Accanto ai maggiorenti di Sondrio, il gruppo dirigente della Resistenza in alta valle comprendeva alcuni ufficiali dell’esercito italiano. Il più autorevole era il maggiore Edoardo Alessi, originario di Aosta, nipote di Jean Baptiste de Fey, deputato al Parlamento subalpino. Alessi aveva combattuto in Libia al comando del I Battaglione Paracadutisti Carabinieri e dal 1942 guidava il Gruppo Carabinieri Reali di Sondrio.
Dopo il 25 luglio aveva organizzato alcuni giovani soldati mettendoli al controllo delle centrali idroelettriche e dei servizi di pubblica utilità, facendo loro togliere i fasci cuciti sulle giubbe e dotandoli di un bracciale tricolore di riconoscimento. Come abbiamo visto, nella notte tra l’8 e il 9 settembre Alessi si era rifiutato di ricevere i notabili che chiedevano l’approvazione del manifesto ai valtellinesi e aveva passato la patata bollente al colonnello Boirola, comandante del Distretto militare. Tuttavia, nelle settimane successive all’armistizio, egli aveva fatto della caserma dei carabinieri di Sondrio il centro più attivo della Resistenza in Valtellina. Da lì uscivano carri di paglia e legname sotto i quali venivano nascoste delle armi. Da lì i soldati in fuga venivano indirizzati in Svizzera. Convocato al Comando della Legione dei Carabinieri di Milano e richiesto di prestare giuramento alla RSI, Alessi, divenuto nel frattempo tenente colonnello, aveva rifiutato con sdegno ed era stato messo agli arresti. Liberato, l’8 dicembre 1943 espatriò in Svizzera, mantenendo però i contatti col movimento partigiano dell’alta valle. Rientrò in Italia il 5 febbraio 1945 e assunse il comando delle forze partigiane in alta valle fino alla sua morte, avvenuta in circostanze mai chiarite, il 25 aprile 1945173. Fra i collaboratori di Alessi vi era Giuseppe Motta, capitano di fanteria, fino all’armistizio in forza al Servizio Informazioni Militari presso la sede di Lubiana. Il capitano Motta, detto Camillo, era rimasto in Valtellina fino al 2 gennaio del 1944 quando era stato costretto a rifugiarsi a Milano. In seguito, aveva collaborato all’organizzazione e al rifornimento delle bande partigiane nel Varesotto ed era entrato in contatto coi comandi alleati. In primavera aveva deciso di tornare in Valtellina collegandosi nuovamente coi dirigenti partigiani in alta valle. Quando, nell’agosto del 1944, i gruppi armati a nord di Sondrio vennero organizzati nella I Divisione Alpina GL Valtellina, il capitano Motta ne ottenne il comando, incarico che ricoprì fino al rientro di Alessi in Italia <174.
Il comando operativo della I Divisione alpina fu dunque in mano ad ufficiali di carriera per tutti i 9 mesi della sua esistenza. Sebbene il controllo del comando divisionale sulle bande partigiane fosse piuttosto limitato, l’influenza di Motta e Alessi sul modus operandi del movimento partigiano in alta valle non fu priva di significato. Motta trasferì nella lotta partigiana l’impostazione geostrategica tipica dei comandi degli eserciti tradizionali. In un documento del novembre 1944 egli notava che “la posizione geografica e la rete delle comunicazioni della Valtellina conferiscono ad essa un’importanza di primo piano nel quadro delle operazioni future per la liberazione” e indicava cinque punti per i quali la valle dell’Adda doveva suscitare particolare interesse: perché sarebbe stata il pilone d’angolo dello schieramento difensivo tedesco; perché attraverso i passi alpini sarebbe stato possibile vulnerare tale schieramento; perché le truppe tedesche in ritirata sarebbero necessariamente passate da Sondrio e per la presenza delle centrali elettriche che i tedeschi avrebbero potuto danneggiare prima di ritirarsi <175. Da questa impostazione derivò la tendenza a far precedere l’azione militare da un programma che ne esplicitasse i principi d’azione. Al contrario del movimento garibaldino, in cui la lotta precedeva l’organizzazione, Motta cercò di subordinare l’immediatezza della lotta alla pianificazione strategica <176.
Motta e Alessi insistettero molto sul problema dell’inquadramento militare delle bande. In effetti, l’idea che il colonnello aveva dei primi gruppi di uomini saliti in montagna nell’autunno del 1943 non era molto lusinghiera. Ad Angelo Ponti che in un colloquio dell’ottobre di quell’anno accennò alle bande partigiane, Alessi rispose: “Di questa marmellata parleremo un’altra volta” <177, ma l’idea di trasformare la marmellata in un vero esercito non l’abbandonò mai. Poche settimane dopo l’incontro con Angelo Ponti, Alessi dovette espatriare, ma al suo ritorno nel febbraio del 1945 egli intraprese un viaggio attraverso l’alta valle, allo scopo di organizzare le formazioni partigiane della Divisione alpina e prendere contatto con le Fiamme Verdi del Mortirolo e con le missioni alleate: “si può dire - nelle parole di Motta - che mentre durante la notte si facevano lunghi trasferimenti da una formazione all’altra durante il giorno ci si fermava con il conseguente grossissimo rischio nei paesi di fondo valle per prendere contatto con tutti quegli elementi che comunque dovevano aiutare per i rifornimenti e per la costituzione delle squadre SAP” <178.
Nel frattempo, la Divisione alpina era stata suddivisa in tre Brigate: la “Stelvio”, la “Mortirolo” e la Sondrio” e otto battaglioni, ma, come riconobbe Motta, “soprattutto per la dolorosa deficienza di quadri il raggruppamento in Brigate non aveva alcuna importanza pratica ed era essenzialmente il Comando di Divisione a dover coordinare l’azione e l’organizzazione delle piccole formazioni che tendevano naturalmente e necessariamente a restare autonome” <179.
Per la verità, il controllo delle formazioni sfuggiva anche al comando divisionale. Come annota Cesare Marelli, il partigiano Tom, comandante della Brigata Stelvio, la Divisione era “una struttura più imposta che nata per volontà dei partigiani del posto” <180. Le bande partigiane si erano costituite indipendentemente dal comando di divisione e quasi nessuno dei loro comandanti era stato nominato dal comando centrale. A differenza dei comandanti garibaldini, che spesso erano forestieri e dovevano la loro nomina al comando di divisione, i capi dei partigiani in alta valle erano molto più legati alle loro formazioni che al comando centrale e ciò conferiva alle bande una ampia autonomia. Il capitano Motta avvertiva i pericoli che tale impostazione rischiava di creare. L’8 novembre 1944 egli inviò una comunicazioni a tutti i reparti dipendenti in cui spiegava: “Il Comando centrale ed i comandanti di distaccamento posseggono molto spesso informazioni sconosciute ai comandi inferiori o ai gregari: spesso una persona che appare legata ai nostri nemici in realtà agisce nascostamente d’accordo con noi, molto spesso il fatto di aver compiuto in un luogo un’azione isolata e non concertata coi superiori ha attirato l’attenzione su quel posto e mandato così a vuoto un’azione molto più importante e redditizia, come il prelievo di un camion di viveri e di equipaggiamento” <181. Le circolari tuttavia non furono sufficienti a domare la riottosità delle bande e il 13 gennaio 1945 venne costituito un Consiglio Supremo di Divisione, di cui furono chiamati a far parte i comandanti e i commissari di divisione, brigata e battaglione assieme ai capi servizio. Questa specie di corte suprema delle formazioni partigiane aveva il compito di “esaminare questioni di particolare importanza, risolvere particolari situazioni di disaccordo e controllare e decidere questioni
disciplinari e di responsabilità riguardanti reparti, comandi e comandanti” <182. Dai documenti e dalle testimonianze non risulta che tale consiglio supremo abbia svolto attività di rilievo e le singole formazioni partigiane continuarono ad agire in modo piuttosto autonomo dagli organi centrali.
L’impostazione militare di Motta e Alessi emerge anche dagli scopi che essi indicarono al movimento partigiano in alta valle. Alcuni di questi scopi, come il controllo delle vie di comunicazione e la difesa delle centrali idroelettriche <183, non differiscono da quelli di altre componenti del movimento partigiano <184. Dove il programma di Motta e Alessi rivela una sua specificità è nell’insistenza a garantire che “nel momento del trapasso si evitasse di cadere nel caos e nell’anarchia, mantenendo secondo i principi della più assoluta legalità e responsabilità l’ordine pubblico e garantendo la sicurezza di uomini e cose” <185. In effetti, mentre all’indomani della liberazione i garibaldini esplicitarono la loro intenzione di approfittare della momentanea situazione di incertezza per fare i conti coi caporioni fascisti, comandi della divisione alpina si posero subito l’obiettivo di difendere l’ordine pubblico e impedire attentati alla sicurezza di uomini e proprietà. Come ricorda Teresio Gola, capo servizio informazioni della divisione alpina e, dopo la morte di Alessi, comandante militare delle formazioni partigiane in alta valle: “noi partigiani, che abbiamo assunto la responsabilità qui in Valtellina di creare questo movimento [dobbiamo] essere in grado di assolvere anche a quest’altro dovere elementare e fondamentale d’Italiani, di assicurare la continuazione della vita civile. E mi ricordo che, col povero Alessi, quando è uscito dalla Svizzera […] mi ricordo che tutte le discussioni si basavano appunto su questo, perché anche lui aveva con me questa preoccupazione: noi dobbiamo essere in grado di assolvere questo compito” <186. Secondo Gola, Alessi gli consigliò di prendere contatti coi dirigenti della SEPRAL, affinché assicurassero l’espletamento dei servizi alimentari alla popolazione e gli fece un elenco di sottufficiali da preporre alla difesa dell’ordine pubblico: “poi c’era l’altro problema dell’ordine pubblico e anche Alessi con me pensava: l’ordine pubblico domani sarà un problema gravissimo perché noi non possiamo certo affidarlo alle formazioni partigiane. Perché anche lui vedeva come erano i partigiani lassù, io poi vedevo come erano i partigiani giù. Per carità! E allora Alessi con pazienza mi ha fatto un elenco di sottufficiali dei carabinieri e sottufficiali della Guardia di Finanza che con lui quando sono stati messi nell’alternativa di aderire alla RSI avevano preferito invece darsi alla macchia oppure tornare a casa loro e mettersi al nascosto [sic]” <187.
Come si vede, in Alessi il movimento partigiano non si doveva porre l’obiettivo di un rinnovamento politico ulteriore rispetto alla liberazione del Paese dal giogo nazifascista. Al contrario, egli mise in chiaro la necessità di garantire nel dopo liberazione l’ordine pubblico e la struttura sociale esistente e negò al movimento partigiano anche e forse soprattutto lo svolgimento dei compiti di polizia, la cui direzione doveva essere affidata ai carabinieri e alla Guardia di Finanza. Ognun vede la differenza di questa posizione da quella garibaldina, dove il movimento partigiano era la cellula dal cui sviluppo doveva sorgere il nuovo ordinamento democratico del Paese. Per Alessi, invece, il rinnovamento del Paese poteva venire solo dal recupero dei valori etico-politici sottesi ai momenti migliori della storia d’Italia, dalla riscoperta e valorizzazione del genio italico e della specificità dell’ispirazione civile italiana. Richiamandosi a Machiavelli, Alessi affermava che l’identità politica italiana è stata negata dalla faziosità dei partiti politici e dall’abitudine inveterata di ricorrere all’intervento straniero per risolvere i dissidi interni. Di qui i secoli di dominazione straniera e i vent’anni di dittatura fascista, originati dalle diatribe intestine del primo dopoguerra.
[NOTE]
173 Per queste e altre notizie sull’attività di Alessi cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., passim; Giorgio Gianoncelli Corvi, Uomini e donne nella “Resistenza più lunga. Tresicio 1943-1945, Sondrio, Edizioni Polaris, 1998, pagg 122-125; Pietro Buttiglieri e Michele Maurino, Un eroe valdostano. Il tenente colonnello dei carabinieri reali Edoardo Alessi, Aosta, Stylos, 2005; Nella Credano Porta, Hanno ucciso il colonnello Alessi, “Società Valtellinese”, n. 4, anno II, aprile 1982; Gianfranco Bianchi, 28 gennaio 1944: colpo di stato a Campione, “L’Ordine”, speciale 25/4, supplemento al n. 96, 23/4/1981 ; Id, La misteriosa morte del colonnello Alessi, “L’Ordine”, speciale 25/4, supplemento al n. 97, 24/4/1981; Il Comandante “Marcello”, “Il Carabiniere della Nuova Italia”, anno II, n 6, giugno 1945; Stralcio del diario tenuto nel periodo dal 1943 al 1945 dalla signora Vincenzina Scorza vedova del Ten. Colonnello dei Carabinieri Edoardo Alessi medaglia d’argento al valor militare, a cura del Brigadiere Capo dei Carabinieri Stefano Magagnato, Comando Provinciale Carabinieri di Sondrio, 1995; Intervista a Caterina Boggio Barzet, Issrec, Fondo Anpi, b4 f30.
174 Per l’attività di Giuseppe Motta cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., passim; Giorgio Gianoncelli Corvi, op. cit., pagg 80-81; La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, s.d., Issrec, Fondo Anpi non catalogato; Relazione sull’attività del Cap. S.P.E. Motta Giuseppe, senza data, Issrec, Fondo CVL-INSMLI, b1 f16.
175 Organizzazione delle forze patriote in Valtellina, firmato Giuseppe Motta, Issrec, Fondo Anpi, b2 f10.
176 Cfr La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, doc. cit.
177 Testimonianza di Angelo Ponti, doc. cit.
178 Relazione circa l’attività patriottica svolta dal Ten. Col. Alessi Edoardo ( Marcello), senza firma, 23 luglio 1945, Issrec, Fondo Anpi, b3 f intitolato “Archivio Alessi”.
179 La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, doc. cit
180 Testimonianza di Cesare Marelli (Tom), comandante della I Brigata Stelvio della I Divisione Alpina Valtellina G.L., Issrec, Fondo Anpi, b2 f18.
181 La divisione alpina Giustizia e Libertà a tutti i reparti, firmato “Il comandante”, 8/11/1944, Issrec, Fondo Marelli, b2 f 15.
182 Il comando di divisione a tutti i comandi dipendenti, ai capi servizio, firmato Camillo, 13/1/1945, Issrec, Fondo Marelli, b2 f15.
183 Cfr La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, doc. cit; lettera del colonnello Alessi al Comando Generale dell’Arma, 3/2/1945, Issrec b3 fascicolo intitolato “Archivio Alessi”.
184 Per esempio quella di Giustizia e Libertà, cfr la lettera del Comando Lombardia formazioni Giustizia e Libertà sui compiti operativi per la divisione Valtellina in AA VV, Le formazioni GL nella Resistenza. Documenti settembre 1943-aprile 1945, Milano, Franco Angeli, 1985, pagg 307-314.
185 La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, doc. cit.
186 Intervista fatta all’avvocato Teresio Gola, Issrec, Fondo Anpi, b4 f24.
187 Ivi
Gian Paolo Ghirardini, Società e Resistenza in Valtellina, Tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, Anno accademico 2007/2008
Dopo il 25 luglio aveva organizzato alcuni giovani soldati mettendoli al controllo delle centrali idroelettriche e dei servizi di pubblica utilità, facendo loro togliere i fasci cuciti sulle giubbe e dotandoli di un bracciale tricolore di riconoscimento. Come abbiamo visto, nella notte tra l’8 e il 9 settembre Alessi si era rifiutato di ricevere i notabili che chiedevano l’approvazione del manifesto ai valtellinesi e aveva passato la patata bollente al colonnello Boirola, comandante del Distretto militare. Tuttavia, nelle settimane successive all’armistizio, egli aveva fatto della caserma dei carabinieri di Sondrio il centro più attivo della Resistenza in Valtellina. Da lì uscivano carri di paglia e legname sotto i quali venivano nascoste delle armi. Da lì i soldati in fuga venivano indirizzati in Svizzera. Convocato al Comando della Legione dei Carabinieri di Milano e richiesto di prestare giuramento alla RSI, Alessi, divenuto nel frattempo tenente colonnello, aveva rifiutato con sdegno ed era stato messo agli arresti. Liberato, l’8 dicembre 1943 espatriò in Svizzera, mantenendo però i contatti col movimento partigiano dell’alta valle. Rientrò in Italia il 5 febbraio 1945 e assunse il comando delle forze partigiane in alta valle fino alla sua morte, avvenuta in circostanze mai chiarite, il 25 aprile 1945173. Fra i collaboratori di Alessi vi era Giuseppe Motta, capitano di fanteria, fino all’armistizio in forza al Servizio Informazioni Militari presso la sede di Lubiana. Il capitano Motta, detto Camillo, era rimasto in Valtellina fino al 2 gennaio del 1944 quando era stato costretto a rifugiarsi a Milano. In seguito, aveva collaborato all’organizzazione e al rifornimento delle bande partigiane nel Varesotto ed era entrato in contatto coi comandi alleati. In primavera aveva deciso di tornare in Valtellina collegandosi nuovamente coi dirigenti partigiani in alta valle. Quando, nell’agosto del 1944, i gruppi armati a nord di Sondrio vennero organizzati nella I Divisione Alpina GL Valtellina, il capitano Motta ne ottenne il comando, incarico che ricoprì fino al rientro di Alessi in Italia <174.
Il comando operativo della I Divisione alpina fu dunque in mano ad ufficiali di carriera per tutti i 9 mesi della sua esistenza. Sebbene il controllo del comando divisionale sulle bande partigiane fosse piuttosto limitato, l’influenza di Motta e Alessi sul modus operandi del movimento partigiano in alta valle non fu priva di significato. Motta trasferì nella lotta partigiana l’impostazione geostrategica tipica dei comandi degli eserciti tradizionali. In un documento del novembre 1944 egli notava che “la posizione geografica e la rete delle comunicazioni della Valtellina conferiscono ad essa un’importanza di primo piano nel quadro delle operazioni future per la liberazione” e indicava cinque punti per i quali la valle dell’Adda doveva suscitare particolare interesse: perché sarebbe stata il pilone d’angolo dello schieramento difensivo tedesco; perché attraverso i passi alpini sarebbe stato possibile vulnerare tale schieramento; perché le truppe tedesche in ritirata sarebbero necessariamente passate da Sondrio e per la presenza delle centrali elettriche che i tedeschi avrebbero potuto danneggiare prima di ritirarsi <175. Da questa impostazione derivò la tendenza a far precedere l’azione militare da un programma che ne esplicitasse i principi d’azione. Al contrario del movimento garibaldino, in cui la lotta precedeva l’organizzazione, Motta cercò di subordinare l’immediatezza della lotta alla pianificazione strategica <176.
Motta e Alessi insistettero molto sul problema dell’inquadramento militare delle bande. In effetti, l’idea che il colonnello aveva dei primi gruppi di uomini saliti in montagna nell’autunno del 1943 non era molto lusinghiera. Ad Angelo Ponti che in un colloquio dell’ottobre di quell’anno accennò alle bande partigiane, Alessi rispose: “Di questa marmellata parleremo un’altra volta” <177, ma l’idea di trasformare la marmellata in un vero esercito non l’abbandonò mai. Poche settimane dopo l’incontro con Angelo Ponti, Alessi dovette espatriare, ma al suo ritorno nel febbraio del 1945 egli intraprese un viaggio attraverso l’alta valle, allo scopo di organizzare le formazioni partigiane della Divisione alpina e prendere contatto con le Fiamme Verdi del Mortirolo e con le missioni alleate: “si può dire - nelle parole di Motta - che mentre durante la notte si facevano lunghi trasferimenti da una formazione all’altra durante il giorno ci si fermava con il conseguente grossissimo rischio nei paesi di fondo valle per prendere contatto con tutti quegli elementi che comunque dovevano aiutare per i rifornimenti e per la costituzione delle squadre SAP” <178.
Nel frattempo, la Divisione alpina era stata suddivisa in tre Brigate: la “Stelvio”, la “Mortirolo” e la Sondrio” e otto battaglioni, ma, come riconobbe Motta, “soprattutto per la dolorosa deficienza di quadri il raggruppamento in Brigate non aveva alcuna importanza pratica ed era essenzialmente il Comando di Divisione a dover coordinare l’azione e l’organizzazione delle piccole formazioni che tendevano naturalmente e necessariamente a restare autonome” <179.
Per la verità, il controllo delle formazioni sfuggiva anche al comando divisionale. Come annota Cesare Marelli, il partigiano Tom, comandante della Brigata Stelvio, la Divisione era “una struttura più imposta che nata per volontà dei partigiani del posto” <180. Le bande partigiane si erano costituite indipendentemente dal comando di divisione e quasi nessuno dei loro comandanti era stato nominato dal comando centrale. A differenza dei comandanti garibaldini, che spesso erano forestieri e dovevano la loro nomina al comando di divisione, i capi dei partigiani in alta valle erano molto più legati alle loro formazioni che al comando centrale e ciò conferiva alle bande una ampia autonomia. Il capitano Motta avvertiva i pericoli che tale impostazione rischiava di creare. L’8 novembre 1944 egli inviò una comunicazioni a tutti i reparti dipendenti in cui spiegava: “Il Comando centrale ed i comandanti di distaccamento posseggono molto spesso informazioni sconosciute ai comandi inferiori o ai gregari: spesso una persona che appare legata ai nostri nemici in realtà agisce nascostamente d’accordo con noi, molto spesso il fatto di aver compiuto in un luogo un’azione isolata e non concertata coi superiori ha attirato l’attenzione su quel posto e mandato così a vuoto un’azione molto più importante e redditizia, come il prelievo di un camion di viveri e di equipaggiamento” <181. Le circolari tuttavia non furono sufficienti a domare la riottosità delle bande e il 13 gennaio 1945 venne costituito un Consiglio Supremo di Divisione, di cui furono chiamati a far parte i comandanti e i commissari di divisione, brigata e battaglione assieme ai capi servizio. Questa specie di corte suprema delle formazioni partigiane aveva il compito di “esaminare questioni di particolare importanza, risolvere particolari situazioni di disaccordo e controllare e decidere questioni
disciplinari e di responsabilità riguardanti reparti, comandi e comandanti” <182. Dai documenti e dalle testimonianze non risulta che tale consiglio supremo abbia svolto attività di rilievo e le singole formazioni partigiane continuarono ad agire in modo piuttosto autonomo dagli organi centrali.
L’impostazione militare di Motta e Alessi emerge anche dagli scopi che essi indicarono al movimento partigiano in alta valle. Alcuni di questi scopi, come il controllo delle vie di comunicazione e la difesa delle centrali idroelettriche <183, non differiscono da quelli di altre componenti del movimento partigiano <184. Dove il programma di Motta e Alessi rivela una sua specificità è nell’insistenza a garantire che “nel momento del trapasso si evitasse di cadere nel caos e nell’anarchia, mantenendo secondo i principi della più assoluta legalità e responsabilità l’ordine pubblico e garantendo la sicurezza di uomini e cose” <185. In effetti, mentre all’indomani della liberazione i garibaldini esplicitarono la loro intenzione di approfittare della momentanea situazione di incertezza per fare i conti coi caporioni fascisti, comandi della divisione alpina si posero subito l’obiettivo di difendere l’ordine pubblico e impedire attentati alla sicurezza di uomini e proprietà. Come ricorda Teresio Gola, capo servizio informazioni della divisione alpina e, dopo la morte di Alessi, comandante militare delle formazioni partigiane in alta valle: “noi partigiani, che abbiamo assunto la responsabilità qui in Valtellina di creare questo movimento [dobbiamo] essere in grado di assolvere anche a quest’altro dovere elementare e fondamentale d’Italiani, di assicurare la continuazione della vita civile. E mi ricordo che, col povero Alessi, quando è uscito dalla Svizzera […] mi ricordo che tutte le discussioni si basavano appunto su questo, perché anche lui aveva con me questa preoccupazione: noi dobbiamo essere in grado di assolvere questo compito” <186. Secondo Gola, Alessi gli consigliò di prendere contatti coi dirigenti della SEPRAL, affinché assicurassero l’espletamento dei servizi alimentari alla popolazione e gli fece un elenco di sottufficiali da preporre alla difesa dell’ordine pubblico: “poi c’era l’altro problema dell’ordine pubblico e anche Alessi con me pensava: l’ordine pubblico domani sarà un problema gravissimo perché noi non possiamo certo affidarlo alle formazioni partigiane. Perché anche lui vedeva come erano i partigiani lassù, io poi vedevo come erano i partigiani giù. Per carità! E allora Alessi con pazienza mi ha fatto un elenco di sottufficiali dei carabinieri e sottufficiali della Guardia di Finanza che con lui quando sono stati messi nell’alternativa di aderire alla RSI avevano preferito invece darsi alla macchia oppure tornare a casa loro e mettersi al nascosto [sic]” <187.
Come si vede, in Alessi il movimento partigiano non si doveva porre l’obiettivo di un rinnovamento politico ulteriore rispetto alla liberazione del Paese dal giogo nazifascista. Al contrario, egli mise in chiaro la necessità di garantire nel dopo liberazione l’ordine pubblico e la struttura sociale esistente e negò al movimento partigiano anche e forse soprattutto lo svolgimento dei compiti di polizia, la cui direzione doveva essere affidata ai carabinieri e alla Guardia di Finanza. Ognun vede la differenza di questa posizione da quella garibaldina, dove il movimento partigiano era la cellula dal cui sviluppo doveva sorgere il nuovo ordinamento democratico del Paese. Per Alessi, invece, il rinnovamento del Paese poteva venire solo dal recupero dei valori etico-politici sottesi ai momenti migliori della storia d’Italia, dalla riscoperta e valorizzazione del genio italico e della specificità dell’ispirazione civile italiana. Richiamandosi a Machiavelli, Alessi affermava che l’identità politica italiana è stata negata dalla faziosità dei partiti politici e dall’abitudine inveterata di ricorrere all’intervento straniero per risolvere i dissidi interni. Di qui i secoli di dominazione straniera e i vent’anni di dittatura fascista, originati dalle diatribe intestine del primo dopoguerra.
[NOTE]
173 Per queste e altre notizie sull’attività di Alessi cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., passim; Giorgio Gianoncelli Corvi, Uomini e donne nella “Resistenza più lunga. Tresicio 1943-1945, Sondrio, Edizioni Polaris, 1998, pagg 122-125; Pietro Buttiglieri e Michele Maurino, Un eroe valdostano. Il tenente colonnello dei carabinieri reali Edoardo Alessi, Aosta, Stylos, 2005; Nella Credano Porta, Hanno ucciso il colonnello Alessi, “Società Valtellinese”, n. 4, anno II, aprile 1982; Gianfranco Bianchi, 28 gennaio 1944: colpo di stato a Campione, “L’Ordine”, speciale 25/4, supplemento al n. 96, 23/4/1981 ; Id, La misteriosa morte del colonnello Alessi, “L’Ordine”, speciale 25/4, supplemento al n. 97, 24/4/1981; Il Comandante “Marcello”, “Il Carabiniere della Nuova Italia”, anno II, n 6, giugno 1945; Stralcio del diario tenuto nel periodo dal 1943 al 1945 dalla signora Vincenzina Scorza vedova del Ten. Colonnello dei Carabinieri Edoardo Alessi medaglia d’argento al valor militare, a cura del Brigadiere Capo dei Carabinieri Stefano Magagnato, Comando Provinciale Carabinieri di Sondrio, 1995; Intervista a Caterina Boggio Barzet, Issrec, Fondo Anpi, b4 f30.
174 Per l’attività di Giuseppe Motta cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., passim; Giorgio Gianoncelli Corvi, op. cit., pagg 80-81; La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, s.d., Issrec, Fondo Anpi non catalogato; Relazione sull’attività del Cap. S.P.E. Motta Giuseppe, senza data, Issrec, Fondo CVL-INSMLI, b1 f16.
175 Organizzazione delle forze patriote in Valtellina, firmato Giuseppe Motta, Issrec, Fondo Anpi, b2 f10.
176 Cfr La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, doc. cit.
177 Testimonianza di Angelo Ponti, doc. cit.
178 Relazione circa l’attività patriottica svolta dal Ten. Col. Alessi Edoardo ( Marcello), senza firma, 23 luglio 1945, Issrec, Fondo Anpi, b3 f intitolato “Archivio Alessi”.
179 La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, doc. cit
180 Testimonianza di Cesare Marelli (Tom), comandante della I Brigata Stelvio della I Divisione Alpina Valtellina G.L., Issrec, Fondo Anpi, b2 f18.
181 La divisione alpina Giustizia e Libertà a tutti i reparti, firmato “Il comandante”, 8/11/1944, Issrec, Fondo Marelli, b2 f 15.
182 Il comando di divisione a tutti i comandi dipendenti, ai capi servizio, firmato Camillo, 13/1/1945, Issrec, Fondo Marelli, b2 f15.
183 Cfr La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, doc. cit; lettera del colonnello Alessi al Comando Generale dell’Arma, 3/2/1945, Issrec b3 fascicolo intitolato “Archivio Alessi”.
184 Per esempio quella di Giustizia e Libertà, cfr la lettera del Comando Lombardia formazioni Giustizia e Libertà sui compiti operativi per la divisione Valtellina in AA VV, Le formazioni GL nella Resistenza. Documenti settembre 1943-aprile 1945, Milano, Franco Angeli, 1985, pagg 307-314.
185 La I Divisione alpina Valtellina dalla sua costituzione alla liberazione, firmato Giuseppe Motta, doc. cit.
186 Intervista fatta all’avvocato Teresio Gola, Issrec, Fondo Anpi, b4 f24.
187 Ivi
Gian Paolo Ghirardini, Società e Resistenza in Valtellina, Tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, Anno accademico 2007/2008