giovedì 21 aprile 2022

L'esperienza cinegufina prevede la partecipazione e - per i film - la circolazione a diversi livelli


La promozione turistica nel passo ridotto rappresenta un interessante terreno di negoziazione degli sfuggenti e opachi confini spaziali della realtà stracittadina e strapaesana, come scrive giustamente Massimo Locatelli:
"Tra le molte ambiguità della modernizzazione in epoca fascista, una particolare contraddizione caratterizza senz’altro le politiche di comunicazione turistica di un regime costantemente incerto tra gli imperativi della mistica nazionale e dello strapaese e le esigenze degli operatori di un promettente settore di mercato" <79.
Ed è proprio negli anni dell’istituzionalizzazione del passo ridotto e del cinema sperimentale che questo “genere” si afferma: "il primo progetto organico di valorizzazione turistica e culturale del nostro paese attraverso il cinema nasce solo nell’ambito della riorganizzazione del Ministero della Cultura Popolare, alla metà degli anni trenta" <80.
L’ambito turistico ci permette di individuare ulteriori dinamiche della relazione tra cultura dell’urbanizzazione e cultura rurale.
Dunque concludiamo questa lunga sequenza di casi con due film che su questo stesso tema possono fornirci ulteriori elementi chiarificatori.
Si tratta di due film della metà degli anni trenta, all’inizio dell’istituzionalizzazione dei Cineguf: "Una giornata di sole" (1934) <81 del Cine-club di Udine (poi Cineguf) e "Vacanze borghesi a Falconara" (1935) <82 di Gianni Puccini, qui esordiente regista iscritto al Guf di Roma <83, anche se in questo caso specifico non si tratterebbe ufficialmente di una produzione Cineguf.
[...] La tensione onirica (su cui d’altra parte si gioca il meccanismo di promozione turistica) è esplicitamente richiamato soprattutto da Gianni Puccini in "Vacanze borghesi a Falconara". Il film, raccontato da un giovane appartenente alla borghesia agiata come Gianni Puccini, ripercorre le attività ricreative e i rituali di una famiglia borghese di Falconara (una città, la “nuova Falconara”, riorganizzata per il turismo balneare) nell’arco di una settimana. Lo sguardo del giovane regista è ironico e autoironico, e ritrae il gruppo di famiglia nei riti quotidiani di pranzi e merende, picnic in campagna, soggiorni in spiaggia, partite a tennis ecc. Lo spazio campestre in particolare è lo spazio della rigenerazione salutare secondo uno schema che, non solo nella cultura Strapaesana ma nella generale retorica fascista, vedeva “the enduring qualities of peasant culture as a source of national regeneration” <88. Lo spazio rurale è spazio di rigenerazione per la cultura urbana, secondo una logica che l’industria del turismo non farà che potenziare e sistematizzare. Come giustamente nota Deborah Toschi nell’analisi di "La peccatrice" di Amleto Palermi (1941): “la campagna diviene ideale utopico e irraggiungibile, come la purezza ormai perduta e l’innocenza del primo amore” <89. Il sogno s’innesca immediatamente e a questo viene dedicata tutta l’ultima parte del film, dove inquadrature mosse e sfuocate vengono usate come marcatori d’ingresso nelle sequenze oniriche. Dal bambino che sogna il gelato, alla ragazza che sogna il fidanzamento, alla signora che ricorda il matrimonio: i due pilastri della famiglia borghese. Il meccanismo del sogno, come vedremo tra poco, è sintomo precipuo per l’individuo borghese in epoca moderna e risultante della complessa negoziazione degli spazi, naturali e urbani, che la modernità (nei processi di meccanizzazione, industrializzazione, urbanizzazione) ha generato in tutto il mondo occidentale.
[...] Dal periferico al centrale (dei film sulle attività delle sezioni locali del Pnf), così come dal locale, al regionale, al nazionale (film napoletani in territorio extra cittadino, film Patavini in territorio trentino, o ancora film napoletani in territorio alpino, film friulani intrisi di nazionalismo, o zone di confine strenuamente difese e cantate, ma ambiguamente ritratte con gusto esterofilo) assistiamo a quelli che il geografo Kevin R. Cox chiama “jumping scales”: continui salti di scala che si verificano anche tra aree spaziali già meno definite e più densamente connotate in termini simbolici ed identitari come lo spazio urbano e lo spazio rurale (la funzione onirica poi sfruttata in chiave promozionale sintetizza bene questa continua contaminazione).
Stante questo quadro, continua Cox: “boundaries tend to be porous. The territorial reach of state agancies is imperfect. Even in the case of the most totalitarian of states, there are always space of resistance” <90.
Nonostante ci si trovi, nel nostro caso, nel contesto di uno dei momenti di massima tensione istituzionalizzante per la pratica cine-sperimentale e nella più ampia realtà di uno stato totalitario che con forza punta ad una progressiva “centralizzazione e funzionalizzazione” e ad una ideale riorganizzazione del paese secondo “ordine e disciplina” (ci si perdoni la radicale semplificazione), lo spazio e il territorio del cinema sperimentale resta imprendibile, inafferrabile.
Lo stesso Cox mette in evidenza come i meccanismi associativi e di networks siano una delle funzioni più determinanti per questa creazione di “spazi di resistenza”: l’espressione di Cox è carica di conseguenze per le nostre analisi, e ci torneremo con più cautela tra poco, liberandola - ci auguriamo - dai rischi di una lettura eccessivamente ideologica <91.
Siamo di fronte evidentemente a una delle aporie della modernità nella sua declinazione culturale fascista, uno stato quello fascista che “è stato un grande promotore di associazionismo: si può dire che non vi sia momento della vita di un italiano, dalla più tenera età alla morte, e che non vi sia professione o mestiere che non vedano associazioni nelle quali non siano inquadrati figli della lupa, balilla, avanguardisti, universitari, liberi professionisti, esercenti arti o mestieri” <92.
Ma proprio la formazione organizzata di questi networks (dove dobbiamo però ricordare che una vera funzione centralizzata e direttiva non ha mai operato adeguatamente <93) è giustamente riconosciuta come tensione generante questa evanescenza dei confini: come chiarisce Cox, “Networks signify unevenness in the penetration of areal forms” <94.
[...] In generale va ovviamente tenuto conto che l’esperienza cinegufina (come per altro quella gufina nei suoi vari settori) prevede la partecipazione e - per i film - la circolazione a diversi livelli: circuiti regionali (il Circuito Triveneto per il passo ridotto, di cui tra poco ci occuperemo), nazionali (nei Littoriali della Cinematografia così come alle Mostre e concorsi su scala nazionale), e internazionale (le esposizioni e i concorsi europei).
Queste sono evidentemente considerazioni più superficiali rispetto al tentativo di teorizzare uno spazio complesso come quello dell’esperienza cine-sperimentale, ma è inevitabilmente questa logica del network a favorire un allentamento dei confini spaziali, territoriali e identitari nella realtà cinegufina.
Evidenze discorsive che orientano una formazione identitaria legata al territorio e alla storia nazionale ci sono (si pensi al film "Mantova", ma anche "Friuli" o addirittura il riferimento alla storia della Rivoluzione fascista nel film "Ventennale"), ma questi non si risolvono semplicemente e non portano a una coerente soluzione.
Dibattiti sull’italianità e su un cinema nazionale attraversano - sulle pagine dei fogli gufini, come sulle pagine dei periodici specializzati - tutto il decennio degli anni Trenta (esulando a volte anche dal dibattito sulla “Rinascita” del cinema italiano), ma continuano sull’onda della rinnovata e più aggressiva politica autarchica sul cinema dopo il 1941, fino alla caduta del Regime, senza una sostanziale via d’uscita <98.
[NOTE]
79 Massimo Locatelli, Prove di modernità: il film “turistico” negli anni trenta, in Alessandro Faccioli, Schermi di regime, Marsilio, Venezia 2010, p. 179. Si veda anche Id., “Lo sguardo del cineturista: cinematografia amatoriale e pratiche di consumo turistico”, in Luisella Farinotti e Elena Mosconi (a cura di), Il metodo e la passione, cit., p. 553-560.
80 Ibidem.
81 Il film è conservato in copia pellicolare presso la Cineteca del Friuli a Gemona.
82 Se ne conserva una copia in DVD, da originale 16mm., presso l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, Ancona.
83 Come ci riporta Ruggero Zangrandi, a partire dal 1938 Puccini muoverà sempre più decisamente verso posizione antifasciste e una militanza comunista. Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, cit., p. 260.
88 Lara Pucci, cit., p.181.
89 Deborah Toschi, Il paesaggio rurale, cit., p. 44.
90 Kevin R. Cox, Space of Dependence, Op. cit., p. 3
91 La resistenza di cui parla Cox si verifica in un’analisi della territorialità che il geografo sviluppa in relazione a sistemi di potere politico. Sul concetto di “resistenza” il dibattito nel contesto dello studio della cultura urbana e analisi dello spazio si sviluppa ulteriormente, e più esplicitamente in ambito postmoderno, conservando un’identica carica ideologica e politica: si veda anche Kelly Shannon, From Theory to Resistence: Landscape Urbanism in Europe, in Charles Waldheim (a cura di), The Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, New York 2006, pp. 141-161. In questo contesto teorico - e in ambito più esplicitamente urbanistico - la funzione ideologica di resistenza è letta come: “tools of urbanism […] to resist the relentless ‘flattering out’ of cultures and places”, in Shannon, p. 144. Assume quindi una valenza leggermente diversa da quella che troviamo in Cox, ma è per molti versi analoga: Cox fa riferimento ad una spazio di resistenza alla tensione razionalizzatrice (e razionalista) di un apparato statale-politico financo totalitario. Nel secondo caso, in ambito urbanistico e in tempi postmoderni, s’intende una resistenza - con gli strumenti dell’urbanistica - all’evoluzione del capitalismo e ai suoi effetti nel panorama urbano nella seconda metà del Secolo.
92 Sabino Cassese, Lo stato fascista, Il mulino, Bologna 2010, p. 57.
93 Quasi a fine esperienza, e sull’onda dei dibattiti animati durante la Mostra del passo ridotto di Udine del 1942, Franco Dal Cer su Roma Fascista, del Guf dell’Urbe riconosce che: “I cineguf hanno dimostrato di non meritarsi una tale ampia fiducia? Può darsi. Ma deve essere anche mancato quel volitivo desiderio di coordinamento indispensabile per la risoluzione di problemi che non si esauriscono nell’ambito provinciale”. Franco Dal Cer, “Cineguf a Udine. Il passo ridotto”, in Roma fascista, cit.
94 Kevin R. Cox, Space of Dependence, cit., p. 2.
98 Solo per restare in ambito guffino, a partire dal 1933 su foglio del Guf milanese: Gianfilippo Carcano, “Italianizzare il cinema”, in Libro e Moschetto, 28 ottobre 1933, p.3; Mario Lopes Pegna, “Verso una cinematografia nazionale”, in Libro e Moschetto, 1 dicembre 1934, p. 7; Federico Gualtierotti, “Per un potenziamento della cinematografia nazionale”, in Libro e Moschetto, 29 dicembre 1934, p.6; fino al 1942 sul foglio guffino romano: Riccardo Lizzani, “Assenza del cinema italiano”, in Roma fascista, 19 marzo 1942, p.3 (vi si legge: “indubbiamente un cinema italiano deva ancora nascere”); Carlo Lizzani, “Per un cinema italiano”, in Roma fascista, 9 aprile 1942-XX, p.3. Una questione che fa da sfondo anche ai temi dibattuti durante i Littoriali della Cinematografia, soprattutto in La situazione attuale della cinematografia italiana (nel 1934), I caratteri del film fascista (nel 1935), Il cinema come documento della civiltà di un popolo (nel 1936 dove per il Guf di Bari Nicola Lamacchia presenterà l’intervento vincitore Il cinema italiano come documento della civiltà fascista: Il Guf di Bari ai Littoriali della Cultura e dell'Arte, numero unico a cura dell'Università Benito Mussolini di Bari, Laterza e Figli - Bari 1936), fino a Il cinema e la propaganda del costume (nel 1940).
Andrea Mariani, Nomadi e bellicosi. Il cinema sperimentale italiano dai cine-club al neorealismo, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno accademico 2013/2014 

Dall’altra, nella città si concentra una congerie di temi quali l’anti-comunismo, l’anti-bolscevismo e le spinte anti-borghesi che connotano fortemente il film di una retorica fascista e di una generica repulsione per il disordine materiale e morale. Se il contadino (“l’uomo”), anche nell’estrema povertà, è capace di un gesto di magnanimità, condividendo con un bambino indigente un frutto del suo raccolto - in una delle prime sequenze del film -, il miliziano repubblicano ruba oro in una chiesa. L’impulso anti-borghese, poi, che caratterizza il movimento dei Cinguf fin dall’inizio - lo abbiamo visto nel primo capitolo, ma è per esempio al centro dei film "Vacanze Borghesi a Falconara" (1934) di Gianni Puccini del Guf romano o di "Giornate di sole" (1934) di Renato Spinotti del Guf di Udine - pulsa per l’intera durata del film; questa è plasticamente evidente nella scena dell’irruzione dell’uomo nella stanza del palazzo del padrone, dove sorprende un miliziano, ubriaco, ridanciano in compagnia di una prostituta, sorseggiare vino pregiato su un divano elegante (qui, per la verità, lo sdegno è rivolto più contro lo spregevole trattamento dei beni materiali da parte del miliziano, che al mondo borghese in sé; tuttavia la scena rappresenta una concentrazione notevole di indizi simbolici): il miliziano si alza improvvisamente e, ghignando sguaiatamente, lancia un disco musicale preso dal grammofono in funzione, infrangendolo a terra.
Va tenuto conto del fatto che nei giornali gufini discorsi di anti-comunismo, anti-bolscevismo, e anti-giudaismo cominciarono a convergere in una generica campagna retorica che divenne di fatto il banco di prova per l’imminente intervento nel conflitto globale. Detto altrimenti, nella posizione “anti-” tipica del contributo dottrinale e propagandistico dei Guf, risiedeva un fattore decisivo per l’identificazione nazionale e politica: per principio di esclusione, cioè, la creazione e stigmatizzazione di un nemico necessario (il titolo del film è dunque quanto mai efficace e pertinente), contribuiva a definire l’italiano e il fascista <112.
112 Simone Duranti, Lo spirito gregario. I gruppi universitari fascisti tra politica e propaganda (1930-1940), Donzelli Editore, Roma 2008, p. 279.
Andrea Mariani, Gli anni del Cineguf. Il cinema sperimentale italiano dai cine-club al neorealismo, Mimesis, 2017

Il volume di Duranti affronta il tema dei Gruppi universitari fascisti occupandosi dei giovani attivisti che ne animarono le iniziative e le pubblicazioni tra il 1930 e il 1940. In modo particolare sono presi in esame la loro autorappresentazione come gruppo e i messaggi propagandistici diffusi con i loro scritti. Fonti della ricerca sono principalmente le riviste dei Guf (anche se non si tratta di uno studio del giornalismo universitario) e le carte della Segreteria Guf presso l'Acs. L'analisi dell'autorappresentazione dei militanti gufini è quella che contiene gli spunti più interessanti, mettendo bene a fuoco il modo in cui i ventenni degli anni '30 che erano attivi nell'organizzazione universitaria, e si candidavano quindi a divenire la nuova classe dirigente del regime, si rapportavano alla precedente generazione fascista della guerra e della marcia su Roma, nell'intento di affermare un'identità autonoma e di costruirsi, proprio con l'impegno nelle strutture del Pnf, canali di promozione sociale. Efficace è anche la ricostruzione del crescente peso dei Guf, soprattutto a partire dal tornante guerra d'Etiopia-guerra di Spagna, sia nel condizionare la vita universitaria, sia nel sostenere la penetrazione ideologica del fascismo nella società. L'esame, infine, dei contenuti propagandistici veicolati dalle riviste dei vari Gruppi universitari fascisti, rivelando quanto fossero per lo più casse di risonanza, nelle versioni più esasperate, di messaggi elaborati altrove, mette ben in risalto il senso di quello «spirito gregario» che caratterizzò, a parere dell'a., l'organizzazione universitaria fascista. Duranti colloca la sua ricerca anche nel quadro di un discorso polemico diretto contro la memorialistica e la storiografia sui Guf (a eccezione del libro di Luca La Rovere), accusate di aver contribuito a creare il mito dell'antifascismo dei giovani del Littorio. Svolto specificamente nell'introduzione e nell'epilogo, il tema attraversa tutto il volume e ne costituisce però l'aspetto più problematico. Nel contestare la precedente produzione sul tema del rapporto tra universitari e fascismo, infatti, Duranti ne riporta un'immagine stereotipata ed eccessivamente semplificata, date le vaste implicazioni del tema e la sua stratificazione nel tempo, non entrando sufficientemente nel merito delle differenti espressioni e valutazioni succedutesi negli anni. La scelta, poi, di un apparato di note leggero, circostanziato nell'indicazione delle fonti primarie, ma ridotto all'essenziale per la discussione storiografica, accentua questo limite. Né l'aver corredato il volume di una bibliografia aiuta, in quanto non si tratta di una bibliografia ragionata, ma solo di un elenco di opere e di saggi in ordine cronologico. Risulta così difficile valutare le reiterate affermazioni dell'a. intorno alla memorialistica e alla storiografia (sovente citate in blocco, senza distinzioni) quali responsabili di una «vulgata tradizionale su una generazione di dissidenti» (p. 34), di cui però non vengono puntualmente analizzate le diverse fasi e declinazioni.
Benedetta Garzarelli, Simone Duranti, Lo spirito gregario. I gruppi universitari fascisti tra politica e propaganda (1930-1940), prefazione di Enzo Collotti, Roma, Donzelli, XII-403 pp., [...] 2008, Sissco