inizia infatti - come ho cercato di dimostrare attraverso gli esempi del Cenotaph e del Sacrario del monte Grappa, e ancora Tirgu Jiu - già all’indomani della Prima Guerra Mondiale - primo momento in cui si apre quella crisi della rappresentazione che costituisce in qualche modo l’ordito della storia dell’arte del novecento. Ciò non toglie che il Monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine introduca molti elementi di novità, che ne fanno un imprescindibile termine di confronto per strutture commemorative a venire. In primo luogo, in questo caso la corrispondenza tra il percorso e la storia da ricordare è totale, e produce un rispecchiamento tra vittima e visitatore, che si vede trasformato in testimone. In seconda istanza il percorso non è lineare e costruito su un asse ascensionale, come nel caso del Sacrario, ma circolare: impedisce di uscirne, riporta sempre al centro di quel vuoto - ed è questa la grande invenzione di questo memoriale - attorno al quale lo spazio si organizza. È - soprattutto - il primo monumento che ha il vuoto come fulcro concettuale e centro strutturale: assenza e vuoto sono elementi centrali nell’articolazione spaziale dei contromonumenti, perché «necessarly open ended, the countermonument does not turn the absence of the Holocaust victims into a presence through their complete memorial (monumental) representation.» <97 Il monumento non è una rappresentazione dell’assenza a cui un oggetto restituirebbe presenza - ma la manifestazione - proprio attraverso la rimessa in scena del vuoto e la forma simbolica della frattura - della rimozione dalla scena sociale politica e culturale delle vittime dell’Olocausto.
Il Monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine è in questo senso decisamente già un contromonumento, perché modellato attorno alla ferita letterale operata sul paesaggio, per cancellare i segni della ferita simbolica inferta alla popolazione della città. L’eccidio delle Fosse Ardeatine si compie il 24 marzo 1944, in seguito all’attentato antifascista di via Rasella - a Roma - a un battaglione di poliziotti del reggimento Bozen annesso all’esercito tedesco. 335 persone di età, credo politico e classe sociale diversa, verranno prelevate dal carcere di via Tasso, sede della Gestapo, dal carcere di Regina Coeli, e dalle loro case nel corso di rastrellamenti, portate nelle cave del Forte Ardeatino, e lì fucilati, uno dopo l’altro. Per occultare i corpi, i nazisti fanno brillare delle mine che provocano all’interno delle cave di pozzolana i crateri ancor oggi visibili. Come chiarisce Alessandro Portelli, non fu possibile impedire la rappresaglia, perché nel momento in cui i giornali riportarono il comunicato emanato dal comando tedesco, l’ordine era già stato eseguito. La pubblicazione nel 1999 de L’ordine è già stato eseguito costituisce un fondamentale contributo nel ricucire i fatti e redimere la memoria di questo episodio della Resistenza antifascista. Una memoria - quella della Resistenza - ancora oggi problematica per il nostro paese e mai ricomposta (memoria divisa, la definisce con un efficace termine Zevi) che accompagna anche le stragi di Sant’Anna di Stazzema, Civitella Val di Chiana, Guardistallo e che si produce in una sorta di guerra dei monumenti, combattuta tra due fazioni, due Italie. Anche per questa ragione, la ricostruzione attenta di Portelli, che fa uso di documenti ufficiali d’archivio, ma anche di racconti e storie orali sia di ex partigiani, sia di ex fascisti, è particolarmente importante, perché oltre che alla storia, restituisce verità anche anche al Mausoleo delle Fosse Ardeatine, che la trasmette. All’indomani della liberazione di Roma il 4 giugno 1944 le cave diventano meta di pellegrinaggio da parte della popolazione, e le famiglie delle vittime si organizzano in associazioni. Il 2 luglio 1944, mentre il Nord del paese è ancora nel pieno del conflitto, il governo assume l’impegno a erigere sul luogo dell’eccidio un monumento definito significativamente «nuovo altare della patria, che ricordi nei secoli la guerra del secondo Risorgimento italiano» <98. Il mito fondativo di una parte d’Italia è la Resistenza: ma è su una memoria divisiva che si costruisce il nuovo stato repubblicano, con tutte le conseguenze non solo a livello politico, ma anche sul piano estetico - ovvero dell’elaborazione delle forme di trasmissione della memoria - che questo comporterà <99. Il mausoleo, inaugurato il 24 marzo 1949, nel quinto anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, a pochissima distanza temporale dai fatti che testimonia, è nelle intenzioni del nuovo governo dedicato non solo alle vittime dell’eccidio, ma più in generale ai caduti della Guerra di Liberazione. Sono i famigliari delle vittime a indicare la strada del concorso pubblico nazionale, che viene indetto il 15 gennaio 1945, e la consegna viene fissata da lì a cinquanta giorni. Sarà il primo concorso pubblico di architettura della Repubblica italiana. Il concorso prevede la costruzione di un sacrario in un’area sopraelevata, la sistemazione del piazzale d’ingresso, il consolidamento delle gallerie. Le famiglie caldeggiano la sepoltura nelle gallerie stesse, sconsigliata tuttavia in sede di concorso perché il terreno è franoso. In ogni caso non viene mai messa in dubbio né l’identificazione del monumento con il luogo della strage, né il mantenimento della sua topografia. Degli undici progetti presentati, ne vengono selezionati solamente quattro, dei quali vincono ex aequo il progetto di secondo grado, bandito alla fine del 1945, due gruppi: l’uno formato dagli architetti Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino e dallo scultore Francesco Coccia e l’altro dagli architetti Giuseppe Perugini e Mirko Basaldella <100. Ai due gruppi viene assegnato l’incarico di un progetto comune, ma l’iter della realizzazione del mausoleo è travagliata: le soluzioni proposte sono oggetto di forte critica dall’associazione dei famigliari delle vittime. Viene respinta l’idea di una sepoltura modellata sul topos del cimitero di guerra, viene proposta una soluzione a gallerie o a colombario o ancora all’interno delle gallerie in un unico tumulo. Difficile sarà anche la ricerca di equilibrio tra commemorazione e celebrazione, interpretate dalla committenza alla luce del binomio astrazione e figurazione <101. Anche in questo, il Mausoleo è un precedente precoce, perché questo dibattito continua ad intrecciarsi con la questione del monumento e della rappresentabilità.. La proposta che verrà infine accettata è frutto di una efficace e felice negoziazione tra istituzioni e cittadini e si registra anche nel dispiegarsi di diversi linguaggi formali.
Il mausoleo è circondato da un muro in opus incertum di tufo, che ritoviamo anche all’interno nei muri di consolidamento delle gallerie. Si accede varcando una cancellata di ferro di Mirko Basaldella, e lasciandosi sulla sinistra il gruppo scultoreo di Coccia. Sulla sinistra una grande lastra appena sopraelevata, custodisce le sepolture individuali allineate in file regolari, che la luce che penetra dalla fenditura illumina. Di fronte si apre l’ingresso alle cave. Tutto il percorso è costruito come un viaggio simbolico, volto a provocare il rispecchiamento tra vivi e morti, e a far coincidere il nostro tempo e quello della storia. Anche la cerimonia ne assume i tratti: ogni anno, al culmine della commemorazione dell’eccidio, i nomi dei 335 trucidati vengono scanditi ad alta voce. Questa lettura, nota Zevi, sembra rievocare l’appello compiuto da Erich Priebke nel momento dell’arrivo delle vittime alle cave di pozzolana dove si sarebbe consumata la strage. Ma l’enumerazione è anche un modo per restituire individualità ai caduti, che qui prende una forma performativa, impermanente, che riscrive ogni anno attraverso la voce recitante in un qui e ora, la memoria della strage. Voce recitante e corpo in azione: quello del visitatore che ripercorre a sua volta il percorso compiuto dalle vittime, e vale la pena sottolineare ancora una volta che nel sacrario il percorso non è univoco, in questo luogo non c’è una strada da percorrere, ma un territorio da attraversare, senza gerarchie o seguendo istruzioni scritte a priori. Le Fosse Ardeatine sono un monumento senza fulcro, senza centro, e forse per questo senza retorica. Sono anche una gigantesca, diffusa tomba: lo è la grotta, e ce ne rendiamo ancora più conto non solo camminando nel buio fino alla lapide che ricorda l’eccidio, ma quando sollevando lo sguardo vediamo, in due punti del percorso, il cielo sopra di noi, attraverso il buco aperto dalle mine, lanciate per occultare la strage. Lo è la grande lastra tombale che copre tutte le sepolture, e che sembra chiudersi anche su di noi, lo è la cancellata che somiglia a una selva oscura e impenetrabile, una soglia da varcare. Cosa fa allora questo mausoleo, se non riportare qui e ora la morte, rimettere in scena il trauma, impedendo di dimenticare questa, ma anche ogni strage, ogni guerra? Insieme al muro di via Rasella, che ancora oggi conserva le tracce della bomba lanciata sulla brigata Bozen dai partigiani, Il Monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine costituisce un sistema di memoria, che si articola nello spazio e attraverso diversi luoghi della città.
 

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

[NOTE]
85 A. Zevi, Monumenti per difetto: dalle Fosse Ardeatine alle pietre d’inciampo, Donzelli 2014.
97 R. Crownshaw, The Afterlife of Holocaust in Contemporary Literature and Culture, Palmgrave MacMillan, London 2010.
98 F.R. Castelli, 1944-1949. Il Mausoleo delle Fosse Ardeatine. Genesi di un Monumento, in Roma, architettura e città, atti della Giornata di studio del 24 gennaio 2003, Gangemi, Roma 2004 pp. 126 sgg, cit in A. Zevi op.cit., p. 11.
99 E. Pirazzoli, Il luogo e il volto. Note a margine della crisi del monumento dopo il 1945 in «Engramma», n. 95, dicembre 2011, Venezia, www.engramma.it.
100 Per una accurata ricostruzione delle tappe del concorso, si veda A. Zevi, op. cit. p. 10 e seguenti
101 Cfr. A. Zevi, op. cit.
Cecilia Canziani, Storia e memoria: dal monumento al film, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2015

Renato Guttuso, Fosse Ardeatine, 1950 (Roma, Museo dei cimeli delle Fosse Ardeatine) - Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine


Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

La «guerra di miti e di simboli nazionali» <33 tra i due partiti di massa non finì per coinvolgere anche il mausoleo delle Fosse Ardeatine, inaugurato il 24 marzo 1949 dal ministro dei Lavori pubblici Umberto Tupini, nel centenario della Repubblica romana del 1849; un luogo di per sé destinato a divenire il sacro emblema della retorica celebrativa della Resistenza: un «nuovo Altare della Patria», che ricordasse nei secoli la «guerra del nuovo Risorgimento italiano», meta di pellegrinaggio per commemorare lo «sterminio di tutti gli italiani impegnati nella lotta di liberazione nazionale».
Costruito sul luogo «della vendetta tedesca» accanto alle tombe dei primi martiri cristiani, lungo l’antica via romana che da Porta San Pancrazio conduce alle Catacombe di Santa Domitilla, San Callisto e Cecilia Metella, il monumento diveniva un’area sacra di preghiera e di lutto per i «nuovi martiri della nazione», con il compito di ricordare chi aveva «cospirato e combattuto sul fronte clandestino del grande esercito partigiano» salvando «l’unità del popolo» e ristabilendo «l’onore della nazione» <34. Nel massacro nazista avevano infatti trovato la morte «uomini d’ogni classe sociale» e di tutte le fedi politiche. Militari di tutte le armi e specialità (5 generali, 7 colonnelli, 5 ufficiali superiori, 8 capitani, 8 ufficiali subalterni, 7 graduati, 6 soldati di truppa), uomini di tutte le professioni (avvocati, medici, commercianti, industriali, operai, contadini, impiegati, un sacerdote e un diplomatico), di tutte le età dai 14 ai 75 anni, di tutte le religioni (71 israeliti e 264 cattolici) <35.
A rappresentare gli italiani «affratellati nella battaglia per la libertà» <36 erano del resto le stesse biografie delle vittime, com’era nel caso dell’avvocato Placido Martini, volontario a diciott’anni nella guerra del 1915, inviato sui teatri di guerra a Domokos in Grecia: «figura snella e giovanile, con un tempra inflessibile di combattente per la Patria e per la Libertà» <37.
La lettura nazional-patriottica della tragedia delle Ardeatine era, del resto, ben visibile nell’architettura stessa del mausoleo: «opera di pubblica utilità, urgente e indifferibile» <38, come l’avrebbe definita il capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, il monumento finì per impegnare ben tre governi d’unità nazionale, con il pieno coinvolgimento delle autorità del Comune di Roma, del ministero dell’Assistenza postbellica e di quello dei Lavori pubblici <39.
Al di fuori di ogni richiamo formalistico o accademico, la scelta di erigere il mausoleo nel piazzale antistante le gallerie ov’era stato consumato l’eccidio,   si rivelò uno straordinario espediente «narrativo », essenziale per sfruttare la capacità evocativa delle cave. La volontà di «innalzare un faro di riconoscenza e di gloria a tutti i caduti sul fronte clandestino della lotta partigiana» <40, fu accentuata proprio dalla conservazione dell’ambiente fisico del massacro: fattore, questo, tenuto ben presente dall’architetto Giuseppe Perugini, vincitore del concorso comunale col progetto UGA (Unione Giovani Architetti) <41, che nella sua opera cercò di realizzare visivamente un «tributo dell’amore popolare all’immenso sepolcro, che accoglie le sanguinanti spoglie mortali delle 320 vittime, ree solo di aver amato la Patria e la Libertà» <42.
Definitivamente sistemato nel 1947, con l’esecuzione dei lavori affidata al ministro dei Lavori pubblici <43 e presidente dell’Anfim, Umberto Tupini, il mausoleo delle Fosse Ardeatine diveniva così il luogo del cordoglio nazionale.
L’impianto architettonico del monumento tese, del resto, ad enfatizzare l’antigerarchia e l’uguaglianza dei caduti, raccogliendo le 335 salme sotto un’enorme pietra tombale di cemento e granito - simbolo di oppressione e martirio - in modo da dare l’impressione visiva della comune condizione di sofferenza, al di là di divisioni politiche e ideologiche, fino ad assumere un significato superiore alla morte condivisa nelle trincee.
Sull’entrata a sinistra, poco prima dell’accesso al sacrario, sorgeva, poi, un’enorme statua dello scultore Francesco Coccia, Le tre età, che rappresentava un vecchio, un uomo e un ragazzino di fronte al dramma della morte.
Ad esprimere la tensione serrata e spasmodica dell’eccidio, vi era infine la cancellata d’entrata al mausoleo dello scultore Mirko Basaldella: un motivo intrecciato volto a raffigurare le membra umane oppresse dalla violenza e dalla tirannide, dischiuse verso un avvenire di libertà.
La centralità della cornice celebrativa delle Ardeatine come unico spazio simbolico degli «slanci e gli eroismi del 1860 e quelli altrettanto gloriosi della Resistenza» <44, fu tuttavia anche all’origine dell’oblio di altri luoghi simbolo della violenza fascista e dell’occupazione tedesca della capitale. Sfuocata nella memoria collettiva rimase la strage dei 14 prigionieri prelevati dal carcere di via Tasso e uccisi dai nazisti in fuga a La Storta, il 4 giugno 1944, giorno della liberazione di Roma, così come la vicenda dei 6 fucilati a Forte Bravetta il giorno prima, definiti non a caso «i martiri della vigilia».
Del tutto dimenticate furono pure le sedi della «banda Koch» che aveva operato in via Napoleone III, nell’allora pensione Oltremare o alla pensione Jaccarino in via Sicilia; senza contare l’oblio caduto su Palazzo Braschi, tra corso Vittorio Emanuele II e piazza Navona, già sede della federazione romana del Partito fascista repubblicano e della «Banda Bardi e Pollastrini» <45.
Il parallelismo celebrativo tra la «guerra del 1859 e gli uomini che durante il movimento di resistenza si erano sacrificati per l’Italia» <46, come aveva dichiarato il presidente della Repubblica Antonio Segni, non incluse, pertanto, altri fatti della resistenza romana.
Lo stesso Sepolcreto dei caduti nella lotta di liberazione, inaugurato dal Comune di Roma il 15 settembre 1957 al cimitero del Verano, per ricordare i 182.000 caduti della Resistenza, fu inglobato in un simbolico percorso che nelle celebrazioni per l’anniversario della strage del 24 marzo avrebbe condotto al «Mausoleo Ardeatino», passando Capena, all’imbocco di via di Porta San Sebastiano <47.
Tuttavia, è solo a partire dal XVI anniversario dell’eccidio, caduto il 24 marzo 1960 nel quadro delle celebrazioni per il I centenario dell’Unità d’Italia, che il discorso retorico sul «testamento spirituale dei martiri e dei caduti del I Risorgimento (1820-1918)» <48, è entrato a far parte della memoria pubblica della Resistenza.
La mobilitazione contro il governo Tambroni nel luglio 1960 ha fornito, da allora, l’occasione per edificare una «narrazione egemonica della resistenza patriottica», alle cui radici si è posta l’eredità di fatti come «le Termopili o Canne, Sapri o Belfiore»: avvenimenti, secondo l’allora sindaco di Roma, Urbano Cioccetti, in cui «gruppi di uomini si immolarono nei diversi tempi per la causa collettiva; fatti che sorreggono la nostra civiltà, il nostro pensiero, il nostro umano decoro» <49.
Con la nascita dei governi di centro-sinistra, questa «pedagogia del racconto» è stata del resto definitivamente introdotta, per decreto, nei nuovi programmi scolastici che hanno previsto l’insegnamento della storia contemporanea nei licei classici, scientifici e negli istituti magistrali: il biennio della Resistenza, la liberazione dall’occupazione tedesca nell’aprile del 1945 e l’elezione dell’Assembla costituente il 2 giugno 1946 fino all’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, sono così divenute le tappe simboliche fondamentali di una nuova civitas democratica fondata sull’anestetizzazione dei traumi del conflitto mondiale e sulla pacificazione tra gli italiani.
Non è un caso che il Comitato per le celebrazioni del XXV anniversario della liberazione decideva di organizzare una Mostra della prigionia di Roma, della Resistenza e della liberazione, scegliendo come giorno d’inaugurazione proprio il 25 marzo 1969, «nel segno della commemorazione dei martiri delle Fosse Ardeatine» <50. Significativamente protratto fino al 21 aprile 1969, data simbolo della fondazione della città di Roma, l’evento veniva allestito a Palazzo delle
Esposizioni, in via Nazionale, dove già nell’ottobre 1932 il regime aveva inaugurato la Mostra della Rivoluzione fascista, nel decennale della marcia su Roma: «risolta in un atto di meditazione collettiva della città sulle vicende dalle quali [erano] scaturite le istituzioni democratiche», la manifestazione ebbe, dunque, lo scopo d’iniziare un «dialogo con i più giovani», come ribadì il messaggio inaugurale del presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat: «trarre dalla riflessione sui fatti del passato, occasione per rafforzare nell’animo dei cittadini la fede in quei principi di democrazia e libertà il cui ristabilimento è costato un prezzo così alto e doloroso» <51.
L’immagine retorica degli onori ai caduti d’entrambe le guerre mondiali ha del resto continuato a influenzare a lungo il discorso pubblico sulla guerra.
È nel segno di una Liberazione vissuta come Riunificazione che sono state inaugurate dal presidente Napolitano le celebrazioni per il 66° anniversario della Liberazione, caduto nell’anno del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, là dove 25 aprile 1945 e 17 marzo 1861 sono stati intesi come due momenti in cui gli italiani poterono ritrovare «libertà, indipendenza, unità. Perché quei valori già affermatisi attraverso il moto risorgimentale e sanciti con la nascita dello Stato nazionale italiano, dovettero essere a caro prezzo recuperati fra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945» <52.
Viene tuttavia da chiedersi in che misura possa agire oggi l’uso politico di questa tradizione patriottico-ottocentesca, fondata sull’idea di una rigenerazione morale del popolo da affidare all’azione pedagogica di uno Stato educatore, anche attraverso la simbologia dei monumenti. Una tradizione dove tutte le guerre contemporanee, col loro corollario di violenza, continuano ad essere lette «come epopee prima ancora che come tragedie, dove certo si combatte, si soffre, si muore, ma dove nessuna goccia di sangue viene sparsa invano» <53.
Le stesse controversie sul valore del 25 aprile e sull’interpretazione della Resistenza come guerra civile, «ricapitolazione e svolgimento finale, sotto la cappa dell’occupazione tedesca, di un conflitto apertosi nel 1918-1922» <54, continuano ad incontrare ostilità e reticenze proprio nel mondo dell’associazionismo partigiano; e ciò nel timore che quel concetto possa appiattire differenti itinerari politico-culturali in un retrospettivo e banale giudizio di condanna o di assoluzione.
 

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

Fonte: Mausoleo Fosse Ardeatine

[NOTE]
33 E. Gentile, La grande Italia. Il mito della Nazione nel XX secolo, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 250.
34 Relazione al Consiglio dei Ministri sullo schema di decreto legislativo recante norme per la sistemazione delle «Fosse Ardeatine» in Roma, in ACS, PCM (1948-1950), 10268. cat. 14. 6.
35 ANFIM, 24 marzo 1953. IX anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, Tipografia Consorzio nazionale, Roma 1953, p. 6.
36 N. Potenza, Fossa di martiri, edizioni «Vita Nuova», Roma 1944, p. 7.
37 Intervento del senatore Giovanni Maria Cornaggia Medici, 23 marzo 196, in ANFIM, 24 marzo 1961 cit., p. 45.
38 Dichiarazione del capo provvisorio dello Stato, in ACS, PCM (1948-1950), b. 10268 1.4.
39 Cfr. la delibera n. 27, «Concorso pubblico per la sistemazione delle Cave Ardeatine», in Archivio Storico Capitolino (ASC), Verbali del Consiglio Comunale, 15 gennaio 1945. Il bando era già stato approvato il 29 dicembre 1944 e aveva
stabilito l’obbligo di contrassegnare i progetti con un motto per garantire l’anonimato dei partecipanti. Ai vincitori andava un premio di 160 milioni di lire saliti a oltre 400 con i successivi decreti dell’11 marzo 1947, n. 365; 28 gennaio 1949, n. 37; 8 febbraio 1949, n. 37.
40 Seppellire i morti, in «Sacrificium», 1° novembre 1946.
41 Il progetto di Perugini si aggiudicò il concorso il 2 settembre 1946 tra i quattro selezionati nella prima fase: il progetto NON DOLET degli architetti Gaetano Minacci, Nicola Cantore, Nello Ena e Constantino Forlco; PASSI SUNT di Giorgio Covatta-Scazzocchi; RISORGERE degli architetti Nello Aprile, Cino Calacaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino e dello scultore Francesco Coccia. Cfr. La sistemazione delle Cave Ardeatine un concorso con la coda, in «Metron», 18, Roma 1947.
42 G. Costa, Settembre 1943-giugno 1944, in «Capitolium», XIX, 1944.
43 Cfr. il d.l. del capo provvisorio dello Stato, 11 maggio 1947, n. 365, emanato su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri, in Ministero dei Lavori Pubblici, Archivio di Cesano, Direzione Generale dell’edilizia e opere igieniche, fasc. Fosse Ardeatine.
44 Manifesto per le celebrazioni del I e del II Risorgimento del 1960, in ANFIM, Celebrazioni del I e del II Risorgimento alle Ardeatine cit., p. 7.
45 Cfr. A. Majanlahti, A. Osti Guerrazzi, Roma occupata 1943-1944. Itinerari, storie, immagini, Il Saggiatore, Milano 2010.
46 Cfr. ANFIM, Dal XIX anniversario dell’eccidio ardeatino cit., p. 9.
47 Cfr. ANFIM, 15 settembre 1957. Roma onora i martiri del secondo Risorgimento, Industria Tipografica Imperia, Roma 1957 p. 31.
48 Discorso commemorativo di Leonardo Azzarita, Presidente Nazionale dell’ANFIM il 24 marzo 1960, in ANFIM, Celebrazioni del I e del II Risorgimento cit., p. 20.
49 Ivi, p. 15.
50 Il messaggio del Presidente Giuseppe Saragat, in «Roma-oggi», X, 1969, 3-5, p. 2.
51 Ibid. Una mostra dedicata ai giovani che non conobbero la resistenza, titolò «La Stampa» il 6 aprile 1969 ricordando come il comitato organizzatore avesse riservato un premio di laurea di 500 mila lire per gli studenti delle facoltà di Lettere e filosofia, Giurisprudenza, Scienze politiche e Magistero dell’Università di Roma «La Sapienza». Vennero poi bandite delle borse di ricerca (da 300 mila a un milione di lire) per giovani studiosi della Resistenza romana. Per i più piccoli fu indetto un concorso aperto a tutti gli studenti delle scuole elementari e medie che avrebbe premiato un elaborato, un disegno o una fotografia relativa alle impressioni suggerite dalla visita guidata alla mostra.
52 L’intervento del presidente Napolitano in occasione del 66° anniversario della Liberazione, Roma, 25/04/2011, è pubblicato sul sito http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=2168.
53 S. Luzzatto, Introduzione, in I linguaggi della memoria. Piero Calamandrei e la memoria della Grande Guerra e della Resistenza, a cura di S. Calamandrei e S. Luzzatto, Le Balze, Montepulciano 2007, p. 9.
54 C. Pavone, Una guerra civile: Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 256.
Michela Ponzani, Per l’onore d’Italia, per l’unità del popolo. Il mausoleo delle Fosse Ardeatine e la memoria della Resistenza nell’Italia repubblicana, Academia.edu