Molto si è scritto su "La favola del figlio cambiato" di Pirandello-Malipiero, specie sulla gazzarra del pubblico durante la sua prima rappresentazione italiana (Roma, Teatro Reale dell’Opera, 24 marzo 1934) e sul sipario fatto definitivamente calare dal ‘Grande Censore’ subito dopo di essa: numerose sono le ricostruzioni dello stesso Malipiero (plurime e non ancora considerate nella loro globalità), del suo primo censore, Leopoldo Zurlo, e di altri testimoni, dal medico del teatro a Goffredo Petrassi, oltre i critici musicali. <25 La «storia della Favola» è stata appannaggio, soprattutto, di uno di questi ultimi: Fedele d’Amico, che la fece oggetto di almeno due conferenze <26 e di ben quattro tra articoli e saggi. <27 Se nell’ultimo di questa serie di scritti, d’Amico affermò che la «storia esterna» della Favola, permaneva «tuttora malnota, lacunosa, o fondata su dati inattendibili», <28 la messe documentale («riservata») riesumata dall’Archivio Centrale di Stato di Roma da Alberto Cesare Alberti, <29 le fonti - complementari allo scavo archivistico di quest’ultimo - radunate da Fiamma Nicolodi, <30 ben due edizioni debitamente commentate del carteggio Pirandello-Malipiero <31 e i recenti studi sulla censura mussoliniana in materia letteraria di Guido Bonsaver <32 consentono, oggi, di riaprire questo caso di censura dimostrativa del Regime, il quale, almeno fino a quel momento, sembrava aver stabilito un modus vivendi con i rappresentanti delle punte più avanzate del modernismo artistico, sostenendone l’operato. <33
In questa sede, riconsiderare l’emblematicità di questo caso di censura alla luce di un’analisi, non solo delle speculazioni pseudo-estetiche alimentate dal fiasco della "Favola", ma anche della (poco nota) strumentalizzazione politica che di quest’ultimo si fece, in una prospettiva culturale e stografica più ampia possibile e, non da ultimo, aperta a fonti non ancora esaminate, si rende indispensabile onde comprendere la genesi, lo stile e l’‘urgenza’ del "Giulio Cesare".
[...] C’entra, piuttosto, la ragion di Stato e, per dimostrarlo, occorre focalizzare due trascurati ordini di considerazioni, solo apparentemente irrelati tra loro ed entrambi tangenti al caso della "Favola": a) la pessima stampa di cui Pirandello godeva in Vaticano e b) la strategia ‘retorico-drammaturgica’ dell’induzione al consenso di Mussolini in quel mentre. Circa la prima, indipendentemente da come la si pensasse a tal proposito nella Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia e nell’Ufficio Censura teatrale del Viminale, presso la Santa Sede era disegno del Sant’Uffizio d’inserire ogni opera di Pirandello nell’Index librorum prohibitorum: operazione, come ha tardivamente messo in luce Leonardo Sciascia nella sua ultima fatica critica, sventata nell’estate del ’34 da Giovanni Battista Montini, e, non da ultimo, da Silvio d’Amico (il babbo di Fedele), che proprio sul futuro papa Paolo VI fece pressione perché intercedesse a favore del drammaturgo di Girgenti. <65
In più, non andrà dimenticato che, mentre "La favola del figlio cambiato" stava per andare in scena, sempre a Roma era al suo culmine l’Anno Santo inaugurato il giorno di Pasqua del 1933. Bonsaver ha già largamente lumeggiato su come questo Giubileo straordinario abbia gettato una cattiva stella sulla produzione teatrale coeva: ce lo ricordano le tribolazioni della "Caterina Sforza", ennesima anticata pièce in endecasillabi di Sem Benelli e non poco critica nei confronti della Chiesa cattolica (una donna contro il potere temporale incarnato da Papa Borgia!), la cui rappresentazione venne proibita dal Patriarca di Venezia. <66
Anche questa contingenza, dunque, non è da sottovalutare per comprendere il contesto culturale e politico del fiasco della "Favola". Entra in scena, a questo punto, il ‘messaggio’ del Vaticano, mediato da «L’Osservatore romano», circa la «favola oscena» che dovette mettere in allerta Mussolini, il quale non era certo insensibile alle idiosincrasie della Chiesa. La ragione per cui anche la censura teatrale stava alzando il tiro proprio in quel momento è evidente: in gioco era, infatti, l’affermazione del consenso al regime e la eco che ne sarebbe seguita a livello internazionale <67 con il risultato elettorale del plebiscito che si sarebbe svolto il 25 marzo 1934 (proprio l’indomani della prima andata in scena italiana della Favola), per una schiacciante riuscita del quale, Mussolini non poteva che contare sull’am-pia base dell’elettorato cattolico. Se, da un lato, Mussolini mostrava i muscoli agli untori dell’antifascismo, dall’altro, non intendeva, in quel frangente, sollevare questioni contro le ingerenze di natura etica della Chiesa sulla politica del Governo, né, tantomeno, permettersi di tornare ai ferri corti con Pio XI come tre anni prima. <68 Diversamente, anche ciò avrebbe potuto ledere l’immagine del Fascismo all’estero e si rendeva necessario, pertanto, favorire il delicato equilibrio diplomatico del Regime con la Chiesa, sancito nel ’29 dai “Patti lateranensi”.
In tutta Italia, quindi, le diverse sezioni provinciali del PNF e quelle locali dell’Associazione Nazionale Antiblasfema ripresero ad andare a braccetto e, certamente, l’ammonimento in difesa del matrimonio cristiano contro "[…] coloro che stimano doversi essere indulgenti verso le idee e i costumi del nostro tempo, intorno alla falsa e dannosa amicizia con terze persone, e sostengono doversi in queste relazioni estranee consentire una certa maggior licenza di pensare o di operare, e ciò tanto più che (come vanno dicendo) non pochi hanno una congenita costituzione sessuale, a cui non possono soddisfare tra gli angusti confini del matrimonio monogamico[,]" <69 dell’enciclica "Casti Connubii" (31 dicembre 1930), tornarono a essere riconsiderate con la doverosa attenzione, certo più da Mussolini che da Zurlo, <70 dato che - altro fatto non trascurabile - nel gioco di forze tra la Santa Sede e il Governo fascista erano in palio potenziali compravendite di terreni, di pro-prietà del primo e necessarie all’edificazione delle ‘Grandi Opere’ del secondo. <71
Ecco perché tante scenate, quella sera, in quel palco di prim’ordine. Di questo presunto inchino all’altare, Mussolini seppe fare, però, virtù e, da mattatore qual era, quella sera, al Reale, conseguì una piccola vittoria politica per raggiungere il consenso delle masse. Come si diceva, il Governo aveva fissato all’indomani della prima italiana della "Favola" le elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati (meglio, per approvare o meno un “listone” stilato dal Gran Consiglio); plebiscito a viatico del quale e a esplicitazione della linea che il regime avrebbe perseguito all’indomani dello scontato risultato delle votazioni, <72 Mussolini pronunciò, il 18 marzo, un discorso in occasione della Seconda Assemblea Quinquennale del Regime. Non foss’altro per la dichiarazione delle proprie imperialistiche mire, questo discorso di Mussolini non fu affatto, come scrisse Renzo De Felice, «di routine» <73 né è di secondaria importanza in questa sede, poiché la violenza assunta dai toni del Duce in quest’occasione si appuntarono contro lo spirito borghese e sulla chiamata alle armi delle più giovani generazioni nelle file del Partito: <74 due Leitmotive che, a ruota, verranno fatti propri dalla propaganda culturale del Regime, ai quali, grazie a questo vibrante la, si allineeranno i giornali - e, di conseguenza, l’indirizzo estetico delle relative rubriche di critica musicale - e si conformerà il SNFM, offrendo ai detrattori dei due dioscuri del ‘novecentismo musicale’ (leggi Casella e Malipiero) materia per accanirsi contro di loro e i semi della discordia per future polemiche.
In questo senso, non si è mai fatto notare che la prima rappresentazione italiana dell’opera di Pirandello-Malipiero si stava per apparecchiare proprio sulle medesime tavole dalle quali, appena sei giorni prima, Mussolini aveva pronunciato questo discorso: alla luce di ciò e del monito del Duce a tenere alla larga «i poltroni dell’intelletto» dalla «rivoluzione continua» del fascismo, si può ben comprendere come la "Favola", squisito esempio di “teatro di pensiero” (come, all’epoca, s’irrideva il teatro più moderno e d’avanguardia), si offrisse come il più docile dei vitelli sacrificali al taglio della gola.
[...] "Giulio Cesare", la cui composizione assorbì completamente Malipiero fino al 10 febbraio 1935, sarà il primo dramma musicale di quelli che il compositore stesso definirà la «parentesi lirica» <103 della propria produzione teatrale che precede "I Capricci di Callot" (1942), <104 ma anche il titolo con il quale intese rifarsi una verginità agli occhi del regime, mobilitando le più influenti tra le sue conoscenze allo scopo sia d’informare il Duce sui progressi del suo nuovo lavoro teatrale sia di mandarlo al più presto in scena una volta completato. Tra queste personalità spiccava Giuseppe Bottai, il quale, nel tentativo di ricucire i rapporti tra Mussolini e Malipiero, già due giorni dopo la prima e ultima rappresentazione della "Favola" si era adoperato a fare da ‘sensale’ tra i due e, pur non riuscendo a combinare l’incontro sperato dal compositore (non il primo), <105 poté quantomeno rincuorare quest’ultimo che Mussolini, se con qualcuno doveva avercela, quegli non era certamente lui, ma Piradello. <106 Quanto, poi, all’infondato timore di Malipiero che la proibizione della "Favola" potesse avere ripercussioni negative sulla propria carriera di docente di composizione superiore al Liceo musicale di Venezia, <107 questo venne fugato sul finire di luglio: l’insperato, diretto intervento del Capo del Governo in difesa sua e del suo posto di lavoro <108 è da ritenere cruciale nella decisione di voler dedicare a Mussolini, a mo’ di ex voto, il suo "Giulio Cesare".
Tornando a Bottai, se, come avrò modo di dimostrare, Bottai si incaricherà personalmente anche per promuovere l’andata in scena del Giulio Cesare (su un inopinato palcoscenico, come si vedrà), si può addirittura azzardare l’ipotesi che sia stato proprio l’ex ministro delle Corporazioni e futuro ministro dell’Educazione Nazionale ad aver suggerito o, quantomeno, avvallato il soggetto dell’opera riparatrice: un’ipotesi, non solo niente affatto peregrina o sorprendente alla luce della centralità di Bottai nella sintesi delle logotecniche del regime, ma che traluce da una lettera dello stesso Bottai a Malipiero, nella quale, schernendosi, minimizzò con modestia l’appellativo, affibbiatogli dal compositore, di «padrino» del "Giulio Cesare". <109 Del resto, questo titolo shakespeariano s’imponeva da sé, ché il gradimento di Mussolini per il "Julius Caesar" era internazionalmente risaputo sin dal 1932, anno nel quale venne pubblicato e tradotto in più lingue quel best seller che furono i "Mussolinis Gespräche mit Emil Ludwig" (Berlin, Zsolnay, 1932):
" - 'Ha imparato solo dalla realtà? Recentemente parlammo del potere e della poesia. Se oggi Lei vede dal suo palco “Coriolano” o “Cesare” sorride Lei, o li studia con vantaggio?' - Mussolini si volse verso un tavolo coperto di libri e prese quello che stava sopra di tutti. Era aperto. «Ecco Cesare» disse egli sfogliando in una edizione francese di Shakespeare. «Una grande scuola per i governanti. Pensavo proprio come pure Cesare, negli ultimi giorni, sia diventato la vittima della [bella] frase». - 'Di quella storica o di quella drammatizzata?' - «Temo anche di quella storica» disse egli pensoso". <110
2.1. Malipiero a Canossa
Riprendiamo le fila del discorso sulla genesi del "Giulio Cesare" e, non disgiunto da quest’ultimo, sul recupero del presunto strappo tra Mussolini e Malipiero a partire da una lettera del 15 luglio 1934, attraverso la quale, rompendo un lungo silenzio, il compositore informava Pirandello della buona novella appresa da una dama veneziana sua estimatrice - la contessa Nerina Pisani Volpi di Misurata? - e da quest’ultima graziosamente estorta durante un pour parler con Mussolini nei giorni dello “storico incontro” tra quest’ultimo e Hitler, avvenuto tra il 12 e il 14 giugno 1934, tra Stra e Venezia:
"Da 3 mesi non ho sue notizie. Ho visto quanto ella è stata rappresentata in questi ultimi mesi e con quale successo. Forse non più del solito, ma a me ha fatto piacere di seguirla perché ho potuto così convincermi che delle ignobili giornate romane non era rimasto che un lontano ricordo. È difficile distruggere gli artisti che sono veramente artisti per fare piacere a quelli che non lo sono! Della famosa visita (udienza) non ho saputo più nulla, cioè mi sono state riferite queste parole, da una signora che, a un banchetto durante il soggiorno del Capo a Venezia, si è trovata alla sua destra. Egli ha detto: «quella sera al Teatro Reale ho preso cappello. Mi hanno chiesto un’udienza ma allora non ho voluto riceverli, mentre adesso li vedrei con piacere». Che le pare?" <111
La prima occasione utile per poter incontrare Mussolini di persona si presenterà a Malipiero in settembre. Un mese e un giorno dopo il succitato tentativo di mediazione diplomatica di Mussolini tra il famelico cancelliere tedesco e il Governo austriaco, il presidente Engelbert Dolfuß venne assassinato durante il tentato putsch nazista di Vienna. Onde manifestare tutta la propria vicinanza all’Austria, nel pomeriggio del 13 settembre 1934, Mussolini lasciò la Rocca delle Caminate - suo buen retiro a metà strada fra Predappio e Forlimpopoli - in compagnia del suo segretario, Osvaldo Sebastiani, per raggiungere in serata, quasi a sorpresa, Venezia, dove il Duce assistette, l’indomani, alla rappresentazione del "Così fan tutte" di Mozart prodotto dalla Wiener Staatsoper (direttore, Clemens Krauss; regia, Lothar Wallerstein). <112
L’incontro tra Malipiero e Mussolini risalirebbe, dunque, al 14 o al 15 settembre. Non sappiamo se Mussolini fosse stato prevenuto su questo incontro né da chi Malipiero abbia ricevuto la ‘soffiata’ (forse, dall’on. Suppiej, allievo di Malipiero), ma, se le doviziose cronache mondane di quei giorni non segnalano il compositore tra i notabili liberi di circolare nella hall dell’«Hotel Excelsior», al Lido, e nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice, tra questi figuravano il conte Giuseppe Volpi di Misurata, Adriano Lualdi - rispettivamente, presidente e direttore artistico del Festival Internazionale di Musica Contemporanea - e Ugo Ojetti, <113 la cui comune conoscenza tanto con Malipiero quanto con Mussolini poté agevolmente favorire loro d’introdurre alla presenza del Capo del Governo il compositore. (Non sappiamo se fu in quest’occasione che Mussolini dichiarò a Malipiero: «Lei ha commesso l’errore di mettere in musica il libretto [La favola del figlio cambiato] di un cretino», <114 per dirla con un d’Amico reticente sulla propria fonte.) Stando al carteggio Bottai-Malipiero, si evince che quest’ultimo accennò senz’altro al Duce alla composizione, in itinere, del suo nuovo dramma musicale, anche se, per quanto il compositore potesse ritenersi soddisfatto della, forse inaspettata, accoglienza riservatagli da Mussolini (descritta in termini entusiastici in una lettera a Bernardino Molinari: «A Venezia mi sono incontrato col Duce che è stato con me, come sempre, molto affabile: la burrasca è passata. Speriamo che certi amici non soffino di nuovo sul fuoco» <115), si dovette trattare, a suo modo di vedere, di un incontro troppo fugace; quindi, benché fosse ancora a metà del suo lavoro, Malipiero non si dette requie per incontrare Mussolini in forma privata, onde potergli illustrare i progressi nella stesura del "Giulio Cesare".
A tal fine, sollecitò nuovamente aiuto all’amico Bottai, il quale, il 30 ottobre, rispose propositivamente al suo invito:
"Caro amico, […]. Sapevo già del tuo colloquio veneziano. Ne sono stato lietissimo; e credo che si debba chiedere l’udienza. Potrò farlo io stesso. Ma deve dirmi se debbo chiedere un’udienza semplice o un’udienza audizione e in quale periodo. Attendo un tuo chiarimento, prima del 9 pr[ossimo]. In quanto al tuo 'Giulio Cesare', perché dargli un padrino così indegno? Tutto di me è a tua disposizione, per aiutare e difendere la tua opera: con la più cordiale e discreta amicizia. Sii sereno e tranquillo. La maggiore forza è in te, nel tuo animo di creatore.
Credimi, con affetto, tuo, Giuseppe Bottai" <116
Grazie ai buoni uffici di Bottai, Malipiero ottenne finalmente la tanto sospirata udienza, fissata per il 10 gennaio 1935. Cadendo di domenica, essa dovette aver luogo a Villa Torlonia e dovette durare poco se il compositore non ebbe neanche l’occasione di sedersi al pianoforte per far ascoltare al Duce la sua primizia.
Oltre a illustrare la nuova partitura teatrale e a offrirgliene la dedica, dalla corrispondenza con i gerenti di Casa Ricordi si evince che Malipiero colse l’occasione per avanzare (coraggiosamente) la grazia nei confronti del ‘Figlio proibito’, <117 ma al solo toccare questo tasto, il Duce dovette impettirsi: «Ciò non è possibile. Per ora chi in alto l’ha condannata [la 'Favola'] non può ricredersi. Dunque col dramma di 'Giulio Cesare' (che il Duce ha MOLTO gradito[,] prego di notare il MOLTO) noi dobbiamo collaborare per una completa rivendicazione [della 'Favola']». <118
Un anno più tardi, una volta regolati i conti con la censura e a un mese dall’andata in scena del "Giulio Cesare", Malipiero volle immortalare quella udienza in un articolo pubblicato, grazie all’interessamento di Bontempelli, ne «L’Italia letteraria»: "[…] il Duce ha definitivamente cancellato tutti i dubbi con le sue ottimistiche profezie sul 'Giulio Cesare'. Il “manoscritto” è stato scrutato, pesato, sondato e non si può dimenticare la convinzione con la quale Egli ha accettato l’offerta di questa fatica senza peso. «Vorrei intorno a me soltanto uomini grassi». Lo strano desiderio di Cesare ha profondamente colpito il Duce e il suo volto si è aperto a un sorriso di approvazione. Tutto è musica nulla è musica. Il sorriso del Duce è stato per se stesso di una musicalità che corrisponde a tutti i ritmi, a tutte le armonie che spesso cerchiamo e non troviamo. Appunto perché tutto è musica è difficile precisare nell’arte musicale i valori definitivi, quei valori che creano l’equilibrio tra il passato e l’avvenire. Nella musica troppo spesso il deserto pare senza speranza, senza oasi e tutti si perdono perché non riescono a individuare nemmeno quelle oasi che per la loro vastità dovrebbero essere visibili anche per i ciechi. «Il mondo è popolato da uomini tutti in carne e ossa, tutti intelligenti, ma ne conosco uno solo che rimanga al suo posto, inaccessibile, incrollabile…». Così diceva Giulio Cesare [di sé]". <119
Come ha giustamente sottolineato Fiamma Nicolodi, Malipiero, con questo articoletto incentrato sul lusinghiero viatico ricevuto in quell’occasione da Mussolini, «nell’informare il pubblico dei detrattori - reali o immaginari -, pareva mettersi questa volta al riparo dalle critiche sotto l’ombra dell’influente dedicatario», <120 non da ultimo, per via dei ‘difetti’ dell’eponimo eroe della tragedia shakespeariana: non si dimentichi che, un anno prima, inopinatamente, «Il Regime Fascista» aveva rimproverato Mascagni alla stregua di un disfattista, per aver offerto, con il suo "Nerone" su libretto del defunto Giovanni Targioni-Tozzetti, un’immagine decadente della Roma imperiale, niente affatto in linea con lo spirito eroico degli attuali tempi. <121
In questa sede, riconsiderare l’emblematicità di questo caso di censura alla luce di un’analisi, non solo delle speculazioni pseudo-estetiche alimentate dal fiasco della "Favola", ma anche della (poco nota) strumentalizzazione politica che di quest’ultimo si fece, in una prospettiva culturale e stografica più ampia possibile e, non da ultimo, aperta a fonti non ancora esaminate, si rende indispensabile onde comprendere la genesi, lo stile e l’‘urgenza’ del "Giulio Cesare".
[...] C’entra, piuttosto, la ragion di Stato e, per dimostrarlo, occorre focalizzare due trascurati ordini di considerazioni, solo apparentemente irrelati tra loro ed entrambi tangenti al caso della "Favola": a) la pessima stampa di cui Pirandello godeva in Vaticano e b) la strategia ‘retorico-drammaturgica’ dell’induzione al consenso di Mussolini in quel mentre. Circa la prima, indipendentemente da come la si pensasse a tal proposito nella Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia e nell’Ufficio Censura teatrale del Viminale, presso la Santa Sede era disegno del Sant’Uffizio d’inserire ogni opera di Pirandello nell’Index librorum prohibitorum: operazione, come ha tardivamente messo in luce Leonardo Sciascia nella sua ultima fatica critica, sventata nell’estate del ’34 da Giovanni Battista Montini, e, non da ultimo, da Silvio d’Amico (il babbo di Fedele), che proprio sul futuro papa Paolo VI fece pressione perché intercedesse a favore del drammaturgo di Girgenti. <65
In più, non andrà dimenticato che, mentre "La favola del figlio cambiato" stava per andare in scena, sempre a Roma era al suo culmine l’Anno Santo inaugurato il giorno di Pasqua del 1933. Bonsaver ha già largamente lumeggiato su come questo Giubileo straordinario abbia gettato una cattiva stella sulla produzione teatrale coeva: ce lo ricordano le tribolazioni della "Caterina Sforza", ennesima anticata pièce in endecasillabi di Sem Benelli e non poco critica nei confronti della Chiesa cattolica (una donna contro il potere temporale incarnato da Papa Borgia!), la cui rappresentazione venne proibita dal Patriarca di Venezia. <66
Anche questa contingenza, dunque, non è da sottovalutare per comprendere il contesto culturale e politico del fiasco della "Favola". Entra in scena, a questo punto, il ‘messaggio’ del Vaticano, mediato da «L’Osservatore romano», circa la «favola oscena» che dovette mettere in allerta Mussolini, il quale non era certo insensibile alle idiosincrasie della Chiesa. La ragione per cui anche la censura teatrale stava alzando il tiro proprio in quel momento è evidente: in gioco era, infatti, l’affermazione del consenso al regime e la eco che ne sarebbe seguita a livello internazionale <67 con il risultato elettorale del plebiscito che si sarebbe svolto il 25 marzo 1934 (proprio l’indomani della prima andata in scena italiana della Favola), per una schiacciante riuscita del quale, Mussolini non poteva che contare sull’am-pia base dell’elettorato cattolico. Se, da un lato, Mussolini mostrava i muscoli agli untori dell’antifascismo, dall’altro, non intendeva, in quel frangente, sollevare questioni contro le ingerenze di natura etica della Chiesa sulla politica del Governo, né, tantomeno, permettersi di tornare ai ferri corti con Pio XI come tre anni prima. <68 Diversamente, anche ciò avrebbe potuto ledere l’immagine del Fascismo all’estero e si rendeva necessario, pertanto, favorire il delicato equilibrio diplomatico del Regime con la Chiesa, sancito nel ’29 dai “Patti lateranensi”.
In tutta Italia, quindi, le diverse sezioni provinciali del PNF e quelle locali dell’Associazione Nazionale Antiblasfema ripresero ad andare a braccetto e, certamente, l’ammonimento in difesa del matrimonio cristiano contro "[…] coloro che stimano doversi essere indulgenti verso le idee e i costumi del nostro tempo, intorno alla falsa e dannosa amicizia con terze persone, e sostengono doversi in queste relazioni estranee consentire una certa maggior licenza di pensare o di operare, e ciò tanto più che (come vanno dicendo) non pochi hanno una congenita costituzione sessuale, a cui non possono soddisfare tra gli angusti confini del matrimonio monogamico[,]" <69 dell’enciclica "Casti Connubii" (31 dicembre 1930), tornarono a essere riconsiderate con la doverosa attenzione, certo più da Mussolini che da Zurlo, <70 dato che - altro fatto non trascurabile - nel gioco di forze tra la Santa Sede e il Governo fascista erano in palio potenziali compravendite di terreni, di pro-prietà del primo e necessarie all’edificazione delle ‘Grandi Opere’ del secondo. <71
Ecco perché tante scenate, quella sera, in quel palco di prim’ordine. Di questo presunto inchino all’altare, Mussolini seppe fare, però, virtù e, da mattatore qual era, quella sera, al Reale, conseguì una piccola vittoria politica per raggiungere il consenso delle masse. Come si diceva, il Governo aveva fissato all’indomani della prima italiana della "Favola" le elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati (meglio, per approvare o meno un “listone” stilato dal Gran Consiglio); plebiscito a viatico del quale e a esplicitazione della linea che il regime avrebbe perseguito all’indomani dello scontato risultato delle votazioni, <72 Mussolini pronunciò, il 18 marzo, un discorso in occasione della Seconda Assemblea Quinquennale del Regime. Non foss’altro per la dichiarazione delle proprie imperialistiche mire, questo discorso di Mussolini non fu affatto, come scrisse Renzo De Felice, «di routine» <73 né è di secondaria importanza in questa sede, poiché la violenza assunta dai toni del Duce in quest’occasione si appuntarono contro lo spirito borghese e sulla chiamata alle armi delle più giovani generazioni nelle file del Partito: <74 due Leitmotive che, a ruota, verranno fatti propri dalla propaganda culturale del Regime, ai quali, grazie a questo vibrante la, si allineeranno i giornali - e, di conseguenza, l’indirizzo estetico delle relative rubriche di critica musicale - e si conformerà il SNFM, offrendo ai detrattori dei due dioscuri del ‘novecentismo musicale’ (leggi Casella e Malipiero) materia per accanirsi contro di loro e i semi della discordia per future polemiche.
In questo senso, non si è mai fatto notare che la prima rappresentazione italiana dell’opera di Pirandello-Malipiero si stava per apparecchiare proprio sulle medesime tavole dalle quali, appena sei giorni prima, Mussolini aveva pronunciato questo discorso: alla luce di ciò e del monito del Duce a tenere alla larga «i poltroni dell’intelletto» dalla «rivoluzione continua» del fascismo, si può ben comprendere come la "Favola", squisito esempio di “teatro di pensiero” (come, all’epoca, s’irrideva il teatro più moderno e d’avanguardia), si offrisse come il più docile dei vitelli sacrificali al taglio della gola.
[...] "Giulio Cesare", la cui composizione assorbì completamente Malipiero fino al 10 febbraio 1935, sarà il primo dramma musicale di quelli che il compositore stesso definirà la «parentesi lirica» <103 della propria produzione teatrale che precede "I Capricci di Callot" (1942), <104 ma anche il titolo con il quale intese rifarsi una verginità agli occhi del regime, mobilitando le più influenti tra le sue conoscenze allo scopo sia d’informare il Duce sui progressi del suo nuovo lavoro teatrale sia di mandarlo al più presto in scena una volta completato. Tra queste personalità spiccava Giuseppe Bottai, il quale, nel tentativo di ricucire i rapporti tra Mussolini e Malipiero, già due giorni dopo la prima e ultima rappresentazione della "Favola" si era adoperato a fare da ‘sensale’ tra i due e, pur non riuscendo a combinare l’incontro sperato dal compositore (non il primo), <105 poté quantomeno rincuorare quest’ultimo che Mussolini, se con qualcuno doveva avercela, quegli non era certamente lui, ma Piradello. <106 Quanto, poi, all’infondato timore di Malipiero che la proibizione della "Favola" potesse avere ripercussioni negative sulla propria carriera di docente di composizione superiore al Liceo musicale di Venezia, <107 questo venne fugato sul finire di luglio: l’insperato, diretto intervento del Capo del Governo in difesa sua e del suo posto di lavoro <108 è da ritenere cruciale nella decisione di voler dedicare a Mussolini, a mo’ di ex voto, il suo "Giulio Cesare".
Tornando a Bottai, se, come avrò modo di dimostrare, Bottai si incaricherà personalmente anche per promuovere l’andata in scena del Giulio Cesare (su un inopinato palcoscenico, come si vedrà), si può addirittura azzardare l’ipotesi che sia stato proprio l’ex ministro delle Corporazioni e futuro ministro dell’Educazione Nazionale ad aver suggerito o, quantomeno, avvallato il soggetto dell’opera riparatrice: un’ipotesi, non solo niente affatto peregrina o sorprendente alla luce della centralità di Bottai nella sintesi delle logotecniche del regime, ma che traluce da una lettera dello stesso Bottai a Malipiero, nella quale, schernendosi, minimizzò con modestia l’appellativo, affibbiatogli dal compositore, di «padrino» del "Giulio Cesare". <109 Del resto, questo titolo shakespeariano s’imponeva da sé, ché il gradimento di Mussolini per il "Julius Caesar" era internazionalmente risaputo sin dal 1932, anno nel quale venne pubblicato e tradotto in più lingue quel best seller che furono i "Mussolinis Gespräche mit Emil Ludwig" (Berlin, Zsolnay, 1932):
" - 'Ha imparato solo dalla realtà? Recentemente parlammo del potere e della poesia. Se oggi Lei vede dal suo palco “Coriolano” o “Cesare” sorride Lei, o li studia con vantaggio?' - Mussolini si volse verso un tavolo coperto di libri e prese quello che stava sopra di tutti. Era aperto. «Ecco Cesare» disse egli sfogliando in una edizione francese di Shakespeare. «Una grande scuola per i governanti. Pensavo proprio come pure Cesare, negli ultimi giorni, sia diventato la vittima della [bella] frase». - 'Di quella storica o di quella drammatizzata?' - «Temo anche di quella storica» disse egli pensoso". <110
2.1. Malipiero a Canossa
Riprendiamo le fila del discorso sulla genesi del "Giulio Cesare" e, non disgiunto da quest’ultimo, sul recupero del presunto strappo tra Mussolini e Malipiero a partire da una lettera del 15 luglio 1934, attraverso la quale, rompendo un lungo silenzio, il compositore informava Pirandello della buona novella appresa da una dama veneziana sua estimatrice - la contessa Nerina Pisani Volpi di Misurata? - e da quest’ultima graziosamente estorta durante un pour parler con Mussolini nei giorni dello “storico incontro” tra quest’ultimo e Hitler, avvenuto tra il 12 e il 14 giugno 1934, tra Stra e Venezia:
"Da 3 mesi non ho sue notizie. Ho visto quanto ella è stata rappresentata in questi ultimi mesi e con quale successo. Forse non più del solito, ma a me ha fatto piacere di seguirla perché ho potuto così convincermi che delle ignobili giornate romane non era rimasto che un lontano ricordo. È difficile distruggere gli artisti che sono veramente artisti per fare piacere a quelli che non lo sono! Della famosa visita (udienza) non ho saputo più nulla, cioè mi sono state riferite queste parole, da una signora che, a un banchetto durante il soggiorno del Capo a Venezia, si è trovata alla sua destra. Egli ha detto: «quella sera al Teatro Reale ho preso cappello. Mi hanno chiesto un’udienza ma allora non ho voluto riceverli, mentre adesso li vedrei con piacere». Che le pare?" <111
La prima occasione utile per poter incontrare Mussolini di persona si presenterà a Malipiero in settembre. Un mese e un giorno dopo il succitato tentativo di mediazione diplomatica di Mussolini tra il famelico cancelliere tedesco e il Governo austriaco, il presidente Engelbert Dolfuß venne assassinato durante il tentato putsch nazista di Vienna. Onde manifestare tutta la propria vicinanza all’Austria, nel pomeriggio del 13 settembre 1934, Mussolini lasciò la Rocca delle Caminate - suo buen retiro a metà strada fra Predappio e Forlimpopoli - in compagnia del suo segretario, Osvaldo Sebastiani, per raggiungere in serata, quasi a sorpresa, Venezia, dove il Duce assistette, l’indomani, alla rappresentazione del "Così fan tutte" di Mozart prodotto dalla Wiener Staatsoper (direttore, Clemens Krauss; regia, Lothar Wallerstein). <112
L’incontro tra Malipiero e Mussolini risalirebbe, dunque, al 14 o al 15 settembre. Non sappiamo se Mussolini fosse stato prevenuto su questo incontro né da chi Malipiero abbia ricevuto la ‘soffiata’ (forse, dall’on. Suppiej, allievo di Malipiero), ma, se le doviziose cronache mondane di quei giorni non segnalano il compositore tra i notabili liberi di circolare nella hall dell’«Hotel Excelsior», al Lido, e nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice, tra questi figuravano il conte Giuseppe Volpi di Misurata, Adriano Lualdi - rispettivamente, presidente e direttore artistico del Festival Internazionale di Musica Contemporanea - e Ugo Ojetti, <113 la cui comune conoscenza tanto con Malipiero quanto con Mussolini poté agevolmente favorire loro d’introdurre alla presenza del Capo del Governo il compositore. (Non sappiamo se fu in quest’occasione che Mussolini dichiarò a Malipiero: «Lei ha commesso l’errore di mettere in musica il libretto [La favola del figlio cambiato] di un cretino», <114 per dirla con un d’Amico reticente sulla propria fonte.) Stando al carteggio Bottai-Malipiero, si evince che quest’ultimo accennò senz’altro al Duce alla composizione, in itinere, del suo nuovo dramma musicale, anche se, per quanto il compositore potesse ritenersi soddisfatto della, forse inaspettata, accoglienza riservatagli da Mussolini (descritta in termini entusiastici in una lettera a Bernardino Molinari: «A Venezia mi sono incontrato col Duce che è stato con me, come sempre, molto affabile: la burrasca è passata. Speriamo che certi amici non soffino di nuovo sul fuoco» <115), si dovette trattare, a suo modo di vedere, di un incontro troppo fugace; quindi, benché fosse ancora a metà del suo lavoro, Malipiero non si dette requie per incontrare Mussolini in forma privata, onde potergli illustrare i progressi nella stesura del "Giulio Cesare".
A tal fine, sollecitò nuovamente aiuto all’amico Bottai, il quale, il 30 ottobre, rispose propositivamente al suo invito:
"Caro amico, […]. Sapevo già del tuo colloquio veneziano. Ne sono stato lietissimo; e credo che si debba chiedere l’udienza. Potrò farlo io stesso. Ma deve dirmi se debbo chiedere un’udienza semplice o un’udienza audizione e in quale periodo. Attendo un tuo chiarimento, prima del 9 pr[ossimo]. In quanto al tuo 'Giulio Cesare', perché dargli un padrino così indegno? Tutto di me è a tua disposizione, per aiutare e difendere la tua opera: con la più cordiale e discreta amicizia. Sii sereno e tranquillo. La maggiore forza è in te, nel tuo animo di creatore.
Credimi, con affetto, tuo, Giuseppe Bottai" <116
Grazie ai buoni uffici di Bottai, Malipiero ottenne finalmente la tanto sospirata udienza, fissata per il 10 gennaio 1935. Cadendo di domenica, essa dovette aver luogo a Villa Torlonia e dovette durare poco se il compositore non ebbe neanche l’occasione di sedersi al pianoforte per far ascoltare al Duce la sua primizia.
Oltre a illustrare la nuova partitura teatrale e a offrirgliene la dedica, dalla corrispondenza con i gerenti di Casa Ricordi si evince che Malipiero colse l’occasione per avanzare (coraggiosamente) la grazia nei confronti del ‘Figlio proibito’, <117 ma al solo toccare questo tasto, il Duce dovette impettirsi: «Ciò non è possibile. Per ora chi in alto l’ha condannata [la 'Favola'] non può ricredersi. Dunque col dramma di 'Giulio Cesare' (che il Duce ha MOLTO gradito[,] prego di notare il MOLTO) noi dobbiamo collaborare per una completa rivendicazione [della 'Favola']». <118
Un anno più tardi, una volta regolati i conti con la censura e a un mese dall’andata in scena del "Giulio Cesare", Malipiero volle immortalare quella udienza in un articolo pubblicato, grazie all’interessamento di Bontempelli, ne «L’Italia letteraria»: "[…] il Duce ha definitivamente cancellato tutti i dubbi con le sue ottimistiche profezie sul 'Giulio Cesare'. Il “manoscritto” è stato scrutato, pesato, sondato e non si può dimenticare la convinzione con la quale Egli ha accettato l’offerta di questa fatica senza peso. «Vorrei intorno a me soltanto uomini grassi». Lo strano desiderio di Cesare ha profondamente colpito il Duce e il suo volto si è aperto a un sorriso di approvazione. Tutto è musica nulla è musica. Il sorriso del Duce è stato per se stesso di una musicalità che corrisponde a tutti i ritmi, a tutte le armonie che spesso cerchiamo e non troviamo. Appunto perché tutto è musica è difficile precisare nell’arte musicale i valori definitivi, quei valori che creano l’equilibrio tra il passato e l’avvenire. Nella musica troppo spesso il deserto pare senza speranza, senza oasi e tutti si perdono perché non riescono a individuare nemmeno quelle oasi che per la loro vastità dovrebbero essere visibili anche per i ciechi. «Il mondo è popolato da uomini tutti in carne e ossa, tutti intelligenti, ma ne conosco uno solo che rimanga al suo posto, inaccessibile, incrollabile…». Così diceva Giulio Cesare [di sé]". <119
Come ha giustamente sottolineato Fiamma Nicolodi, Malipiero, con questo articoletto incentrato sul lusinghiero viatico ricevuto in quell’occasione da Mussolini, «nell’informare il pubblico dei detrattori - reali o immaginari -, pareva mettersi questa volta al riparo dalle critiche sotto l’ombra dell’influente dedicatario», <120 non da ultimo, per via dei ‘difetti’ dell’eponimo eroe della tragedia shakespeariana: non si dimentichi che, un anno prima, inopinatamente, «Il Regime Fascista» aveva rimproverato Mascagni alla stregua di un disfattista, per aver offerto, con il suo "Nerone" su libretto del defunto Giovanni Targioni-Tozzetti, un’immagine decadente della Roma imperiale, niente affatto in linea con lo spirito eroico degli attuali tempi. <121
[NOTE]
25 Si vedano: ZURLO 1952, p. 131; LEONI 1987, pp. 240-242; PETRASSI, 1979, p. 199, e lo spoglio di recensioni cit. in D’AMICO 1982a, pp. 614-621 (La stampa dopo la «prima» a Roma).
26 Entrambe inedite e tenute all’Università di Palermo nell’aprile del 1980 e alla Fondazione Cini di Venezia nell’autunno dell’anno seguente: cfr. D’AMICO 1982a, p. 587n.
27 ID.: 1934; 1952; 1979, 1982a e 1982b. Peraltro, in ID. 1982a (cfr. p. 587, n.), d’Amico rese noto di essere al lavoro su un ulteriore scritto, che, se non fosse rimasto inedito, avrebbe senz’altro costituito la summa di questo suo esercizio di memoria.
28 ID. 1982a, p. 587, n. In questa nota, peraltro, d’Amico rese noto di essere al lavoro su un ulteriore scritto, che, se non fosse rimasto inedito, avrebbe senz’altro costituito la summa di questo suo esercizio di memoria.
29 ALBERTI 1974, pp. 30-34 e 215-217.
30 NICOLODI 1984, pp. 200-235: 221-229.
31 Si vedano CPMa e CPMb.
32 Si vedano BONSAVER 2007 e ID. 2013, in particolare pp. 88-105 (Teatro, manganello e acquasantiera).
33 Si pensi, solamente, all’approvazione e alla realizzazione dei coevi progetti per la Stazione di Firenze SMN di Giovanni Michelucci e per la Casa del Fascio di Como di Giuseppe Terragni, a fronte dell’alzata di scudi, non solo localistica, contro l’architettura razionalista.
65 Cfr. SCIASCIA 1989, pp. 34-35. Sciascia trascrisse, inoltre, la lettera di risposta di monsignor Montini alla supplica di Silvio d’Amico: «Non ho tardato ad occuparmi dell’oggetto della Sua lettera e La posso assicurare ch’essa è stata portata a conoscenza, con i commenti del caso, ad autorevoli persone del S. Offizio, e ho ragione di pensare ch’essa abbia portato loro con soddisfazione preziosi elementi di conoscenza e di riflessione. Anche per cotesta opera buona quindi La ringrazio sentitamente» (ivi, p. 34).
66 Tuttavia, non ci furono conseguenze così disastrose per la pièce di Benelli, la quale andò in scena con successo a Forlì (cfr. Vivo successo a Forlì di “Caterina Sforza”, «L’Ambrosiano», 29 gennaio 1934, p. 3), quindi a Cremona e in altre città del Nord Italia, ma l’offensiva contro la “Caterina Benelli” o la “Caterina semitica” dello «scriba di Prato», da parte de «L’Osservatore Romano» e dei vescovi delle varie diocesi toccate dalla compagnia benelliana fu strenua e «senza precedenti»: cfr. BONSAVER 2013, pp. 92-105.
67 Non si dimentichi come, tra la firma del “Patto a quattro” (16 marzo 1933) e quella dei protocolli italo-austro-ungheresi (17 marzo 1934), la politica estera di Mussolini, grazie anche al riavvicinamento diplomatico dell’Italia alla Francia, fosse considerata dalle altre nazioni europee di vitale importanza per indebolire l’influenza della Piccola Intesa sull’area danubiano-balcanica e per preservare l’Austria dalle mire espansionistiche di Hitler (pienamente palesatesi col tentato Putsch nazista del 25 luglio 1934 a Vienna.
68 Nel 1931, infatti, “Lui” era giunto alla conclusione che, del complesso dei Trattati lateranensi stipulati tra il Governo italiano e la Santa Sede due anni prima, «solo due non hanno dato luogo a inconvenienti all’atto della loro applicazione – il Trattato vero e proprio e la convenzione monetaria» (da una nota riservata di Mussolini a Emilio Grandi del 1° giugno 1931, cit. in DE FELICE 1996, I, p. 260). A deteriorare i rapporti diplomatici tra il Governo fascista e il Vaticano era intervenuto, il 29 maggio 1931, lo scioglimento, imposto da Mussolini, della FUCI - a favore dei GUF - e dei circoli cattolici organici all’AC ed esattamente un mese, dopo, Papa Ratti si pronunciò a questo proposito con l’enciclica Non abbiamo bisogno. Successivi accordi, presi in settembre, ristabilirono i rapporti.
69 PIO XI 1943, pp. 32-35 (prg. 3.3, Errori e vizi contro la fedeltà: Perverse licenze - Emancipazione della donna - Simpatie capricciose): 32.
70 Se no, quest’ultimo avrebbe reciso anche la battuta dell’UOMO SAPUTO quando, nel quadro I.1 (che in sede di rappre-sentazione filò liscio come l’olio), agitandosi tra le sottane delle astanti, sbotta: «fhhhhhhhhhh / Sa di rinchiuso la vostra onestà!»: PIRANDELLO 1934, p. 13.
71 Per esempio, pare che il reale proprietario dei terreni tra il settimo e il nono chilometro della Tuscolana sui quali verrà eretta Cinecittà fosse proprio il Vaticano, per quanto la titolarità di quelle aree, ‘espropriate’ dal Governo (dietro compenso di 3 milioni di lire), fosse della Società ARTE, presieduta dall’avvocato Pietro Campilli, in seguito parlamentare democristiano e più volte ministro: cfr. GAVIOLI 1987.
72 La grafica della scheda elettorale è passata alla storia per la sua ‘eloquenza’ e le votazioni si svolsero in un’atmosfera che richiama alla memoria i tempi del fascismo in fasce e dello squadrismo: «sugli “elettori” fu esercitato quasi ovunque un occhiuto controllo per evitare un troppo elevato numero di astensioni o di voti contrari e soprattutto per individuare i dissenzienti. A Genova la MVSN riuscì, per esempio, a individuare molti di coloro che votarono “no”» (DE FELICE 1996, I, p. 311, n. 1).
73 Ivi, p. 312.
74 «[…] Il credo del fascista è l’eroismo, quello del borghese l’egoismo. Contro questo pericolo non v’è che un rime-dio: il principio della rivoluzione continua. Tale principio va affidato ai giovani di anni e di cuore. Esso allontana i poltroni dell’intelletto, tiene sempre desto l’interesse del popolo: non immobilizza la storia, ma ne sviluppa le forze […]»: MUSSOLINI 1958, p. 192
103 MALIPIERO 1952, p. 201.
104 Antonio e Cleopatra (1938), sempre da Shakespeare, l’euripidea Ecuba (1940) e La vita è sogno (1941), da Calderόn de la Barca.
105 Circa le udienze precedentemente accordate a Malipiero da Mussolini, si veda NICOLODI 1984, pp. 353 e 358, n. 39. Quanto alle raccomandazioni del ‘Comandante’ al Duce per favorire la nomina del compositore suo protetto - insieme
a Pizzetti - ad Accademico d’Italia, si veda, invece, CdAM, pp. 270, 277-278, 292-294.
106 «Caro Presidente, / il Maestro Malipiero, del tutto rasserenato da quanto ebbi a dirgli dopo il colloquio ch’io ebbi con Te, mi chiede ora di poterTi parlare [annotazione della Segreteria: “manca per ora la possibilità”]. / Egli si trova ad Asolo, dove eventualmente poi farlo chiamare, per riceverlo con o senza Pirandello, a Tuo giudizio. / Devotamente»: l. di G. Bottai a B. Mussolini (9 aprile 1934), cit. NICOLODI 1984, p. 360. L’incontro tra Bottai e Mussolini avvenne il 26 marzo, come si evince dalla lettera di Malipiero a Bontempelli (30 marzo 1934) cit.
107 Cfr. l. di G. F. Malipiero a M. Bontempelli (30 marzo 1934) cit., pp. 113-114, e, circa l’infondatezza di tale timore, l. di Guido Beer a Osvaldo Sebastiani (6 agosto 1934), cit. in NICOLODI 1984, p. 361
108 Cfr. l. di O. Sebastiani a G. Beer (25 luglio 1934), cit. in ivi, p. 360.
109 Cfr. l. di G. Bottai a G. F. Malipiero (Pisa, 30 ottobre 1934) cit. infra.
110 LUDWIG 1932, p. 192.
111 L. di G. F. Malipiero a Luigi Pirandello (Asolo, 15 luglio 1934), cit. in CMPa, pp. 326-329: 326.
112 Quella del Così fan tutte era la prima di due rappresentazioni straordinarie inserite nel cartellone della III edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea: nella seconda (16 settembre 1934), sempre al Teatro La Fenice venne presentata per la prima volta in Italia Die Frau ohne Schatten di Richard Strauss.
113 «STAMPA (LA)» 1934.
114 Cfr. F. D’AMICO 1952 e ID. 1982a, p. 602.
115 L. G. F. Malipiero a Bernardino Molinari (Asolo, 15 ottobre 1934), in ANSC, AS, f. “Molinari”, 1934.
116 L. (int.: «R. Università di Pisa / Scuola Superiore di Scienze Corporative / Il Direttore») di Giuseppe Bottai a Malipiero (Pisa, 30 ottobre 1934): FM, f. “Giuseppe Bottai”.
117 «Siamo lieti che, in seguito al colloquio da Lei riferitoci, tutto sia stato chiarito e appianato per quanto concerne la vicenda romana della Favola. Ci auguriamo che ciò preluda a una ripresa italiana del lavoro, il che costituirebbe la più bella e indiscutibile prova della… liquidazione del passato. / Quanto al Suo nuovo lavoro, francamente non ci sembra il caso che l’argomento possa essere trattato superficialmente, per corrispondenza. Preferiamo di parlarne di presenza, all’occasione di una Sua venuta a Milano. Frattanto gradiremmo prendere conoscenza del libretto, nella versione fattane da Lei»: l. d. (c. int.: «G. Ricordi & C. / Editori») di Carlo Clausetti e Renzo Valcarenghi a G. F. Malipiero (Milano, 21 gennaio 1935). FM, f. “Ricordi 1935”.
118 L. d. (copia) di Malipiero ai gerenti di Casa editrice G. Ricordi & C. (C. Clausetti e R. Valcarenghi), 3 cc.: 2r-3r.
119 MALIPIERO 1936.
120 Cfr. NICOLODI 1984, p. 239.
121 Si vedano questo e altri riscontri ‘critici’ ivi, pp. 53-58. Il Nerone di Mascagni era andato in scena per la prima volta al Teatro alla Scala il 16 gennaio 1935.
Alessandro Turba, Il mito di Giulio Cesare e il culto della romanità nel teatro musicale dell’Era Fascista: i casi di Gian Francesco e Riccardo Malipiero, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2015-2016