venerdì 8 aprile 2022

Negli anni tra le due guerre mondiali si verificò in Belgio un'importante ondata di emigrazione politica, costituita da italiani antifascisti


Il 1932 fu un anno cruciale per la storia sociale del Belgio, così come lo fu per il P.C.B. [Partito Comunista Belga], poiché la crisi economica e la politica deflazionistica del governo cattolico-liberale avevano portato alla miseria buona parte della classe operaia.
La Commissione sindacale del partito comunista del Belgio, si oppose al ricorso allo sciopero in un periodo di crisi. Tuttavia nel 1932 degli scioperi molto forti scoppiarono in tutto il bacino minerario e nel comparto metallurgico, contro la riduzione sistematica dei salari. Per due mesi scioperarono tra le 200 e le 240 mila persone, nonostante le brutali repressioni da parte del governo e l‟opposizione dei sindacati <50. L'ampiezza dei numeri e la coesione del movimento di scioperanti del 1932 furono assicurati dall‟intervento molto attivo dei militanti comunisti, nonché dalla “Centrale révolutionnaire des mineurs” (C.R.M.) e dal Soccorso Rosso Internazionale <51 (organizzazione appena creata dallo stesso P.C.B.). Queste azioni di massa portarono un gran beneficio al P.C.B in termini di nuove affiliazioni, che si moltiplicarono nel bacino industriale vallone. I suoi iscritti passarono da 120 a 290 nel Borinage, da 89 a 620 nella regione del Centro, da 111 a 481 a Charleroi e da 204 a 602 a Liegi. Tuttavia questa crescita fu solo numerica, non investì il piano organizzativo e il partito, negli anni che seguiro, non riescì ad espandersi realmente se non quel tanto che bastava per continuare una quotidiana tiratura del “Drapeau Rouge”.
A questo proposito, secondo un'inchiesta condotta dall'ungherese Andor Berei (delegato della segreteria del Kominter) tra la fine del 1934 e l'inizio del 1935, le battute d'arresto vissute dal P.C.B. “était d'ordre sociologique, sa base comptant un nombre très élevé de chômeurs sans espoir d'embauche <52”. La debolezza del partito era in parte compensata dalle qualità della sua élite, che nelle elezioni del 1932 vedeva nuovamente confermata la nomina alla camera dei deputati di Joseph Jacquemotte a Bruxelles, Julien Lahaut a Liegi e Henri Glineur a Charleroi.
Certamente bisogna inquadrare gli scioperi e le loro conseguenze politiche nel Belgio del 1932 in un quadro internazionale più ampio. Infatti, dopo l'ascesa al potere di Hitler nella Germania del 1933, la sinistra cercò di superare le divisioni interne e vennero fatti dei passi significati in questo senso. Un “patto di azione comune” venne concluso nell'agosto del 1934 tra la Jeunesse communiste e la Jeune Garde socialiste, nonostante le resistenze del Komintern. Il 1934 vide la sinistra francese riunirsi quasi spontaneamente nelle manifestazioni per sbarrare la strada ad un colpo di stato di estrema destra, fu questo il primo segno del passaggio politico nell'ambito socialista e comunista, dal concetto di “classe contro classe” (per semplificare della “borghesia socialista” contro il “proletariato comunista”) all'idea del Fronte Popolare. Anche il partito comunista belga, in occasione della conferenza di Charleroi dell'aprile 1935, decise di dare la precedenza alla lotta antifascista. In questa occasione, inoltre, si dimostrò molto critico con la politica adottata da Henri De Man e il suo Plan du Travail <53, alcune idee in realtà vennero ritenute interessanti, ma non vennero mai applicate, neanche quando De Man, nel 1936 divenne ministro. In quella conferenza inoltre Jacquemotte e Lahaut presero la direzione del partito, altro segno della volontà di modernizzazione politica del P.C.B.
Anche all'VIII congresso dell'Internazionale comunista venne sottolineata la necessità di un Fronte Comune per combattere gli effetti della crisi e i rischi insiti nel dilagare del nazi-fascismo in Europa. Il P.C.B, incoraggiato dall'ascesa del Fronte Popolare in Francia, nel 1936 si impegnò nelle grandi lotte sociali e in particolare nello sciopero generale, che a giugno mobilitò 400 mila lavoratori. Nelle elezioni di maggio furono evidenti i risultati positivi di tale impegno: vennero infatti eletti nove deputati e si registrò un forte aumento di voti soprattutto a Bruxelles (dove raggiunge il 12%) e in Vallonia (9,33%) <54.
Anche Jacquemotte fu favorevole alla politica del Fronte Comune, tanto che, con il beneplacito dell'Internazionale Comunista, scrisse sul “Drapeau Rouge” del 18 luglio 1936: “Nous proposons que le P.C. prenne place dans la grande famille des diverses organisations (...) qui forment le P.O.B. <55”. Sebbene quest'idea non verrà in effetti realizzata (tra l'altro Jacquemotte morì l'11 ottobre dello stesso anno), il suo impatto fu notevole e si inserì in un contesto in cui l'antifascismo militante si tradusse nell'invio in Spagna di 1800 volontari reclutati tra le fila del partito, incaricati di difendere la Repubblica dalle armate franchiste sostenute, invece, da Roma e Berlino.
Negli anni tra le due guerre mondiali si verificò in Belgio un'importante ondata di emigrazione politica, costituita da italiani antifascisti <56. Gli italiani in Belgio prima del 1914 erano tra i tre e i quattro mila, divennero 30 mila tra le due guerre, e trecento mila alla fine degli anni '70. L'esiguo numero della colonia italiana prima del 1914, impedì di manifestare una forte identità. Anche se vi furono alcune organizzazioni benefiche e qualche sporadico organo di stampa. Sotto l'influenza di notabili conservatori, queste organizzazioni benefiche, non furono visibilmente politicizzate secondo gli schemi tradizionali. Prima del 1914, non esistevano in Belgio partiti politici rappresentati in quanto tali. A maggior ragione non si può immaginare l'equivalente di ciò che, all'epoca, esisteva in Francia: sezioni locali di lingua italiana in seno alla S.F.I.O.
Gli operai italiani che lavoravano in Belgio nel XIX secolo erano piuttosto dispersi, quasi per niente sindacalizzati e politicizzati <57. Durante il periodo fascista, l'emigrazione politica ed economica erano in tale osmosi che è difficile studiarle separatamente.
La maggior parte degli emigrati italiani che ritroviamo in Belgio, tra le due guerre, aveva lasciato l'Italia approfittando della politica migratoria “liberale” dei primi anni del regime, tuttavia vi sono tra di loro un buon numero di emigrati clandestini, specie tra quelli politici. Sembra dunque che il massimo flusso di emigrati italiani verso il Belgio si sia avuto tra il 1920 e il 1939, tuttavia le cifre non possono essere esatte, in quanto l'immigrazione italiana in Belgio in questo periodo fu individuale e non contingentata come avvenne, invece, dopo la seconda guerra mondiale <58. L'antifascismo italiano in Belgio si presentò attraversato da profonde divisioni: dal P.C.I., ai piccoli gruppi di anarchici, ai bordighisti per le fazioni più a sinistra, dai socialisti, ai rappresentanti di “Giustizia e Libertà”, del liberalismo e del cattolicesimo popolare. In Belgio, sin dalla formazione dei primi nuclei di immigrati italiani, vi fu la presenza di anarchici che già alla fine del XIX secolo costituivano a Bruxelles un piccolo gruppo attivo, anarchici italiani trovarono posto, inoltre, tra i docenti dell'Université Nouvelle di Bruxelles. Nel periodo tra le due guerre gli anarchici italiani trovarono in Belgio una situazione non troppo favorevole alle loro idee. Tuttavia un gruppo di anarchici belgi era riuscito tra le due guerre a creare un punto di riferimento per i loro omologhi italiani. Dei numerosi italiani che transitarono per il Belgio, purtroppo in pochi sfuggirono all'espulsione.
Il gruppo dei bordighisti <59 era in Belgio numericamente esiguo, tuttavia ebbe una certa influenza sulla comunità italiana in Belgio per il prestigio morale del suo leader, la continuità della sua stampa e per l‟intransigenza e la coerenza delle sue prese di posizione.
I repubblicani con la loro emanazione e la Lega italiana dei Diritti dell'Uomo (L.I.D.U.), erano all'origine della Concentrazione antifascista <60, dove collaboravano con i socialisti e intrattenevano relazioni con i repubblicani spagnoli. Dopo la presa del potere da parte del fascismo, l'ideale repubblicano era in continua ascesa, ma il partito repubblicano non conobbe altrettanto successo. Anche se in esilio non si era strutturato in partito, tuttavia benificiava dell'apppoggio di personalità normalmente schierate nel liberalismo. A Bruxelles i repubblicani erano dapprima presenti attraverso la L.I.D.U. e solo nel 1938 costituirono un gruppo chiamato “Giovine Italia”, legato a quello di Parigi, ma contava appena 15 iscritti. Alla Liberazione il partito repubblicano a Bruxelles incontrò invece molto successo sotto la spinta di Pietro Liuti, che rappresentò i repubblicani in seno alla Coalizione antifascista.
In Belgio i socialisti rappresentavano un gruppo ristretto, concentrato essenzialmente a Bruxelles. I comunisti italiani invece, controllavano le zone minerarie e industriali del nord e dell'est francese e i bacini minerari belgi. Fino alla svolta politica del Fronte unico, i due rivali si lanciarono in violente battaglie verbali. Invece di predicare l'unione contro il pericolo fascista, i socialisti ingaggiavano una lotta personale contro fascisti e comunisti. Lo stesso avevano fatto i comunisti nei confronti dei socialisti <61. Non essendoci, al contrario della compagine comunista, dei giornali socialisti in Belgio, il conflitto tra socialisti e comunisti può essere documentato solo attraverso la polemica anti socialista della stampa ispirata dal P.C.I. I comunisti italiani rimproveravano ai socialisti di essere i veri colpevoli dell'arrivo al potere del fascismo, li consideravano dei controrivoluzionari. Inoltre la Concentrazione antifascista, di cui i socialisti erano parte, cercava di porsi al di sopra delle parti, mentre per i comunisti la lotta antifascista era lotta di classe. Secondo i comunisti quindi, vi erano due tipi di antifascismo: quello proletario e quello borghese <62. I comunisti collaboravano con i socialisti solo in particolari occasioni come la difesa delle vittime dei tribunali speciali.
L'antifascismo italiano appariva, durante il primo decennio fascista, diviso in tanti gruppi impermeabili, legati a tradizioni politiche diverse. Nel 1928 i comunisti cominciarono a lanciare appelli alla collaborazione, ma tentavano sempre di controllare tutte le organizzazioni antifasciste alle quali partecipano. Solo a partire dal 1933 vi furono dei contatti tra le differenti componenti antifasciste italiane in Belgio. Ad esempio “femminile pro pace” riuniva delle donne italiane che si occupavano del Soccorso rosso internazionale, ed era costituito per la maggior parte da comuniste centriste, ma anche da bordighiste <63. Le differenti tendenze dell‟antifascismo convergono soprattutto in seno alla L.I.D.U. La sezione di Bruxelles era stata creata nel 1933 da Francesco Nitti, dal conte Sforza e da Arturo Labriola. Il suo scopo era quello di arginare l'ondata di espulsioni che colpiva gli emigrati politici e di migliorare le precarie condizioni degli italiani esiliati in Belgio.
L'inizio dell'unità in seno all'antifascismo fu segnato dal Congresso degli italiani contro la guerra d'Africa tenutosi a Bruxelles il 12 e 13 ottobre 1935. Quattrocento delegati di ogni appartenenza politica proposero un programma unitario: la “piattaforma di Bruxelles” <64, che portò alla costituzione di un fronte unico antifascista soprattutto attraverso l'alleanza dei due gruppi principali dell'emigrazione italiana, socialisti e comunisti. I socialisti belgi, opposti a qualsiasi forma di collaborazione con i comunisti, cercavano di frenare il progetto dei socialisti italiani, ma il fronte unico resistette e nel 1936 divenne l'Unione popolare italiana, un'organizzazione social-comunista che resterà attiva sino al 1939.
La federazione belga del P.S.I., era in gran parte costituita dalla sezione di Bruxelles. Alla sua origine si situano Saverio Ronconi, Luigi Lazzarelli e Arturo Labriola. Sebbene le vicissitudini di quest'ultimo fossero estremamente controverse, Labriola fu sicuramente uno dei più celebri socialisti rifugiati a Bruxelles. Tuttavia il gruppo dirigente italiano finì con lo stabilirsi in Francia e da lì stabilì i suoi rapporti con gli altri socialisti emigrati. La federazione belga, benché strettamente legata al P.O.B., visse all'ombra del gruppo parigino.
Vandervelde aveva avuto numerosi contatti con molti dirigenti della sinistra italiana e aveva una certa influenza nell'ambito dei socialisti italiani. Anche in veste di ministro non rinnegò mai le sue simpatie per gli esiliati antifascisti italiani e questo gli provocherà molte proteste da parte della destra. Numerose altre personalità belghe erano amiche di esiliati italiani antifascisti e cercavano di far conoscere all'opinione pubblica il problema degli emigrati politici italiani. Anche il P.O.B. prese una posizione ufficiale nei confronti dei gruppi socialisti, ricordando attraverso le pagine di “Le peuple” i doveri di belgi e italiani nei confronti del movimento operaio e invitando gli italiani ad iscriversi ai sindacati e al partito socialista belga <65. Tuttavia gli italiani rimproveravano ai socialisti belgi che il loro sostegno era solo aleatorio, persino nel caso delle espulsioni. Ad esempio Lazzarelli in una lettera privata del 1935 <66 si lamentò dell'immobilismo del P.O.B. dinnanzi ai problemi degli esuli italiani e lui stesso, benché fosse il segretario del P.S.I. verrà espulso. I socialisti belgi non si interessavano alla manodopera straniera e ritenevano superflua la presenza di un rappresentante sindacale italiano permanente.
Tra le due guerre i comunisti italiani in Belgio dovevano svolgere le loro attività nella più totale clandestinità, poiché farsi riconoscere come comunisti, comportava l'espulsione immediata. Malgrado tutte le difficoltà comportate dalla clandestinità, i gruppi del P.C.I. permasero in Belgio sino alla guerra e, durante la guerra stessa, sostennero la resistenza belga. L'esistenza dei gruppi comunisti italiani in Belgio fu legata al fenomeno dell'emigrazione e dell'antifascismo <67. I bacini minerari belgi attiravano molta manodopera desiderosa di un lavoro, ma nel caso degli italiani spesso si trattava di antifascisti che avevano lasciato l'Italia per motivi politici e che tentavano di ricostituire in esilio le strutture dei partiti ai quali appartenevano. Già nel 1923 dei comunisti italiani avevano scritto alla Centrale del P.C.I. di Parigi affinché inviasse loro un dirigente. Venne inviato Ettore Quagliarini che costituì i primi gruppi nella regione di Charleroi e ottenne un inserto italiano all'interno del “Drapeau Rouge”, il quotidiano del P.C.B.
Il partito comunista belga a quell'epoca non era in grado di offrire molto supporto. La situazione non migliorò neppure quando i due gruppi fondamentali che componevano il partito (i centristi di Jacquemotte e l'area di sinistra di Van Overstraeten) si unirono su decisione del Komintern tra il 1921 e il 1928 <68. Tuttavia il “Drapeau Rouge” ebbe un ruolo essenziale per mettere in contatto i comunisti italiani; ogni sabato una pagina era consacrata agli italiani; si trattava di un foglio chiamato inizialmente “Tribuna italiana” e poi “Bandiera rossa”. Attraverso questa rubrica i comunisti italiani riuscivno a tenersi in contatto ed esprimersi. Da questi contatti nacquero i primi gruppi comunisti di lingua italiani e la L.I.A.B., che era di ispirazione comunista ma era aperta a tutti gli emigrati antifascisti. Fin dai primi mesi della loro esistenza le leghe tentarono di estendere la loro azione ai belgi in funzione antifascista, di diffondere in francese le informazioni sulla situazione italiana, di creare delle sezioni femminili per far avvicinare le donne all'antifascismo. L'azione della L.I.A.B. era molteplice: faceva propaganda per la sindacalizzazione degli immigrati all'interno della commissione sindacale belga, per il rispetto dei diritti d'asilo degli esiliati antifascisti, distribuiva volantini in italiano e in francese. La L.I.A.B. venne sciolta nel 1926 e divenne l'Unione popolare italiana, nata dalla nuova politica dell'Internazionale di collaborazione con i socialisti. Il P.C.B. cercava di sensibilizzare i belgi alle problematiche degli stranieri, poiché i sindacati socialisti conducevano una politica protezionistica e gli emigranti si trovavano totalmente isolati. Con il congresso del 1929 venne ristrutturato il M.O.E. (organismo per la mano d'opera straniera), allo scopo di integrare i militanti stranieri nei lavori del partito, sebbene non sempre raggiungesse i risultati sperati.
Il P.C.B. accusava talvolta i comunisti italiani di gravi negligenze nel controllo della fedeltà dei suoi iscritti (spesso a causa degli agenti fascisti infiltrati) <69, il P.C.I. rimproverava ai belgi di non fornire tutto l'aiuto necessario, di non avergli consentito di partecipare attivamente all'interno del partito. Ma al di là di queste divergenze, tra il 1925 e il 1940, i deputati comunisti belgi non mancarono di difendere in Parlamento i compagni italiani. Jacquemotte, Van Overstraeten, Lahaute, Blume presentarono diverse interpellanze sulle espulsioni e sui metodi di delazione impiegati dalle autorità consolari italiane. Tra le due guerre mondiali la sindacalizzazione degli italiani in Belgio fu alquanto scarsa sia a causa delle espulsioni dei sindacalisti stranieri, che del protezionismo dei socialisti belgi, i quali non si impegnavano per integrare nelle loro strutture gli immigrati e difenderne le rivendicazioni. Inoltre i contrasti tra socialisti, comunisti e anarchici, impedisce agli italiani di aderire in massa ai sindacati socialisti belgi, poiché questi praticavano l'ostracismo nei confronti degli estremisti, soprattutto se stranieri. Con il Fronte popolare si avrà una tendenza al raggruppamento anche dei differenti sindacati italiani in esilio. Nacque una nuova “Alleanza del Lavoro” (la prima era fallita nel 1922 nel tentativo di riunire tutti i sindacati antifascisti). Nel 1936 Bruno Buozzi (sindacalista riformista) co-presiedette con un comunista l'Unione popolare italiana.
In generale gli antifascisti italiani, socialisti compresi, accusavano i sindacalisti socialisti belgi di avere creato diffidenza e rancore verso lo straniero in genere e in particolare verso gli italiani <70.
I sindacalisti belgi accusavano gli stranieri che ogni sforzo da loro intrapreso era vano perché loro sono ostili alla sindacalizzazione. Secondo la stampa comunista italiana si trattava di una precisa strategia socialista. Gli stranieri abbandonati dai sindacati furono costretti ad interrompere gli scioperi, ad accettare paghe più basse e aumenti continui degli affitti attirandosi l'antipatia degli operai belgi <71. Di certo gli italiani pagavano le stesse quote sindacali degli altri aderenti e non avevano diritto ad indennità di disoccupazione o sciopero <72. In ogni caso a determinare la mancanza di sindacalizzazione di massa dell'emigrazione italiana fu l'estromissione da parte dei socialisti belgi dei comunisti italiani che rappresentavano tra le due guerre mondiali, una parte cospicua dei lavoratori italiani in Belgio. Malgrado le difficoltà di integrazione e le diversità di trattamento, gli operai italiani si dimostrarono solidali con i loro compagni di lavoro durante i movimenti di rivendicazione e durante gli scioperi, facendo fronte unico con i lavoratori belgi.
[NOTE]
50 Witte Els, Craeybeckx Jan, La Belgique politique de 1830 à nos jours, Edition Labor, Bruxelles, 1987
51 Gotovitch José, Du communisme et des communistes en Belgique: approches critiques, Editions Aden, Bruxelles, 2012 52 Gotovitch José. Histoire du Parti communiste de Belgique, CRISP, Bruxelles, 1997, pag. 11
52 Gotovitch José. Histoire du Parti communiste de Belgique, CRISP, Bruxelles, 1997, pag. 11
53 Gotovitch José, Du communisme et des communistes en Belgique: approches critiques, Editions Aden, Bruxelles, 2012
54 Gotovitch José. Histoire du Parti communiste de Belgique, CRISP, Bruxelles, 1997, pag. 15 55 Duchâteau Augusti,. Une grande figure du mouvement ouvrier belge : Joseph Jacquemotte : articles et interpellations parlementaires, 1912-1936. Ed. Parti communiste de Belgique, Bruxelles 1961, pag. 237
56 Il Belgio aveva già conosciuto durante tutto il corso del XIX secolo un'importante ondata di esuli del Risorgimento. L‟emigrazione italiana in Belgio tra il 1922 e il 1940 non può essere studiata senza considerare la sua antecedente in epoca risorgimentale, anche se , numericamente, la sua importanza non può essere paragonata a quella dei periodi precedenti. Si possono stabilire numerosi parallelismi tra l'emigrazione politica italiana del Risorgimento e quella tra le due guerre. In entrambi i secoli siamo in presenza di “attivisti” che sognano la vendetta, e che a volte, la preparano in Belgio. In entrambi i casi gli esuli erano divisi in due schieramenti rivali. Gli esiliati italiani del XIX secolo come nel XX, sono sostenuti in Belgio dai progressisti della loro epoca. Il sodalizio tra socialisti italiani e belgi, che si manifesta particolarmente tra le due guerre, era nato nel XIX secolo. Purtroppo il soggiorno di questi socialisti italiani in Belgio non aveva lasciato traccia di alcuna struttura organizzativa. Tuttavia per gli emigranti politici del XX secolo, il modello storico di riferimento è l‟esilio degli italiani del Risorgimento. Costoro sono figure gloriose della storia italiana, e gli emigranti antifascisti vogliono esserne i discendenti spirituali. Rivendicano il nome di “esule” che in Italia è sinonimo di gloria. I fascisti al contrario, rifiutano loro questo titolo onorifico inventando una nuova parola per designare la loro condizione di esiliati antifascisti: fuoriusciti. Morelli Anne, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Bonacci editore, Roma, 1987.
57 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in Bezza B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983.
58 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in Bezza B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983
59 Verso la fine della prima guerra mondiale era comparsa in seno al PSI. la corrente degli astensionisti con a capo Amedeo Bordiga e la federazione di Napoli che si rifiutava di partecipare all'attività parlamentare. Nel 1921 questa frazione astensionista si separa dal PSI e fonda il PCI assieme al gruppo di Gramsci e di “Ordine Nuovo” di Torino. Le Tesi di Roma che il PCI adottò nel 1922, costituivano una gran parte delle tendenze di sinistra rappresentate da Bordiga. Al terzo e quarto congresso del Komintern, il P.C.I., si oppose alle direttive centriste dell‟internazionale comunista, che tuttavia gli vennero imposte. La conseguenza fu che nel 1926 la corrente a sinistra del PCI in esilio, si riunì proponendo un documento-programma dal titolo “Piattaforma della sinistra” che, con le “tesi di Roma”, costituì la base teorica per la costituzione ufficiale della frazione italiana di sinistra della frazione di Pantin del 1928. I suoi membri vennero esclusi dal PCI. Nel 1930 aderirono all'opposizione di Trotsky, ma le divergenze apparvero immediatamente troppo profonde.
60 Socialisti, repubblicani e Cgl si rifugiano tra il 1925 e il 1927 all'estero e prevalentemente in Francia, da dove ricostituiscono i loro organi dirigenti. Questi gruppi nel 1927 di federano in un'organizzazione unitaria, la “concentrazione antifascista”, che svolge un'azione importante a livello di testimonianza e propaganda, mantenendo i contatti con l'emigrazione di lavoro in Francia, facendo sentire la voce dell'Italia antifascista nelle organizzazioni internazionali, stampando giornali, ect. I comunisti rimangono invece polemici nei confronti della concentrazione, sebbene anch'essi emigranti, preferiscono rimanere isolati.
61 Morelli Anne, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Bonacci editore, Roma, 1987.
62 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in BEZZA B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983.
63 Morelli Anne, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Bonacci editore, Roma, 1987. 64 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in Bezza B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983...
65 Morelli Anne, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Bonacci editore, Roma, 1987. 66 Morelli Anne, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Bonacci editore, Roma, 1987. 66 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in Bezza B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983...
67 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in Bezza B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983...
68 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in Bezza B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983...
69 Morelli Anne, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Bonacci editore, Roma, 1987.
70 Morelli Anne, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Bonacci editore, Roma, 1987.
71 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in Bezza B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983. 72 Morelli Anne, Le mouvement ouvrier belge et l’émigration italienne, du début du 20ème siècle à 1940 in Bezza B., (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione. Franco Angeli, Milano, 1983.
Elisa Ganci, Comunisti e socialdemocratici a confronto. L'emigrazione italiana in Belgio (1946-1969), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Catania, Anno accademico 2011/2012

Operava infatti a Parigi, con relazioni in tutta la Francia, in Svizzera e in Belgio, un Ufficio estero [n.d.r.: del Pd'I, il partito comunista italiano] con la funzione di dirigere l’azione organizzativa del partito, in particolare verso una penetrazione in Italia. L’ultimo Congresso, il quarto, si era tenuto in clandestinità tra Colonia e Düsseldorf nell’aprile 1931, Gramsci era morto nel ‘37 e i quadri del partito erano sparsi tra le carceri, il confino e le vie dell’emigrazione. I motivi per cui la Francia divenne di fatti la sede dell’emigrazione politica italiana sono vari, e di diversa natura: geografica in primo luogo, vista la posizione rispetto alla penisola si potevano infatti mantenere meglio le relazioni con l’interno, tenendosi pronti all’eventuale passaggio. Simbolica e politica, in secondo luogo, poiché la Francia restava la patria della rivoluzione e vi erano garantite le libertà democratiche. Infine, vi era una ragione di carattere sociale: dopo la prima guerra mondiale si erano orientati verso la Francia un gran numero di italiani, mossi dalle devastazioni arrecate dal conflitto e dalla richiesta di manodopera, dovuta al gran numero di caduti in trincea. In seguito alla restrizione delle norme sull’immigrazione negli Stati Uniti e agevolati dalla vicinanza, molti italiani si erano quindi trasferiti in Francia per lavorare, installandosi principalmente nella regione mediterranea e in quella parigina.
Elisa Pareo, "Oggi in Francia, domani in Italia!" Il terrorismo urbano e il PCd'I dall'esilio alla Resistenza, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2019

Alcuni di questi sono dei veri militanti del PCd'I costretti a scappare da una paese all'altro perchè braccati dalla polizia dei vari paesi e oggetto più volte di mandati di espulsione. Come ad esempio, Vilhar Stanislao, originario di Gorizia, tra 'i più accesi esponenti del partito giovanile comunista' emigrato clandestinamente nel 1929 per sfuggire ad un processo dove era stato chiamato a testimoniare riguardo ad un omicidio a sfondo politico. Si rifugiò prima in Jugoslavia, dove a causa della propaganda sovversiva, venne arrestato insieme a suo fratello Felice Vilhar, per propaganda comunista. Scontò 4 mesi di carcere a Lubiana, poi venne espulso e accompagnato alla frontiera con l'Austria, dove rimase per qualche mese a spese del Soccorso Rosso. In seguito passò in Belgio dove svolse attiva propaganda per il partito comunista italiano. A Bruxelles venne arrestato insieme ad altri comunisti, quali Dino Scapini, Marco Sfiligoi, Augusto Felician, Nunzio Marinangeli, durante una riunione della cellula di Bruxelles 'indetta per preparare una manifestazione di protesta contro la celebrazione dell'XI anniversario della marcia su Roma'. Durante la perquisizione nella stanza d'albergo dove alloggiava il Vilhar a Bruxelles, venne rinvenuto 'importante materiale comunista' <122 che gli valse l'accusa di essere 'il capo dei comunisti in Belgio, o per lo meno, l’individuo che aveva in consegna tutti i documenti riferentisi al movimento comunista italiano nel Belgio'. Da qui arrivò a Parigi dove visse clandestinamente per circa 6 anni.
122 Circolari, schede di sottoscrizione, a favore di organismi comunisti, lettere di comunisti, indirizzi di compagni, corrispondenze per l’ex 'Riscatto', situazione finanziaria dell’ex 'Riscatto', del S.R.I. e dei patronati, tessere, in ACS, CPC, fascicolo Stanislao Vilhar, b. 5418.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013