Sciascia e Bodini non sono coetanei, appartengono a due differenti generazioni, alle spalle hanno un vissuto diverso che dice molto del loro temperamento: il racalmutese solitario, timido e quasi sedentario; il salentino, all’opposto, sempre inquieto e in fuga dalla odiata-amata provincia, tra Lecce, Firenze e Roma fino all’avventura in Spagna nel 1946. Quando incominciano a scriversi Bodini è già considerato un affermato ispanista, a partire dal 1952 insegna Letteratura spagnola nella Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Bari e dà alle stampe nello stesso anno la traduzione del Teatro di Lorca per Einaudi (oltre a pubblicare sempre nel 1952 una raccolta di poesie per le Edizioni della Meridiana di Milano) <4; mentre Sciascia è autore di due volumi d’esordio usciti in edizioni quasi del tutto irreperibili, tra prose e poesie (Le favole della dittatura, 1950, La Sicilia, il suo cuore, 1952) <5. E tuttavia, da posizioni e versanti diversi che a volte si possono congiungere, i due vivono in quegli anni un intenso lavoro culturale, che a partire dal «sud del Sud» porta al consolidamento di una fitta rete di contatti intessuti con personalità intellettuali di rilievo nazionale, da Luciano Anceschi a Vittorini, da Calvino a Mario La Cava e Mario dell’Arco, da Mario Tobino ai poeti delle nuove generazioni come Pasolini e Roversi. Si tratta di una serie di scambi e di legami che è possibile intrecciare grazie all’attività delle riviste che essi dirigono: «L’esperienza poetica» (1954-1956) di Bodini e la nissena «Galleria» di Sciascia. È un lavoro febbrile e gratuito che comprende i risvolti «agri» di questioni meramente tecniche e materiali di tipo redazionale (numero di cartelle, compensi per i collaboratori, revisione delle bozze, progettazione dei fascicoli) <6, ma in ogni caso permette ai due autori di inserirsi attivamente nei dibattiti culturali più vivi di quegli anni.
Il carteggio si apre con una lettera di Bodini dell’8 giugno 1954 e termina con una comunicazione di Sciascia datata 2 febbraio 1960. Sono gli anni nei quali giunge a completa maturazione un lungo apprendistato che prevede, per Sciascia, la pubblicazione della sua prima opera organica, Le parrocchie di Regalpetra (1956); per Bodini, insieme all’«impresa» della traduzione del Chisciotte per Einaudi (1957), l’uscita della sua seconda raccolta di poesie, Dopo la luna, che verrà ospitata nella collana Quaderni di Galleria diretta proprio da Sciascia (1956).
Già dalle prime corrispondenze, è possibile notare come lo spazio nel quale prende corpo il dialogo tra i due autori si distenda lungo le coordinate di una geografia policentrica o eccentrica che parte per entrambi da un radicamento sofferto nella provincia meridionale (Sicilia e Salento), in opposizione o in alternativa ai centri tradizionali della cultura italiana. Da una lettera di Bodini datata 20 settembre 1956:
"Io vedo ogni giorno che l’inciviltà e lo scetticismo meridionale nel campo del lavoro derivano dall’ipocrisia e dalla finta ingenuità da cui sono regolati tutti i rapporti, con quei lamentevoli risultati che è poi dato di constatare. Cosicché questo è diventato quasi un mio tic antimeridionale, cioè di amore al mezzogiorno" <7.
Di questa dimensione provinciale che nutre e attraversa i rispettivi percorsi intellettuali, Sciascia e Bodini offrono una rappresentazione fatta di luci ed ombre, confessando i limiti ma alludendo anche alle risorse o alle potenzialità che prevedeva quella condizione di partenza, fornendo una testimonianza che andrebbe correttamente inquadrata nel contesto più generale della storia culturale italiana tra anni Cinquanta e Sessanta. Se Sciascia allude alle difficoltà materiali che comporta questa ricerca di scambi e contatti tra le «province» della nazione - ad esempio tra Racalmuto, la Lecce di Bodini e il capoluogo ligure dove è attiva la rivista «Nuova corrente» («il nostro lavoro, tra Genova e Racalmuto, avviene in condizioni difficili») <8 -, nelle parole di Bodini riecheggia il lavoro di ricognizione sulle nuove espressioni letterarie che egli andava compiendo in quegli anni con la sua rivista «L’esperienza poetica», rivendicando la qualità di una ricerca culturale che si poneva programmaticamente lontana dalle capitali o dai capoluoghi più à la page (si ricordi anche un editoriale di Bodini, dal titolo eloquente La cospirazione provinciale, pubblicato nel 1955): "È sorprendente che un tale volume di interessi letterari passi oggi fra Racalmuto e Lecce, poniamo, e su un piano di dignità ormai ignoto ai grandi centri nazionali. Ho l’impressione che stiamo lavorando a creare una situazione nuova <9.
Nel marzo del 1955, a Bari, durante un ciclo di incontri che prevedeva la partecipazione di Sciascia e Bodini, lo scrittore siciliano potrà conoscere personalmente Vito Laterza, erede del patriarca Giovanni e protagonista del corso editoriale post-crociano. Come è noto, il giovane editore reciterà un ruolo non secondario nella realizzazione delle Parrocchie di Regalpetra, il «primo libro» sciasciano che vide la luce nel 1956 presso Laterza nella collana dei Libri del tempo, che in quegli anni, sull’esempio del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, ospitava le inchieste, i racconti autobiografici e i reportage narrativi di Tommaso Fiore (Un popolo di formiche, 1951), Rocco Scotellaro (Contadini del Sud e L’uva puttanella, 1955), Carlo Cassola e Luciano Bianciardi (I minatori della Maremma, 1956), Danilo Dolci (Banditi a Partinico, 1955) e Anna Maria Ortese (Silenzio a Milano, 1958)10.
Da par suo, Bodini partecipa a questo rinnovato impegno di denuncia sociale che permeava la letteratura italiana tra gli anni Cinquanta e Sessanta (un impegno civile al quale si accompagnava una certa letterarietà e una tensione espressiva di tipo sperimentale, e dunque lontano dal bozzettismo delle scritture neorealiste), con due prose intitolate L’aeroplano fa la guerra ai contadini e L’Arneide, ultimo atto, pubblicate nel 1951 sulla rivista «Omnibus» e dedicate al racconto dell’occupazione delle terre incolte dell’Arneo, esteso latifondo nel cuore del Salento. L’occupazione degenera fino alla dura repressione militare e al processo a carico dei contadini, i quali scrivono per il poeta della Luna dei Borboni un «episodio luminoso della lotta del bracciantato meridionale», armati di biciclette contro i latifondisti armati di aeroplano.
[NOTE]
3 V. BODINI, L. SCIASCIA, Sud come Europa. Carteggio (1954-1960), a cura di F. Moliterni, Nardò (Lecce), Besa 2011, al quale rimando per gli approfondimenti del caso e per la consultazione integrale delle lettere; vedi anche F. MOLITERNI, Sciascia, Bodini e l’«unità culturale mediterranea», in «Todomodo», 1, 2011, pp. 187-193, e I. PAGLIARA, La Spagna come metafora nell’opera di Vittorio Bodini e Leonardo Sciascia, in «Oblio», nn. 9-10, 2013, pp. 78-88.
4 È lo stesso editore di opere poetiche di Pasolini (Il canto popolare, 1954) e di altri autori esordienti o quasi all’esordio come Cattafi, Erba, Fortini, Zanzotto, eccetera (la collana nella quale appare La luna dei Borboni, intitolata Quaderni di poesia, era diretta da Vittorio Sereni).
5 Per le poesie di Bodini si veda oggi V. BODINI, Tutte le poesie, a cura di O. Macrì, Nardò (Le), Besa, (2015); per un approfondimento critico, cfr. gli Atti del Convegno Vittorio Bodini fra Sud ed Europa, Lecce-Bari, 3-9 dicembre 2014, 2 voll., a cura di A.L. Giannone, Nardò (Le), Besa, 2017.
6 Oltre ai numerosi riferimenti relativi a progetti editoriali, ovvero alla lavorazione di saggi e contributi per «Galleria» e per «L’esperienza poetica» - e soprattutto in vista della pubblicazione della raccolta di Bodini Dopo la luna (1956) - si leggano come d’esempio alcuni passaggi di due corrispondenze di Sciascia del 26 dicembre 1955: «Le strenne natalizie reclamano immediata recensione, mi arrivano bozze da correggere e manoscritti da leggere. Brutto mestiere - e frutta pochissimo» (in V. BODINI, L. SCIASCIA, Sud come Europa. Carteggio 1954-1960, cit., p. 103); e del 26 gennaio dell’anno successivo: «Io non sto bene: faccio un lavoro, per così dire, manuale - correggo bozze e metto ordine nelle mie cose…» (ivi, p 105).
7 Ivi, p. 128.
8 «Caro Bodini, lavoro ad una antologia di “poeti nuovi” insieme a Mario Boselli…» (12 giugno 1954, ivi, p. 21). Sciascia collaborava con «Nuova Corrente» e stava progettando con Mario Boselli un’antologia di «poeti nuovi» che avrebbe compreso anche Bodini. L’antologia non fu mai realizzata.
9 Lettera 3 (s.l. e s.d, ma 1954), ivi, pp. 24-26. Cfr. anche V. Bodini, La cospirazione provinciale, in «L’esperienza poetica», nn. 5-6, gennaio-giugno 1955, pp. 1-3.
10 «Caro Bodini, io verrò a Bari il 4 marzo…», in V. BODINI, L. SCIASCIA, Sud come Europa. Carteggio 1954-1960, cit., p. 61. Vedi ora VITO LATERZA, LEONARDO SCIASCIA, L’invenzione di Regalpetra: Carteggio 1955-1988, a cura di T. De Mauro, Roma-Bari, Laterza, 2016.
Fabio Moliterni, «Io sono quasi spagnolo: sono un italiano del Sud». Il Mediterraneo di Sciascia e Bodini, Quaderni del Pens, n° 2 - 2019
Più battagliera e anticonformista è invece «L’Esperienza poetica», una delle “riviste giovanili”, come le ha chiamate Sergio Pautasso per il dato anagrafico che accomuna i componenti delle redazioni, più importanti di questi anni; Giudici cura, insieme ad altri collaboratori “quasi fissi”, <278 la terza sezione miscellanea della rivista, che unisce una rubrica, Saletta, dedicata alle notizie culturali, ad articoli brevi di letteratura o recensioni. Le lettere del direttore Vittorio Bodini conservate nell’Archivio, manoscritte su carta intestata dell’Università di Bari o della testata, <279 informano dettagliatamente sulle direzioni lungo le quali si articola il lavoro di Giudici e sui processi decisionali che sottostanno alla selezione degli articoli per la pubblicazione; Bodini compone la linea editoriale sia invitando i propri collaboratori a seguire particolari direzioni di ricerca, sia accogliendo quanto di originale e coerente con essa provenga da parte loro: «Mi faccia sapere, per i numeri successivi, se ha in mente qualche buon tema, attuale e adatto alla rivista, per un soggetto o una nota; e se posso rivolgermi a lei per qualche recensione». <280 A prescindere, dunque, dalle ovvie differenze che intercorrono tra una testata e l’altra, questa corrispondenza svela un metodo di lavoro che per tanti aspetti può essere considerato esemplare di alcune prassi in vigore anche in analoghi contesti editoriali.
Grazie a queste carte è possibile scoprire innanzitutto quali proposte di Giudici verranno accolte e quali respinte: tra queste ultime si devono citare Viereck e Sbarbaro, di cui aveva avuto modo di occuparsi già per «La Fiera letteraria», <281 ma anche Saba, il cui rifiuto poggia su un’argomentazione che vale la pena riportare: "Saba non interessa tanto: vale a dire che non c’è nella sua poesia nessun errore da chiarire, o prospettiva da chiarificare: è quello che è, e come tale è stato preso e accettato (o respinto) ma insomma senza che se ne possano ricavare (almeno nella nostra prospettiva) elementi nuovi". <282
Viene accettata invece dal direttore la proposta di una recensione alla raccolta Cartoline di Roma di Capelli, <283 pubblicata dal marchio scheiwilleriano, All’insegna del Pesce d’Oro, nei confronti della quale Giudici si esprime in modo assai positivo, eleggendola a esempio di poesia capace di guardare finalmente verso il futuro: «Il domani di questa poesia lo conosceremo e l’ameremo o lo piangeremo come nostro stesso domani: ciò che oggi conta è che il suo cammino sia proiettato in avanti». <284 Da parte sua anche Bodini avanza nomi di grande interesse, come per esempio Pasolini - «Caro Giudici, in attesa che esca questo numero 3-4, già da un pezzo in tipografia, mi faccia sapere se ha qualche buon argomento per il n. 5, o se vuol farmi una recensione. Le interesserebbe parlare di “Canto popolare” di Pasolini (uscito nella Meridiana)?» <285 - ed Erba: «Potresti farmi la recensione del libretto di Luciano Erba: Il bel paese (ed. della Meridiana)? Se puoi, ti prego di scrivermelo (e anche se non puoi)»; <286 a questa seconda proposta probabilmente Giudici oppone qualche resistenza poiché, in una lettera successiva, Bodini replica con le seguenti parole: «[…] il fatto che non vi sia molta affinità fra te e Erba non impedisce, anzi agevola la recensione, nel senso che è più facile sbagliare su ciò che ci è vicino». <287
[...] Per quanto riguarda ancora il dialogo con Bodini, gli unici screzi si registrano quando il discorso verte sui componimenti poetici di Giudici; quello dell’«Esperienza poetica» non è certo l’unico caso in cui Giudici verrà recensito sulla stessa rivista di cui è egli stesso collaboratore, o sulla quale spera di pubblicare i suoi versi; a seconda dei casi si verifica da parte della direzione una consonanza di giudizio sui due ambiti di lavoro, oppure, come in questo, una parziale discordanza; Bodini esprime almeno in due occasioni, infatti, qualche lieve perplessità sulla poesia di Giudici.
"Carissimo Giudici, ho ricevuto e letto il tuo bel libro. È pieno d’innegabili qualità. Perciò non ti tacerò un difetto, a mio avviso, nell’esistenza d’un […] tono poetico […] che non scaturisce dalla poesia ma la precede. Così mentre nella tua poesia vi è un sincero sforzo di abbracciare quanta più realtà è possibile, quella riduzione troppo lirica opera all’inverso". <292
Mentre nella lettera successiva si legge: "Caro Giudici, il tuo laconico biglietto mi fa supporre, con rincrescimento, che devono averti urtato le mie osservazioni sul tuo libro. Ho forse avuto torto di far prevalere un’affettuosa sincerità a un minimo forse indispensabile di politica? Tanto più che si tratterà di una critica inutile (debbo dire così?), dato che un altro collaboratore, col suo liberissimo giudizio, parlerà del libro nella rivista. <293
È lecito credere che Bodini non si stia sbagliando nel percepire la delusione subita da Giudici a causa delle riserve espresse dal direttore; è quanto avviene, infatti, a seguito di un’ulteriore considerazione avanzata sui suoi versi: "Carissimo Giudici, mi hai letto nel pensiero. Sono piuttosto perplesso riguardo alla tua poesia, la quale andrebbe bene se io dirigessi qualsiasi altra rivista fuorché l’Esperienza. Il suo livello formale è altissimo, ma proprio per ciò, per la perfezione con cui si pone al di fuori di qualsiasi “sperimentalismo” e senza tentazioni di sorta verso altre aperture, proprio per questo non solo non rientra nella linea, d’altronde abbastanza elastica della rivista, ma è anti-esperienza. Sono sicuro che comprenderai. Per quanto riguarda la recensione a Erba (che spero non venga pregiudicata da quanto precede) […]". <294
Di questo nuovo rifiuto Giudici si lamenta, infatti, con l’amico Marco Forti: «Bodini mi ha respinto la poesia per il suo (sic) “altissimo livello formale”» e, aggiunge con il ricorso a un asterisco, «per le “zeppe moralistiche”»; <295 tale sgarbo giustifica una piccola vendetta: «P.S. Io ho però ugualmente mandato, nonostante questo, la recensione su Erba a Bodini. Ma in chiave ultrareazionaria (l’ho fatto apposta)»; <296 forse anche per questa ragione la recensione non verrà più pubblicata su «L’Esperienza poetica», mentre compare sul «Popolo» un articolo dedicato a Erba, il quale ne chiede conto in una lettera all’autore: «Scheiwiller mi ha detto che la tua recensione al mio libretto è finalmente uscita sul Popolo. Si potrebbe vedere?». <297
I nessi sottili, ma anche saldi, tra scrittura giornalistica e produzione poetica non devono far dimenticare che il fervido lavoro intellettuale di Giudici procede in maniera assai difforme in un campo e nell’altro: «Io sto lavorando per articoli giornalistici e covando la solita poesia», si legge in una lettera inviata a Marco Forti; <298 da un lato, dunque, la creazione artistica lungamente meditata, dall’altro l’intenso lavoro giornalistico che segue tempi e motivazioni senza dubbio assai diversi; forse a causa di un numero troppo alto di impegni assunti contemporaneamente con più testate, le sollecitazioni a consegnare i pezzi con urgenza sono numerosissime e provengono non solo da parte di Bodini; è difficile, d’altronde, per Giudici rinunciare alle opportunità, anche economiche, che gli si presentano; le stesse necessità finanziarie di queste imprese editoriali non vengono sottaciute: "Costanzo mi dice che è alla Fiera […] vorrei pregarla d’un favore. Vedo che vi si parla delle riviste italiane. Che s’aspetta a parlare della E.P.? O di riprendere argomenti e recensioni? Questa è una preoccupazione che non avrei, mi creda, ma ho un editore che naturalmente nelle rivista ci perde, e a cui farebbe piacere rendersi conto (a modo suo) che sta facendo cosa meritoria. E questo modo sarebbe, o uno di questi modi, vederne parlare a lungo, bene o male […] su un foglio come la Fiera". <299
Qualche recensione piuttosto favorevole non tardò ad arrivare: una uscì sul numero 2 di «Officina» e un’altra su «Questioni», a firma rispettivamente di Gianni Scalia e Sergio Pautasso. In entrambe viene messo in luce il contenuto anticonformista della rivista, ma «Officina» addebita all’«Esperienza poetica» anche qualche piccolo difetto: la delicata attenzione al linguaggio penalizzerebbe lo spessore storiografico e allo stesso tempo una minor timidezza critica andrebbe incoraggiata. <300 Va detto che tra i lettori più qualificati c’è anche chi, almeno nei giudizi confidenziali, è assai meno indulgente nei confronti della nuova testata: «Tutta la rivista respira un’aria assai ammuffita e provinciale, con qualche esempio di cattivo gusto veramente assai raro», <301 scrive Bárberi Squarotti. Bodini sembra cogliere il suggerimento di Scalia, quando invita Giudici ad adottare la seguente prospettiva: «Pensi a un saggio vivo, pugnace, se occorre (e lei di questi umori ne ha)» <302 o ancora più avanti: "Del Carducci, che ne pensa lei? Non le pare che questi tempi “anche se non alla sua poesia”, ci portano a riflettere alla sua posizione, alla sua poetica se vogliamo? E metto tra parentesi “anche se non alla sua poesia” pensando che si possa anche essere d’altro avviso. Ma infine, questo è un esempio di ciò che sarebbe una vera e propria battaglia. Non deve perdere tempo, Lei, che è un combattente, a piccole scaramucce, o peggio, a parate domenicali!" <303
Sono almeno due le battaglie effettivamente combattute da Giudici su questa testata: una sfida con Margherita Guidacci intorno a certi pregiudizi che graverebbero sulla poesia italiana, e la difesa dell’antologia di Luciano Erba e Piero Chiara, pubblicata all’interno della sezione «Argomenti su “Quarta generazione”»; <304 in questo secondo articolo, oltre all’esame analitico degli autori, che aveva «colpito» molto il direttore, <305 anche Giudici non può fare a meno di riferirsi più in generale al dibattito in corso; già il titolo dell’intervento, Soltanto accettando il passato potremo mutarne il senso, contiene l’invito a non sbarazzarsi con troppa disinvoltura della tradizione, per cedere ai motivi dell’attualità: "Per farsi interpreti della propria età, non è necessario sottomettersi ai motivi prevalentemente esterni, ai motivi che “sono nell’aria”; non è necessario farsi interpreti dell’una o dell’altra moda. La vera poesia è sempre contemporanea. Un vero poeta, perché sia un vero poeta è sempre […] coevo al proprio secolo, anzitutto e soprattutto perché è coevo a se stesso, rivelatore a se stesso e agli altri della comune esperienza; quando queste condizioni non sussistono, non sussiste evidentemente, poesia". <306
[NOTE]
278 Insieme a Capelli, Chiara, Accrocca, Lala, De Rosa, Modesti, in E. Mondello, Gli anni delle riviste, cit., p. 111.
279 «L’Esperienza poetica. Rivista trimestrale di poesia e di critica». Diretta da Vittorio Bodini, Editore Cressati, Bari.
280 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 2 dicembre 1954.
281 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 17 marzo 1955: «Caro Giudici, dica pure quello che vuole sulla questione del dialetto, perché la rivista, come sa, ama più affrontare che sfuggire gli argomenti. | Ma per quanto riguarda Viereck avrà notato che la Esperienza non si occupa di poesia straniera.[...] E mi mandi presto il Pasolini, perché vorrei passare il numero 5 subito in tipografia». Poi, dopo i saluti aggiunge: «Su Sbarbaro vedrà un lungo saggio di Mario Costanzo. E di Sinisgalli o [...iberto], o di entrambi non le interesserebbe parlare?».
282 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 14 settembre 1955.
283 G. Giudici, Cartoline di Roma, in «L’Esperienza poetica», II, 7-8, luglio-dicembre 1955. Su Capelli si veda anche: Il premio Cittadella 1955 a Luigi Fallacara, Luigi Capelli e Luciano Luisi, in «La Fiera letteraria», X, 43, 23 ottobre 1955.
284 Id., Cartoline di Roma, cit., p. 71.
285 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 16 gennaio 1955.
286 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 21 novembre 1956.
287 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 10 dicembre 1956.
292 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 1 giugno 1955.
293 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 23 giugno 1955.
294 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 20 dicembre 1956.
295 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Marco Forti, b. 11 fasc. 273, lettera di Giovanni Giudici a Marco Forti, non datata.
296 Ibid.
297 AG, s. 8, lettera di Luciano Erba a Giovanni Giudici, 8 aprile 1957.
298 Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo Marco Forti, b. 11 fasc. 273, lettera di Giovanni Giudici a Marco Forti, non datata.
299 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 2 dicembre 1954.
300 G. Scalia, L’Esperienza poetica, in «Officina», I, 2, luglio 1955, p. 76: «Al di fori di preoccupazioni ideologiche o di volontà programmatiche, il lavoro di Bodini è affidato, appunto, all’“esperienza”, a una storia di rapporti e di espressioni poetiche. | Possiamo aggiungere, quasi con le sue stesse parole, che la poesia è cercata nella sua stessa realtà complessa e insieme evidente, aperta; nel suo linguaggio intimamente fantastico e illuminante - segno di sé, indizio del nume - , e nei suoi segreti rapporti con gli altri aspetti dell’esperienza spirituale. Sublimazione di cultura, o meglio espressione esemplare del proprio tempo». La delicata attenzione al linguaggio porta con sé anche dei limiti: «la mancanza di un giudizio più aperto e sicuro sulla letteratura en train de faire, collaborando più intensamente alla sua promozione; l’assenza di un gusto conoscitivo e storiografico più accentuato, che risponda alla necessità di un discorso storico da aprire; un clima di troppo misurata, anche se attenta, timidezza critica».
301 AG, s. 8, lettera di Giorgio Bárberi Squarotti a Giovanni Giudici, 30 luglio 1957.
302 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 28 aprile 1955.
303 Ivi: «Caro Giudici, torno ora da Milano, dove c’è stato un dibattito con Gatto, Erba e Ferrata, sulla poesia del dopoguerra. Erba ha trovato molto felice la sua nota su Q.G. [quarta generazione] E anche la recensione a Pasolini va bene».
304 G. Giudici, Soltanto accettando il passato potremo mutarne il senso, in «L’Esperienza poetica», I, 3-4, luglio-dicembre 1954, p. 52.
305 AG, s. 8, lettera di Vittorio Bodini a Giovanni Giudici, 2 dicembre 1954: «Ho scritto a Costanzo della sua nota che è veramente ciò che mi aspettavo, perché altri, nello stesso numero, si occupano con varie opinioni di questioni generali […] all’Antologia, e mi mancava invece un esame analitico sui poeti. […] Ma la sua nota è piena di osservazioni intelligenti, che compensano quel tanto che [dice], che è stato già detto sugli altri. Così la pubblico volentieri».
306 G. Giudici, Soltanto accettando il passato, cit., p. 52.
Paola Avella, La saggistica di Giovanni Giudici: ideologia, critica e teoria, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2013-2014
[...] Nel romanzo incompiuto postumamente pubblicato con il titolo "Il fiore dell'amicizia" (11) Bodini narra con molta autenticità le vicende di questi anni: rispondenti gli amici, Memé Valente, Michele (un noto professionista), perfino con i loro nomi; la figlia del tabaccaio, la bella ed eterea Flora Bernardini, morta poi di tisi.
I ragazzi del "Palmieri" che lo hanno visto prima "partire con un silenzio pieno di rispetto", avendo egli gettata "un'ultima occhiata a quei pilastri di tufo e al busto torvo e impettito del poeta della terza Italia", e gli amici bohemiens, lo rivedono tutti in città ancora una volta nell'autunno del '40, dopo i suoi successivi trasferimenti, nel '35 ad Asti, l'anno seguente a Domodossola e nel 1937 a Firenze. lo rivedono gli studenti e lo chiamano per nome: "Ehi Vittorio!", "Ciao Vittorio!" ciascuno facendo mostra di essergli molto amico. Ora però non è più il Futurbodini di prima, il giovane polemico e rissoso; si è, anche se tardi, laureato, ha conosciuto Montale, che ha approvato per "Letteratura" di Bonsanti un gruppetto di liriche, il che significa che è entrato nella più prestigiosa rivista letteraria del tempo, ha frequentato le "Giubbe rosse" e il caffè San Marco, ha insegnato - ottenuta una supplenza nel '38 - materie letterarie nel ginnasio inferiore "M. Ficino" di Figline Valdarno. E anche se solo pochi sanno tutto questo, ora Bodini è cambiato: parla e cammina lentamente e la polemica è divenuta sorridente ironia. Pochissimi leggono le sue sei poesie sul numero di aprile-giugno 1940 di "Letteratura" e sanno che nella città toscana ha incontrato un amore, l'inglese Isobel Gerson, "Isobel dalle braccia d'olio e al polso / il braccialetto con le bandiere d'Europa"(12) e nessuno saprà mai se ha lasciato l'impiego al R.A.C.I. per l'insegnamento, allo scopo di concludere gli studi universitari e la sua tesi sulla Teoria dell'incivilimento in G. D. Romagnosi, o per essersi rifiutato di mettere sul risvolto della giacca il distintivo, obbligo del regime (13). A Firenze ha anche visto Benedetto Croce e ne ha letto alcuni libri, sempre "in un clima fortemente idealistico e spiritualistico" (14). Nel suo cassetto v i è un primo racconto, Morte di Angelo, che rimarrà inedito (15).
Ecco quindi improvvisamente Vittorio a Lecce nel '40 - ma era a Lecce anche alla fine del '39 -, partito assonnato con l'ultimo treno della notte, con in mente Isobel e il ricordo del luoghi d'incontro e delle disarmonie. Firenze, ormai lasciata, significa la poesia e la cultura fiorentina, con la "non-politica" o l'idea montaliana di una "polis ideale" diversa dal presente, incontaminata. Perde, a proposito della quale posizione, di motivazioni indagare la misura dei rapporti con il gruppo di "Italia libera". Conoscendo il Bodini dell'immediato rientro a Lecce, della redazione della terza pagina di "Vedetta mediterranea", esperienza che si collega a quella di "Primato" di Bottai, della coabitazione, asettica e 'separata', con gli intendimenti di richiamo del "regime", si può tutt'al più parlare di una generica insofferenza verso gli aspetti retorici e imperialistici del tempo, comune alla maggior parte degli scrittori di quel periodo, che non giunge, in questi primi due anni del quarto decennio, presso molti tra costoro, a globale e organica opposizione ideologica. Domina l'immagine mitica di Benedetto Croce e del suo splendido isolamento; essi non giungono, tuttavia, al totale non -collaborazione grafica, alla non accettazione. Il fenomeno è abbastanza largo tra chi si apre ad una cultura europea, non limitata da anguste visioni, con letture di Freud, Kafka, Proust, oltre naturalmente quelle italiane di Ungaretti, Montale, Campana, Svevo, De Ruggiero ecc. La sorte di Vittorio Bodini è quella di avere aderito alla 'moda' futurista senza esserlo del tutto, all'ermetismo rimanendo tuttavia in una sfera meno assoluta e 'pura' intrisa di sana e magica provincialità. Tali i suoi rapporti politici; e ciò per il suo costante ed invincibile distacco critico con cui egli si accostava ad ogni idea o cosa. In lui era prevalente il giudizio estetico-morale, anche quando si interessava di politica. Ma è da precisare subito che in Bodini gli interessi politici - sempre compresenti con quelli letterari o artistici - presero forza solo nel periodo 1943-1947. Il suo gusto estetico gli ha dettato, a diciassette anni, "Il turibolo politico" (16) su "La Voce del Salento", forte stroncatura della piccola retorica provinciale; molto più tardi, nel secondo dopoguerra, gli amici lo sentiranno sorridere sui petti gremiti di medaglie dei generali di Stalin.
A Lecce (l'altra delle "due ipotesi altrettanto motivate e legittime dell'universo" (17) Vittorio fa il bilancio delle non molte vistose esperienze fiorentine: i contatti con alcuni intellettuali, che non possono essere enfatizzati se è vero che il deluso poeta, tranne che in occasione della sporadica accettazione su "Letteratura", ha fatto più da comparsa che da attore sulla scena culturale della città toscana, e Isobel, per sempre svanita e oggetto di pochi versi. Nella provincia leccese Bodini prende contatto con Oreste Macrì, a Maglie, e gli comunica di essere stato chiamato da E. Alvino - il direttore del cessato "Vecchio e nuovo", cui ha collaborato diciottenne - a lavorare per una pagina culturale di "Vedetta mediterranea" (18). Dal n. 1 al n. 12 (1941) del settimanale compaiono due rapidi saggi di Bodini: Compianto di Joyce e Opinione su Poe e Kafka (19); un racconto, Largo dei Teatini (20), già pubblicato col titolo Restauri in "Incontro" del 13 ottobre 1940; una polemica con "Primato" sugli ermetici, Per scongiurato pericolo (21) ; due poesie, A B. G. e A un esiguo soccorso di violette (22); la traduzione del sonetto di J.R. Jiménez, A una giovane diana, e un'altra, in versi, di Qualche volta con le lacrime di J. Larrea (23). La pagina letteraria (anche tipograficamente differenziata dal resto del giornale, per un ahimé contraddittorio distacco) fu caratterizzato oltre che dagli scritti di Bodini e di Macrì (questi con sei "letture": Rebora, Vittorini, Treccani, Sereni, Luzi, Pratolini), dalle poesie di L. Fallacara, P. Bigongiari, G. Comi, L. Sinisgalli, V. Sereni e A. Gatto, e dalle prose (due di ciascuno) di V. Pratolini e F. Ulivi.
La rottura con Alvino che, per seguire le direttive ministeriali, intendeva inserire il 'politico' nel 'letterario', fu ricordata poi dallo stesso poeta in una sua 'autodifesa', pubblicata, con il titolo Scacciato e rabbioso, in "Democrazia del lavoro" (30 luglio 1944). Ancora una volta agì, più che altro, nell'animo di Bodini il suo incoercibile orrore per la retorica, da tempo imperante. Anche prima, questa era stata la sua divisa estetica. Cercare nel poeta il politico è di rado operazione sufficientemente fruttuosa, anche se necessaria: egli può essere un chiaroveggente, quasi mai un realista. Così l'operazione, pur utile sotto un certo aspetto biografico, condotta da Fabio Grassi con lo studio introduttivo agli scritti civili di Vittorio (24) , non è stata esente dal rischio di qualche interpretazione forzata. Opportunamente perciò Mario Marti, in un'ampia e notevole recensione (25) a i fiori e le spade, ha focalizzato alcune questioni e ha sottolineato certi aspetti: tra le quali questioni e i quali aspetti emerge per importanza l'affidabilità di "testimonianze" di "poeti i quali per vocazione" si rimettono alla "memoria", alle "evocazioni", dinanzi alle quali "occorre esser molto cauti e prudenti: ché quelle "testimonianze" possono essere ispirate delle condizioni spirituali, ideologiche e autobiografiche del 'momento' in cui vengono scritte e formulate, dalle quali dunque possono soltanto essere considerate documenti storici (e non invece dell'altro "momento" che esse vogliono rievocare)".
Consequenziale è, d'altra parte, in Bodini, in questi anni, la ricerca dell'eros come salvataggio esistenziale. Ricordiamo ad esempio il suo sodalizio con Giulia Massari, durato a lungo. Ci torna nella memoria il poeta nel '43-'44 con l'inseparabile amica per le vie di Lecce, coppia un po' stravagante con un pizzico di separatezza, il cagnolino di Giulia tocco indispensabile. La sera Vittorio veniva accostato da qualche aspirante letterato o artista. Lo avvicinò allora chi scrive e gli presentò i saldatini, su pezzi di carta, vistosamente antiretorici e sofferenti del giovane Lino Suppressa. Si accostò anche Luciano De Rosa, quattordici anni dopo redattore de "L'esperienza poetica" di Bodini, e Vittorio Pagano, che dal luglio '56 all'ottobre '64 redigerà il supplemento letterario de "Il Critone", allora più che poeta, anima in fase filosofica: diceva di aver spedito un grosso malloppo di fogli d'intonazione idealistica a Croce, che "padreternista" (era la sua definizione) non si degnava di rispondere. Il più giovane Vittorio mostrava, accaldandosi, di spregiare la produzione poetica contemporanea, in linea con il suo grande maestro: la conversione all'ermetismo giungerà poco prima di "Libera voce" (1943-47), uno dei primi periodici della (relativamente) risorta libertà di stampa, settimanale dei quali sarà uno dei collaboratori.
Ogni giorno si vedeva passare - dopo il suo ritorno da Firenze - Bodini con Giulia, che gli cingeva il braccio, verso le quattordici, attraverso l'antica piazza (quella ancora circondata da basse case e, da un lato, dalle 'capande') in direzione di via Ascanio Grandi, "dietro il Bambino", come si diceva, e di lì verso le "Scalze", nel cui rione aveva una stanzetta in affitto. Era il tempo di una pausa esistenziale - dopo cessata la collaborazione a "Vedetta" - durante la quale seguiva il sogno gozzaniano del "vivere di vita", ridiventato cittadino anonimo dopo le sfuriate futuriste e "Lo Studente" dal buon gusto sconosciuto alle rivistine dei genere. Chi scrive, troppo minore d'età per avvicinarlo al tempo del "Palmieri", gli si era accostato una sera del maggio '41: fu allora che ebbe inizio un rapporto umano che doveva terminare solo con la fine del poeta. Ricordo Vittorio sempre pronto alla battuta di spirito, all'ironia sottile, oppure volto ad interrompere improvvisamente una seria conversazione con frasi di ammirazione per qualcuno delle belle ragazze lupiensi (le "strie": parola derivante, opportunamente da "streghe"); lo faceva per alleggerire, come lui preferiva, il peso d'un discorso, per il suo caratteristico 'distacco'. La vita, la bellezza, un caffè bevuto lentissimamente, a sorsetti, per prolungare il piacere dell'aroma o, come con senso di humour diceva, per sostituire la tazzina "lunghissima" al pranzo, con compiacimento - certo una forzatura - per la vita da bohémien che conduceva allora. Era per tutto questo che voleva vivere; solo più tardi, qualche anno dopo la guerra, amerà parlare di letteratura con la serietà imposta dall'esigenza di una 'ricostruzione letteraria'. Quasi per avversione - che egli sempre conservò - al contingente, di rado lo si vedeva con quotidiani: preferiva leggere riviste letterarie, e al tempo della "Fiera" di G.B. Angioletti e poi di V. Cardarelli, la pubblicazione era oggetto di un suo evidente interesse di aggiornamento bibliografico.
Molti e vari i libri che leggeva, tra cui quelli di Croce, De Ruggiero, Ungaretti, Montale, poi di Verga, Lorca, De Libero, Quasimodo, Bilenchi, Landolfi, Bo. Su De Libero ironizzava, divertendosi a citare: "Senza cavalli bianchi / non si può andare a mare. / Con i cavalli bianchi / io e tu bastiamo" e ciò a prova della sua avversione per i non-sens di alcuni poeti 'puri'.
Nonostante il suo comportamentale quadro biografico, con gli amici, in genere non ebbe motivi di rottura: si mostrava disponibile all'incontro, alla passeggiata, alla conversazione. Preferiva circondarsi di elementi della media borghesia e del ceto piccolo-borghese, non simpatizzando per chi, per censo o rendite, mostrasse una vacua superiorità; del resto l'alta borghesia salentina, ai suoi tempi, era, salvo eccezioni, immersa nel l'indifferenza per gli aspetti culturali. E la più notevole eccezione era costituita da un certo numero di professionisti, avvocati in specie, e medici, o di alti funzionari o magistrati. Tutto sommato, il motivo di differenziazione tra la disponibilità verso gli amici, da un lato, e un suo certo rigore di rapporti nel versante culturale-letterario derivava da una sua concezione morale dell'intellettuale e della funzione esemplare di questi.
[NOTE]
11) Il fiore dell'amicizia, romanzo incompiuto, pubblicato a c. di D. VALLI in "Sudpuglia" (n. 1) marzo 1983, pp. 65-114; la presentazione di Valli, Un romanzo inedito di V. B. è alle pp. 59-64 dello stesso numero della rivista.
12) "La luna dei Borboni" nell'omon. raccolta, Meridiana, Milano, 1952; poi in Tutte le poesie (1932-1970) a c. di O. MACRI', Mondadori, Milano, 1983, p. 101.
13) Scacciato e rabbioso in "Democrazia del lavoro" (n. 12), 30 luglio 1944.
14) Ricordi di un Caffé Bigio, in "La Gazzetta del Mezzogiorno", 18 dicembre 1943.
15) Morte di Angelo, inedito. M. TONDO fa risalire il racconto al 1939; si veda, del critico salentino, Introduz. ai racconti di B., in Le Terre di Carlo V cit.
16) In "La Voce del Salento", 31 dicembre 1931; ristampato in: V.B. l fiori e le spade cit., pp. 73-75.
17) V.B., Firenze, racconto autobiograf. pubblicato nel volume di R. AYMONE, V.B. Poesia e poetica del Sud (con appendice di testi inediti e rari), Edisud, Salerno, 1980.
18) A proposito di questo settimanale, occorre precisare che l'ultimo numero di esso non è quello del 25 gennaio 1943 (come in D. VALLI, La cultura letter. nel Salento, Milella, Lecce, 1971, p. 89), ma è databile fra la fine di maggio e i primi giorni di giugno '43. L'inesatta indicazione sarà stata determinata dal fatto che nella Biblioteca prov. di Lecce la raccolta si ferma alla data del lavoro, peraltro prezioso, di Valli. Tra il gennaio e il giugno 1943 il settimanale bandì un premio per un racconto, che vide vincitore Gregorio Carruggio (che firmò con uno pseudonimo) con La Samaritana, una prosa di ispirazione biblica. In questo periodo venne pubblicato un bel racconto di Luciano De Rosa.
19) Si elencano i 'pezzi' di B. per completezza. L'elenco di Valli (La cultura cit., p. 90) e quello di F. Grassi (in V.B., l fiori e le spade cit., p. 28) tuttavia si integrano tra loro. I saggi sui tre scrittori sono apparsi rispettivamente nei nn. del 23 marzo e del 14 aprile.
20) Sul n. del 5 maggio 1941.
21) Sul n. del 19 maggio 1941.
22) Rispettivamente sui nn. del 31 marzo e del 19 maggio 1941.
23) Rispettivamente sui nn. del 23 marzo e del 9 giugno 1941.
24) Introduzione a: V.B., l fiori e le spade cit.; pp. 7-59.
25) M. MARTI, l fiori e le spade di B. in "Contributi", III/2, giugno 1984, pp. 15-27. Lo scritto, che va al di là di una recensione, è da ritenersi fondamentale per la ricostruzione della personalità del poeta, grazie all'equilibrio e all'obiettività dei giudizi che vi sono espressi.
Francesco Lala, Bodini tra biografia e memoria (1914-'44), Sudpuglia, n. 4 - 1986