martedì 8 febbraio 2022

La lotta clandestina portò queste ragazze ad assumere comportamenti prima inimmaginabili e alla scoperta di un protagonismo storico nuovo



L’esperienza della guerra e della resistenza furono eventi che, pur nella drammaticità del loro svolgersi, segnarono una trasformazione radicale dei ruoli femminili tradizionali, in molte donne favorirono il passaggio da un sentimento di iniziale avversione e di rifiuto della politica ad una maggiore consapevolezza, con una crescita in termini di conoscenza che stimolò una riflessione sui modi e sulle forme della costruzione di un mondo nuovo. In altri termini, guerra e resistenza segnarono le tappe del percorso di socializzazione alla politica delle donne. L’inizio di questo percorso è segnato da una data considerata periodizzante per la storia dell’intero paese in guerra, l’8 settembre del 1943. L'annuncio dell’armistizio si è affermato nella memoria collettiva come uno dei momenti di snodo della storia dell'Italia unita. Da quel momento per molti italiani si impose una scelta se stare con Mussolini o unirsi alla Resistenza o ancora se restare nell’ombra in attesa dell’evolversi degli eventi. La recrudescenza di un conflitto che permeava ormai ogni settore del vivere civile rese improcrastinabile anche per le donne decidere da che parte stare. L'8 settembre fu seguito dalla precipitosa fuga del re, del governo e del Comando supremo da Roma. Le conseguenze per il paese furono drammatiche <20. Con la dissoluzione dell'esercito e la fine della breve illusione di uscire dal conflitto e di schierarsi tempestivamente dalla parte degli angloamericani, togliendosi di dosso il marchio di nemico sconfitto, l'intero paese fu abbandonato alla violenta vendetta dei tedeschi, che repressero sanguinosamente ogni tentativo di reazione da parte dell'esercito italiano e punirono con la deportazione e l'internamento in Germania circa 750.000 militari italiani <21. Per venti mesi, dall’8 settembre del 1943 al 25 aprile del 1945, la popolazione venne sottoposta a prove che ne sconvolsero radicalmente le abitudini quotidiane, ne acuirono l'ostilità verso qualsiasi uniforme e tesero a sfaldare il tessuto sociale allentando anche le giunture dei rapporti fiduciari più elementari <22. A partire dall'8 settembre per le donne italiane fu difficile sfuggire agli orrori della guerra perché la guerra arrivò vicino e persino dentro molte case, con la guerra ogni luogo diventò “fronte di guerra”. Venne a cadere la distinzione tra ‘fronte interno’ e ‘fronte esterno’ e la morte di massa ora non riguardò più solo i combattenti ma anche e specialmente la popolazione civile <23. La casa, il luogo femminile per eccellenza, il “rifugio sicuro”, diventava “pubblica” o poteva diventarlo da un momento all’altro <24.
Così la memoria di quei momenti rivive nella testimonianza di Rina Lorenzon, cattolica, partigiana attiva nelle formazioni che operarono nella zona del Cansiglio, la sua famiglia gestiva un’osteria: "nel ‘43, l’8 settembre, l’armistizio. E allora a casa mia, quanta gente arrivava, in continuazione, mamma mia! Quanta gente! Era un punto di passaggio casa mia. Arrivavano soldati che scappavano, si fermavano, chiedevano, mangiavano, se non avevano soldi gli si dava a gratis. Dopo sono cominciati i rastrellamenti. Tutti in montagna allora, i nostri giovani" <25.
In molte testimonianze femminili ricorre la data dell'8 settembre come il momento in cui si impose una scelta. Aida Tiso, comunista, partigiana, attiva nelle formazioni che operarono nella provincia di Belluno, descrive con la sua testimonianza come aveva colto l’annuncio dell’armistizio mentre era a Venezia: "io stessa prima del 1943 ero molto lontana dalla politica. È per questo che considero l'8 settembre del '43 la data della mia nascita [...] Il 25 luglio '43 la caduta di Mussolini fu accolta nel mio ambiente con una certa indifferenza. Non certamente con quella esplosione di felicità che si verificò in altri luoghi. Tutto questo cambiò all'improvviso l'8 settembre del '43. In città arrivarono le truppe tedesche e si videro in giro le Brigate Nere. Orrendi manifesti affissi sui muri delle case della mia bella città intimavano ai ragazzi e agli uomini di presentarsi immediatamente nelle caserme, minacciando gravi rappresaglie per chi non lo avesse fatto[…]. Passai tutta la giornata davanti a quei manifesti, dando a molti ragazzi il consiglio di non presentarsi, di nascondersi. Poi mi accorsi che alcuni uomini mi stavano osservando e scappai via per quelle calli e callette veneziane che sembrano fatte apposta per aiutare chi è in fuga. Quello fu il mio primo atto politico del tutto autonomo e da allora tanti altri ne ho compiuti! E come me tante altre donne si diedero da fare, così, spontaneamente" <26.
Nell’ambito della “guerra alla guerra” per alcune donne maturò una coscienza civica che le spronò a rivendicare, alla fine del conflitto, un ruolo da protagoniste nella società e nella politica.
La radicalizzazione del conflitto alimentava per altro comportamenti molteplici e opposti: crescevano forme di resistenza civile, di opposizione, di solidarietà con i perseguitati <27, ma al tempo stesso provocava forme diffuse di passività. Si radicavano odi, paure, disperazione e speranze, ma anche prese di distanza da conflitti che racchiudevano in sé il rischio quotidiano del disastro: della strage, della tortura, dell’incrudelirsi del vivere <28. Nei territori occupati la situazione era particolarmente drammatica. Le truppe di occupazione setacciavano le case in cerca di partigiani, disertori, uomini da precettare per il lavoro forzato, ebrei o semplicemente di generi alimentari. Era il tempo, certo, delle scelte di campo, che comprendevano anche sotterranee strategie della “non scelta”, della chiusura negli ambiti familiari e individuali <29.
Era in questo contesto che si situava una straordinaria irruzione delle donne sulla scena pubblica, in una misura e con modalità che non si erano mai verificate prima. La lotta clandestina portò queste ragazze ad assumere comportamenti prima inimmaginabili e alla scoperta di un protagonismo storico nuovo. Se all'inizio “la resistenza delle donne del nostro popolo è nata attraverso le vie della carità”, scriveva Ida D'Este, veneziana, cattolica e partigiana, essa diventò in un secondo momento impegno organizzato e consapevole, fino a giungere all'azione militare <30: "Quanti servizi nella vita clandestina poterono essere fatti soltanto da donne: perché meno sospettate e in certe cose più abili e disinvolte! (…) Senza sapere né pretendere di essere eroine, molte ci hanno rimesso la vita. Fare la staffetta, fare il palo, fare spesso da schermo all'uomo (…) Chi parla di sesso debole, di donne ciarliere, non ha conosciuto queste patriote dell'ultimo risorgimento italiano" <31.
Sulle scelte e sui comportamenti di queste donne influirono tuttavia anche i cambiamenti intervenuti tra gli anni Venti e Quaranta: malgrado il maschilismo programmatico del regime, c'era un'inarrestabile anche se involontaria evoluzione della condizione femminile legata alla crescita della scolarizzazione, alla mobilità, al nuovo uso del tempo libero, al diffondersi del cinema e della radio e alla pratica di una politica di massa <32. A questo nuovo protagonismo femminile vanno ascritte, oltre alle esperienze delle donne resistenti, anche le scelte di quelle donne che decisero di sostenere il fascismo repubblicano, arruolandosi ad esempio nel “Servizio Ausiliario Femminile” (SAF) istituito nell’aprile del 1944 <33. Una mobilitazione circoscritta, spontanea, legittimata e propagandata come una scelta dettata dalla volontà di riscattare l’”onore perduto” con il 25 luglio e l’8 settembre, che portò 5.771 aspiranti ausiliarie a richiedere l’arruolamento. Provenienti dalla piccola e media borghesia, queste donne erano cresciute negli anni del consenso popolare al regime, molte di esse avevano praticato sport, alcune avevano frequentato l’Accademia femminile di educazione fisica di Orvieto e avevano partecipato ai Littoriali del regime. Alle ausiliarie, pur inserite nelle forze armate, vennero assegnati compiti sussidiari di assistenza militare e civile, di propaganda, ma era loro vietato l’uso delle armi, se non per legittima difesa. Il fascismo repubblicano concesse l’opportunità di cooperare fattivamente alla rinascita della patria alle sue militanti, ma senza per questo che abdicassero “alla loro funzione essenziale di custodi del focolare domestico” <34. Tutto questo avvenne anche perché combattere fisicamente a fianco degli uomini fu l’aspirazione inconfessata della grande maggioranza delle ausiliarie, ma né Mussolini né il Partito concepivano una trasformazione di tipo militare del corpo. Le volontarie più ideologizzate e intransigenti optarono per essere inquadrate nelle Brigate nere.
Per converso, un numero di donne molto superiore prese parte a vario titolo alla Resistenza, secondo alcune stime sarebbero state due milioni. <35 Le cifre ufficiali rilevano: 35.000 combattenti riconosciute, 4.600 arrestate, 2.750 deportate in Germania, 623 cadute o fucilate, 512 commissarie di formazioni partigiane, 16 medaglie d’oro, 17 d’argento <36. Tra di loro c'erano operaie, studentesse, impiegate, casalinghe, contadine. Per molte la prima attività di resistenza fu offrire rifugio e indumenti ai soldati sbandati dopo l'8 settembre 1943, spesso vestendoli con gli abiti borghesi dei propri mariti o figli, in un'opera che Anna Bravo ha definito 'maternage di massa' <37. La testimonianza di Tecla Panizzon, partigiana attiva nella zona del Grappa, è significativa di quella che fu una delle prime forme di appoggio data dalle donne al movimento partigiano: "Con l'8 settembre, quando i nostri soldati cercavano di fuggire perché i fascisti e i tedeschi volevano mandarli prigionieri in Germania, inizia l'attività come partigiana, aiutando tutti i soldati che passavano nelle nostre zone. Arrivavano da tutte le parti, da Udine, da Bassano. Fornivamo loro, nella misura del possibile, vestiario perché potessero cambiarsi ed abbandonare le divise, per poter sfuggire a chi dava loro la caccia. (…) Io intanto con la maestre Maria Danieli, con suo marito Mario Morosin, con Luigi Conte, Emilio Capovilla e con Maria Fuga, abbiamo dato vita al primo comitato segreto antifascista. La nostra prima preoccupazione fu quella di fare qualche cosa per gli sbandati. Tutto era razionato e i prelevamenti nei negozi avvenivano per mezzo della tessera annonaria. Ai renitenti alla leva e agli sbandati non venivano rilasciate tali tessere, per cui ci rivolgevamo ai contadini. Ce n'erano che davano quello che potevano e si fidavano di noi, ma ce n'erano tanti che avevano paura" <38.
Secondo Anna Bravo quella delle donne fu principalmente una ‘resistenza civile’ un atteggiamento di non collaborazione e di sabotaggio nei confronti del nemico <39.
Nonostante sia stata individuata nella solidarietà una chiave interpretativa, la scelta resistenziale delle donne si tradusse in una convergenza di elementi soggettivi, condizioni ambientali, relazioni personali, ed anche opportunità, tutti elementi difficilmente assimilabili tra loro e che solo la testimonianza di queste donne è in grado di restituire in tutta la loro complessità <40.

 


[NOTE]
20 L. BALDISSARA, Prospettive sulla guerra partigiana: il 1943 in 1943 Strategie militari, collaborazionismi, Resistenze, a cura di M. FIORAVANZO e C. FUMIAN, Viella, Roma 2015, p. 208; l’autore ritiene che il 1943 abbia impresso un’accelerazione al processo di maturazione delle scelte sia individuali che collettive e ricostruire come si giunga al 1943 è un modo per individuare gli elementi che prefigurano i caratteri della Resistenza.
21 E. AGA ROSSI, Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino Bologna 2003, pp. 25-26.
22 S. LANARO, Storia dell'Italia repubblicana, Venezia, Marsilio 1992, pp. 21.
23 Lo testimoniano le cifre dei morti: su un piano internazionale, secondo le stime più prudenti, 28.475.000 militari (55%), 22.380.000 civili (45%), cfr.: D. GAGLIANI, La guerra totale e civile: il contesto, la violenza e il nodo della politica in Donne guerra politica, a cura di D. GAGLIANI, E. GUERRA, L. MARIANI, F. TAROZZI, CLEUB, Bologna 2000, p. 34 n. 26; cfr.: G. GRIBAUDI, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940 - 44, Bollati-Boringhieri, Torino 2005.
24 GAGLIANI, La guerra totale, cit., pp. 23- 43.
25 Testimonianza di Rina Lorenzon di Vittorio Veneto (Tv), Voci di partigiane venete, a cura di M.T. SEGA, Cierre, Sommacampagna (Vr) 2017, p.197
26 La testimonianza di Aida Tiso Oliviero è stata pubblicata in "Eravamo fatte di stoffa buona. Donne e Resistenza in Veneto", a cura di M.T. SEGA, nuovadimensione, Portogruaro 2008, pp. 183- 188. La Tiso, con il marito Carlo Oliviero, medico condotto a Santa Giustina (Bl), aiutò e soccorse i partigiani dal settembre ‘43 all’autunno ‘44, quando rientrò a Venezia dove entrò a far parte della brigata Biancotto. Aderì al Pci dopo la guerra, divenne segretaria dell’Udi e responsabile della Commissione femminile nazionale.
27 A. BRAVO - M. BRUZZONE, In guerra senz’armi. Storie di donne 1940 - 1945, Laterza, Roma - Bari 1995.
28 G. CRAINZ, L’ombra della guerra. Il 1945, l’Italia, Donzelli, Roma 2007, p. 69.
29 L. GANAPINI, Una città, la guerra (Milano 1939 -1951), FrancoAngeli, Milano 1988.
30 L. BELLINA, Ida e le sue sorelle: ragazze cattoliche nella Resistenza Veneta in Eravamo fatte, cit., pp. 52-53.
31 I. D'ESTE, La resistenza della donna del nostro popolo è nata attraverso le vie della carità, «Donne d'Italia», 15, 1964, pp. 10-11.
32 Ivi, p. 50.
33 M. FRADDOSIO, La militanza femminile fascista nella Repubblica sociale italiana. Miti e organizzazione «Storia e problemi contemporanei», 24 (1999), pp. 75-88; D. GAGLIANI, Donne e armi. Il caso della Repubblica sociale italiana, in Donne e spazio nel processo di modernizzazione, a cura di D. GAGLIANI e M. SALVATI, CLEUB, Bologna 1995, pp. 129-168.
34 FRADDOSIO, La militanza, cit., p. 83.
35 WILSON, Italiane cit., p. 182.
36 A. ROSSI- DORIA, Le donne sulla scena politica in Storia dell’Italia repubblicana. La costruzione della democrazia, vol. I, Einaudi, Torino 1994, pp. 780-846; le cifre sono ricavate da fonti diverse p. 781 n. 5.
37 A. BRAVO, Simboli del materno, in ID, Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 110, con il concetto di maternage di massa l’autrice vuole definire una maternità che fuoriesce dal privato per estendersi all'intera società, quella delle donne che accettano di farsi carico del destino e della vita degli altri, sfamando, nascondendo, proteggendo le innumerevoli vite messe a rischio dalla guerra.
38 T. PANIZZON, I compagni di via Covolo, Giacobino, Susegana (TV) 1979, p. 17; Tecla era nata a Crespano del Grappa il 4 giugno 1902. Dal settembre 1943 all'aprile 1945 collaborò con il Movimento di Liberazione in particolare con le brigate “Libera Italia” e “Matteotti”. Fu insignita della medaglia di cavaliere della Repubblica per meriti partigiani.
39 A. BRAVO, A. M. BRUZZONE, In guerra senz’armi. Storie di donne 1940 - 1945, Laterza, Roma - Bari 1995.
40 Per il Veneto sono numerose le testimonianze di donne pubblicate: Voci di partigiane venete, a cura di M.T. SEGA; L. BELLINA, M. T. SEGA, Tra la città di Dio e la città dell’uomo. Donne cattoliche nella Resistenza Veneta, Cierre, Sommacampagna 2004; V. CATANIA, Donne partigiane, Cierre, Sommacampagna 2008; Eravamo fatte di stoffa buona, a cura di M. T. SEGA, Storie di donne in guerra e nella Resistenza, a cura di L. TEMPESTA, S. RESIDORI, Donne in guerra: la quotidianità femminile nel Polesine del secondo conflitto mondiale, Minelliana, Rovigo 1991, ID., Il Guerriero giusto e l’Anima bella. L’identità femminile nella Resistenza Vicentina (1943 - 1945), Centro Studi Berici, Vicenza 2008, ID., Il coraggio dell’altruismo. Spettatori e atrocità collettive nel Vicentino 1943 - 45, Centro Studi Berici, Vicenza 2004; Le donne e la Resistenza. Interviste a staffette partigiane vicentine, a cura di B. GRAMOLA, La Serenissima, Vicenza 1995; M. FRAZER, Tra la pentola e il parabello. Considerazioni sui rapporti tra pubblico e privato nella Resistenza attraverso le testimonianze di quaranta donne di sinistra, «Venetica», n.s., n.3 (1994), pp. 189-225.
 


Franca Cosmai, L’Unione Donne Italiane e il Centro Italiano Femminile dalla Resistenza agli anni Sessanta, tra centro e periferia (1943-1964), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2017