venerdì 18 febbraio 2022

Balla non era Pellizza

Fig. 33. Oreste Bertieri, Ritratto fotografico di Signora, 1900, carta alla gelatina ai sali d’argento, cm. 18×10, Torino, Archivio dell’Associazione per la Fotografia Storica. Immagine qui ripresa da Stefano Picceni, Op. cit. infra

Nei libri di storia dell’arte e in alcuni studi di carattere più scientifico troppo spesso il capitolo del divisionismo è chiuso bruscamente all’apertura di quello sul futurismo con una cesura netta quasi che le correnti non fossero state consequenziali <254.
In altri casi, specialmente recenti, sia nei cataloghi delle mostre che in approfondimenti sui singoli artisti, partendo dalla citazione “…Non può sussistere pittura senza divisionismo…” il divisionismo viene eccessivamente elevato a padre generatore del futurismo come se la sola applicazione di colori puri a piccoli tocchi fosse stata la causa scatenante e unica possibile fonte di creazione del movimento d’avanguardia <255.
I futuristi sono definiti divisionisti quando i firmatari stessi del Manifesto tecnico avevano chiarito cosa pensavano e cosa dovevano al divisionismo <256.
È pur vero, come evidenziato in recenti rassegne che il futurismo, nonostante i proclami di movimento di rottura affonda le radici nell’utilizzo pratico della pittura di fine Ottocento o del solo divisionismo così come già attestavano appunto i futuristi stessi <257.
Segantini e Previati venivano indicati nel Manifesto come maestri. Di Morbelli erano conosciuti gli esperimenti sui pigmenti <258. Il substrato di partenza dei due, chiamati inesattamente ma per comodità “movimenti” è simile ma li separano i cambiamenti economico-sociali del volgere del secolo, la nuova concezione della vita e la vocazione artistica.
Nella pittura futurista la scomposizione della luce è pari a quella della forma per la rappresentazione del movimento, attitudine che la pittura divisionista non ha mai perseguito.
È eccessivo equiparare opere accomunate solo dall’uso del colore diviso in anni in cui il divisionismo era mutato o superato da altre esperienze, per esempio da alcune evoluzioni del Novecento italiano dove la pittura divisa solidifica plasticamente la luce anziché dinamizzarla e scomporla <259. L’eterogeneità costitutiva del divisionismo non aveva mai assunto la compattezza teorica del movimento programmatico e ha avuto diverse fasi di diffusione e ricezione.
Considerata la sterminata letteratura sul futurismo, non sempre di adeguato spessore scientifico, si è privilegiato in questa ricerca un approccio analitico alle opere create negli anni di coesistenza dei due movimenti, soprattutto quelle dell’artista che più frequentemente dà adito a incomprensioni: Giacomo Balla, (Torino, 18 luglio 1871 - Roma, 1 marzo 1958). Motivi anagrafici e una folta produzione sulla falsa riga divisionista negli anni della fase giovanile collocano l’artista a pieno diritto tra i maggiori protagonisti del divisionismo, nella maturità del fenomeno e con delle specifiche particolarità.
Tra 1897 e 1910, anno della sua adesione al futurismo, con contaminazioni di tecnica fino al 1912, si dipana la vicenda prefuturista di Balla; emblema di una generazione che aveva individuato nel divisionismo la possibilità di liberarsi dalle convenzioni accademiche.
In una quantità innumerevole di scritti è raccontata la stagione divisionista di Balla in solitaria a Roma con le opere che l’hanno caratterizzata, in primis Sole di marzo, 1897, Alberi e siepe a Villa Borghese, 1905, Nel prato, 1906 (fig. 32); gli insegnamenti tecnici forniti a Boccioni e Severini e, da quegli insegnamenti, la conseguente nascita del futurismo dalla tecnica pittorica balliana, così moderna e personale. Non viene sottolineato che tale tecnica è appunto troppo personale per essere ascritta a quella degli altri divisionisti e che i dipinti, quelli pre-1907, nascevano entro un’ottica e da sensazioni molto diverse, Balla non era Pellizza.
Giacomo Balla nasce a Torino nel 1871 e già da adolescente dimostra una forte predilezione per l’arte e anche per la musica, avvicinandosi allo studio del violino. Nel frattempo il padre, chimico industriale e dilettante fotografo, gli trasmette la passione e i rudimenti della fotografia.
Dopo gli studi superiori nel 1890 frequenta per pochi mesi l’Accademia Albertina dove studia prospettiva, anatomia e composizione geometrica con Giacomo Grosso, in quel substrato culturale sabaudo che stava disincantando altri artisti animati dalla modernità come Olivero <260.
Successivamente lavora come assistente nell’importante studio di ritratti fotografici dell’ex compagno di studi Oreste Bertieri (fig. 33), presso il quale ha la possibilità di conoscere personaggi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia torinese e artisti, tra i quali Giuseppe Pellizza con cui avrà episodiche opportunità di confronto.
L’influenza esercitata da Pellizza su Balla c’è stata nel senso dell’apertura alla lezione divisionista per la pennellata, e alla doppia polarità di misticismo della natura e naturalità del lavoro per i contenuti.
Il socialismo umanitario di Pellizza proseguirà nella pittura di Balla per un po’ di tempo dopo il trasferimento di quest’ultimo a Roma nel 1895, per sua volontà e per suo personale sentire ma le convergenze tra i due artisti si concluderanno lì, i tentativi di fare apparire Balla una “creatura” di Pellizza <261 devono essere sottodimensionati in quanto la condivisione tra i due è stata davvero minima <262.
L’osservazione della pittura postimpressionsita lo conferma nella sua ricerca del colore.
Nel 1900, infatti, Balla è a Parigi per visitare l’Exposition Universelle. Qui è ospite di Serafino Macchiati, pittore e illustratore marchigiano già da due anni trasferitosi in Francia e residente a Fontenay-sous-bois, nei dintorni di Parigi. Nei sette mesi parigini Balla realizza presumibilmente l’opera Paesaggio, tra le poche che documentano quel periodo, in sintonia con suggestioni pellizziane, ma soprattutto con le parallele ricerche di Macchiati, il quale da parte sua, esplora temi di tipo postimpressionista, evidenti nel suo Frescura o Sotto il pergolato del 1901. Balla crea un divisionismo antisistematico che gli è utile nella ricerca della luminosità atmosferica, caratterizzato fin da subito da una pennellata veloce e libera, obliqua e dalla semplificazione compositiva, dove le forme vibrano entro la tensione interna del dipinto <263.
Nelle opere eseguite da Balla tra 1900 e 1901 si respira già una modernità ben diversa da quella degli artisti della sua stessa generazione per il senso di mobilità e novità nei soggetti anche quando apparentemente assenti, caratteristica che manca a tutta la pittura dell’Ottocento e che sarà emblematica in Fallimento del 1902; “Balla osservava la realtà urbana, i luoghi, le persone e vedeva il soggetto dove altri vedevano nulla!” scriverà Boccioni <264.
Alla Biennale di Venezia del 1903 espone solamente un Ritratto che però gli vale la menzione della critica di Pica: “Dei giovani meritano una lode sentita, oltre al ritrattista Balla, che a dire il vero può oggidì considerarsi, dopo la lunga permanenza nella Capitale del Regno, più romano che torinese…” <265
Nel primo lustro romano, caratterizzato da poche vendite e scarsa attenzione critica, Balla si interessa a soggetti intrisi di socialismo umanitario mostrando una decisa attenzione nei confronti degli emarginati e degli oppressi, studia gli alienati, sia in senso mentale che come discriminati da una società solo all’apparenza spensierata e, memore delle lezioni di psichiatria e antropologia criminale di Cesare Lombroso che aveva seguito a Torino, realizza tra 1902 e 1905 il Polittico dei viventi, quattro dei quindici pannelli progettati: Il contadino, La pazza, I malati e Il mendicante, l’apice del suo peculiare divisionismo per tecnica e contenuti <266. Il polittico sarà esposto al completo solo più tardi, nel 1909 agli “Amatori e Cultori” di Roma e al Salon d’Automne di Parigi <267.
Per ragioni economiche fin dal 1901 aveva iniziato altresì ad assecondare il gusto dei compratori con piccole tele di paesaggio <268 ma soprattutto a dedicarsi autonomamente all’insegnamento di quel suo particolare linguaggio pittorico autonomamente elaborato.
Assidui frequentatori dell’atelier romano di Porta Pinciana erano giovani studenti insoddisfatti dell’Accademia e ansiosi di modernità che vedevano in Balla l’avanguardia della capitale: Umberto Boccioni e Gino Severini.
 

Fig. 32. Giacomo Balla, Nel prato, 1906, olio su tela, cm. 55×145, Collezione privata. Immagine qui ripresa da Stefano Picceni, Op. cit. infra

[NOTE]
254 F. Tedeschi, Il Futurismo nelle arti figurative (dalle origini divisioniste al 1916), Pubblicazioni dell’Università Cattolica, Milano 1995, pp. 35-36. AA.VV. Rivoluzione: Italienische Moderne von Segantini bis Balla, catalogo della mostra (Zurigo, Kunsthaus, 28 settembre 2008 - 11 gennaio 2009), Verlag Hatje Cantz, Zurigo 2008.
255 Divisionismo: un passaporto per il futurismo, in G.L. Marini (a cura di), “I divisionisti piemontesi da Pellizza a Balla”, catalogo della mostra (Aosta, Museo Archeologico Regionale, 14 agosto - 26 ottobre 2003), Silvana, Cinisello B. 2003, pp. 89-97.
256 “Questo naturalmente ci porta a concludere che non può sussistere pittura senza divisionismo. Il divisionismo tuttavia, non è nel nostro concetto un mezzo tecnico che si possa metodicamente imparare ed applicare. Il divisionismo nel pittore moderno, deve essere un complementarismo congenito, da noi giudicato essenziale e fatale.” AA.VV. La pittura futurista - manifesto tecnico, versione ufficiale italiana, seconda edizione, Direzione del Movimento Futurista, Milano 11 aprile 1910, p. 2.
257 B. Avanzi, D. Ferrari, F. Mazzocca, I pittori della luce dal Divisionismo al Futurismo, catalogo della mostra (Mart, Rovereto, 25 giugno - 9 ottobre 2016), Mondadori Electa, 2016. pp. 21-23, 176-177; N. Colombo, Divisionismo lombardo piemontese. Dall’epoca storica alle soglie del Futurismo, in N. Colombo (a cura di), “Divisionismo tra Torino e Milano. Da Segantini a Balla”, catalogo della mostra (Torino, Fondazione Accorsi Ometto, 16 settembre 2015 - 16 gennaio 2016), Silvana, Cinisello B. 2015, pp. 10-27; “Il divisionismo. La luce del moderno…” op. cit. pp. 20-23, 35-41.
258 Se gli esperimenti di Morbelli sono rimasti allo stadio di ricerca, non avrebbero neanche portato a concretizzare il sogno di fondare una propria fabbrica di colori, Previati è stato un vero maestro in quanto unico divisionista ad aver messo nero su bianco le tecniche apprese, redigendo tre volumi sull’argomento: La tecnica della pittura 1905, I principi scientifici del Divisionismo 1906, Della pittura, tecnica ed arte 1913.
259 A. Tiddia (a cura di), Divisionismi dopo il Divisionismo: la pittura divisa da Segantini a Bonazza, catalogo della mostra (Arco, Palazo dei Panni, Galleria civica, 26 giugno - 16 ottobre 2016), Editore: MAG, Riva del Garda, MART, Trento e Rovereto 2016, pp. 9-19.
260 Non ho rintracciato il nome di Balla nella stampa torinese antecedente il 1895.
261 M. Fagiolo dell’Arco, Da Pellizza a Balla sacralità del lavoro e della natura, in M. Fagiolo dell’Arco, P. Pacini, R. Ferrario, “Giuseppe Pellizza e Giacomo Balla: dal Divisionismo al Futurismo”, catalogo della mostra (Cortina, Prato, Milano 2000), Farsettiarte, Prato 2000, pp. 9-41.
262 Pellizza nella sua corrispondenza nomina Balla una sola volta: Giacinto Stiavelli aveva scritto un articolo su l’“Avanti!” dove esaltava con entusiasmo la pittura di Balla proclamandolo il vincitore dell’oggi non ancora compreso, ne celebrava inoltre la lotta in solitaria e la vita in povertà. In conclusione dell’articolo incitava i privati ad acquistarne i quadri e gli enti a commissionargli opere. Goliardo II (Giacinto Stiavelli), Arte ed artisti, LXXII Esposizione di Belle Arti in Roma, la scultura - Giacomo Balla, in “Avanti!”, anno VI, n. 1917, Roma 9 aprile 1902, pp. 1-2. Pellizza a proposito dell’articolo aveva scritto a Morbelli: “Ultimamente mi soffermai alquanto sulle tue
parole al riguardo del “povero” Balla. Non fossero i quattro palmi di terra che tutti di mia famiglia bagnamo di sudore sarei della schiera anch’io. Forse per questo tu continui a volermi bene.” Lettera di Pellizza ad Angelo Morbelli, 28 giugno 1902, pubblicata in “Catalogo dei manoscritti…” op. cit. p. 189. I due artisti dopo Torino si incroceranno ancora soltanto una volta a Roma nel 1906, quando Pellizza aveva soggiornato in città da gennaio a metà aprile per l’annuale mostra degli “Amatori e Cultori” dove esponeva cinque opere e realizzato La statua di Villa Borghese.
263 La declinazione divisionista si accompagnava in Balla a uno studio scrupolosamente oggettivo della ripresa dal vero, con una inusuale libertà di tagli prospettici quasi come l’inquadratura di una macchina fotografica, colta a cogliere il valore d’istantanea della natura.
264 Z. Birolli (a cura di), Altri inediti e apparati critici. Umberto Boccioni, Feltrinelli, Milano 1972, p. 46.
265 V. Pica, L'arte mondiale alla V Esposizione di Venezia, Istituto Italiano d'Arte Grafiche Editore, Bergamo 1903, p. 165.
266 Influenzato dal socialismo umanitario di Giovanni Cena, del quale eseguirà il ritratto nel 1910, mette in scena nell’apparente neutralità delle immagini gli emarginati, coloro che la società industriale trascura e verso i quali sente di dover fare qualcosa, una denuncia sociale attraverso il messaggio artistico. I malati sono povere cavie degli esperimenti delle cure elettriche, dove le apparecchiature simili a sbarre danno il senso della condizione di prigionia, La pazza è il ritratto di Matilde Garbini, sua vicina di ballatoio, malata di mente, il cui volto disperato porta i segni del disorientamento e dell’alienazione. Questa sottomissione della tecnica all’idea è basata sulla premessa che l’artista sia portatore di un messaggio e di una visione.
267 G. De Marchis (a cura di), Giacomo Balla (1871-1958), catalogo della mostra (Roma, Galleria d’Arte Moderna, 23 dicembre 1971 - 27 febbraio 1972), Ed. De Luca, Roma 1972, Schede 14-17.
Stefano Picceni, Evoluzione del Divisionismo nel Novecento. Vicende, protagonisti e ricezione critica, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2021