martedì 2 novembre 2021

Nel 1931 Ettore Tolomei aveva ribadito l’opportunità che quella statua venisse allontanata

Fonte: Wikipedia

Durante il lungo periodo dell’«era Pernathoner», nella quale cioè borgomastro di Bolzano era Julius Perathoner (1895-1922), la volontà di affermare il carattere tedesco della città, sia nei confronti della minoranza italiana sia di quella ladina - allora considerati «italiani» perché di origine neolatina e dunque «wälsches» [dei «Welschen»] - divenne uno dei cardini della politica municipale, esasperando, ovviamente, l’astio della pur sparuta Comunità degli Italiani raccolti attorno alla locale «Società Dante Alighieri».
Dopo la realizzazione della statua di Walther e la monumentalizzazione della nuova Piazza Grande, lo scultore Andreas Kompatscher venne chiamato alla realizzazione, nel 1899, del busto di Heinrich Noë in Bahnhofspark <33; e poi di quello dell’antico poeta e politico medievale sudtirolese Oswald von Wolkenstein <34, che prima di essere rimosso e distrutto nel 1936 dalle Autorità fasciste, si trovava all’angolo Sud del palazzo del Museo Civico.
Ma una vera e propria svolta polemica si ebbe con la realizzazione della fontana sormontata dal gruppo scultoreo - sempre ritenuto antitaliano e in particolare antiladino (comunque anti-«walches») - del re goto Teodorico («Dietrich von Bern» cioè di Verona, da alcuni identificato però anche come un principe longobardo ovvero «langobardisch-bajuwarische») che sottomette il leggendario re ladino Laurino.
Contro quella «sottomissione» di Laurino, rappresentato come un nano deforme, da parte di un imponente e teutonico re dei Goti (Dietrich) - così il gruppo veniva letto dagli Italiani - si appuntarono gli strali di Ettore Tolomei, che, in generale, interpretava la raffigurazione come quella del Barbaro che sconfigge e sottomette il latino-ladino Laurino <35. (che poi, secondo alcune versioni, era stato condotto a Verona come buffone di corte), chiedendone fin da subito l’allontanamento (poi non a caso attuato dal Governo fascista nel 1933).
La fontana in marmo bianco di Lasa - posta oggi davanti ai palazzi della Giunta e del Consiglio Provinciali, dalla fine degli anni Ottanta del Novecento - sormontata dal gruppo scultoreo con Teodorico e Laurino, era stata eretta nel 1903 dallo scultore Andreas Kompatscher <36 (insieme ad A. Winder), lungo la passeggiata del torrente Talvera, per illustrare ufficialmente la «Leggenda del Catinaccio» (che originava, pur in varie versioni, appunto dalla figura del re delle Dolomiti, Laurino, e spiegava perché quelle montagne all’alba e al tramonto si tingessero di rosa); ma quella posa di Laurino schiacciato a terra da Teodorico sembrava lasciare pochi dubbi sull’’interpretazione tedesca’ e dunque antiladina del soggetto <37.
E che ormai anche la figura di Dietrich von Bern, dopo quella di Walther, venisse assunta dai partiti nazionalisti sudtirolesi e dalle Autorità locali come emblematica della Tedeschità dell’area, lo dimostravano anche, nel 1912, le proteste dei Cattolici trentini, che si occupavano dell’assistenza degli immigrati italiani in Sud Tirolo: era Alcide de Gasperi, in particolare, a denunciare la prepotenza e la germanizzazione imposte ai lavoratori italiani dal Volksbund atesino, proprio sulla base della giustificazione che si «trattasse comunque di “verlorenes deutches Land”, cioè di «Paese tedesco dai tempi di Dietrich von Bern» <38 (e il riferimento era a tutti i «wälsches» [i «Welschen»]).
Nel 1931 Ettore Tolomei aveva ribadito l’opportunità che quella statua venisse allontanata, ma la proposta non aveva avuto seguito da parte delle Autorità di Roma: «che sparisca quell’altra goffa intollerabile figurazione del guerriero tedesco in atto di calpestare il piccolo popolo latino delle montagne... il guerriero tedesco chino in atto di schiacciare il re Laurino non vuol dire che questo: la Germania grande sopra di noi piccola gente vile … Laurin, il piccolo gnomo, il piccolo re codardo dei Welschen, eccolo a terra, prostrato dall’eroe germanico, Dietrich von Bern, enorme nell’armatura ferrea, che evita il colpo di pugnale dell’italiano» <39.
Le interpretazioni potevano certo essere diverse, ma sostenere che si trattasse di un «Monumento celebrativo al re Laurino», visto come veniva rappresentata la scena, non sembrava proprio poter essere giustificato secondo Tolomei. Ma il Senatore, anche dal punto di vista storico e filologico, tentava una bordata alle «giustificazioni tedesche»: «Non è vero che la leggenda germanica di re Laurino s’annidi nell’Alto Adige. È inventato di sana pianta, da pochi anni, anche il nome del “Rosengarten”. Chi non sa, fra i cultori di Filologia medievale, che quella leggenda e quei nomi appartengono al ciclo germanico del Reno? “Laurin” è un racconto epico del XII o del XIII secolo sorto sul Reno o più probabilmente in Sassonia. Importato nell’Alto Adige pochi anni or sono con la stessa accortezza ed agli stessi fini di prepotenza tedesca con cui vi fu trapiantato, nel tempo stesso, Walther von der Vogelweide … sulla base dei libri di Karl Felix Wolff» <40.
Wolff era Studioso particolarmente apprezzato a Bolzano e in Austria <41, ma Tolomei sottolineava come «prima della Guerra egli predicava ardentemente la cacciata della razza negroide italiana verso il mare africano e il trionfo dei biondi Germani su tutti i clivi dei monti» <42.
Eppure anche da parte italiana c’era chi dava del Monumento una lettura completamente diversa; e per giunta da un pulpito non certo sospetto di filotedeschismo, quale quello rappresentato dal fascicolo “Bolzano, sentinella d’Italia» di Luigi Re, edito nella collana della milanese Sonzogno «Le cento città d’Italia illustrate»: «a metà passeggiata del Lungotalvera, si stringono intorno alla bella fontana di Laurino del Kompatscher raffigurante una scena della leggenda del Rosengarten: re Teodorico da Verona che strappa al nano re Laurin la cintura fatata alla quale deve la sua forza» <43. Dunque non una scena di sottomissione, ma il momento fondamentale della sagra nella quale Teodorico vinceva il Laurino perché gli strappava la cintura che lo rendeva invisibile.
Tolomei, ovviamente, di una tale intepretazione non era per nulla convinto e anzi denunciava come molti Italiani si lasciassero fuorviare dalla Letteratura tedesca.
Così, in quel continuo stravolgimento della realtà (o delle varie interpretazioni di essa) che si dava a Bolzano sia per parte italiana sia per parte tedesca, dopo la violenta demolizione del Monumento a cura di «squadracce fasciste», il Senatore parlò di «un atto di generosa impazienza di giovani... nobile nell’intenzione, dappoiché cancella a Bolzano un oltraggio straniero o non conosciuto o tollerato per troppo tempo... un insulto permanente a Bolzano italiana»; a ciò fecero seguito le proteste della Comunità tedesca (tanto che i Fascisti locali cercarono comunque di stemperare la portata dell’evento); ma il gruppo venne comunque smontato e alloggiato prima nel Museo Civico poi a Rovereto nel Museo Storico della Guerra.
Del resto, oltre a quello politico, anche il giudizio estetico di Tolomei era stato tranchant: «da notare è che la “fontana”, innegabilmente brutta, è opera di quello stesso Kompatscher che scolpì le grossolane figure in rilievo all’entrata della scuola “Regina Elena”, tra le quali un Walther von der Vogelweide» <44.
 

Il Catinaccio o Rosengarten - Fonte: Wikipedia

[NOTE]
33. Heinrich Noë (1835-1896), intellettuale poliglotta nato a Monaco, bibliotecario di Corte a Monaco (1857-1863), dal 1865 si dedicava alla Letteratura di viaggio (ma dal punto di vista etnografico è importante anche la sua raccolta di saghe), oltre alla scrittura di racconti (spesso contrassegnati da cupe atmosfere mistiche). Trasferitosi a Gorizia, se ne allontanava però perché infastidito dal montante Irredentismo italiano fino al suo trasferimento a Gries, l’antico nucleo di Bolzano. Al Tirolo Noë riferiva una serie di scritti, divenendo così uno dei massimi Scrittori di ‘cose tirolesi’: H. Noë, Der Frühling von Meran, Merano, 1868; Idem, Brennerbuch, Monaco, 1869; Idem, Bilder aus Südtirol und von den Ufern des Gardasees, Monaco, 1871; Idem, Winter und Sommer in Tirol, Vienna, 1876; Idem, Bozener Führer, Bolzano, 1880; Idem, Von Deutschland nach Italien, Vienna, 1883; Idem, Toblach-Ampezzo und die Dolomite[n] des Höhlenstein-Ampezzaner Thales, Klagenfurt, 1889; Idem, Arco und Umgebung, Salisburgo, 1890; Idem, Von Deutschland nach Italien. Die Brennerbahn vom Innstrom zum Gardasee, Zurigo, (forse 1890); Idem, Das Batzenhäusel zu Bozen, Künstler- und Dichterheim des E[ngelbert] M. Trebo, Bolzano, 1896; Idem, Bozen und Umgebung, Bolzano, 1898. Cfr. P. Grimm, Noë, Heinrich in Neue Deutsche Biographie (NDB), Berlino, vol.XIX, 1999, ad vocem.
34. Oswald von Wolkenstein, sudtirolese nato presumibilmente in val Pusteria nel 1377 e morto a Merano nel 1445, fu noto poeta e diplomatico al servizio degli Imperatori tedeschi del Sacro Romano Impero (per questo viaggiò in tutta Europa, spingendosi fino in Georgia). Ai primi del Quattrocento partecipò presumibilmente alla campagna bellica dell’imperatore tedesco Roberto III di Wittelsbacher in Italia (ma il Sovrano non poté radunare un esercito di grandi dimensioni e venne sconfitto dai Visconti); nel 1408 probabilmente fondò una cappella nel Duomo di Bressanone con un affresco rappresentante il suo arrivo dalla Terrasanta nel Mare del Nord; nel 1415 partecipò al Concilio di Costanza al seguito del duca Federico IV del Tirolo, per poi entrare al servizio dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo. Oswald si adoperò dunque nel tentativo dell’Imperatore di ricreare una potenza nell’Europa centro orientale, non solo mediando tra i Principi tedeschi, ma anche a costo di instaurare rapporti non privi di tensione con il Papato (almeno fino al 1433). Intellettuale sudtirolese al servizio degli Imperatori tedeschi, Oswald svolse dunque una politica filoimperiale e filotedesca ai danni dei Comuni italiani, per cui la sua figura risultò particolarmente invisa ai Fascisti atesini, che ne distrussero il monumento voluto dal sindaco Perathoner (cfr. F. Bravi, Mito e realtà in Osvaldo di Wolkenstein, Bolzano, 1973. Da ultimo sulla sua figura: Oswald von Wolkenstein: Leben, Werk, Rezeption, a cura di U. Müller e M. Springeth, Berlino-New York, 2011).
35. Si tratta di una serie di leggende ‘alpine’, che alcuni connettono al cosiddetto «ciclo degli Amelunghi», e che nell’Ottocento avevano assunto una decisa colorazione politica filo-asburgica, giustificando storicamente e culturalmente il controllo imperiale oltre le Alpi fino a Verona (sulla base delle vittorie di Teodorico contro il gigante Ecke, contro il nano Laurino del massiccio del Catinaccio, contro Ildebrando che regnava sul lago di Garda). Per le leggende di Teodorico, connesse invece alle sagre scandinave (dove era noto come «Thidrekssaga») e a quelle dei «Nibelunghi» quale eroe della Tradizione germanica: Die Geschichte Thidreks von Bern, nach der Ausgabe von C. Unger, Kristiania, 1858 (übertragen ins Neuhochdeutsche von F. Erichsen, Jena, 1924). Ora: H. Haefs, Thidrekssage und Nibelungenlied. Vergleichende Studien. Forschungen zur Thidrekssaga. Untersuchungen zur Völkerwanderungszeit im nördlichen Mitteleuropa, Bonn, 2004. Per parte italiana, ad esempio: M. Accolti Egg, Laurino il Re dei Nani o Il piccolo giardino di rose: poema tirolese del secolo XIII, Napoli, 1918. Per alcuni Studiosi, Laurino sarebbe «una di queste Divinità come venivano chiamate un tempo dai Reti (celto-etruschi)» e la sua storia sarebbe stata oggetto più volte di «Ideologische Manipulation». Infatti «già attraverso l’opera di Cristianizzazione i nomi originali e le funzioni furono volutamente cambiati o scambiati, come, per esempio, fu fatto per gli antichi luoghi di culto, dove nuove chiese cristiane di diverso rito furono posti su luoghi già sacri o ritualità festive originali furono trasformati in espressioni carnevalesche. L’Italianizzazione forzata durante il Fascismo rappresenta l’esempio più recente di manipolazione ideologica del genere» (W.Huf, Die Dietrich-Sagen in neuen Licht, in www.psilog.info consultato il 25 maggio 2012). Il problema della «Manipulation» della Tradizione dovrebbe però essere esteso a tutti i Governi che si sono succeduti in Sud Tirolo-Alto Adige.
36. Estremamente risicata la bibliografia a lui riferita. Una veloce citazione del manufatto con la data del 1903 (ma in alcune segnalazioni si trova invece 1907 se addirittura 1914!), è in G.Conta, I luoghi dell’Arte. Bolzano, media Val d’Adige e Merano, Bolzano, 1998, p.104. Ringrazio Ingvild Unterpertinger, della Biblioteca della Libera Università di Bolzano per le segnalazioni; e anche Paola Bernardi e Hannes Obermair del Comune di Bolzano. Dopo essersi formato all’Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera e poi a quella di Vienna, Andreas Kompatscher si trasferì a Roma, per poi venir coinvolto nelle decorazioni del Burgtheater di Vienna (come anche Heinrich Natter). Tornato nel 1890 a Bolzano, diveniva lo ‘scultore ufficiale’ della città dell’«era Perathoner». Numerose le sue opere celebrative in città tra le quali, tra quelle più connesse alla «Monumentomania» asburgica, il busto di Heinrich Noë in Bahnhofspark del 1899; il busto di Oswald von Wolkenstein originariamente posto nell’angolo Sud del Museo Civico di Bolzano (venne poi rimosso e distrutto nel 1936 a cura delle Autorità fasciste bolzanine). A partire dal 1909 Kompatscher diveniva Professore e Direttore del sezione di “Scultura in pietra” presso la Scuola Statale di Arti Applicate di Bolzano. Cfr. Südtirol A-Z, a cura di E. Widmoser, Band 2, Südtirol-Verlag, Innsbruck 1983, vol.2, pp. 446-447; W. Freiberg, Südtirol und der italienische Nationalismus, Innsbruck, 2004, p. 244.
37. Visto che già da molti settori della Cultura imperiale e poi soprattutto durante il Governo fascista i Ladini venivano considerati Italiani (come induceva a supporre la loro lingua neolatina), la simbologia asburgica della fontana era valutata come genericamente antitaliana; è stato in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale, nella continuazione delle discussioni in relazione al rimontaggio del manufatto scultoreo, che i contrasti hanno visto coinvolti questa volta i Tedeschi e i Ladini, come simbolizzazione, cioè, dell’opposizione tra la popolazione originaria retica e i conquistatori germanici.
38. A. De Gasperi, I Cattolici trentini sotto l’Austria. Antologia degli scritti, Roma, 1964, vol.II (1909-1915), p.318.
39. E. Tolomei, Laurino, «Archivio Storico per l’Alto Adige», 1932, II° semestre, pp.321-338, in part. p.335.
40. Il riferimento di Tolomei (Laurino, …, cit., pp.322-323) è a K.F.Wolff, Ins Ahrnthal [La valle Aurina], recensito nell’«Archivio Storico dell’Alto Adige», V, 1905, p.281; e Idem, Auf neuen Schienenwege nach Veneding (recensito nell’«Archivio Storico dell’Alto Adige», VI, 1906, p.71 e XXVII, p.323 n.2); Idem, Altladinische Siedelungsarten in Tirol recensito nell’«Archivio Storico dell’Alto Adige», XV, pp.361-363. Wolff era tra i massimi sostenitori dell’unità «tedesco-ladina» a dispetto della lingua ladina neolatina, ma in nome del patrimonio di tradizioni condiviso. Soprattutto: Idem, Dolomiten-Sagen. Gesamtausgabe. Sagen und Überlieferungen, Märchen und Erzählungen der ladinischen und deutschen Dolomitenbewohner. Mit zwei Exkursen: Berner Klause und Gardasee, Innsbruck, 1913; Idem, König Laurin und sein Rosengarten. Ein höfisches Märchen aus den Dolomiten. Nach der mittelhochdeutschen Spielmanns-Dichtung “Laurin” und nach verschiedenen Volkssagen in freier Bearbeitung, Bolzano, 1932. Per uno sguardo sulle posizioni di Wolff: U.Kindl, Kritische Lektüre der Dolomitensagen von Karl Felix Wolff, San Martin de Tor (BZ), vol.I, “Einzelsagen”, 1983; vol.II, “Sagenzyklen. Die Erzählungen vom Reich der Fanes”, 1997. Ora sul problema delle saghe ladine, ancora nell’ottica ‘tradizionale’ dell’’unità tedesco-ladina’ («deutsch-ladinischer») delle leggende dolomitiche: U. Kindl, Die umstrittenen Rosen. Laurins Rosengarten zwischen mittelalterlicher Spielmannsethik und deutsch-ladinischer Volkserzählung in “Ir sult sprechen willekomen”. Grenzenlose Mediävistik. Festschrift für Helmut Birkhan zum 60. Geburtstag, a cura di C. Tuczay, U. Hirhager e K. Lichtblau, Berna, 1998, pp. 567-579. Ma per l’’unità alpina tedesca’ delle tradizioni, estesa fino in Baviera: J. Nepomuk Sepp, Altbayerischer Sagenschatz, Monaco di Baviera, 1876 (Professore di Storia a Monaco, Johann Nepomuk Sepp incentrò i suoi studi sulla ricostruzione delle antiche tradizioni tedesche e in particolare sulle saghe tradizionali alpine in “Altbayerischer Sagenschatz”; e nel 1890 nell’analisi della religiosità antico-tedesca in “Die Religion der alten Deutschen. Ihr Fortbestand in Volkssagen, Aufzügen und Festbräuchen bis zur Gegenwart”). Per il ‘Ciclo di Teodorico e Laurino’, ancora: A. Masser, Von Theoderich dem Großen zu Dietrich von Bern: die Wandlung der historischen Person zum Sagenhelden, «Der Schlern», 58, 1984, pp. 635-645. Ma si veda anche Chr. Schneller, Märchen und Sagen aus Wälschtirol. Ein Beitrag zur deutschen Sagenkunde, Innsbruck, 1867 (in absentia della citazione di Laurino, la saga del Re non sembrerebbe potersi dire parte del ‘patrimonio ladino’, ma solo tedesco. A rendere ancora più complesso tutto il panorama).
41. Karl Felix Wolff (1879 - 1966) la cui madre era discendente da una nobile famiglia italiana dell’Alto Adige, dal 1881 visse sempre a Bolzano. Il padre era uno Studioso di Sociologia e Karl a 18 anni, pur dando avvio alla professione di Giornalista, cominciò a dedicarsi all’Antropologia sudtirolese con grande passione: pur essendo stato Uditore di Seminari specialistici a Monaco, Berlino e Vienna, restò, rispetto alla ‘carriera canonica’ di Tolomei, un Etnografo autodidatta e di ciò il suo metodo scientifico, nonostante gli indubbi meriti, soffrì fortemente. La sua curiosità per le tradizioni popolari lo portò a lunghi pellegrinaggi nelle valli alpine dove raccolse narrazioni e leggende tradizionali, studiando abitudini, riti e figure arcaiche, rese note sia in saggi sia in numerose guide turistiche (ma la Cultura accademica mostrò molte resistenze scientifiche nei confronti delle sue ricostruzione etnografiche, specie in riferimento alle saghe ladine, nonostante gli indubbi meriti ‘quantitativi’). Wolff aderì alle posizioni pangermaniste e fu sempre in contrasto con l’Irredentismo italiano (collaborò con «Tiroler Wehr», rivista radicalmente pangermanista), occupandosi anche della teoria razziale (in articoli editi sino al 1932).
42. Anche Mussolini, allora a Trento, aveva fatto riferimento alle teorie razziste, nel contrasto tra Germani, Alpini e Italiani, diffuse in Tirolo: [B.Mussolini], Il Trentino veduto da un Socialista, Firenze, 1911. Si veda anche V.Calì, Mussolini, Prezzolini e la Trentinità. Una vivace polemica d’inizio secolo, «Bollettino del Museo Trentino del Risorgimento», 35, 1986, 1, pp. 33-47.
43. L.Re, Bolzano, sentinella d’Italia, Milano, 1929, p.2. Re auspicava l’allontanamento della statua di Walther dalla Piazza della città (p.4).
44. Tolomei, Laurino..., cit., p.337. In periodo tardo asburgico vi era stata a Bolzano una vera e propria fioritura di opere artistiche dedicate alla legenda di Laurino, poiché turisticamente la città voleva porsi come «la città di Laurino»: oltre alla fontana di Laurino, nel 1911 all’interno dell’Hotel Laurin veniva realizzato un consistente ciclo pittorico dedicato alla leggenda, eseguito da Bruno Goldschmitt di Monaco di Baviera: nel salone dell’Hotel imperiale di Carezza, Stolz eseguiva una raffigurazione analoga; e così nella cantina Municipale di Bolzano.
Ferruccio Canali, «Monumentomania» asburgica e «Monumentomania» italiana a Bolzano, dall’«era Perathoner» alla ‘prima’ «era Tolomei» (1889-1928). Il Monumento alla Vittoria di Marcello Piacentini (1926-1928). 1.2. 1911, Julius Perathoner e la «monumentomania» («antitaliana-antiladina») del “Teodorico/Dietrich von Bern” che sottomette il re dolomitico Laurino” in Firenze, Primitivismo e Italianità. Problemi dello ”Stile nazionale” tra Italia e Oltremare (1861-1961), da Giuseppe Poggi e Cesare Spighi alla Mostra di F. L. Wright, «Bollettino SSF», Bollettino della Società di Studi Fiorentini, 21, 2012, a cura di Ferruccio Canali e Virgilio C. Galati, Emmebi Edizioni Firenze