La conquista dei giovani alla democrazia in una politica di unità nazionale resta l’obiettivo fondamentale anche durante la Resistenza, pur se costa la rinuncia alla costituzione di una Federazione giovanile di partito: la FGCI si scioglie per dare vita ad un movimento giovanile democratico, il Fronte della gioventù, nel quale far confluire i giovani antifascisti di tutte le tendenze politiche <7.
È quindi il Partito Comunista che prende l’iniziativa della costituzione del Fronte; più in particolare Gian Carlo Pajetta, che nell’autunno ’43 ne delinea i caratteri: «Il Movimento che tende a raccogliere in un’organizzazione unitaria tutti i giovani italiani, qualunque sia il ceto cui appartengono, qualunque sia l’attività sociale alla quale si dedicano di preferenza, non deve nascere sotto la bandiera di un partito politico.... Pur dovendo ispirarsi ai concetti che formano l’azione del CLN (Fronte Nazionale) non conviene che sorga come emanazione dei partiti, anche associati, bensì sulla base delle iniziative dei giovani stessi e alle forme di organizzazione che già essi hanno dato alla loro resistenza antitedesca e antifascista. Il Movimento al quale si vuole dare vita prende il nome di Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà e vuole avere il più largo carattere di massa. Non vogliamo creare un partito per i giovani, dichiariamo esplicitamente di non volere organizzare soltanto l’avanguardia dei giovani, quelli che si occupano esclusivamente di politica, bensì tutti i giovani italiani che vogliono coordinare la loro azione, in qualunque campo si svolga, con l’opera di liberazione e di progresso alla quale tutti gli italiani devono contribuire nel momento attuale» <8.
La costituzione del Fronte reca un indubbio contributo alla lotta resistenziale, pur se non manca di sollevare qualche perplessità nei dirigenti del Partito di Roma, non ancora convinti a fondo della opportunità della liquidazione della FGCI <9. Un’ulteriore remora sarà costituita, per tutto il periodo della Resistenza, dal fatto che il contributo degli altri partiti e più spesso apparente che reale, anche se nominalmente aderiscono al Fronte tutte le federazioni giovanili dei partiti antifascisti.
[NOTE]
7 «La FGCI procedeva alacremente alla creazione di un fronte unico della gioventù italiana in armonia con la politica unitaria del PCI. I problemi che si ponevano allora alla FGCI erano questi: a) far partecipare tutta la gioventù italiana alla lotta contro il fascismo per la libertà d’Italia e la democratizzazione del paese; b) unire tutti i giovani italiani, distruggere in loro l’educazione e l’influenza del fascismo, evitando una frattura pericolosissima fra la parte più avanzata dei giovani e la maggioranza di essi che ancora era disorientata; c) con la fine della guerra di fronte alla gioventù italiana si sarebbero posti in maniera acuta i problemi essenziali: rifarsi una vita, trovar lavoro, trovare un clima normale di esistenza. Tutto questo poneva la necessità che in Italia si sviluppasse un vasto movimento giovanile che allargasse le sue file ai giovani comunisti, socialisti, dei partiti minori (PRI, P. d’A., PLI), cattolici, democristiani, indipendenti ed ex fascisti. Compito principale era la lotta contro l’occupazione tedesca: poi la lotta per le rivendicazioni giovanili », La lotta della gioventù rivoluzionaria, cit.; v. P. DE LAZZARI, Storia del Fronte della Gioventù, Editori Riuniti, Roma 1972.
8 P. DE LAZZARI, op. cit., pag. 32.
9 Così scrive Scoccimarro alla Direzione di Milano nel dicembre 1943: «Abbiamo esaminato e discusso il problema dell’organizzazione dei giovani. Siamo d’accordo col criterio da voi indicato in taluni documenti che bisogna tendere a creare una organizzazione di giovani avente largo carattere di massa, ma pensiamo che non si debba rinunciare alla creazione della Federazione Giovanile Comunista, il cui nome ha ancona molta suggestione e influenza fra i giovani. Però noi concepiamo la organizzazione della FGC con criteri diversi e più larghi di quelli che si ebbero nel passato, con una maggiore indipendenza dal partito ed una autonomia propria che la renda atta ad assorbire i giovani di tutte le tendenze comunque orientate verso gli obiettivi di una democrazia progressiva popolare…. Il problema dei giovani è uno dei più importanti che si pongano oggi al nostro partito: si tratta per noi di conquistare la gioventù italiana. La sola organizzazione giovanile attualmente esistente che ha importanza è quella dei cattolici. Non pensiamo di poterla assorbire senz’altro in una altra organizzazione per quanto larga possa essere. Noi dobbiamo far sorgere una forte organizzazione di giovani a fianco di quella dei cattolici e con essa stabilire poi un patto d’intesa nei modi che si vedrà in seguito. Nessun altro partito ha ancora una organizzazione giovanile. Dobbiamo prendere noi l’iniziativa di crearla, senza porre limiti ideologici e politici, ma anche senza nasconderci dietro una impostazione generica e indefinibile». È degli stessi giorni (14 dicembre) una lettera di Celeste Negarville, sempre diretta a Milano: «Cari compagni, abbiamo discusso - sulla base dei documenti che ci mandaste a suo tempo - il problema che imposta il nostro lavoro giovanile.... Noi siamo, come voi, preoccupati di dar vita ad un largo movimento giovanile, ad un movimento giovanile di massa che, rompendo gli schemi di ogni settarismo, diventi il centro di raccolta delle aspirazioni e degli ideali delle giovani generazioni. Pensiamo, come voi, che un tale movimento debba svolgersi su una base unitaria, capace di raggruppare i giovani di tendenze politiche diverse e di diverse confessioni religiose, i quali trovano nella guerra di liberazione nazionale e negli ideali di democrazia un potente incentivo alla loro unione e alla loro lotta. Voi chiamate questo movimento Fronte Nazionale della Gioventù, e noi non abbiamo nulla da obiettare sul nome; quello che ci preoccupa è piuttosto il dubbio che questo Fronte rimanga sulla carta per mancanza di concretezza, per il modo arbitrario con cui lo si vuol far nascere. Infatti, il Fronte nazionale della gioventù sorge per iniziativa nostra con il carattere di una vera e propria organizzazione e finge di ignorare che in Italia esistono (in atto e in potenza) altre organizzazioni giovanili le quali non avrebbero nessun interesse a dissolversi, in quanto organizzazioni ben definite, nel Fronte Nazionale della Gioventù, ma in quanto organizzazioni che aderiscono ad un movimento di coalizione nel quale non vengono dispersi i suoi caratteri organizzativi e politico-confessionali.... Resta da precisare lo strumento mediante il quale noi potremo realizzare questa politica giovanile unitaria. Questo strumento è la Federazione giovanile comunista che non deve diventare affatto il Fronte nazionale della gioventù solo perché se ne fa l’iniziatrice. Nel vostro piano la FGC non esiste per niente e noi troviamo strano che, proprio nel momento in cui si lanciano appelli alla gioventù italiana per chiamarla a raggrupparsi nella lotta, si liquidi tacitamente una organizzazione come la FGC la quale ha non pochi meriti da vantare nella lotta ventennale contro il fascismo e non poco prestigio da far irradiare sulle masse delle nuove generazioni. È probabile che questa vostra tacita liquidazione sia dovuta ad una interpretazione arbitraria del carattere di massa, antisettario, che debbono avere le FGC; è probabile che voi abbiate confuso il principio di indipendenza della FGC dal partito col non-principio della liquidazione; in ogni caso noi consideriamo la vostra posizione come errata e pensiamo che l’errore può e debba essere corretto». L. LONGO, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Editori Riuniti, Roma 1973, pp.253-254 e 261-262.
Donatella Ronci, I giovani comunisti dalla Liberazione al 1957, Quaderni della FIAP, n° 35
È quindi il Partito Comunista che prende l’iniziativa della costituzione del Fronte; più in particolare Gian Carlo Pajetta, che nell’autunno ’43 ne delinea i caratteri: «Il Movimento che tende a raccogliere in un’organizzazione unitaria tutti i giovani italiani, qualunque sia il ceto cui appartengono, qualunque sia l’attività sociale alla quale si dedicano di preferenza, non deve nascere sotto la bandiera di un partito politico.... Pur dovendo ispirarsi ai concetti che formano l’azione del CLN (Fronte Nazionale) non conviene che sorga come emanazione dei partiti, anche associati, bensì sulla base delle iniziative dei giovani stessi e alle forme di organizzazione che già essi hanno dato alla loro resistenza antitedesca e antifascista. Il Movimento al quale si vuole dare vita prende il nome di Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà e vuole avere il più largo carattere di massa. Non vogliamo creare un partito per i giovani, dichiariamo esplicitamente di non volere organizzare soltanto l’avanguardia dei giovani, quelli che si occupano esclusivamente di politica, bensì tutti i giovani italiani che vogliono coordinare la loro azione, in qualunque campo si svolga, con l’opera di liberazione e di progresso alla quale tutti gli italiani devono contribuire nel momento attuale» <8.
La costituzione del Fronte reca un indubbio contributo alla lotta resistenziale, pur se non manca di sollevare qualche perplessità nei dirigenti del Partito di Roma, non ancora convinti a fondo della opportunità della liquidazione della FGCI <9. Un’ulteriore remora sarà costituita, per tutto il periodo della Resistenza, dal fatto che il contributo degli altri partiti e più spesso apparente che reale, anche se nominalmente aderiscono al Fronte tutte le federazioni giovanili dei partiti antifascisti.
[NOTE]
7 «La FGCI procedeva alacremente alla creazione di un fronte unico della gioventù italiana in armonia con la politica unitaria del PCI. I problemi che si ponevano allora alla FGCI erano questi: a) far partecipare tutta la gioventù italiana alla lotta contro il fascismo per la libertà d’Italia e la democratizzazione del paese; b) unire tutti i giovani italiani, distruggere in loro l’educazione e l’influenza del fascismo, evitando una frattura pericolosissima fra la parte più avanzata dei giovani e la maggioranza di essi che ancora era disorientata; c) con la fine della guerra di fronte alla gioventù italiana si sarebbero posti in maniera acuta i problemi essenziali: rifarsi una vita, trovar lavoro, trovare un clima normale di esistenza. Tutto questo poneva la necessità che in Italia si sviluppasse un vasto movimento giovanile che allargasse le sue file ai giovani comunisti, socialisti, dei partiti minori (PRI, P. d’A., PLI), cattolici, democristiani, indipendenti ed ex fascisti. Compito principale era la lotta contro l’occupazione tedesca: poi la lotta per le rivendicazioni giovanili », La lotta della gioventù rivoluzionaria, cit.; v. P. DE LAZZARI, Storia del Fronte della Gioventù, Editori Riuniti, Roma 1972.
8 P. DE LAZZARI, op. cit., pag. 32.
9 Così scrive Scoccimarro alla Direzione di Milano nel dicembre 1943: «Abbiamo esaminato e discusso il problema dell’organizzazione dei giovani. Siamo d’accordo col criterio da voi indicato in taluni documenti che bisogna tendere a creare una organizzazione di giovani avente largo carattere di massa, ma pensiamo che non si debba rinunciare alla creazione della Federazione Giovanile Comunista, il cui nome ha ancona molta suggestione e influenza fra i giovani. Però noi concepiamo la organizzazione della FGC con criteri diversi e più larghi di quelli che si ebbero nel passato, con una maggiore indipendenza dal partito ed una autonomia propria che la renda atta ad assorbire i giovani di tutte le tendenze comunque orientate verso gli obiettivi di una democrazia progressiva popolare…. Il problema dei giovani è uno dei più importanti che si pongano oggi al nostro partito: si tratta per noi di conquistare la gioventù italiana. La sola organizzazione giovanile attualmente esistente che ha importanza è quella dei cattolici. Non pensiamo di poterla assorbire senz’altro in una altra organizzazione per quanto larga possa essere. Noi dobbiamo far sorgere una forte organizzazione di giovani a fianco di quella dei cattolici e con essa stabilire poi un patto d’intesa nei modi che si vedrà in seguito. Nessun altro partito ha ancora una organizzazione giovanile. Dobbiamo prendere noi l’iniziativa di crearla, senza porre limiti ideologici e politici, ma anche senza nasconderci dietro una impostazione generica e indefinibile». È degli stessi giorni (14 dicembre) una lettera di Celeste Negarville, sempre diretta a Milano: «Cari compagni, abbiamo discusso - sulla base dei documenti che ci mandaste a suo tempo - il problema che imposta il nostro lavoro giovanile.... Noi siamo, come voi, preoccupati di dar vita ad un largo movimento giovanile, ad un movimento giovanile di massa che, rompendo gli schemi di ogni settarismo, diventi il centro di raccolta delle aspirazioni e degli ideali delle giovani generazioni. Pensiamo, come voi, che un tale movimento debba svolgersi su una base unitaria, capace di raggruppare i giovani di tendenze politiche diverse e di diverse confessioni religiose, i quali trovano nella guerra di liberazione nazionale e negli ideali di democrazia un potente incentivo alla loro unione e alla loro lotta. Voi chiamate questo movimento Fronte Nazionale della Gioventù, e noi non abbiamo nulla da obiettare sul nome; quello che ci preoccupa è piuttosto il dubbio che questo Fronte rimanga sulla carta per mancanza di concretezza, per il modo arbitrario con cui lo si vuol far nascere. Infatti, il Fronte nazionale della gioventù sorge per iniziativa nostra con il carattere di una vera e propria organizzazione e finge di ignorare che in Italia esistono (in atto e in potenza) altre organizzazioni giovanili le quali non avrebbero nessun interesse a dissolversi, in quanto organizzazioni ben definite, nel Fronte Nazionale della Gioventù, ma in quanto organizzazioni che aderiscono ad un movimento di coalizione nel quale non vengono dispersi i suoi caratteri organizzativi e politico-confessionali.... Resta da precisare lo strumento mediante il quale noi potremo realizzare questa politica giovanile unitaria. Questo strumento è la Federazione giovanile comunista che non deve diventare affatto il Fronte nazionale della gioventù solo perché se ne fa l’iniziatrice. Nel vostro piano la FGC non esiste per niente e noi troviamo strano che, proprio nel momento in cui si lanciano appelli alla gioventù italiana per chiamarla a raggrupparsi nella lotta, si liquidi tacitamente una organizzazione come la FGC la quale ha non pochi meriti da vantare nella lotta ventennale contro il fascismo e non poco prestigio da far irradiare sulle masse delle nuove generazioni. È probabile che questa vostra tacita liquidazione sia dovuta ad una interpretazione arbitraria del carattere di massa, antisettario, che debbono avere le FGC; è probabile che voi abbiate confuso il principio di indipendenza della FGC dal partito col non-principio della liquidazione; in ogni caso noi consideriamo la vostra posizione come errata e pensiamo che l’errore può e debba essere corretto». L. LONGO, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Editori Riuniti, Roma 1973, pp.253-254 e 261-262.
Donatella Ronci, I giovani comunisti dalla Liberazione al 1957, Quaderni della FIAP, n° 35
Il 27 marzo [1945], con un'altra circolare a firma Andreotti e Dall'Oglio, verranno poi chiariti i criteri con cui verrà strutturata la segreteria del delegato nazionale - con la creazione di un Esecutivo e di una Commissione consultiva centrale -, quelli di formazione e di gestione del Gruppo giovanile a livello sezionale e provinciale, ed infine le linee di azione del delegato provinciale <160.
Un'altra decisione carica di conseguenze era quella emersa circa un anno prima dalla riunione del Consiglio nazionale della Dc del 28 febbraio - 3 marzo 1944 in cui venivano dichiarate «inammissibili e incompatibili l'adesione e l'appartenenza degli iscritti alla Democrazia Cristiana a gruppi politici estranei all'organizzazione del Partito» <161.
Con tale affermazione il Consiglio nazionale formalizza l'indipendenza politica del partito. Ciò da un lato testimonia un processo di autonomizzazione nei confronti degli organismi cattolici extra partitici, dall'altro costituisce una delle prime, espresse attestazioni di scissione di responsabilità nei confronti degli altri partiti italiani; la collaborazione all'interno del Cln comincia a vacillare e si intravede già quello scontro con le forze della sinistra, che solo un modificarsi della situazione internazionale permetterà di perfezionare <162.
È una decisione, per ciò che qui ci riguarda, che va a modificare gli equilibri all'interno del Fronte della gioventù.
Le relazioni fra i movimenti giovanili dei vari partiti sono strettamente legate ai rapporti interpartitici e al grado di coesività che le forze politiche riescono a mantenere man mano che si passa dalla iniziativa antifascista alla proposizione di idee ricostruttive per il Paese. In questo senso, allo scollamento dell'unità delle forze democratiche - che comincia ad attuarsi già dalla fine del 1944 - corrisponde il disintegrarsi dell'organizzazione giovanile unitaria, il Fronte della gioventù <163.
Nel maggio del 1944, ad esempio, il giornale del Fronte della gioventù del Piemonte, "Noi giovani", aveva concesso largo spazio all'adesione dei giovani cattolici: "è di questi giorni l'adesione della Democrazia cristiana al FdG.
L'accordo è stato concluso su base nazionale tra i rappresentanti del Fronte e i rappresentanti del movimento giovanile della Democrazia cristiana. La notizia verrà pubblicata sul prossimo numero di Democrazia cristiana e sul Bollettino del Fronte della gioventù. I giovani del Fronte danno il loro cordiale benvenuto ai giovani democristiani, dei quali hanno già avuto la possibilità di apprezzare la serietà e lo spirito combattivo, grazie a collaborazioni locali avvenute ancor prima dell'adesione ufficiale" <164.
Ma man mano dunque che l'unità antifascista si incrina, la dirigenza della Dc e dei Gruppi giovanili modifica il proprio atteggiamento. E se è ancora giustificata, nel luglio '44, l'adesione all'appello unitario «al governo nazionale ed alle autorità alleate di partecipare in schiere compatte accanto agli eserciti delle Nazioni Unite, alla guerra per la liberazione della patria e di tutti i popoli oppressi» <165, appare altrettanto conseguente con l'evoluzione dei rapporti interpartitici, l'aggiustamento di tiro che si sostanzia nelle affermazioni di Andreotti su «Il Popolo» del 25 novembre 1944. Rispondendo a Mauro Scoccimarro che, in un discorso ai giovani comunisti, prospettava l'esigenza di
costituire una grande organizzazione di massa giovanile, Andreotti si chiede "Quali fini avrebbe tale associazione? Quello di far valere i diritti della gioventù, risponde l'oratore e polemizza con noi perché ci siamo opposti ad uno stabile Fronte con tutti gli altri giovani dei Partiti. Ma non pensa che proprio perché vogliamo l'unione dei giovani noi la cerchiamo su un terreno meno effimero e più lontano da ogni sospetto di voler creare un nuovo partito - quello dei giovani - i cui scopi sarebbero o inutili o tendenziosi" <166?
Durante la riunione del Cln della Liguria del 14 aprile 1944 Taviani precisava che il proprio partito "è disposto ad accettare che il Comitato di coordinamento femminile assuma il nome di Gruppi di difesa della donna, ma in nessun modo, per quanto riguarda le donne e soprattutto i giovani, è disposto ad accettare l'organizzazione unica, sia pure nel solo campo politico, in quanto il problema femminile e giovanile importa una particolare delicatezza per quanto riguarda l'educazione, argomento in cui, non soltanto la Dc, ma i cattolici in genere, non possono non avere una vivissima sensibilità" <167.
Benigno Zaccagnini ricorda come, nel settembre '44, la volontà del Pci era quella di inserire, in seno al Cln ravennate, "le cosiddette organizzazioni di massa (Gruppi di difesa della donna, Fronte della Gioventù, Fronte della cultura), ma ciò portava inevitabilmente allo snaturamento della composizione partitica del comitato e dei rapporti di forza esistenti. Vi furono vari incontri in cui sostenni che non vi era da parte nostra nessuna obiezione ad un inserimento di una rappresentante femminile […] mentre configuravamo gli altri due organismi come espressione fiancheggiatrice del partito comunista […] D'altronde, né il Fronte della Gioventù, né quello della cultura ci sembrava possedessero caratteristiche proprie ma germinavano nell'alveo politico già esistente e dalle forze partigiane che si riconoscevano nell'attività del C.L.N.; per questi motivi noi cattolici non eravamo d'accordo di concedere ad essi un voto deliberativo in seno al comitato, mentre ritenevamo opportuno o inserire un rappresentante giovanile e del mondo culturale per ogni espressione partitica o evitare la loro istituzionalizzazione riconoscendo loro un ruolo organizzativo e consultivo con l'intesa che sarebbero stati consultati per i problemi a loro competenti" <168.
La decisione del Consiglio nazionale viene infatti ratificata il 18 dicembre 1944, sulla scia della posizione di Andreotti appena citata: viene riaffermata «la impossibilità per i giovani democratici cristiani di aderire ad una stabile organizzazione con altre forze o movimenti, data la posizione dei Gruppi Giovanili in seno al Partito del quale sono parte integrante ed inscindibile ed al quale d'altro canto - in una fattiva e democratica cooperazione interna - hanno il modo di dare il massimo contributo di opere e di pensiero» <169.
Come si diceva, il Pci poteva contare sulla esperienza di una organizzazione giovanile che nel corso del ventennio aveva continuato ad operare nella clandestinità, mantenendo una propria struttura, per quanto effimera, dei propri organi di stampa, dei contatti internazionali. Alla luce di questa premessa, potrà a prima vista apparire difficile da comprendere perché, ancor prima della definitiva fine del conflitto, il Pci avesse deciso di far cessare l'esperienza autonoma della propria federazione giovanile al fine di potenziare le organizzazioni unitarie - in primo luogo proprio il Fronte della gioventù. In realtà questa scelta ripropone in un ambito dai confini delimitati il ben più ampio problema della natura esogena o endogena della strategia comunista dopo il ritorno di Togliatti in Italia. Era stato, d'altronde, lo stesso Stalin a raccomandare a Thorez di praticare in Francia una politica di larghe alleanze, da sfruttare in funzione di difesa, e, quando la situazione si fosse evoluta, in funzione d'attacco.
In tale quadro, un riferimento specifico veniva fatto all'ambito giovanile. Individuato come uno dei terreni sui quali praticare le alleanze, Stalin aveva sottolineato come l'organizzazione operante in tale campo «non de[bba] chiamarsi gioventù comunista. Si deve tener conto del fatto che le etichette spaventano molto alcune persone» <170. Si può dunque ipotizzare che la medesima raccomandazione fosse stata elargita anche al leader italiano <171.
Tale convinzione non è certo smentita dalla ricostruzione della politica praticata dal Pci in questo ambito della politica nazionale. D'altro canto, la scelta di privilegiare gli organismi unitari può trovare una spiegazione convincente sia alla luce della politica di lungo periodo del partito nei confronti della gioventù, sia in considerazione delle sue contingenti urgenze politiche.
La scelta unitaria operata alla caduta del fascismo propose, in forme più radicali, la stessa strategia ciellenistica che il partito seguì nell'arena politica principale. A tal proposito è emblematico che Renzo Trivelli, uno dei segretari nazionali della Fgci di questo dopoguerra, in sede di rievocazione storica individuasse la Dc e il Pli come gli acerrimi nemici dello sforzo del Pci in ambito giovanile <172.
L'obiettivo più immediato di Togliatti, dunque, era quello di rafforzare la collaborazione con i democristiani, cercando di estenderla anche nel campo dell'associazionismo giovanile. E in quest'ottica, quindi, che si deve valutare l'attenzione nei confronti di movimenti unitari quali il Fronte della gioventù, che raccoglievano giovani di matrice politica alquanto eterogenea, nello spirito dell'unità ciellenistica. Tali organismi unitari non essendo legati, in modo esclusivo, ad un partito specifico, rappresentavano un utile terreno di incontro tra cattolici e marxisti, facendo il gioco della politica togliattiana <173.
Rimangono ancora però, nel campo dei rapporti con gli altri movimenti giovanili e in quello della partecipazione ad organismi unitari, ampie zone oscure. A Roma, ad esempio, all'inizio di aprile 1945, nasce la Commissione consultiva giovanile e la Segreteria giovanile della Confederazione generale italiana del lavoro; la prima è composta da 15 giovani rappresentanti delle principali categorie professionali e correnti sindacali; la seconda si compone di tre elementi: Arnaldo Bertolini per il Partito socialista, Enrico Berlinguer per il Pci ed Edmondo Albertini per la Dc. «I nostri incaricati […] cerchino almeno di non farsi rimorchiare da giovani di altri partiti», è il commento di Andreotti <174.
Ancora il 26 marzo 1945 il delegato nazionale si vede costretto a ribadire, con una circolare inviata a tutti i delegati provinciali, che «non è compatibile per un iscritto al Partito l'adesione contemporanea a qualsiasi altra organizzazione politica sia individuale sia collegiale compresi i “consigli”, “fronti” e “movimenti” tanto monarchici che repubblicani» <175.
L'autonomia del movimento giovanile della Dc nei confronti del Fronte della gioventù viene ribadita sempre nel marzo '45 dall'Esecutivo del comitato per l'Alta Italia che, nel Bollettino n. 511, scrive che "il movimento giovanile democristiano organizzato nelle sezioni regionali, provinciali, comunali, deve, in linea di massima, mantenere la sua indipendenza sul piano educativo, ideologico, propagandistico. Il contatto coi movimenti giovanili di altri partiti, o con altri movimenti cosiddetti apolitici, deve avvenire sulla base di comitati regionali o provinciali di coordinamento delle attività giovanili antifasciste […] La Dc non ritiene rispondente alla realtà delle cose un'organizzazione giovanile unitaria, almeno per quanto riguarda l'organizzazione e la propaganda. È non solo sconveniente, ma anche assai pericoloso per la salvezza degli istituti democratici, voler imporre l'unità là dove l'unità non esiste, e c'è solo, al massimo, una volontà sincera di collaborazione per quanto riguarda particolari settori di attività" <176.
La situazione nelle diverse realtà regionali si presenta però ancora nebulosa, come evidenzia Gorrieri il 29 aprile, prendendo atto che ben prima dell'organizzazione del gruppo giovanili Dc provinciale, molti ora «organizzati» dalla Dc avevano già aderito al Fronte della gioventù e - scriveva Gorrieri - «è necessario che essi precisino che dare adesione è di carattere provvisorio in attesa di istruzioni dal Centro, giacché non ci risulta che il nostro Partito abbia ufficialmente aderito a tale organizzazione» <177.
La dirigenza giovanile intende comunque depotenziare la propria presenza negli organismi unitari. Gli organi centrali esercitano condizionamenti sulla periferia affinché questa non valorizzi la propria presenza nel Fronte della gioventù, e tali condizionamenti possono apparire giustificati, stanti soprattutto le buone relazioni esistenti fra giovani cattolici e giovani comunisti in alcune regioni, specie in Emilia. Il 27 maggio 1945, ad esempio, vengono riprese e sviluppate le soluzioni già precisate nel citato ordine del giorno del dicembre 1944: "una coordinazione di lavoro anche in forma stabile tra varie forze giovanili può essere proficua ma una vera e propria associazione è di per sé contrastante con il metodo democratico […] Una concezione unitaria e di massa è il portato tipico dei regimi totalitari […] noi siamo forti e non abbiamo bisogno di mendicare un posto nella vita politica da chicchessia" <178.
A Parma dunque, ad esempio, dove a un giovane democristiano, Franco Valla, nel Fronte della gioventù locale era stata affidato nel gennaio 1945 il delicato settore stampa e propaganda, a fine maggio il Comitato direttivo del Fronte prendeva atto del ritiro temporaneo per disposizioni superiori di partito dei giovani democristiani, per cui la stessa segreteria del Comitato direttivo, tenuta dal democristiano Zanzucchi, veniva affidata al giovane azionista Rosselli <179.
Questo atto si concretizza all'inizio di giugno con un distacco definitivo dei giovani democristiani, poiché la segreteria provinciale Dc riteneva che il Fronte della gioventù si avviasse a divenire «organizzazione non solo unitaria, ma unica, assorbente, esclusiva della gioventù italiana» <180. L'accusa rivolta al Fronte era quella di voler monopolizzare le organizzazioni giovanili e questo disegno si manifestava nella pretesa «di subentrare direttamente e totalitariamente nell'eredità di impianti e mezzi delle disciolte organizzazioni uniche fasciste» <181.
Andreotti contribuisce personalmente alla difesa di tale linea. Il 4 giugno scrive a tutti i comitati provinciali affinché gli venga immediatamente segnalato il nominativo dell'incaricato per i rapporti con le altre organizzazioni. Ogni quindici giorni ogni delegato provinciale dovrà inviargli una relazione dettagliata sulle attività e sui rapporti avuti con altri partiti, movimenti, associazioni; «Per le Province del Nord recentemente liberate si richiede una relazione sull'attività clandestina e partigiana, soprattutto quella esplicata in comune con altri movimenti» <182. Solo in un caso i Gruppi giovanili Dc potranno collaborare apertamente con i giovani del Pci, degli altri partiti o ad iniziative promosse da Fronte della gioventù, ovvero per la creazione di comitati provinciali “pro-voto” ai diciottenni e ai soldati <183. Resta fermo il divieto di partecipare a qualsiasi organizzazione, sia essa «fronte» o «consiglio», esterna al partito: «Si chiede all'uopo, se in qualche regione, provincia o città siano avvenute queste adesioni sia collegialmente che isolatamente […] di comunicarcelo, specificandone l'entità e il motivo» <184.
Un tale atteggiamento di rottura porta, in taluni casi, a episodi «tumultuosi» e «turbolenti», come quelli che si verificano a Palermo durante i lavori del Convegno regionale della gioventù dell'isola. Dall'11 al 13 settembre 1945 si riuniscono nel capoluogo siciliano i rappresentanti dei Gruppi giovanili Dc, dell'Azione cattolica, dei membri della Fgs, dei giovani del Partito comunista, del Partito d'azione, del Partito repubblicano, di quello liberale e di quello democratico del lavoro; nonostante le buone intenzioni iniziali e la volontà di discutere gli infiniti problemi che affliggono la gioventù siciliana, «non si è riusciti a mantenere i lavori del Convegno in quella atmosfera di sincerità e di solidarietà che speravamo invece il convegno potesse avere», a causa della «inconsulta intemperanza ed il settarismo di alcuni delegati che hanno portato nel Congresso metodi e frasi abituali del fucilato di Dongo» <185 [...]
[NOTE]
162 Nel giugno del 1945 «La Punta» scrive infatti che «i partiti di estrema portano nella vita della Nazione solo squilibrio […] I CLN vanno sostituiti al più presto dai normali organismi politici e amministrativi democraticamente ricostituiti»; Il problema del Fronte Unico Giovanile. Una dichiarazione dei gruppi Giovanili della Democrazia Cristiana, in «La Punta», 4 giugno 1945. Si legga comunque anche ciò che scrive Manlio Di Celso il 15 ottobre 1945: «Il luogo comune di tutti i reazionari, che cioè il governo del C.L.N. è un fascismo a sei, non regge alla critica. Non vi è alcuna analogia tra una costellazione politica che vai dai liberali ai comunisti, dai monarchici ai repubblicani, dai cattolici agli atei e il partito unico, in cui tutti agivano, parlavano, pensavano, vestivano e talvolta camminavano allo stesso modo. […] Fino a che non vi saranno le elezioni, l'unica alternativa al regime dei sei partiti è una dittatura regia, che il paese in grandissima parte respinge. Il problema non è dunque di condannare in linea di principio il governo del C.L.N., unico possibile se si vuole esser fedeli alla democrazia, ma di cercar di migliorarne il funzionamento»; M. Di Celso, Il governo dei C.L.N., in «La Punta», 15 ottobre 1945.
163 Si legga, per quanto riguarda l'attività nel Fdg, la testimonianza del reggiano Ermes Grappi: «Che cosa facevamo noi del Fronte della Gioventù? Beh, si potrebbero dire tante cose. Almeno voglio ricordare un'iniziativa che ebbe grande successo e che suscitò clamore. In occasione della manifestazione che fecero le donne il 13 aprile 1945, la “giornata insurrezionale”, andammo in tutte le scuole, in tutte le aule, utilizzando l'altoparlante di cui quasi tutte disponevano, incitando gli studenti ad uscire e ad unirsi alle donne. In una scuola che non disponeva di altoparlante, corremmo per i corridoi ed aprimmo tutte le porte delle aule rivolgendo l'invito a gran voce. La grande maggioranza degli studenti uscì, una parte anche solo per marinare la scuola, ma una parte, la più numerosa, si unì alle donne che dilagavano nelle strade cittadine. In quella vicenda noi perdemmo un bravissimo compagno di 19 anni, Marcello Bigliardi, portato alla caserma Muti, seviziato e ucciso nella giornata stessa. […] Il Fronte della Gioventù, come già detto, doveva essere aperto a rapporti provenienti da varie parti, ma noi, che lo avevamo fondato, ne eravamo anche gelosi e restii a dare troppo spazio a chi intendeva entrare e insediarsi in posti di comando quando l'organizzazione si era già consolidata. Noi eravamo in quel periodo in contatto con Giuseppe Dossetti, che era a Cavriago. I democristiani, quando videro che il Fronte della Gioventù aveva una sua organizzazione, le cui iniziative venivano propagandate in manifesti, che riusciva persino a pubblicare un giornalino, “Riscossa giovanile”, che il PCI, attraverso il Fronte della Gioventù, si metteva in collegamento con i giovani, chiesero di entrarvi. Gli facemmo questo discorso però: “Ah no, è comoda, dovete partire dalla gavetta, non potete avere diritto di rappresentanza negli organismi, sia pure clandestini, di direzione del movimento, perché voi, eh!, siete arrivati ultimi”. Ma i democristiani non accettarono. […] l'entrata di giovani democristiani nel Fronte della Gioventù andò avanti per un po' di tempo, ma non si risolse senza traumi. Non è che abbiamo avuto un segno tangibile del loro impegno, ma il loro ingresso segnò la legittimazione, diciamo così, di un'altra forza politica. Infatti la loro presenza ebbe effetti molto positivi per il movimento clandestino perché determinò il riconoscimento, alla fine di ottobre del 1944, del Fronte della Gioventù da parte del CLNP (Comitato di liberazione nazionale provinciale)»; E. Grappi, La mia vita nel Novecento, a cura di G. Bertani, Corsiero editore, Reggio Emilia 2016, pp. 36-39.
164 Noi giovani, 15 maggio 1944, citato in P. De Lazzari, Storia del Fronte della Gioventù, cit., p. 60.
165 Firmatari i Gruppi giovanili DC, La Federazione giovanile comunista e quella socialista, il Movimento giovanile del Partito democratico del lavoro e quello dei Cattolici comunisti, l'Unione goliardica per la libertà, la Federazione giovanile del Partito d'azione; cfr. G. Staffa, Il Movimento Giovanile Democristiano (1943-1948), cit., p. 41.
166 G. Andreotti, Uno stato di giovani, in «Il Popolo», 25 novembre 1944.
167 C. Brizzolari, La rinascita della Dc in Liguria, cit., p. 402.
168 B. Zaccagnini, La partecipazione dei cattolici al C.L.N., in AA.VV., Cattolici nella Resistenza ravennate, Edizioni del Centro studi «Giuseppe Donati», Ravenna 1975, p. 45.
169 Un o.d.g. sul Fronte della Gioventù, 18 dicembre 1944, in «La Punta», 1 gennaio 1945.
170 M. Lazar, La strategia del Pcf e del Pci dal 1944 al 1947: acquisizioni della ricerca e problemi irrisolti, in E. Aga-Rossi, G. Quagliariello (a cura di), L'altra faccia della luna. I rapporti tra PCI, PCF e Unione Sovietica, Il Mulino, Bologna 1997, p. 89.
171 G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Italia (1945-1956), in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa, cit., p. 37.
172 Sostiene Trivelli che «l'iniziativa che portò all'indebolimento e poi alla scomparsa del F.d.G. non fu qualcosa che promanasse dai giovani e nemmeno, essenzialmente, dai movimenti giovanili, ma da determinati partiti, soprattutto dal Partito liberale e dal Partito democristiano»; cfr. R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 118. In realtà il Fronte della Gioventù non ottenne mai risultati significativi sul piano strettamente organizzativo, attirandosi le critiche di esponenti qualificati del Partito comunista, che già nel 1947 ritenevano il Fronte un esperimento sostanzialmente fallito; cfr. G. Marimpietri, La federazione giovanile comunista: strutture organizzative e cambiamenti statutari nel periodo 1949-1956, in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa, cit., p. 232.
173 Il Pci sostenne in proprio quasi integralmente lo sforzo di tenere in vita le organizzazioni unitarie. E, d'altro canto, vi sono documenti eloquenti che attestano la volontà politica di esercitare l'egemonia e il controllo su di esse. A tal proposito, va anche tenuto presente che i giovani iscritti al Pci ebbero il preciso obbligo di militare nelle organizzazioni unitarie di massa e che, nello stesso tempo, essi furono inquadrati in una struttura parallela interna che aderì perfettamente alla struttura del partito. Questo sdoppiamento della struttura trovò un momento di raccordo solo dopo le elezioni del 1948 quando, persa la partita per una conquista del potere in tempi brevi, il partito dovette modificare la sua struttura, adattandola ad una strategia di lungo periodo che sarebbe passata per una fase di opposizione che si prospettava di non breve durata. Questa esigenza spinse a chiudere il capitolo degli organismi unitari e a ricostituire, nel 1949, la Federazione giovanile comunista italiana. Non si trattò di un nuovo inizio, bensì di un cambiamento di strategia che, in ogni caso, restò modellata sulle esigenze della politica generale del partito. Una ammissione, in tal senso, proviene dalla già citata ricostruzione di Trivelli, che rievocando la rifondazione della Fgci, così scriveva: «Se un inizio, per questo dopoguerra, può essere da noi considerato l'aprile del 1949, anno in cui si ricostituì la Federazione giovanile comunista italiana, questo non sarebbe che un inizio del tutto particolare e circoscritto, e anche non del tutto comprensibile ove non si tenesse presente un più lontano passato, che, attraverso la costituzione del Fronte della gioventù, ridiscende, giù giù, verso l'atto del 1921»; cfr; R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 117. Questa compenetrazione tra federazione giovanile e partito può rilevarsi per tutto il periodo qui preso in considerazione, che per la Fgci coincise con la permanenza di Enrico Berlinguer alla guida dell'organizzazione. D'altro canto, la comparazione con le altre esperienze giovanili aiuta a chiarire che tale natura eterodiretta della Fgci, che presuppone «una intima unità ideale e politica con il Partito», rappresentò un motivo di originalità nel panorama delle organizzazioni giovanili di partito del secondo dopoguerra. In questi anni, infatti, la Fgci non fu né un gruppo di pressione generazionale, né tanto meno uno strumento di lotta interna fra correnti. La sua storia, piuttosto, fu quella di un organismo pronto a modellarsi e a ridefinirsi secondo le esigenze strategiche fissate da entità superiori, sulla base della condivisione di una sostanziale alterità nei riguardi del sistema e delle regole della liberaldemocrazia; cfr. G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Italia, cit., pp. 39-40. Sulla nascita della Fgci mi permetto di rinviare anche ad A. Montanari, Reggio Emilia, 22 maggio 1949. Il popolo comunista: la rinascita della Fgci in Emilia Romagna, in L. Capitani (a cura di), Emilia Rossa. Immagini, voci, memorie dalla storia del Pci in Emilia Romagna (1946-1991), Vittoria Maselli, Reggio Emilia 2012, pp. 200-204.
174 «La Commissione ha per scopo principale la difesa degli interessi dei giovani lavoratori nelle controversie con i datori di lavoro a carattere nazionale; la tutela degli interessi giovanili nei sindacati, particolarmente durante la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro; la formazione di una cultura e coscienza sindacale nei giovani, e la propaganda perché la gioventù lavoratrice aderisca in massa ai sindacati della CGIL. […] Accanto ad ogni delegato provinciale dei Gruppi Giovanili […] dovrà esservi un altro giovane in qualità di incaricato provinciale per i problemi del lavoro. L'incaricato provinciale dirigerà e coordinerà tutto il lavoro organizzativo della provincia, mantenendosi in stretto contatto con l'Incaricato nazionale e con i locali dirigenti delle ACLI. Anche gli altri incaricati di zona e sezionali prenderanno contatto con le ACLI. […] I nostri incaricati dovranno aver cura che nei vari comitati che costituiranno non manchi la rappresentanza dell'elemento femminile, e perciò prenderanno opportuni accordi con i nostri gruppi femminili. Di vitale importanza è il promuovere corsi di sociologia cristiana per i lavoratori. […] I nostri incaricati […] cerchino almeno di non farsi rimorchiare da giovani di altri partiti»; ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, Circolare di Giulio Andreotti e Edmondo Albertini, 4 aprile 1945.
175 ADCRE, f.D2, b. “Movimento Giovanile D.C.”, Circolare di Giulio Andreotti, 26 marzo 1945.
176 C. Brizzolari, La rinascita della Dc in Liguria, cit., p. 403.
177 ADCRE, f.D2, b. “Movimento Giovanile D.C.”, Lettera di Ermanno Gorrieri, 29 aprile 1945.
178 Il problema del Fronte Unico Giovanile. Una dichiarazione dei gruppi Giovanili della Democrazia Cristiana, in «La Punta», 4 giugno 1945. Si veda la risposta che Davide Lajolo scrive su «l'Unità» 5 giorni dopo: «Qualcuno ha blaterato contro questa organizzazione, ha sofisticato. Strane accuse invero contro un organismo espresso dalla lotta e che proprio i giovani in libera scelta si sono costruito»; Ulisse, I giovani per un Governo democratico, in «l'Unità», 9 giugno 1945. Si noti anche che i dirigenti del Fronte avevano fin dal 1944-45 tentato di agganciare anche la dirigenza della Giac. Gedda e, dopo di lui, Carretto, avevano opposto un costante rifiuto, contestando l'ambizione del Fronte di porsi come organismo rappresentativo della gioventù italiana. Nel 1947-48 l'irrigidimento delle barriere politico-ideologiche indebolì, al pari della strategia di Togliatti, le aspirazioni del Fronte che, nei confronti della Giac, oscillò fra accattivanti riconoscimenti e ostilità a volte sprezzanti; così F. Piva, La gioventù cattolica in cammino. Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-54), Franco Angeli, Milano 2004, pp. 47-48.
179 P. Calzolari, Giovani comunisti parmensi dal Fronte della gioventù alla Federazione giovanile comunista (1943-1949), in F. Sicuri (a cura di), Comunisti a Parma. Atti del convegno tenutosi a Parma il 7 novembre 1981, STEP, Parma 1986, pp. 361-362.
180 Ivi, p. 362.
181 Ibidem.
182 ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, circolare di Giulio Andreotti, 4 giugno 1945. Andreotti aggiunge in tale circolare anche indicazioni riguardanti l'inizio della campagna per l'italianità di Trieste: «In ogni capoluogo di Provincia d'accordo con le altre organizzazioni religiose, sociali, politiche, culturali, sportive ecc. costituire comitati affermanti l'italianità di Trieste e l'integrità dei confini nazionali. Si istituiscano e si organizzino manifestazioni, comizi; si stampino volantini; si scrivano articoli sulla stampa locale; si votino odg nel senso desiderato. Tali manifestazioni potranno venire turbate, od almeno ostacolate da elementi di ben individuato indirizzo politico, ma questo non interrompa in alcun modo l'organizzazione di quanto sopra detto. Si agiti il problema, e lo si discuta dai nostri giovani, in ogni scuola, negozio, officina, ufficio».
183 Ibidem.
184 Ibidem.
185 Congresso della gioventù siciliana, in «La Punta», 24 settembre 1945.
Andrea Montanari, Il Movimento giovanile della Democrazia Cristiana da De Gasperi a Fanfani (1943-1955), Tesi di dottorato, Università degli studi di Parma, 2017
Un'altra decisione carica di conseguenze era quella emersa circa un anno prima dalla riunione del Consiglio nazionale della Dc del 28 febbraio - 3 marzo 1944 in cui venivano dichiarate «inammissibili e incompatibili l'adesione e l'appartenenza degli iscritti alla Democrazia Cristiana a gruppi politici estranei all'organizzazione del Partito» <161.
Con tale affermazione il Consiglio nazionale formalizza l'indipendenza politica del partito. Ciò da un lato testimonia un processo di autonomizzazione nei confronti degli organismi cattolici extra partitici, dall'altro costituisce una delle prime, espresse attestazioni di scissione di responsabilità nei confronti degli altri partiti italiani; la collaborazione all'interno del Cln comincia a vacillare e si intravede già quello scontro con le forze della sinistra, che solo un modificarsi della situazione internazionale permetterà di perfezionare <162.
È una decisione, per ciò che qui ci riguarda, che va a modificare gli equilibri all'interno del Fronte della gioventù.
Le relazioni fra i movimenti giovanili dei vari partiti sono strettamente legate ai rapporti interpartitici e al grado di coesività che le forze politiche riescono a mantenere man mano che si passa dalla iniziativa antifascista alla proposizione di idee ricostruttive per il Paese. In questo senso, allo scollamento dell'unità delle forze democratiche - che comincia ad attuarsi già dalla fine del 1944 - corrisponde il disintegrarsi dell'organizzazione giovanile unitaria, il Fronte della gioventù <163.
Nel maggio del 1944, ad esempio, il giornale del Fronte della gioventù del Piemonte, "Noi giovani", aveva concesso largo spazio all'adesione dei giovani cattolici: "è di questi giorni l'adesione della Democrazia cristiana al FdG.
L'accordo è stato concluso su base nazionale tra i rappresentanti del Fronte e i rappresentanti del movimento giovanile della Democrazia cristiana. La notizia verrà pubblicata sul prossimo numero di Democrazia cristiana e sul Bollettino del Fronte della gioventù. I giovani del Fronte danno il loro cordiale benvenuto ai giovani democristiani, dei quali hanno già avuto la possibilità di apprezzare la serietà e lo spirito combattivo, grazie a collaborazioni locali avvenute ancor prima dell'adesione ufficiale" <164.
Ma man mano dunque che l'unità antifascista si incrina, la dirigenza della Dc e dei Gruppi giovanili modifica il proprio atteggiamento. E se è ancora giustificata, nel luglio '44, l'adesione all'appello unitario «al governo nazionale ed alle autorità alleate di partecipare in schiere compatte accanto agli eserciti delle Nazioni Unite, alla guerra per la liberazione della patria e di tutti i popoli oppressi» <165, appare altrettanto conseguente con l'evoluzione dei rapporti interpartitici, l'aggiustamento di tiro che si sostanzia nelle affermazioni di Andreotti su «Il Popolo» del 25 novembre 1944. Rispondendo a Mauro Scoccimarro che, in un discorso ai giovani comunisti, prospettava l'esigenza di
costituire una grande organizzazione di massa giovanile, Andreotti si chiede "Quali fini avrebbe tale associazione? Quello di far valere i diritti della gioventù, risponde l'oratore e polemizza con noi perché ci siamo opposti ad uno stabile Fronte con tutti gli altri giovani dei Partiti. Ma non pensa che proprio perché vogliamo l'unione dei giovani noi la cerchiamo su un terreno meno effimero e più lontano da ogni sospetto di voler creare un nuovo partito - quello dei giovani - i cui scopi sarebbero o inutili o tendenziosi" <166?
Durante la riunione del Cln della Liguria del 14 aprile 1944 Taviani precisava che il proprio partito "è disposto ad accettare che il Comitato di coordinamento femminile assuma il nome di Gruppi di difesa della donna, ma in nessun modo, per quanto riguarda le donne e soprattutto i giovani, è disposto ad accettare l'organizzazione unica, sia pure nel solo campo politico, in quanto il problema femminile e giovanile importa una particolare delicatezza per quanto riguarda l'educazione, argomento in cui, non soltanto la Dc, ma i cattolici in genere, non possono non avere una vivissima sensibilità" <167.
Benigno Zaccagnini ricorda come, nel settembre '44, la volontà del Pci era quella di inserire, in seno al Cln ravennate, "le cosiddette organizzazioni di massa (Gruppi di difesa della donna, Fronte della Gioventù, Fronte della cultura), ma ciò portava inevitabilmente allo snaturamento della composizione partitica del comitato e dei rapporti di forza esistenti. Vi furono vari incontri in cui sostenni che non vi era da parte nostra nessuna obiezione ad un inserimento di una rappresentante femminile […] mentre configuravamo gli altri due organismi come espressione fiancheggiatrice del partito comunista […] D'altronde, né il Fronte della Gioventù, né quello della cultura ci sembrava possedessero caratteristiche proprie ma germinavano nell'alveo politico già esistente e dalle forze partigiane che si riconoscevano nell'attività del C.L.N.; per questi motivi noi cattolici non eravamo d'accordo di concedere ad essi un voto deliberativo in seno al comitato, mentre ritenevamo opportuno o inserire un rappresentante giovanile e del mondo culturale per ogni espressione partitica o evitare la loro istituzionalizzazione riconoscendo loro un ruolo organizzativo e consultivo con l'intesa che sarebbero stati consultati per i problemi a loro competenti" <168.
La decisione del Consiglio nazionale viene infatti ratificata il 18 dicembre 1944, sulla scia della posizione di Andreotti appena citata: viene riaffermata «la impossibilità per i giovani democratici cristiani di aderire ad una stabile organizzazione con altre forze o movimenti, data la posizione dei Gruppi Giovanili in seno al Partito del quale sono parte integrante ed inscindibile ed al quale d'altro canto - in una fattiva e democratica cooperazione interna - hanno il modo di dare il massimo contributo di opere e di pensiero» <169.
Come si diceva, il Pci poteva contare sulla esperienza di una organizzazione giovanile che nel corso del ventennio aveva continuato ad operare nella clandestinità, mantenendo una propria struttura, per quanto effimera, dei propri organi di stampa, dei contatti internazionali. Alla luce di questa premessa, potrà a prima vista apparire difficile da comprendere perché, ancor prima della definitiva fine del conflitto, il Pci avesse deciso di far cessare l'esperienza autonoma della propria federazione giovanile al fine di potenziare le organizzazioni unitarie - in primo luogo proprio il Fronte della gioventù. In realtà questa scelta ripropone in un ambito dai confini delimitati il ben più ampio problema della natura esogena o endogena della strategia comunista dopo il ritorno di Togliatti in Italia. Era stato, d'altronde, lo stesso Stalin a raccomandare a Thorez di praticare in Francia una politica di larghe alleanze, da sfruttare in funzione di difesa, e, quando la situazione si fosse evoluta, in funzione d'attacco.
In tale quadro, un riferimento specifico veniva fatto all'ambito giovanile. Individuato come uno dei terreni sui quali praticare le alleanze, Stalin aveva sottolineato come l'organizzazione operante in tale campo «non de[bba] chiamarsi gioventù comunista. Si deve tener conto del fatto che le etichette spaventano molto alcune persone» <170. Si può dunque ipotizzare che la medesima raccomandazione fosse stata elargita anche al leader italiano <171.
Tale convinzione non è certo smentita dalla ricostruzione della politica praticata dal Pci in questo ambito della politica nazionale. D'altro canto, la scelta di privilegiare gli organismi unitari può trovare una spiegazione convincente sia alla luce della politica di lungo periodo del partito nei confronti della gioventù, sia in considerazione delle sue contingenti urgenze politiche.
La scelta unitaria operata alla caduta del fascismo propose, in forme più radicali, la stessa strategia ciellenistica che il partito seguì nell'arena politica principale. A tal proposito è emblematico che Renzo Trivelli, uno dei segretari nazionali della Fgci di questo dopoguerra, in sede di rievocazione storica individuasse la Dc e il Pli come gli acerrimi nemici dello sforzo del Pci in ambito giovanile <172.
L'obiettivo più immediato di Togliatti, dunque, era quello di rafforzare la collaborazione con i democristiani, cercando di estenderla anche nel campo dell'associazionismo giovanile. E in quest'ottica, quindi, che si deve valutare l'attenzione nei confronti di movimenti unitari quali il Fronte della gioventù, che raccoglievano giovani di matrice politica alquanto eterogenea, nello spirito dell'unità ciellenistica. Tali organismi unitari non essendo legati, in modo esclusivo, ad un partito specifico, rappresentavano un utile terreno di incontro tra cattolici e marxisti, facendo il gioco della politica togliattiana <173.
Rimangono ancora però, nel campo dei rapporti con gli altri movimenti giovanili e in quello della partecipazione ad organismi unitari, ampie zone oscure. A Roma, ad esempio, all'inizio di aprile 1945, nasce la Commissione consultiva giovanile e la Segreteria giovanile della Confederazione generale italiana del lavoro; la prima è composta da 15 giovani rappresentanti delle principali categorie professionali e correnti sindacali; la seconda si compone di tre elementi: Arnaldo Bertolini per il Partito socialista, Enrico Berlinguer per il Pci ed Edmondo Albertini per la Dc. «I nostri incaricati […] cerchino almeno di non farsi rimorchiare da giovani di altri partiti», è il commento di Andreotti <174.
Ancora il 26 marzo 1945 il delegato nazionale si vede costretto a ribadire, con una circolare inviata a tutti i delegati provinciali, che «non è compatibile per un iscritto al Partito l'adesione contemporanea a qualsiasi altra organizzazione politica sia individuale sia collegiale compresi i “consigli”, “fronti” e “movimenti” tanto monarchici che repubblicani» <175.
L'autonomia del movimento giovanile della Dc nei confronti del Fronte della gioventù viene ribadita sempre nel marzo '45 dall'Esecutivo del comitato per l'Alta Italia che, nel Bollettino n. 511, scrive che "il movimento giovanile democristiano organizzato nelle sezioni regionali, provinciali, comunali, deve, in linea di massima, mantenere la sua indipendenza sul piano educativo, ideologico, propagandistico. Il contatto coi movimenti giovanili di altri partiti, o con altri movimenti cosiddetti apolitici, deve avvenire sulla base di comitati regionali o provinciali di coordinamento delle attività giovanili antifasciste […] La Dc non ritiene rispondente alla realtà delle cose un'organizzazione giovanile unitaria, almeno per quanto riguarda l'organizzazione e la propaganda. È non solo sconveniente, ma anche assai pericoloso per la salvezza degli istituti democratici, voler imporre l'unità là dove l'unità non esiste, e c'è solo, al massimo, una volontà sincera di collaborazione per quanto riguarda particolari settori di attività" <176.
La situazione nelle diverse realtà regionali si presenta però ancora nebulosa, come evidenzia Gorrieri il 29 aprile, prendendo atto che ben prima dell'organizzazione del gruppo giovanili Dc provinciale, molti ora «organizzati» dalla Dc avevano già aderito al Fronte della gioventù e - scriveva Gorrieri - «è necessario che essi precisino che dare adesione è di carattere provvisorio in attesa di istruzioni dal Centro, giacché non ci risulta che il nostro Partito abbia ufficialmente aderito a tale organizzazione» <177.
La dirigenza giovanile intende comunque depotenziare la propria presenza negli organismi unitari. Gli organi centrali esercitano condizionamenti sulla periferia affinché questa non valorizzi la propria presenza nel Fronte della gioventù, e tali condizionamenti possono apparire giustificati, stanti soprattutto le buone relazioni esistenti fra giovani cattolici e giovani comunisti in alcune regioni, specie in Emilia. Il 27 maggio 1945, ad esempio, vengono riprese e sviluppate le soluzioni già precisate nel citato ordine del giorno del dicembre 1944: "una coordinazione di lavoro anche in forma stabile tra varie forze giovanili può essere proficua ma una vera e propria associazione è di per sé contrastante con il metodo democratico […] Una concezione unitaria e di massa è il portato tipico dei regimi totalitari […] noi siamo forti e non abbiamo bisogno di mendicare un posto nella vita politica da chicchessia" <178.
A Parma dunque, ad esempio, dove a un giovane democristiano, Franco Valla, nel Fronte della gioventù locale era stata affidato nel gennaio 1945 il delicato settore stampa e propaganda, a fine maggio il Comitato direttivo del Fronte prendeva atto del ritiro temporaneo per disposizioni superiori di partito dei giovani democristiani, per cui la stessa segreteria del Comitato direttivo, tenuta dal democristiano Zanzucchi, veniva affidata al giovane azionista Rosselli <179.
Questo atto si concretizza all'inizio di giugno con un distacco definitivo dei giovani democristiani, poiché la segreteria provinciale Dc riteneva che il Fronte della gioventù si avviasse a divenire «organizzazione non solo unitaria, ma unica, assorbente, esclusiva della gioventù italiana» <180. L'accusa rivolta al Fronte era quella di voler monopolizzare le organizzazioni giovanili e questo disegno si manifestava nella pretesa «di subentrare direttamente e totalitariamente nell'eredità di impianti e mezzi delle disciolte organizzazioni uniche fasciste» <181.
Andreotti contribuisce personalmente alla difesa di tale linea. Il 4 giugno scrive a tutti i comitati provinciali affinché gli venga immediatamente segnalato il nominativo dell'incaricato per i rapporti con le altre organizzazioni. Ogni quindici giorni ogni delegato provinciale dovrà inviargli una relazione dettagliata sulle attività e sui rapporti avuti con altri partiti, movimenti, associazioni; «Per le Province del Nord recentemente liberate si richiede una relazione sull'attività clandestina e partigiana, soprattutto quella esplicata in comune con altri movimenti» <182. Solo in un caso i Gruppi giovanili Dc potranno collaborare apertamente con i giovani del Pci, degli altri partiti o ad iniziative promosse da Fronte della gioventù, ovvero per la creazione di comitati provinciali “pro-voto” ai diciottenni e ai soldati <183. Resta fermo il divieto di partecipare a qualsiasi organizzazione, sia essa «fronte» o «consiglio», esterna al partito: «Si chiede all'uopo, se in qualche regione, provincia o città siano avvenute queste adesioni sia collegialmente che isolatamente […] di comunicarcelo, specificandone l'entità e il motivo» <184.
Un tale atteggiamento di rottura porta, in taluni casi, a episodi «tumultuosi» e «turbolenti», come quelli che si verificano a Palermo durante i lavori del Convegno regionale della gioventù dell'isola. Dall'11 al 13 settembre 1945 si riuniscono nel capoluogo siciliano i rappresentanti dei Gruppi giovanili Dc, dell'Azione cattolica, dei membri della Fgs, dei giovani del Partito comunista, del Partito d'azione, del Partito repubblicano, di quello liberale e di quello democratico del lavoro; nonostante le buone intenzioni iniziali e la volontà di discutere gli infiniti problemi che affliggono la gioventù siciliana, «non si è riusciti a mantenere i lavori del Convegno in quella atmosfera di sincerità e di solidarietà che speravamo invece il convegno potesse avere», a causa della «inconsulta intemperanza ed il settarismo di alcuni delegati che hanno portato nel Congresso metodi e frasi abituali del fucilato di Dongo» <185 [...]
[NOTE]
162 Nel giugno del 1945 «La Punta» scrive infatti che «i partiti di estrema portano nella vita della Nazione solo squilibrio […] I CLN vanno sostituiti al più presto dai normali organismi politici e amministrativi democraticamente ricostituiti»; Il problema del Fronte Unico Giovanile. Una dichiarazione dei gruppi Giovanili della Democrazia Cristiana, in «La Punta», 4 giugno 1945. Si legga comunque anche ciò che scrive Manlio Di Celso il 15 ottobre 1945: «Il luogo comune di tutti i reazionari, che cioè il governo del C.L.N. è un fascismo a sei, non regge alla critica. Non vi è alcuna analogia tra una costellazione politica che vai dai liberali ai comunisti, dai monarchici ai repubblicani, dai cattolici agli atei e il partito unico, in cui tutti agivano, parlavano, pensavano, vestivano e talvolta camminavano allo stesso modo. […] Fino a che non vi saranno le elezioni, l'unica alternativa al regime dei sei partiti è una dittatura regia, che il paese in grandissima parte respinge. Il problema non è dunque di condannare in linea di principio il governo del C.L.N., unico possibile se si vuole esser fedeli alla democrazia, ma di cercar di migliorarne il funzionamento»; M. Di Celso, Il governo dei C.L.N., in «La Punta», 15 ottobre 1945.
163 Si legga, per quanto riguarda l'attività nel Fdg, la testimonianza del reggiano Ermes Grappi: «Che cosa facevamo noi del Fronte della Gioventù? Beh, si potrebbero dire tante cose. Almeno voglio ricordare un'iniziativa che ebbe grande successo e che suscitò clamore. In occasione della manifestazione che fecero le donne il 13 aprile 1945, la “giornata insurrezionale”, andammo in tutte le scuole, in tutte le aule, utilizzando l'altoparlante di cui quasi tutte disponevano, incitando gli studenti ad uscire e ad unirsi alle donne. In una scuola che non disponeva di altoparlante, corremmo per i corridoi ed aprimmo tutte le porte delle aule rivolgendo l'invito a gran voce. La grande maggioranza degli studenti uscì, una parte anche solo per marinare la scuola, ma una parte, la più numerosa, si unì alle donne che dilagavano nelle strade cittadine. In quella vicenda noi perdemmo un bravissimo compagno di 19 anni, Marcello Bigliardi, portato alla caserma Muti, seviziato e ucciso nella giornata stessa. […] Il Fronte della Gioventù, come già detto, doveva essere aperto a rapporti provenienti da varie parti, ma noi, che lo avevamo fondato, ne eravamo anche gelosi e restii a dare troppo spazio a chi intendeva entrare e insediarsi in posti di comando quando l'organizzazione si era già consolidata. Noi eravamo in quel periodo in contatto con Giuseppe Dossetti, che era a Cavriago. I democristiani, quando videro che il Fronte della Gioventù aveva una sua organizzazione, le cui iniziative venivano propagandate in manifesti, che riusciva persino a pubblicare un giornalino, “Riscossa giovanile”, che il PCI, attraverso il Fronte della Gioventù, si metteva in collegamento con i giovani, chiesero di entrarvi. Gli facemmo questo discorso però: “Ah no, è comoda, dovete partire dalla gavetta, non potete avere diritto di rappresentanza negli organismi, sia pure clandestini, di direzione del movimento, perché voi, eh!, siete arrivati ultimi”. Ma i democristiani non accettarono. […] l'entrata di giovani democristiani nel Fronte della Gioventù andò avanti per un po' di tempo, ma non si risolse senza traumi. Non è che abbiamo avuto un segno tangibile del loro impegno, ma il loro ingresso segnò la legittimazione, diciamo così, di un'altra forza politica. Infatti la loro presenza ebbe effetti molto positivi per il movimento clandestino perché determinò il riconoscimento, alla fine di ottobre del 1944, del Fronte della Gioventù da parte del CLNP (Comitato di liberazione nazionale provinciale)»; E. Grappi, La mia vita nel Novecento, a cura di G. Bertani, Corsiero editore, Reggio Emilia 2016, pp. 36-39.
164 Noi giovani, 15 maggio 1944, citato in P. De Lazzari, Storia del Fronte della Gioventù, cit., p. 60.
165 Firmatari i Gruppi giovanili DC, La Federazione giovanile comunista e quella socialista, il Movimento giovanile del Partito democratico del lavoro e quello dei Cattolici comunisti, l'Unione goliardica per la libertà, la Federazione giovanile del Partito d'azione; cfr. G. Staffa, Il Movimento Giovanile Democristiano (1943-1948), cit., p. 41.
166 G. Andreotti, Uno stato di giovani, in «Il Popolo», 25 novembre 1944.
167 C. Brizzolari, La rinascita della Dc in Liguria, cit., p. 402.
168 B. Zaccagnini, La partecipazione dei cattolici al C.L.N., in AA.VV., Cattolici nella Resistenza ravennate, Edizioni del Centro studi «Giuseppe Donati», Ravenna 1975, p. 45.
169 Un o.d.g. sul Fronte della Gioventù, 18 dicembre 1944, in «La Punta», 1 gennaio 1945.
170 M. Lazar, La strategia del Pcf e del Pci dal 1944 al 1947: acquisizioni della ricerca e problemi irrisolti, in E. Aga-Rossi, G. Quagliariello (a cura di), L'altra faccia della luna. I rapporti tra PCI, PCF e Unione Sovietica, Il Mulino, Bologna 1997, p. 89.
171 G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Italia (1945-1956), in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa, cit., p. 37.
172 Sostiene Trivelli che «l'iniziativa che portò all'indebolimento e poi alla scomparsa del F.d.G. non fu qualcosa che promanasse dai giovani e nemmeno, essenzialmente, dai movimenti giovanili, ma da determinati partiti, soprattutto dal Partito liberale e dal Partito democristiano»; cfr. R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 118. In realtà il Fronte della Gioventù non ottenne mai risultati significativi sul piano strettamente organizzativo, attirandosi le critiche di esponenti qualificati del Partito comunista, che già nel 1947 ritenevano il Fronte un esperimento sostanzialmente fallito; cfr. G. Marimpietri, La federazione giovanile comunista: strutture organizzative e cambiamenti statutari nel periodo 1949-1956, in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa, cit., p. 232.
173 Il Pci sostenne in proprio quasi integralmente lo sforzo di tenere in vita le organizzazioni unitarie. E, d'altro canto, vi sono documenti eloquenti che attestano la volontà politica di esercitare l'egemonia e il controllo su di esse. A tal proposito, va anche tenuto presente che i giovani iscritti al Pci ebbero il preciso obbligo di militare nelle organizzazioni unitarie di massa e che, nello stesso tempo, essi furono inquadrati in una struttura parallela interna che aderì perfettamente alla struttura del partito. Questo sdoppiamento della struttura trovò un momento di raccordo solo dopo le elezioni del 1948 quando, persa la partita per una conquista del potere in tempi brevi, il partito dovette modificare la sua struttura, adattandola ad una strategia di lungo periodo che sarebbe passata per una fase di opposizione che si prospettava di non breve durata. Questa esigenza spinse a chiudere il capitolo degli organismi unitari e a ricostituire, nel 1949, la Federazione giovanile comunista italiana. Non si trattò di un nuovo inizio, bensì di un cambiamento di strategia che, in ogni caso, restò modellata sulle esigenze della politica generale del partito. Una ammissione, in tal senso, proviene dalla già citata ricostruzione di Trivelli, che rievocando la rifondazione della Fgci, così scriveva: «Se un inizio, per questo dopoguerra, può essere da noi considerato l'aprile del 1949, anno in cui si ricostituì la Federazione giovanile comunista italiana, questo non sarebbe che un inizio del tutto particolare e circoscritto, e anche non del tutto comprensibile ove non si tenesse presente un più lontano passato, che, attraverso la costituzione del Fronte della gioventù, ridiscende, giù giù, verso l'atto del 1921»; cfr; R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 117. Questa compenetrazione tra federazione giovanile e partito può rilevarsi per tutto il periodo qui preso in considerazione, che per la Fgci coincise con la permanenza di Enrico Berlinguer alla guida dell'organizzazione. D'altro canto, la comparazione con le altre esperienze giovanili aiuta a chiarire che tale natura eterodiretta della Fgci, che presuppone «una intima unità ideale e politica con il Partito», rappresentò un motivo di originalità nel panorama delle organizzazioni giovanili di partito del secondo dopoguerra. In questi anni, infatti, la Fgci non fu né un gruppo di pressione generazionale, né tanto meno uno strumento di lotta interna fra correnti. La sua storia, piuttosto, fu quella di un organismo pronto a modellarsi e a ridefinirsi secondo le esigenze strategiche fissate da entità superiori, sulla base della condivisione di una sostanziale alterità nei riguardi del sistema e delle regole della liberaldemocrazia; cfr. G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Italia, cit., pp. 39-40. Sulla nascita della Fgci mi permetto di rinviare anche ad A. Montanari, Reggio Emilia, 22 maggio 1949. Il popolo comunista: la rinascita della Fgci in Emilia Romagna, in L. Capitani (a cura di), Emilia Rossa. Immagini, voci, memorie dalla storia del Pci in Emilia Romagna (1946-1991), Vittoria Maselli, Reggio Emilia 2012, pp. 200-204.
174 «La Commissione ha per scopo principale la difesa degli interessi dei giovani lavoratori nelle controversie con i datori di lavoro a carattere nazionale; la tutela degli interessi giovanili nei sindacati, particolarmente durante la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro; la formazione di una cultura e coscienza sindacale nei giovani, e la propaganda perché la gioventù lavoratrice aderisca in massa ai sindacati della CGIL. […] Accanto ad ogni delegato provinciale dei Gruppi Giovanili […] dovrà esservi un altro giovane in qualità di incaricato provinciale per i problemi del lavoro. L'incaricato provinciale dirigerà e coordinerà tutto il lavoro organizzativo della provincia, mantenendosi in stretto contatto con l'Incaricato nazionale e con i locali dirigenti delle ACLI. Anche gli altri incaricati di zona e sezionali prenderanno contatto con le ACLI. […] I nostri incaricati dovranno aver cura che nei vari comitati che costituiranno non manchi la rappresentanza dell'elemento femminile, e perciò prenderanno opportuni accordi con i nostri gruppi femminili. Di vitale importanza è il promuovere corsi di sociologia cristiana per i lavoratori. […] I nostri incaricati […] cerchino almeno di non farsi rimorchiare da giovani di altri partiti»; ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, Circolare di Giulio Andreotti e Edmondo Albertini, 4 aprile 1945.
175 ADCRE, f.D2, b. “Movimento Giovanile D.C.”, Circolare di Giulio Andreotti, 26 marzo 1945.
176 C. Brizzolari, La rinascita della Dc in Liguria, cit., p. 403.
177 ADCRE, f.D2, b. “Movimento Giovanile D.C.”, Lettera di Ermanno Gorrieri, 29 aprile 1945.
178 Il problema del Fronte Unico Giovanile. Una dichiarazione dei gruppi Giovanili della Democrazia Cristiana, in «La Punta», 4 giugno 1945. Si veda la risposta che Davide Lajolo scrive su «l'Unità» 5 giorni dopo: «Qualcuno ha blaterato contro questa organizzazione, ha sofisticato. Strane accuse invero contro un organismo espresso dalla lotta e che proprio i giovani in libera scelta si sono costruito»; Ulisse, I giovani per un Governo democratico, in «l'Unità», 9 giugno 1945. Si noti anche che i dirigenti del Fronte avevano fin dal 1944-45 tentato di agganciare anche la dirigenza della Giac. Gedda e, dopo di lui, Carretto, avevano opposto un costante rifiuto, contestando l'ambizione del Fronte di porsi come organismo rappresentativo della gioventù italiana. Nel 1947-48 l'irrigidimento delle barriere politico-ideologiche indebolì, al pari della strategia di Togliatti, le aspirazioni del Fronte che, nei confronti della Giac, oscillò fra accattivanti riconoscimenti e ostilità a volte sprezzanti; così F. Piva, La gioventù cattolica in cammino. Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-54), Franco Angeli, Milano 2004, pp. 47-48.
179 P. Calzolari, Giovani comunisti parmensi dal Fronte della gioventù alla Federazione giovanile comunista (1943-1949), in F. Sicuri (a cura di), Comunisti a Parma. Atti del convegno tenutosi a Parma il 7 novembre 1981, STEP, Parma 1986, pp. 361-362.
180 Ivi, p. 362.
181 Ibidem.
182 ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, circolare di Giulio Andreotti, 4 giugno 1945. Andreotti aggiunge in tale circolare anche indicazioni riguardanti l'inizio della campagna per l'italianità di Trieste: «In ogni capoluogo di Provincia d'accordo con le altre organizzazioni religiose, sociali, politiche, culturali, sportive ecc. costituire comitati affermanti l'italianità di Trieste e l'integrità dei confini nazionali. Si istituiscano e si organizzino manifestazioni, comizi; si stampino volantini; si scrivano articoli sulla stampa locale; si votino odg nel senso desiderato. Tali manifestazioni potranno venire turbate, od almeno ostacolate da elementi di ben individuato indirizzo politico, ma questo non interrompa in alcun modo l'organizzazione di quanto sopra detto. Si agiti il problema, e lo si discuta dai nostri giovani, in ogni scuola, negozio, officina, ufficio».
183 Ibidem.
184 Ibidem.
185 Congresso della gioventù siciliana, in «La Punta», 24 settembre 1945.
Andrea Montanari, Il Movimento giovanile della Democrazia Cristiana da De Gasperi a Fanfani (1943-1955), Tesi di dottorato, Università degli studi di Parma, 2017