Molti studiosi, in ambito territoriale, concentrano l'attenzione sulle forme insediative informali leggendovi, non solo un moto centrifugo delle pratiche insediative che si sparpagliano casualmente nel tessuto territoriale comportando problematiche di vario genere, ma talvolta trovando in questa attività alcuni lati positivi: trovo interessante a questo proposito un confronto con l'esperienza artistica dell'action painting nord-americana e l'informale europeo.
Come noto il padre dell'action painting Jackson Pollock ha deposto la tela sull'impiantito. Con la sua tecnica del dripping, ovvero il gocciolamento del colore sulla superficie, in una sorta di danza rituale, realizzava i suoi noti lavori e la sua arte rappresenta decisamente un punto di svolta da cui partire per ogni riflessione sull'arte contemporanea.
La composizione geometrica è assente, ma a guardare bene, nelle opere di Pollock, c'è comunque una forma ritmica forse involontaria, ma innegabile. Questa proto-forma è data dal corpo in movimento. Il corpo, forse inconsciamente da parte dell'artista, con le sue dimensioni, ampiezze, estensioni, diventa una ???? <87 compositiva.
È da mettere in evidenza il rapporto viscerale di Pollock con i paesaggi e nel 1936-1937 dipinge il noto Landscape with Steer conservato nella collezione del MoMA. Steer nel titolo di quest'opera può essere tradotto - è vero - semplicemente con bue - effettivamente in basso a sinistra è percepibile la presenza di una figura animale con le corna - ma va considerato che la stessa parola indica anche direzione, guida. Pollock mentre dipinge è completamente immerso nel suo corpo fisico inevitabilmente umano, ma tendente al ferino, e questo aspetto di totale presenza della psiche nel corpo fisico è presente anche nella ricerca artistica di Anna Halprin che ha rivoluzionato la danza. Se nelle opere di action painting c'è una forma segnica, ritmica e composta, questa è effetto collaterale di una coreografia del corpo, della materia e non è geometricamente esatta perché non è più il logos a guidare l'atto. Assumono invece un'importanza estrema le altre possibilità psichiche e fisiche del corpo.
La pittura di Pollock cerca di sfuggire dalla logica, ma si trova di fronte all'impossibilità di negare l'artefatto come emanazione del corpo in movimento: le caratteristiche fisiche umane forniscono involontariamente già una proto-forma che possiamo definire esistenziale perché legata profondamente sia ai filtri culturali dell'artista quanto alle possibilità di movimento del suo specifico corpo nello spazio.
Potremmo azzardare l'ipotesi che qualcosa di simile accada nelle forme insediative sparse, nel cosiddetto sprawling, nella città informale? Se notiamo comunque un'armonia, perfino una qualche ratio, un ordine, un ritmo, una geometria, quest'ultima non è voluta; non è stata disegnata sulla carta in base alla logica e alla creatività del progettista e dei costruttori e neanche in base ad indici o prescrizioni: è intrinseca.
Qui è interessante considerare che come la pittura di Pollock è stata interpretata inizialmente dagli artisti un atto di estrema libertà e uno scioglimento dei blocchi culturali così «La crescita urbana contemporanea connessa ai processi di industrializzazione è stata interpretata per un lungo periodo storico come uno strumento di libertà dell'uomo, della donna, delle classi subalterne. Ma da tempo la liberazione dai vincoli territoriali (vissuti per una lunga parte dell'epoca moderna come limiti alle libertà individuali, alle trasformazioni culturali e degli stili di vita, alla crescita economica) ha iniziato a produrre effetti perversi (restrizione delle libertà individuali, diminuzione del valore d'uso delle merci, polarizzazione sociale e impoverimento economico, caduta di identità e di radici, abbassamento della qualità della vita nelle urbanizzazioni periferiche, crisi dei sistemi ambientali) che hanno indotto nuove
povertà» (Magnaghi, 2000, p. 52).
Nei raggruppamenti di quelle che sono manifestazioni disperate di esistenza, la necessità primaria di una casa, talvolta si distingue una protoforma: gli insediamenti non appaiono quasi mai totalmente a casaccio, caotici, amorfi. D'altra parte raramente esprimono una effettiva capacità dei sistemi complessi di auto-organizzarsi. La città informale è risultata estremamente affascinante agli occhi di molti studiosi del territorio, ma le rare forme di qualità sono eccezioni che non possono diventare regola, né fornire evidenze per fondare un pensiero anti-urbanistico. Sicuramente questo periodo informale ha spinto verso un ripensamento del concetto di limite (Magnaghi, 2010).
La città informale è una modalità insediativa dissipativa e invasiva; tende ad occupare in modo estensivo il territorio creando un tessuto territoriale informe che esprime, esattamente come la pittura di Pollock, la necessità di esistere o meglio un disperato bisogno di vita. Ma questa vita è per natura clandestina, indomabile, non addomesticabile e può saturare lo spazio fino all'asfissia.
Come è noto ai più, Pollock stesso comprese che la sua pittura d'azione portava ad un cul de sac. Ci fu per questo un ripensamento, un ritorno parziale - ma ovviamente con una coscienza nettamente diversa - a una pittura figurativa perché quell'atto, che può ripetersi sempre diverso eppure sempre simile, gli mostrava sempre con più evidenza l'impossibilità di crescere.
L'Action Painting non poteva portare a una costruzione e Jackson Pollock ne era cosciente.
L'incidente mortale del 1956 ha portato molti artisti alla riflessione.
Achille Pace narra spesso le vicende di quel periodo, il numero elevato di suicidi da parte degli artisti del dopoguerra che si sono trovati senza mezzi espressivi e l'importanza della pittura americana per superare le metafisiche che avevano portato ad estremismi e totalitarismi dando la possibilità di ritrovare o ricostruire un linguaggio espressivo.
Se è vero che dobbiamo fare i conti con le esternalità negative dei processi di deterritorializzazione, è altrettanto vero che il paesaggio prodotto dalle esistenze disordinate degli abitanti esprime un desiderio disperato di vita.
Da questo preciso punto parte la ricerca artistica di Achille Pace.
Per nostra fortuna è un artista longevo e, oltre ad essere stato testimone di quasi un secolo, rappresenta bene attraverso i suoi passaggi di stile i cambiamenti nella percezione del paesaggio in Italia e in Europa. Infatti, partendo nel 1943 da una pittura 'classica' di paesaggio88 grazie ad un lungo viaggio in Svizzera nel 1955 e dunque studiando l'espressionismo tedesco del gruppo Die Brücke (Ponte) sviluppa i primi disegni nel biennio '55-'57 con una poetica che «(...) rivalutava tante cose poco considerate: emozione, iniziativa personale, materia pittorica e colore. Ne nacque una serie di dipinti modulati su una serie di riecheggiamenti che andavano da Van Gogh al Nolde e al «Cavaliere Azzurro» con sconfinamenti nel cosiddetto espressionismo astratto. Erano «macchie» forti e vivide e Pace ne fece nel '58 una personale all'Incontro, la prima (...) in Italia dopo le mostre a Locarno, Lugano e Aarau» (Maltese, 1959, p. 13). La tragica morte di Jackson Pollock del 1956, e le ultime opere a cavallo tra il 1951 e il 1953 <89, avevano generato in Pace un momento di grande riflessione. Avvenne una rivoluzione. Introdusse, mischiando la pittura alla tecnica dell'assemblage, il filo e materiali tessili cercando un ordine compositivo. Enrico Crispolti mette in evidenza come questo tentativo non sia un ritorno alla ratio, ma la ricerca dell'artista si definisce «(...) proprio in una misura mentale (...) del riscontro sentimentale, cioè della pressione lirica; [è come se riuscisse a] capovolgere il sentimentale in mentale (...)» (Crispolti, 1978, p.10) <90.
Al ritorno dalla Svizzera si stringe sempre di più il legame, per mezzo del filo che caratterizza ad oggi le sue opere, con Paul Klee e con la sua teoria del 'punto in movimento' «(...) che non è la linea che nello spazio euclideo congiunge un punto A con un punto B... il punto in movimento è in fieri, è tutto da fare... è formazione. A volte ci si può anche smarrire» <91 (Longari, 1990, p. 21).
A proposito di Paul Klee, Pace «(...) in tempi non sospetti, quando l'organicità cosmogonica e punto-centrica del grande pittore elvetico non aveva subìto un riordino essenziale nella storia europea e negli anni più marcati del trionfo delle influenze picassiane su tutto l'Occidente artistico, Achille Pace si è calato in una rilettura analitica della teoria della figurazione scritta da Klee molti anni prima» (Masi, 1990, p. 5) <92 e Pace afferma che «(...) la teoria di Klee sulla creatività non rappresenta un “Sistema” ma una “meditazione” sulla esperienza operativa e tecnica dell'Arte. La tecnica di Klee non è un mezzo, ma un prolungamento, una emanazione della vita immaginativa <93».
Con certezza questo flusso immaginativo costante e inarrestabile è in Pace anche un tormento esistenziale come lo è stato - per fare qualche nome - per Henri Michaux o per Friedrich Hölderlin <94.
Ma è un tormento che viene risolto attraverso la poiesis, il fare. Dunque, dopo la pittura di paesaggi, gli influssi espressionisti e dopo una fase informale, si sviluppa in Pace una metodologia esistenziale etica (in senso etimologico, comportamentale) che traccia gli itinerari, un utile strumento per non smarrirsi.
Il paesaggio si trasforma in mappa mentale che tende ad un valore centrale - il punto rosso - a cui ci si può solo approssimare. Pace procede in maniera quasi antitetica rispetto a Pablo Picasso. Al segno controllato e sicuro, già immagine mentale definita e pronta, progettata a priori, Pace contrappone un processo di “forma-formazione” una genesi propedeutica della forma. Il procedere di Pablo Picasso è documentato magistralmente nel film Il mistero Picasso del 1956 diretto da Henri-Georges Clouzot, in sé da considerare un'opera d'arte. Il segno appare come per magia sulla tela e traspare una sicurezza quasi assoluta, una padronanza che conosce già la certezza del risultato. Il procedere di Picasso potrebbe essere, se estremizzato, la metafora perfetta di quel progettista che pretende l'assoluta aderenza tra progetto e realizzazione, che non vuole lasciare nulla al caso né dialogare con gli elementi esterni, con il contesto, né con gli eventi che possono accidentalmente entrare in gioco in qualunque fase di realizzazione. Tenta disperatamente ed in modo coercitivo, come il pianificatore dittatoriale, di applicare un controllo costante sulla materia che deve a qualunque costo piegarsi alle sue esigenze.
Achille Pace invece interagisce da una posizione paritetica con la materia.
Afferma: «ci sono quadri in cui guido più io e quadri in cui sono più guidato (...)» <95 (Longari, 1990, p. 21), ma in entrambi i casi non predetermina e non prevede esattamente cosa succederà: fa un'esperienza e lascia che accada, guidando un processo irripetibile che sorprende innanzi tutto se stesso. Pace intraprende un discorso esistenziale condotto con una rigorosa onestà intellettuale che dal 1958 ad oggi avvalora l'importanza dell'artista nella ricerca post-informale come è stato ben evidenziato già nel 1975 da Filiberto Menna e da Giuseppe Gatt. Superando la caduta della pittura, di cui il dripping è simbolo, l'artista parte da uno sfondo monocromo, da palpebre chiuse, un tono spesso cupo e neutro, che ricorda uno spazio cosmico. In questo spazio 'spaziale', vuoto, appaiono i tentativi cosmogonici di Achille Pace, spesso immagini splenetiche e minimali. Sono esperimenti rischiosi perché partono da una continua e incessante messa in discussione. Un orizzonte, un punto rosso, la ricostruzione esistenziale e astratta di quel paesaggio reale che è vita.
L'artista stesso afferma: «(...) La mia pittura si identifica con un processo di forma-formazione, di forma-formante, di genesi formale certamente parente di Klee (...) nei miei quadri invece si attua un processo di formazione: c'è l'azzeramento e poi si comincia e non si sa dove si va a finire. C'è (...) avventura (...) però quello che avviene non è solo un fatto mentale, è anche un fatto esistenziale del procedere, dello svolgersi della cosa. Quando il filo perde questo andamento diventa stucchevole e non serve più, allora tanto vale [tracciare un segno] con il tiralinee (...) se c'è poesia in tutto ciò è perché nell'essenza stessa del fare c'era, se non c'è è perché non c'era. La poesia si cala nel fare. Se si ha un'idea della poesia, si fa sempre e solo spettacolo di poesia, mentre la poesia è nelle cose stesse, nel procedimento, nel fare, nella scelta di certi materiali... ma in niente che sia a priori. Non esiste un apriori poetico». (Pace in Longari, 1990, p. 18) <96
Secondo Giulio Carlo Argan l'opera di Pace è anche méta-arte, infatti «Pace non setaccia entità imprecisate come lo spazio o la materia o il segno, ma queste ed altre entità in quanto storicamente acquisite al linguaggio artistico moderno. I suoi “materiali” non sono soltanto la tela e il filo, né lo spazio, la superficie, il colore, il segno; sono anche, e in primo luogo, Klee, Miro, Picasso, Malevic, Burri, Fontana» (Argan, 1960 s.n.p.). Se questo è vero, se l'operazione di Pace è cólta e intrisa di rimandi artistici e simbolici che attingono alla storia dell'arte, credo che abbia nel contempo l'autonomia di una ricerca personalissima e che parte dal un 'grado zero' della storia interpretato dalla ricerca informale.
La cifra dell'opera del maestro Pace è di certo l'uso del filo di cotone, l'esistenza che diviene, citando Giuseppe Ungaretti, «una docile fibra/dell'universo» che solo in rari casi cuce. È invece, come ha evidenziato Palma Bucarelli, “una guida meditata”, un “gesto volontario” ma non gratuito. Spesso è scucitura del nesso logico, una traccia attenta e rischiosa di un itinerario imprevisto che talvolta, come fosse il filo di Arianna, serve poi come indizio per un percorso inverso, per ricordare un tragitto e ad evitare un inesorabile smarrimento nei cul-de-sac del pensiero. In questo senso il filo è una strategia per una possibile salvezza. Altre volte divide lo spazio irraggiandosi, incontrando altre esistenze fatte di macchie, fili, materiali. Si divarica, converge, crea tensioni, a volte si dispera; si aggroviglia, e vagando e disperdendosi costruisce a propria volta i propri labirinti.
L'artista pur avendo anticipato, con questa sua ricerca della semplicità, un carattere evidenziato già nei primi anni '70 da Nello Ponente e da Cesare Vivaldi, il minimalismo e l'arte povera, resta ineguagliabile per l'eleganza e la delicatezza del suo agire artistico che lo portano ad un esito estetico senza tempo e in questo senso classico.
«Achille Pace è un convinto sostenitore della rarefazione, nel senso che affida alla mancanza, alla differenza una speciale funzione epifanica dell'immaginario» (Gallo, 1990 p. 9) <97.
E così che viene chiesta la partecipazione attiva dell'osservatore.
Personalmente credo che l'aderenza tra vita e arte avvicini Pace a pratiche performative di cui le opere sono solo un resto, un reperto al margine della vita. Il capolavoro di Achille Pace è a mio parere la scelta di essere artista fino in fondo. L'importanza storica di Achille Pace risiede nel superamento dell'informale e nel tentativo di ritrovare una forma senza idiosincrasie verso la geometria e l'ordine, ma recuperandoli solo attraverso un sincero percorso esistenziale che avvicina l'uomo a dinamiche cosmiche. «La stessa sottigliezza del filo che ha scelto per essere guidato, e guida nello stesso tempo, non è che un'emanazione continua di seta interiore [...]» (Gallo, 1990, p. 9) <98.
Si compie così il miracolo laico in cui l'arte è una forma di cultura che cresce dentro la natura. Nella comprensione di questa conquista credo possano risiedere gli spunti più interessanti per la progettazione del paesaggio.
[NOTE]
87 Traducibile con psiche indica il pensiero, il respiro, in una forma primordiale e unica, che non distingue il logos e il pathos.
88 È l'artista stesso a parlarne: «Il mio più grande amore è stato per il paesaggio dipinto direttamente sul soggetto, en plein air, che è durato fino al 1940-41. (…) Prima io credevo molto nei paesaggi, però ho notato, avendo fatto più di un'antologica che mi ha permesso di vedere i quadri tutti insieme, che in fondo era una situazione provvisoria...Nel senso che pur avendo sviluppato in quei dipinti la componente lirica, che ancora vive nel mio lavoro attuale, non avevo però ancora trovato la mia cifra più autentica». Longari E., 1990, conversazione con Achille Pace, in Achille Pace 1990 infinito&infinito, Electa, Milano p. 19-20.
89 Queste opere ultime sono state esposte di recente a Liverpool nella mostra Jackson Pollock: blind spots (2015) e sono caratterizzate dal così detto “black pourings”(colate nere) in cui, come in un incubo, tutto si fa scuro e tornano i fantasmi, i volti e le figure.
90 Crispolti E. (1978) Achille Pace - Itinerari p.10 Milano all'insegna del pesce d'oro, ed. Vanni Scheiwiller
91 Longari E. (1990) conversazione con Achille Pace in Achille Pace -infinito&infinito, Electa, Milano.
92 Masi A. (1990) in Achille Pace infinito&infinito, Electa, Milano
93 Dal manoscritto Omaggio a Paul Klee (primi anni Ottanta) conservato nell'archivio privato di Achille Pace e reca in calce la scritta «Per il Prof. Carlo Fabrizio Carli». Il testo si riferisce ad un balletto promosso da Sandro Tulli dal nome omonimo ideato da Pace.
94 Confr. Waiblinger W. (2009) Friedrich Hölderlin. Vita, poesia e follia (trad. it. Polledri E.), Adelphi, Milano.
95 Longari E. (1990 ) conversazione con Achille Pace in Achille Pace -infinito&infinito, Electa, Milano.
96 Ibidem.
97 Gallo F. (1990) in Achille Pace infinito&infinito, Electa, Milano.
98 Ibidem.
Michele Porsia, Il piano paesaggistico come artefatto a reazione poietica. Verso una fertilizzazione della pianificazione del paesaggio attraverso ricerche artistiche contemporanee, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2019
Come noto il padre dell'action painting Jackson Pollock ha deposto la tela sull'impiantito. Con la sua tecnica del dripping, ovvero il gocciolamento del colore sulla superficie, in una sorta di danza rituale, realizzava i suoi noti lavori e la sua arte rappresenta decisamente un punto di svolta da cui partire per ogni riflessione sull'arte contemporanea.
La composizione geometrica è assente, ma a guardare bene, nelle opere di Pollock, c'è comunque una forma ritmica forse involontaria, ma innegabile. Questa proto-forma è data dal corpo in movimento. Il corpo, forse inconsciamente da parte dell'artista, con le sue dimensioni, ampiezze, estensioni, diventa una ???? <87 compositiva.
È da mettere in evidenza il rapporto viscerale di Pollock con i paesaggi e nel 1936-1937 dipinge il noto Landscape with Steer conservato nella collezione del MoMA. Steer nel titolo di quest'opera può essere tradotto - è vero - semplicemente con bue - effettivamente in basso a sinistra è percepibile la presenza di una figura animale con le corna - ma va considerato che la stessa parola indica anche direzione, guida. Pollock mentre dipinge è completamente immerso nel suo corpo fisico inevitabilmente umano, ma tendente al ferino, e questo aspetto di totale presenza della psiche nel corpo fisico è presente anche nella ricerca artistica di Anna Halprin che ha rivoluzionato la danza. Se nelle opere di action painting c'è una forma segnica, ritmica e composta, questa è effetto collaterale di una coreografia del corpo, della materia e non è geometricamente esatta perché non è più il logos a guidare l'atto. Assumono invece un'importanza estrema le altre possibilità psichiche e fisiche del corpo.
La pittura di Pollock cerca di sfuggire dalla logica, ma si trova di fronte all'impossibilità di negare l'artefatto come emanazione del corpo in movimento: le caratteristiche fisiche umane forniscono involontariamente già una proto-forma che possiamo definire esistenziale perché legata profondamente sia ai filtri culturali dell'artista quanto alle possibilità di movimento del suo specifico corpo nello spazio.
Potremmo azzardare l'ipotesi che qualcosa di simile accada nelle forme insediative sparse, nel cosiddetto sprawling, nella città informale? Se notiamo comunque un'armonia, perfino una qualche ratio, un ordine, un ritmo, una geometria, quest'ultima non è voluta; non è stata disegnata sulla carta in base alla logica e alla creatività del progettista e dei costruttori e neanche in base ad indici o prescrizioni: è intrinseca.
Qui è interessante considerare che come la pittura di Pollock è stata interpretata inizialmente dagli artisti un atto di estrema libertà e uno scioglimento dei blocchi culturali così «La crescita urbana contemporanea connessa ai processi di industrializzazione è stata interpretata per un lungo periodo storico come uno strumento di libertà dell'uomo, della donna, delle classi subalterne. Ma da tempo la liberazione dai vincoli territoriali (vissuti per una lunga parte dell'epoca moderna come limiti alle libertà individuali, alle trasformazioni culturali e degli stili di vita, alla crescita economica) ha iniziato a produrre effetti perversi (restrizione delle libertà individuali, diminuzione del valore d'uso delle merci, polarizzazione sociale e impoverimento economico, caduta di identità e di radici, abbassamento della qualità della vita nelle urbanizzazioni periferiche, crisi dei sistemi ambientali) che hanno indotto nuove
povertà» (Magnaghi, 2000, p. 52).
Nei raggruppamenti di quelle che sono manifestazioni disperate di esistenza, la necessità primaria di una casa, talvolta si distingue una protoforma: gli insediamenti non appaiono quasi mai totalmente a casaccio, caotici, amorfi. D'altra parte raramente esprimono una effettiva capacità dei sistemi complessi di auto-organizzarsi. La città informale è risultata estremamente affascinante agli occhi di molti studiosi del territorio, ma le rare forme di qualità sono eccezioni che non possono diventare regola, né fornire evidenze per fondare un pensiero anti-urbanistico. Sicuramente questo periodo informale ha spinto verso un ripensamento del concetto di limite (Magnaghi, 2010).
La città informale è una modalità insediativa dissipativa e invasiva; tende ad occupare in modo estensivo il territorio creando un tessuto territoriale informe che esprime, esattamente come la pittura di Pollock, la necessità di esistere o meglio un disperato bisogno di vita. Ma questa vita è per natura clandestina, indomabile, non addomesticabile e può saturare lo spazio fino all'asfissia.
Come è noto ai più, Pollock stesso comprese che la sua pittura d'azione portava ad un cul de sac. Ci fu per questo un ripensamento, un ritorno parziale - ma ovviamente con una coscienza nettamente diversa - a una pittura figurativa perché quell'atto, che può ripetersi sempre diverso eppure sempre simile, gli mostrava sempre con più evidenza l'impossibilità di crescere.
L'Action Painting non poteva portare a una costruzione e Jackson Pollock ne era cosciente.
L'incidente mortale del 1956 ha portato molti artisti alla riflessione.
Achille Pace narra spesso le vicende di quel periodo, il numero elevato di suicidi da parte degli artisti del dopoguerra che si sono trovati senza mezzi espressivi e l'importanza della pittura americana per superare le metafisiche che avevano portato ad estremismi e totalitarismi dando la possibilità di ritrovare o ricostruire un linguaggio espressivo.
Se è vero che dobbiamo fare i conti con le esternalità negative dei processi di deterritorializzazione, è altrettanto vero che il paesaggio prodotto dalle esistenze disordinate degli abitanti esprime un desiderio disperato di vita.
Da questo preciso punto parte la ricerca artistica di Achille Pace.
Per nostra fortuna è un artista longevo e, oltre ad essere stato testimone di quasi un secolo, rappresenta bene attraverso i suoi passaggi di stile i cambiamenti nella percezione del paesaggio in Italia e in Europa. Infatti, partendo nel 1943 da una pittura 'classica' di paesaggio88 grazie ad un lungo viaggio in Svizzera nel 1955 e dunque studiando l'espressionismo tedesco del gruppo Die Brücke (Ponte) sviluppa i primi disegni nel biennio '55-'57 con una poetica che «(...) rivalutava tante cose poco considerate: emozione, iniziativa personale, materia pittorica e colore. Ne nacque una serie di dipinti modulati su una serie di riecheggiamenti che andavano da Van Gogh al Nolde e al «Cavaliere Azzurro» con sconfinamenti nel cosiddetto espressionismo astratto. Erano «macchie» forti e vivide e Pace ne fece nel '58 una personale all'Incontro, la prima (...) in Italia dopo le mostre a Locarno, Lugano e Aarau» (Maltese, 1959, p. 13). La tragica morte di Jackson Pollock del 1956, e le ultime opere a cavallo tra il 1951 e il 1953 <89, avevano generato in Pace un momento di grande riflessione. Avvenne una rivoluzione. Introdusse, mischiando la pittura alla tecnica dell'assemblage, il filo e materiali tessili cercando un ordine compositivo. Enrico Crispolti mette in evidenza come questo tentativo non sia un ritorno alla ratio, ma la ricerca dell'artista si definisce «(...) proprio in una misura mentale (...) del riscontro sentimentale, cioè della pressione lirica; [è come se riuscisse a] capovolgere il sentimentale in mentale (...)» (Crispolti, 1978, p.10) <90.
Al ritorno dalla Svizzera si stringe sempre di più il legame, per mezzo del filo che caratterizza ad oggi le sue opere, con Paul Klee e con la sua teoria del 'punto in movimento' «(...) che non è la linea che nello spazio euclideo congiunge un punto A con un punto B... il punto in movimento è in fieri, è tutto da fare... è formazione. A volte ci si può anche smarrire» <91 (Longari, 1990, p. 21).
A proposito di Paul Klee, Pace «(...) in tempi non sospetti, quando l'organicità cosmogonica e punto-centrica del grande pittore elvetico non aveva subìto un riordino essenziale nella storia europea e negli anni più marcati del trionfo delle influenze picassiane su tutto l'Occidente artistico, Achille Pace si è calato in una rilettura analitica della teoria della figurazione scritta da Klee molti anni prima» (Masi, 1990, p. 5) <92 e Pace afferma che «(...) la teoria di Klee sulla creatività non rappresenta un “Sistema” ma una “meditazione” sulla esperienza operativa e tecnica dell'Arte. La tecnica di Klee non è un mezzo, ma un prolungamento, una emanazione della vita immaginativa <93».
Con certezza questo flusso immaginativo costante e inarrestabile è in Pace anche un tormento esistenziale come lo è stato - per fare qualche nome - per Henri Michaux o per Friedrich Hölderlin <94.
Ma è un tormento che viene risolto attraverso la poiesis, il fare. Dunque, dopo la pittura di paesaggi, gli influssi espressionisti e dopo una fase informale, si sviluppa in Pace una metodologia esistenziale etica (in senso etimologico, comportamentale) che traccia gli itinerari, un utile strumento per non smarrirsi.
Il paesaggio si trasforma in mappa mentale che tende ad un valore centrale - il punto rosso - a cui ci si può solo approssimare. Pace procede in maniera quasi antitetica rispetto a Pablo Picasso. Al segno controllato e sicuro, già immagine mentale definita e pronta, progettata a priori, Pace contrappone un processo di “forma-formazione” una genesi propedeutica della forma. Il procedere di Pablo Picasso è documentato magistralmente nel film Il mistero Picasso del 1956 diretto da Henri-Georges Clouzot, in sé da considerare un'opera d'arte. Il segno appare come per magia sulla tela e traspare una sicurezza quasi assoluta, una padronanza che conosce già la certezza del risultato. Il procedere di Picasso potrebbe essere, se estremizzato, la metafora perfetta di quel progettista che pretende l'assoluta aderenza tra progetto e realizzazione, che non vuole lasciare nulla al caso né dialogare con gli elementi esterni, con il contesto, né con gli eventi che possono accidentalmente entrare in gioco in qualunque fase di realizzazione. Tenta disperatamente ed in modo coercitivo, come il pianificatore dittatoriale, di applicare un controllo costante sulla materia che deve a qualunque costo piegarsi alle sue esigenze.
Achille Pace invece interagisce da una posizione paritetica con la materia.
Afferma: «ci sono quadri in cui guido più io e quadri in cui sono più guidato (...)» <95 (Longari, 1990, p. 21), ma in entrambi i casi non predetermina e non prevede esattamente cosa succederà: fa un'esperienza e lascia che accada, guidando un processo irripetibile che sorprende innanzi tutto se stesso. Pace intraprende un discorso esistenziale condotto con una rigorosa onestà intellettuale che dal 1958 ad oggi avvalora l'importanza dell'artista nella ricerca post-informale come è stato ben evidenziato già nel 1975 da Filiberto Menna e da Giuseppe Gatt. Superando la caduta della pittura, di cui il dripping è simbolo, l'artista parte da uno sfondo monocromo, da palpebre chiuse, un tono spesso cupo e neutro, che ricorda uno spazio cosmico. In questo spazio 'spaziale', vuoto, appaiono i tentativi cosmogonici di Achille Pace, spesso immagini splenetiche e minimali. Sono esperimenti rischiosi perché partono da una continua e incessante messa in discussione. Un orizzonte, un punto rosso, la ricostruzione esistenziale e astratta di quel paesaggio reale che è vita.
L'artista stesso afferma: «(...) La mia pittura si identifica con un processo di forma-formazione, di forma-formante, di genesi formale certamente parente di Klee (...) nei miei quadri invece si attua un processo di formazione: c'è l'azzeramento e poi si comincia e non si sa dove si va a finire. C'è (...) avventura (...) però quello che avviene non è solo un fatto mentale, è anche un fatto esistenziale del procedere, dello svolgersi della cosa. Quando il filo perde questo andamento diventa stucchevole e non serve più, allora tanto vale [tracciare un segno] con il tiralinee (...) se c'è poesia in tutto ciò è perché nell'essenza stessa del fare c'era, se non c'è è perché non c'era. La poesia si cala nel fare. Se si ha un'idea della poesia, si fa sempre e solo spettacolo di poesia, mentre la poesia è nelle cose stesse, nel procedimento, nel fare, nella scelta di certi materiali... ma in niente che sia a priori. Non esiste un apriori poetico». (Pace in Longari, 1990, p. 18) <96
Secondo Giulio Carlo Argan l'opera di Pace è anche méta-arte, infatti «Pace non setaccia entità imprecisate come lo spazio o la materia o il segno, ma queste ed altre entità in quanto storicamente acquisite al linguaggio artistico moderno. I suoi “materiali” non sono soltanto la tela e il filo, né lo spazio, la superficie, il colore, il segno; sono anche, e in primo luogo, Klee, Miro, Picasso, Malevic, Burri, Fontana» (Argan, 1960 s.n.p.). Se questo è vero, se l'operazione di Pace è cólta e intrisa di rimandi artistici e simbolici che attingono alla storia dell'arte, credo che abbia nel contempo l'autonomia di una ricerca personalissima e che parte dal un 'grado zero' della storia interpretato dalla ricerca informale.
La cifra dell'opera del maestro Pace è di certo l'uso del filo di cotone, l'esistenza che diviene, citando Giuseppe Ungaretti, «una docile fibra/dell'universo» che solo in rari casi cuce. È invece, come ha evidenziato Palma Bucarelli, “una guida meditata”, un “gesto volontario” ma non gratuito. Spesso è scucitura del nesso logico, una traccia attenta e rischiosa di un itinerario imprevisto che talvolta, come fosse il filo di Arianna, serve poi come indizio per un percorso inverso, per ricordare un tragitto e ad evitare un inesorabile smarrimento nei cul-de-sac del pensiero. In questo senso il filo è una strategia per una possibile salvezza. Altre volte divide lo spazio irraggiandosi, incontrando altre esistenze fatte di macchie, fili, materiali. Si divarica, converge, crea tensioni, a volte si dispera; si aggroviglia, e vagando e disperdendosi costruisce a propria volta i propri labirinti.
L'artista pur avendo anticipato, con questa sua ricerca della semplicità, un carattere evidenziato già nei primi anni '70 da Nello Ponente e da Cesare Vivaldi, il minimalismo e l'arte povera, resta ineguagliabile per l'eleganza e la delicatezza del suo agire artistico che lo portano ad un esito estetico senza tempo e in questo senso classico.
«Achille Pace è un convinto sostenitore della rarefazione, nel senso che affida alla mancanza, alla differenza una speciale funzione epifanica dell'immaginario» (Gallo, 1990 p. 9) <97.
E così che viene chiesta la partecipazione attiva dell'osservatore.
Personalmente credo che l'aderenza tra vita e arte avvicini Pace a pratiche performative di cui le opere sono solo un resto, un reperto al margine della vita. Il capolavoro di Achille Pace è a mio parere la scelta di essere artista fino in fondo. L'importanza storica di Achille Pace risiede nel superamento dell'informale e nel tentativo di ritrovare una forma senza idiosincrasie verso la geometria e l'ordine, ma recuperandoli solo attraverso un sincero percorso esistenziale che avvicina l'uomo a dinamiche cosmiche. «La stessa sottigliezza del filo che ha scelto per essere guidato, e guida nello stesso tempo, non è che un'emanazione continua di seta interiore [...]» (Gallo, 1990, p. 9) <98.
Si compie così il miracolo laico in cui l'arte è una forma di cultura che cresce dentro la natura. Nella comprensione di questa conquista credo possano risiedere gli spunti più interessanti per la progettazione del paesaggio.
[NOTE]
87 Traducibile con psiche indica il pensiero, il respiro, in una forma primordiale e unica, che non distingue il logos e il pathos.
88 È l'artista stesso a parlarne: «Il mio più grande amore è stato per il paesaggio dipinto direttamente sul soggetto, en plein air, che è durato fino al 1940-41. (…) Prima io credevo molto nei paesaggi, però ho notato, avendo fatto più di un'antologica che mi ha permesso di vedere i quadri tutti insieme, che in fondo era una situazione provvisoria...Nel senso che pur avendo sviluppato in quei dipinti la componente lirica, che ancora vive nel mio lavoro attuale, non avevo però ancora trovato la mia cifra più autentica». Longari E., 1990, conversazione con Achille Pace, in Achille Pace 1990 infinito&infinito, Electa, Milano p. 19-20.
89 Queste opere ultime sono state esposte di recente a Liverpool nella mostra Jackson Pollock: blind spots (2015) e sono caratterizzate dal così detto “black pourings”(colate nere) in cui, come in un incubo, tutto si fa scuro e tornano i fantasmi, i volti e le figure.
90 Crispolti E. (1978) Achille Pace - Itinerari p.10 Milano all'insegna del pesce d'oro, ed. Vanni Scheiwiller
91 Longari E. (1990) conversazione con Achille Pace in Achille Pace -infinito&infinito, Electa, Milano.
92 Masi A. (1990) in Achille Pace infinito&infinito, Electa, Milano
93 Dal manoscritto Omaggio a Paul Klee (primi anni Ottanta) conservato nell'archivio privato di Achille Pace e reca in calce la scritta «Per il Prof. Carlo Fabrizio Carli». Il testo si riferisce ad un balletto promosso da Sandro Tulli dal nome omonimo ideato da Pace.
94 Confr. Waiblinger W. (2009) Friedrich Hölderlin. Vita, poesia e follia (trad. it. Polledri E.), Adelphi, Milano.
95 Longari E. (1990 ) conversazione con Achille Pace in Achille Pace -infinito&infinito, Electa, Milano.
96 Ibidem.
97 Gallo F. (1990) in Achille Pace infinito&infinito, Electa, Milano.
98 Ibidem.
Michele Porsia, Il piano paesaggistico come artefatto a reazione poietica. Verso una fertilizzazione della pianificazione del paesaggio attraverso ricerche artistiche contemporanee, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2019